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Autore: Vago    13/07/2018    4 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Un’imponente aquila fece ricadere la propria ombra sulla desolata pianura che aveva preso il nome di Terra degli Eroi. I suoi artigli si distesero, permettendo al peso che si stava trasportando dietro di toccare il suolo.
Noir cadde pesantemente, costringendo la melassa nera che si agitava dentro di lui a fuoriuscire dai suoi pori per proteggere i palmi e le ginocchia dal terreno sconnesso.
- Cosa vuoi da me? – chiese terrorizzato il trentenne, alzandosi in piedi e sollevando il capo per guardare l’enorme rapace che stava scendendo di quota.
- Devi firmare un contratto e aprire una gabbia, null’altro. Poi ti porterò dove vorrai, ovunque. –
- Davvero? –
- Lo giuro su… - una serie di lunghi fischi acuti ruppe la quiete, attirando l’attenzione dell’aquila.
Un gruppo di guardie comparve da dietro le poche macerie che erano rimaste ad ingombrare quel suolo, muovendosi veloci in direzione dei nuovi arrivati nelle loro armature leggere.

Magia?
No, non intendo il fatto che non li avessi visti prima, dopotutto non mi ero nemmeno sforzato di dare uno sguardo per verificare se qualcuno ci stesse aspettando.
No… hanno con loro qualcosa di magico.
Ho un brutto presentimento.
Loro quanto sono riusciti a salvare del periodo della Guerra degli Elementi?

- Fai attenzione. – disse ancora l’aquila, prima di assumere le fattezze del pallido elfo dalla guancia tatuata.

Non devo ancora rivelare le mie carte.
Ho due armi divine, con me, ma non posso già mostrale.
Le terrò ben nascoste dentro questo corpo, per ora, tanto sono solo mortali, basteranno le lame che sono in grado di produrre.

Nella mano destra dell’elfo comparve un lungo pugnale argenteo, tanto grande da poter essere scambiato per una corta spada.
- Hai un’arma anche per me? – chiese il trentenne incerto, facendo saettare il suo sguardo tra le guardie che continuavano ad avvicinarsi e crescere in numero.
- Non credo ti servirà, visto quello che sei capace di fare. Comunque, questo vuol dire che mi aiuterai? –
- Voglio sopravvivere, intanto. E, poi, io non posso controllare la mia maledizione. –
- Immagino che se ti lanciassi in mezzo a loro avresti dei buoni risultati. –
Noir sospirò avvilito, guardandosi i palmi delle mani sporchi.
- Sono comunque in troppi, la mia maledizione non può proteggermi completamente… -
- Non ti toccheranno neppure, ci penserò io a quelli che ti si avvicineranno troppo. –
- Rimarresti ferito se ti avvicinassi! –
Gli occhi scuri dell’elfo si fecero improvvisamente duri. – Ascoltami, io ho combattuto e sconfitto l’essere da cui è nata la tua maledizione. Non mi spaventa quella sua brutta copia che ti porti dentro. Ora, a meno che non vuoi aspettare che arrivino loro da noi, sarebbe il caso che cominci a corrergli incontro. –

Sopravvivrà di sicuro.
Perché, però, l’essenza di Follia che ha ereditato non può proteggerlo interamente?
Non è abbastanza. Non ne ha abbastanza.
Probabilmente di generazione in generazione la quantità di quella roba è andata diminuendo. Almeno so che, tempo un secolo, anche quest’ultima traccia sarà sparita.

Noir caricò a testa bassa i soldati,  chiudendo gli occhi per non vedere la folla contro cui si stava scaraventando.
Il sangue nelle sue vene cominciò a pulsare sempre più rapidamente, incapace di adattarsi al battito del suo cuore.
Profondi strappi si aprirono nella pelle del trentenne, da questi la melassa nera che risiedeva nel suo corpo fuoriuscì, unendosi, fondendosi e dividendosi per formare sette aculei che trapassarono, impalandoli, altrettanti uomini.

Ok, va bene… Mi hai preso un po’ troppo alla lettera, non intendevo con “corrergli incontro” caricarli a testa bassa come un ariete, ma me lo farò andar bene.
Forse è il caso che mi muova anch’io, se la mia analisi è un minimo corretta, quasi la completa quantità dell’essenza di Follia contenuta nel suo corpo ora sta formando quegli spuntoni, quindi non gliene rimane molta ancora a disposizione per proteggersi da eventuali attacchi.

L’elfo si mosse rapido sul terreno brullo, con il braccio teso al suo fianco e la sua arma ben salda tra le dita. La ciocca di capelli bianchi sobbalzava appena sulla chioma nero pece al ritmo dei suoi passi.
Una frusta cercò di ferire il braccio sinistro di Noir, ma le sue spire si avvinghiarono attorno a un sottile guscio nero.

Una frusta?
Davvero?
Davvero davvero?
Avanti, che arma è la frusta?

Le volute dell’arma si incendiarono improvvisamente, costringendo il trentenne ad allontanare l’arto dal corpo per non permettere alle fiamme di attecchire sugli abiti cenciosi che portava addosso.

Una frusta di fuoco, magari, è da tenere un pochino più sotto controllo.
Era esattamente di questo che avevo paura. Cimeli dell’Era della Magia, dannazione, perché hanno creato della roba del genere dopo la caduta di Reis? Di cosa avrebbero mai dovuto aver paura?
E poi, tra l’altro, sono tutte cianfrusaglie che saranno state dimenticate in qualche armeria nascosta dopo la caduta dell’Ordine.
E io che speravo di essermi tolto per sempre il problema della magia… adesso mi ritrovo con un tizio che si illumina, con il pro pro pro e qualcosa nipote di un demone semidivino, armi incantate, una spada forgiata dalla stessa essenza del demone semidivino sopracitato e un maledetto contratto che non sono in grado di spezzare da solo.
Dannazione.

Non importa, quanti sono loro?

Ventiquattro.
Ho visto molto di peggio.
Veloce, preciso, mortale e aggraziato.

Una lama sgozzò l’uomo che brandiva la frusta infuocata, che subito si spense non appena la mano del suo possessore lasciò la presa.

Ventitré.

Sette corpi caddero pesantemente a terra, irrorando il suolo con il loro sangue, mentre gli aculei si ritraevano, andando a rimodellare le placche che proteggevano il corpo del loro ospite.
Una spada provò a farsi strada nel polpaccio di Noir, ma non poté andare oltre la corazza nera che l’aveva ricoperta. Rimase però contro di questa, senza ritrarsi. La sua lama fu percorsa da scintille elettriche che, creando luminosi archi voltaici nell’aria si scaricarono nel corpo del trentenne, gettandolo a terra boccheggiante.

Elettricità?
Io speravo di non vederla più per almeno qualche centinaio d’anni dal Cambiamento.
Posso capire come la possa produrre, come funziona la magia non è un segreto, all’interno di quella spada si andranno a formare le stesse condizioni di un temporale facendo fuoriuscire dalla lama i fulmini, essendo quella un conduttore, ma dove trova l’energia per far ciò? Non credo che quel soldato di bassa lega abbia una riserva di mana tale da produrre più di qualche scintilla.
Spero non l’abbiano progettata per…

La punta della spada venne puntata contro il trentenne a terra. Lungo tutta la sua superficie scoppiettarono scintille e piccole saette che si disperdevano nell’aria.
Un lungo arco voltaico nacque dalla punta metallica, puntando in direzione di Noir utilizzando come appoggio per quel viaggio il corpo di una delle guardie che non si era spostata abbastanza dalla sua traiettoria.
Un lungo pugnale si frappose fra l’attacco e il corpo dell’uomo protetto in buona parte dalla melassa nera.
La scarica deviò il suo corso, convogliandosi prima nella lama dell’arma, poi nel corpo del suo possessore per poi scaricarsi a terra passando attraverso una lunga barra metallica che dalla vita dell’elfo si andava a piantare nel suolo.

Conosco ancora abbastanza bene le leggi imposte da Natura da non farmi fregare da trucchetti così prevedibili.

Il corpo dell’uomo che impugnava la spada cadde a terra fumante.

Dannazione se ho capito il trucco.
Queste armi, se non trovano una riserva di mana o la finiscono passano ad attingere all’energia vitale del proprietario, senza farsi fermare dal suo rubinetto di emergenza.
Ricordate il discorso sul rubinetto d’emergenza del mana che vi avrò fatto un’ottantina di anni fa? Il fatto che gli umani sono animali con un rubinetto mal funzionante e rischiano di crepare se lanciano incantesimi al di là delle loro possibilità e tutto il resto?
In ogni caso, ventuno, grazie al suo assist.

Nove fini aghi fecero ondeggiare al loro passaggio i lembi cadenti degli abiti strappati di Noir, impalando altrettante guardie e facendo cadere rumorosamente a terra le armi che queste brandivano.

Dodici.
Perché mi stavo preoccupando di non riuscire ad arrivare alla sua prigione?
Potrei mettermi seduto in un angolo e comunque mi verrebbe spianato un passaggio per quella scalinata maledetta.
Dai, forza Commedia, fai finta di essere utile.

L’elfo scattò in avanti a lunghe falcate, muovendo la lama della sua arma nell’aria, facendola scivolare negli anfratti delle armature e lasciando profondi solchi al suo passaggio.
Tre voci distinte alzarono al cielo le loro urla di dolore, prima di affievolirsi lentamente.

È davvero troppo facile, però, così.
Nove.
Potevano almeno addestrarli ad usare queste armi.

- Viandante, fermati! È un ordine di un firmatario, questo! –

Davvero credono che, dopo quello che mi hanno fatto, mi atterrò ancora a quel patto?
Ho solo bisogno di avere quel maledetto rotolo di pergamena per dare a qualcun altro il potere di aprire quella gabbia.

Una figura si fece avanti coperta da una spessa corazza metallica. Sulla superficie lucida, lunghe e sinuose spirali di glifi si rincorrevano rapidi.

Come l’hanno ottenuta, quella?
Maledizione!
Aria, ora vieni qui e risolvi questo casino.
Dannazione!
Perché è ancora sul Creato quella roba?
Era troppo difficile riprendersela ottant’anni fa, a guerra finita? O, per lo meno, vent’anni fa, visto che Fuoco si era ricordato di averla scaricata in questo posto?
“Trado, il dominatore dei venti, il cavaliere degli uragani, il serpente piumato della Signora dell'Aria.”
Hanno solo riesumato l’armatura che la stessa Aria ha forgiato e ha donato al suo tempio nel Creato, cosa vuoi che sia?
Come si può anche solo pensare di lasciare un simile artefatto in mano ai mortali?
Ed ora come la butto giù, quella?
Non voglio tirare ancora fuori le armi divine in mio possesso. E, poi, lo stiletto di papà Fato sarebbe inutile contro quella montagna di metallo incantato, mentre non ho la forza, senza un’adeguata accelerazione, per sfondare le sue difese con la Spada degli Abissi.
Mai una volta che le cose mi possano andare bene.

- Come siete entrati in possesso di quell’armatura, signora Dan Rei? Non era l’egemonia sui trasporti nelle Terre l’unica sua competenza? –
Uno spuntone di roccia scura eruttò dal terreno, lanciando in aria Noir, accovacciato in posizione fetale e quasi interamente coperto, all’esterno del suo corpo, da uno spesso guscio nero.
Una delle guardie sopravvissute cadde a terra, esanime.
- Non potevamo lasciare oggetti così meravigliosi a marcire tra le mura cadenti dei palazzi che qui sorgevano. I nostri predecessori, prima di instaurare la Setta degli Assassini, hanno provveduto a recuperare tutto ciò che potesse essere utile.  –
Un largo scudo a torre interamente fatto di legno venne issato in difesa della donna bardata.

Non farti prendere dall’agitazione, cerca di essere metodico e logico.
Analizza.
Otto persone, di cui una è Sarah Dan Rei, firmataria.
Come sono armati?
Armatura di Trado, divina, al di sopra delle mie attuali possibilità.
Scudo… annulla magia? Qualcosa del genere, in teoria deve convertire le particelle di mana espulse durante l’incantesimo in aria.
Due spade, una in grado di aumentare il proprio peso, l’altra capace di generare fiamme. Poca fantasia, peccato.
Un arco non incantato, ho paura che quelle frecce abbiamo delle brutte sorprese.
Uno stocco in grado di ridurre la dimensione dell’utilizzatore. Spero per lui che non gli abbiano rivelato il suo reale utilizzo, altrimenti è un’incosciente a essere venuto a combattere.
Una picca che richiama a sé tanta terra quanta è l’energia che viene incanalata in essa. Ponendo che non siano in grado di dosare le forze impiegate, è probabile che, la prima volta che la proverà ad utilizzare, richiamerà a sé un paio di massi e morirà lì, probabilmente prima per mancanza di energia vitale e poi per l’impatto.
Un’ascia che devia gli incantesimi. Pericolosa, ma solo se usata con consapevolezza di cosa si sta facendo.
Nel peggiore dei casi quelle frecce sono avvelenate, devo proteggermi.
Cosa ho io, dalla mia?
Noir e il potere di Follia, le armi divine, le mie armi e… basta.
No, non basta. Ho ancora la spada di Nirghe. Come ho fatto a dimenticarmi di averla?
Dovrei fare un po’ di ordine tra le cose contenute nel mio corpo, avrò ancora dei documenti delle missioni che mi sono state affidate nei decenni passati, da qualche parte.
Serve un piano di battaglia.
Prima di tutto devo avvicinarmi a quell’ascia senza usare la magia.
Poi ci sarà quello scudo che renderebbe ogni attacco elementare inutile.
Non posso batterli, posso però ridurre ancor più le loro fila.
Se è salita solo Sarah Dan Rei, vuol dire che gli altri membri non sono presenti, per il momento.
Non devo per forza ucciderli tutti.

Un paio di imponenti ali si generarono dalla giacca scura dell’elfo per distendersi, prima, e poi muoversi con possenti colpi verso il terreno.
L’elfo si mosse rapido in aria, con gli occhi fissi sull’arco di legno venoso che, freneticamente, stava venendo incoccato.
Una freccia sibilò nell’aria, seguita da una sua gemella poco dopo.
Le piume che componevano le code vibravano nella loro corsa all’inseguimento delle punte scintillanti.
Le dita dell’elfo strinsero qualcosa.
Le frecce interruppero violentemente il loro viaggio, per poi ricadere a terra.

Ottimo.

La melassa nera si ritirò nuovamente nel corpo di Noir, tenuto in aria solamente dalla forza dell’elfo che lo reggeva.
- Sai maneggiare una spada? –
Un’altra freccia sibilò nell’aria, per poi schiantarsi nella nuova protezione nera di Noir senza essere nemmeno riuscita a scalfirla.
- Perché? – la voce del trentenne era rotta, perfettamente abbinata al suo corpo coperto di cenci che a malapena bastavano per coprire gli strappi che gli si aprivano nella pelle.
- L’energumeno con l’ascia. Uccidiamo quello ed entriamo. Allora, la sai maneggiare? –
- Più o meno. –
- Me lo farò bastare. –
Il braccio sinistro dell’elfo si tese, irrigidendosi e perdendo la presa sul corpo dell’uomo che gli faceva da scudo contro i dardi, per aprirsi lungo tutta la sua lunghezza come la copertina di un libro. Dai tessuti aperti fuoriuscì lentamente il fodero lindo di una spada.
Noir lo afferrò timoroso, sfoderando la lama che dentro a questo riposava e guardando schifato i muscoli di quel braccio tornare a saldarsi per chiudere lo squarcio che si era aperto.
- Io ti porto là, tu lo ammazzi, va bene? –
Noir non ebbe il tempo di rispondere. Le imponenti ali cambiarono angolazione, spingendo i due corpi verso il gruppo di uomini che li guardavano avvicinarsi con le armi strette in pugno.
Lunghe penne nere caddero dolcemente al suolo, incapaci di rimanere attaccate alla struttura alare che doveva ospitarle.
Lunghi aghi si aprirono come i petali di un fiore rinsecchito dal petto del trentenne, cercando di allargarsi tra i sopravvissuti alla carneficina a cui quello spiazzo brullo aveva assistito, ma furono calamitati da una forza superiore alla loro volontà che li attirò sullo scudo di legno ancora levato. Lì si arrestarono, senza riuscire a trapassarlo.

Avrei dovuto perderci qualche secondo in più nella creazione di queste ali.
Se avessi fatto un lavoro anche leggermente più sommario probabilmente saremmo precipitati al suolo appena avessi afferrato Noir.
Sarà per la prossima.
Manca poco.
Per fortuna lo scudo si è attivato prima dell’ascia.
Ho corso un rischio enorme.

La spada fendette l’aria, scontrandosi duramente contro l’ascia che si era sollevata per frapporsi al suo passaggio.
Un pezzo d’acciaio dal filo tagliente e segnato da numerose tacche seghettate, tintinnando, cadde sul terreno.
La restante parte della lama spezzata della spada continuò la sua mezzaluna di morte, trascinandosi dietro lunghi schizzi di sangue arterioso dopo il suo passaggio all’interno della guardia verso la quale era stata direzionata.
- Bel lavoro. Ora preparati all’impatto. –
- Cosa? – Noir non ebbe il tempo di chiudere gli occhi.
L’elfo continuò il suo volo in linea retta, senza accennare a fermarsi.
Solo quando la porta della casupola fu a pochi palmi dal viso impallidito del trentenne le ali scure andarono a posarsi lungo i fianchi dell’essere dalla ciocca di capelli bianchi, tornando ad essere solamente una lunga giacca.
La porta in legno si ruppe nello scontro con uno spesso strato di melassa nera, rallentando appena la corsa dei corpi che gli si erano scagliati contro, nemmeno sufficientemente da impedirgli di raggiungere le scale che poco più avanti li aspettavano.
Noir rotolò più volte su sé stesso, con la melassa scura che continuava incessantemente ad entrare e fuoriuscire dai suoi pori per impedire agli scalini in pietra di colpire il suo corpo.
Una foschia grigia lo seguiva rapida, serpeggiando tra le strette pareti della scalinata.
Una mano salda fece arrestare la caduta rovinosa di Noir, costringendolo a fermarsi di fronte a un pianerottolo su cui si apriva una porta.
- Dobbiamo prendere una cosa. – disse secco l’elfo, quando i suoi piedi appena risolidificati toccarono il pavimento liscio.
L’essere aprì la porta che gli ostruiva la via violentemente, facendola sbattere sul muro interno sul quale andava ad aprirsi. Si mosse poi rapido, puntando prima allo scranno centrale per poi aggirarlo, in cerca di qualcosa dietro di esso.
Ne trasse uno scrigno di legno fittamente scritto.
- Aprilo. – disse ancora, porgendolo al trentenne.
Noir raccolse con mani tremanti il contenitore. Le sue dita si spostarono sul coperchio non protetto da nessun lucchetto.
L’oggetto, nonostante non ci fosse nulla a bloccarlo, non parve aver intenzione di aprirsi.
- Non ci riesco… - disse il trentenne a bassa voce, remissivo e rammaricato.
Gli occhi dell’elfo si accesero di una fiamma nuova, strinse la scatola con le dita della sua mano destra, per poi scaraventarla per terra.

Maledizione!
Maledizione!
Dannazione!
Perché?
Perché?
Lui è per almeno cinque sesti mortale. Non basta questo?
Dannazione!
Ora cosa faccio? Come la libero?

Il rumore delle suole rigide sui gradini rimbombò tra le pareti.

Stanno arrivando…
Devo… devo fare qualcosa.
La scatola, devo tenerla con me.

Due guardie occuparono interamente lo spazio tra i due montanti della porta, per poi entrare all’interno della sala con lo scudo e la spada sollevati. Alle loro spalle le sagome di altri due si presentarono a bloccare la via d’uscita.
- Cosa pensi di fare, ora, Viandante? Dammi quello scrigno e torna a leccarci i piedi. – disse da dentro la sua armatura la proprietaria del Treno Nube, facendosi largo tra i bruti armati per poter vedere in viso l’elfo dal volto tatuato.
- Io… -

Non posso consegnarglielo.
È l’unico modo che ho per liberarla.

- Io non … –
Il grido di dolore di una delle guardie rimaste nella retrovia interruppe il discorso attirando l’attenzione dei presenti.
Un lampo azzurro illuminò a giorno le pareti e il soffitto della scalinata, accecando la prima fila di guardie che lì si trovavano.
Un rumore metallico vibrò nell’aria, limpido.

Questo era lo stocco.
Sei rimasti in vita, tra cui Sarah Dan Rei.
E quella luce io l’ho già vista.
Devo intervenire, posso ancora liberarla.

- Fermatelo! – Urlò la firmataria dall’interno della sua armatura.
- Sarah Dan Rei! – tuonò l’elfo con voce cavernosa – Perché sei venuta solo tu a fermarmi? Gli altri firmatari hanno troppa paura per fronteggiarmi senza quella protezione? –
- Tu taci! –

Cosa fare?
Prendi lo scrigno.
Hai bisogno di una distrazione.
Devi salvare Razer, lui ti serve vivo.
La spada di Nirghe si è spezzata.
Cosa fare?
L’ordine, l’ordine è importante.

- Scusami ragazzo. – disse solamente l’elfo prima di afferrare il tronco di Noir e, con una forza che non si sarebbe potuta attribuire a quel corpo snello, scaraventarlo contro le due guardie che avevano fatto da apripista.
Una rosa di aculei si aprì, per poi convergere verso il centro dello scudo di legno.
L’elfo si mosse rapido, chinandosi per raccogliere da terra la scatola di legno e poi scattando verso la porta.
La sua mano sinistra afferrò senza troppo riguardo il braccio di Noir, trascinandolo con sé. L’incavo del braccio destro, la cui mano era occupata per tenere il contenitore incantato, andò ad incastrarsi sotto il mento dell'uomo che era giunto sul pianerottolo per ultimo e che ancora stringeva il pugnale con cui aveva ferito a morte la guardia che gli stava di fronte.

Devo rallentarli.

Un terzo braccio nacque all’altezza del gomito sinistro, afferrando la sottile corazza del primo uomo che incontrò per gettarlo a terra, davanti ai piedi dei suoi compagni che parevano non sapere su chi concentrarsi.
I piedi dell’elfo si muovevano rapidi sugli scalini, saltandone molti per la foga.
- Voglio un’altra maschera da te… - disse con voce strozzata Razer, non potendo far altro che guardare alle spalle dell’essere che lo stava trascinando nella sua folle corsa verso le viscere di quella montagna.
- Ne riparleremo. Devi fare una cosa per me. –

Sto arrivando e, adesso, ti tirerò fuori da lì.
Hanno fatto incazzare la Musa sbagliata, Commedia o Viandante che fosse.

Le tre figure si arrestarono  in una larga sala scura, al cui centro una gabbia di diamante scintillava alla poca luce che le torce della scalinata riuscivano a far penetrare in quel luogo.
- Razer. – ruggì l’elfo lasciando cadere a terra il discendente di Reis sconvolto per potersi concentrare sul mortale che aveva di fronte – Apri questo scrigno. Ora! –
Le mani del draghicida persero per un momento  la loro sicurezza, apprestandosi tremanti a sollevare il coperchio del contenitore di legno.
All’interno, una pila di fogli fece disperdere nell’aria numerose particelle di polvere. Su tutti questi, un rotolo di pergamena ingiallita lottava contro il tempo per non deteriorarsi.
- Dammi la mano. – continuò l’elfo.
- Cosa? – provò a ribattere l’uomo, cercando di sottrarsi alla presa dell’essere che aveva davanti.
Dalla mano dell’essere comparve uno spuntone metallico, che si insinuò tra la carne del palmo della mano che aveva catturato fino a farne sgorgare tre gocce di sangue vermiglio, che caddero sul contenuto dello scrigno, macchiando la carta su cui si ammassavano centinaia di firme diverse tracciate con i più disparati inchiostri.
- Ora vai ad aprire quella prigione. – l’essere fece voltare a forza Razer, spingendolo contro la parete di diamante.
- Cosa dovrei fare, esattamente? –
Le mani del draghicida si appoggiarono sulla superficie perfetta della gabbia, in cerca di quella che potesse essere una porta.
A quel contatto, una riga sottile si aprì sulla parete trasparente, allargandosi fino a formare uno squarcio in quel materiale impenetrabile.
L’elfo si fece avanti, incerto, con le gambe che a stento lo reggevano. La fanciulla dai corti capelli neri cadde in avanti, non più sorretta dalla forza che sembrava aver riempito quella prigione fino a poco prima.
I tubi cavi che si insinuavano nella sua pelle si strapparono uno dopo l’altro sotto il peso di quel corpo, riversando sul pavimento scintillante il proprio contenuto.
Il corpo esile si afflosciò tra le braccia dell’elfo dai capelli neri. I suoi occhi vennero trapassati da un lieve fremito.
- Finalmente ti ho tirata fuori da lì … - disse con un filo di voce la creatura dalla lunga giacca nera, sotto lo sguardo perplesso dei due uomini che si era trascinata dietro.
Fiamme rilucenti nacquero dall’interno dello scrigno, illuminando le palpebre della fanciulla che, lentamente, cercavano di aprirsi.
Due iridi dorate luccicarono a quella luce tremolante.
- Stai bene? – riuscì a chiedere l’elfo con sguardo preoccupato.
La fanciulla provò a rispondere, ma un conato di vomito le spezzò il fiato, facendole rimettere una sostanza dal colore indefinito sugli abiti eleganti dell’essere che gli stava di fronte.
- Non mi aspettavo una riunione così… profonda. – commentò l’elfo disgustato, cercando di scalciare via dai suoi pantaloni la sostanza, senza però lasciare cadere la figura che teneva tra le braccia.
- Ora dobbiamo solo uscire da questo posto. – disse poi rivolto ai due uomini.
- Che cosa è lei? – chiese Noir, facendo un passo indietro, spaventato.
- L’unico essere nel Creato che, al momento, è in grado di aiutarci ad andarcene vivi. -





Angolo dell'Autore:

Ebbene, come anticipato eccomi qui.
Per un capitolo lungo ci vuole un'altrettanto importante angolo a concluderlo, per non sfigurare, ovviamente.
Andiamo per punti, però. Non vorrei mai dimenticare qualcosa per strada.

Il capitolo, per cominciare.
Questo capitolo chiude una parte di questa storia. Ma facciamo un passo indietro.
Nella mia progettazione avevo diviso questo racconto in tre parti.
"Presentazione", in cui, ovviamente, vi avrei presentato i nuovi personaggi in maniera molto più graduale rispetto al passato.
"Roba che succede", questa parte centrale, in cui c'è un'evoluzione dei personaggi, vi presento il passato delle Muse(*) e, oggi, l'entrata in scena dell'altra Musa.
"La Grande Fuga", l'uscita da questa prigione e la fine di questa storia.
Siamo quindi appena entrati nella fase tre.

Perchè il (*)?
Perchè non doveva essere qui il passato sulle Muse, volevo scriverlo, ma farlo come un extra, come una storiella a sè stante fuori da queste pagine. Poi una buona dose di recensioni mi hanno fatto riflettere e decidere per questa soluzione.

Le Muse, quindi.
Ho già perso fin troppo tempo in passato a raccontarvi di come non esistesse all'inizio la figura del Viandante, men che meno Commedia in quanto Musa con tutta la sua storia alle spalle.
Mi piace, però, come da quel barlume di idea che ho avuto sia nata un'intera "side-story".
Rimpianti?
Maybe.
Forse, con il senno di poi, avrei gestito diversamente tutte le Muse, le loro morti e le loro caratterizzazioni, dando più spazio se non a tutte, ad almeno alcune di loro.

Già, la gestione.
Mi sono posto un paletto mentre scrivevo. Cosa rara a ben pensarci.
VOLEVO che l'ultimo capitolo delle Muse, quello che si doveva concludere con la cattura di Epica, fosse immediatamente precedente a quello della sua liberazione. Volevo che fossero l'uno la continuazione dell'altro nonostante i secoli di narrazione che intercorrono tra di loro.
Ho preso leggermente male le misure, finendo per non poter tagliare questo capitolo a metà, ma mi piace come è uscito e, soprattutto, mi fa piacere aver rispettato quel paletto.

Epica, tra l'altro, non è mai stata nominata nei capitoli al "presente", prima di ora.
Commedia stesso, in passato, ha ripreso acidamente il Fato intimandogli di non pronunciare il suo nome, almeno finchè non fosse stata liberata.

E, a proposito di nominare, voglio mostrarvi qualcosa.
Provate a seguirmi, voglio portarvi a percorrere un tortuoso sentiero di un mio ragionamento narrativo.
Ho creato la figura eterea della Trama del Reale. Più o meno tutti voi vi sarete disegnati in mente una sua concezione, la mia è che sia un intreccio di frasi, come se ogni persona si lasciasse alle spalle una coda di parole che raccontano quello che ha fatto e che ogni filo si vada ad intrecciare con gli altri fino a formare, appunto, la trama su un'immenso orditoio.
Torniamo un po' più concreti, sapendo questo.
Ho voluto intendere la narrazione fisica, le frasi che voi leggete, come appunto fosse parte della Trama.
Le Muse hanno ricevuto il dono di essere completamente slegate dall'intreccio, al punto che, prima che questo venisse sigillato, ci vivevano all'interno, ed è per questo che la Trama, la narrazione, se vogliamo rompere il parallelismo, non può riferirsi a loro chiamandole per nome. Un po' come un passante che deve descrivere un evento che gli è accaduto davanti. Se non conosce qualcuno, non potrà riferirsi a lui con un nome ma dovrà ricorrere a delle descrizioni.
"L'elfo dai capelli neri"
"L'essere"
"La creatura"
"La nube"
Non ho mai utilizzato un nome, qualunque esso fosse, durante la narrazione. L'unico momento in cui li avete letti è stato durante i dialoghi oppure durante le riflessioni di Commedia.

Un minuto di pausa. Potete riprendere fiato e rimettere assieme il cervello.

Siamo entrati nell'ultimo terzo della storia, ho detto.
Non che non sia corretto, ma... non lo è.
Io non ho scritto tre "libri", tre racconti per meglio dire.
Ne ho scritto solo uno.
I personaggi hanno bisogno di una storia con un inizio per presentarsi, uno svolgimento per agire e una conclusione in cui i nodi vengono al pettine.
- La Guerra degli Elementi: Conoscente il Viandante, lo scoprite pian piano, lo ascoltate nei suoi deliri fino a scoprire che cosa effettivamente è e, nell'ultimo capitolo, venite a conoscenza di Lei.
- L'ombra del Passato: Commedia comincia ad agire, si fa carico di alcuni compiti fino ad arrivare al culmine in cui combatte contro Follia e lo sconfigge. Ma arriva qui profondamente cambiato rispetto all'inizio del viaggio.
- Figli della Trama: Follia è sconfitto, Lei è stata liberata, Commedia non è più asservito, si è scoperto chi sono Loro. Si va per una conclusione definitiva.
Potremmo dire, a questo punto, che le Leggende del Fato, quali che siano i sottotitoli, non siano altro che i capitoli, gli Atti teatrali, della storia di Commedia.

Resistete, manca poco.

Manca poco, in realtà, anche alla fine di questa storia.
Non ho idea di quanti capitoli manchino, ma non penso che saranno ancora tanti.
Quando poi avrò messo la parola fine a questo progetto, poi... prenderò una pausa, per lo meno da lavori di questa portata.
Mi piacerebbe provare a scrivere degli esercizi di stile, in cui portare all'esasperazione le descrizioni per creare dei capitoli "da leggere a occhi chiusi" per arrivare a rendervi nitido quello che io ho immaginato.
Magari, se avrò voglia e ispirazione, sarebbe interessante partecipare a qualche contest, per mettermi alla prova con tematiche che non mi appartengono.
Vedremo.

Per il momento, alla prossima.
Vago
   
 
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