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Autore: fra_eater    13/07/2018    2 recensioni
Regulus Black è sempre stato curioso, curioso e determinato. Agisce nell'ombra, ascolta il suo Padrone con devozione, ma qualcosa dentro di lui si rompe e decide velocemente di troncare quel suo rapporto con il Signore Oscuro e gli altri Mangiamorte.
Lily Evans è un membro attivo dell'Ordine della Fenice, fiera e determinata a portare avanti l'opposizione contro Voldemort fino alla fine dei suoi giorni.
I due non potrebbero essere più diversi, eppure un piccolo cottage in campagna è qualcosa che li unisce e ascolta silente la loro relazione.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Regulus Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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L’esitazione del Cappello Parlante

 

 

 

-Ci pensi, Reg? tra tre mesi anche tu studierai a Hogwarts.

-Già

-Chissà dove deciderà di smistarti il Cappello Parlante. Sicuramente Serpeverde, come tutta la nostra famiglia

-Ma tu sei un Grifondoro

- E ne sono felice. Ma non voglio che tu debba sentirti dire che sei un disonore per la nobile casata dei Black

-E se finissi in Grifondoro? Pensi che nostra madre si arrabbierà tanto?

-Se diventassi Grifondoro sarei felicissimo di avere il mio fratellino con me e ti proteggerei contro tutti.

In più conosceresti James.

 

 

Le campagne inglesi davano sempre un senso di pace e di serenità anche quando la pioggia lieve di inizio marzo cadeva per trasformare la terra in fango. I raggi del sole pian piano venivano oscurati da nubi sempre più fitte e scure e la pioggia aumentava la propria intensità con il passare dei minuti, trasformandosi in un vero e proprio temporale dopo il primo rimbombo di un tuono in lontananza.

Gli animali, avvertendo il pericolo dell’intemperia in avvicinamento, ritornavano lesti alle loro tane, rifugio sicuro collaudato nell’inverno del loro letargo; gli uccelli volavano ai loro nidi per proteggere le compagne o la loro prole, solo un falco si comportava in maniera anomala, buttandosi a capofitto verso il nulla, fronteggiando spavaldo la pioggia sempre più forte, per poi scomparire improvvisamente.

Una semplice illusione ottica: una distrazione per un occhio babbano, ma un sospetto per un occhio magico.

Infatti, nessun essere umano, magico e non, poteva scorgere il piccolo cottage in cui il volatile entrò, celandosi alla vista del mondo che lo circondava e nessuno poteva vederlo nel torpore dell’abitazione assumere delle sembianze umane.

Ormai divenuto ragazzo, l’Animagus si lasciò cadere su una sedia, esausto, spostando lo sguardo dalla stanza alla propria mano, o meglio, a quel che restava dell’ala prima che tornasse a essere una mano.

Era sempre stato un problema quella parte della trasformazione: da quando era divenuto un Animagus(1) la difficoltà più grande era riassumere le proprie fattezze e provava un piacevole dolore nello scorgere le penne brune che prima formavano l’archetto perfetto delle sue ali regredire a soffici piume e poi penetrare velocemente sotto la pelle, come se non fossero mai esistete.

Gli occhi grigi saettarono veloci per la stanza e un lieve sorriso increspò le labbra sottili mentre scrollava il capo, leggermente divertito. Non era difficile notare il tocco di Kreacher in quella casa: non un filo di polvere era posato sul mobilio essenziale e il letto presentava lenzuola fresche nonostante fossero più di sei mesi che non entrava in quel cottage. Solo l’elfo domestico e un’altra persona conoscevano quel posto e di sicuro era stato lui a rendere confortevole quella catapecchia, quella enorme stanza che a malapena poteva definirsi casa se paragonata al numero 12 di Grimmauld Place, dove aveva passato l’infanzia sotto l’occhio vigile della madre e quello stanco del padre, dove aveva spiato dal buco della serratura la vita di aperta ostilità contro la famiglia del fratello, prima che questi andasse a vivere da Potter.

Arricciò il naso in una smorfia disgustata quando il volto smilzo, con gli occhiali tondi e i capelli corvini gli comparve prepotentemente nella mente, con la sua aria arrogante da tipico Grifondoro, quella spavalderia che negli anni si era conquistata il disprezzo di alcuni e l’elogio di altri, l’odio delle vittime e l’ammirazione degli stolti.

Si alzò dalla sedia per ammirare il temporale che si stava scatenando oltre i vetri lucidi.

Non era in programma che giungesse in quel luogo, ma era passato tanto di quel tempo che lei sicuramente non l’avrebbe cercato e avrebbe potuto liberamente fare qualche ricerca lontano dagli occhi indiscreti dei suoi amici.

Non era il termine giusto da utilizzare considerando la massa di assassini e maniaci del sangue puro con cui passava il tempo per seguire il proprio Padrone, ma non riusciva a trovare un termine adatto con cui descriverli, forse ipocriti o opportunisti erano degli aggettivi validi. Infatti, tra di loro vi era gente che con lui condivideva l’albero genealogico, chi lo rispettava per il suo cognome, chi lo odiava per la fiducia che il loro Padrone aveva in lui, tanta da fargli l’onore di accettare in prestito il suo elfo domestico per una missione che aveva definito delicata.

L’Oscuro Signore, Colui che non deve essere Nominato, il suo Padrone; l’unico per cui si piegava l’onore di un membro dell’antica e nobile casata dei Black.

Era da sempre affascinato dai suoi modi, dalla sua potenza. Aveva sentito parlare di lui nei corridoi di Hogwarts, nei pub di Hogsmeade, dai suoi stessi genitori che con profondo rispetto non si azzardavano a pronunciare il suo nome.

Per tanto tempo era stato affascinato dal suo potere, dal modo in cui tutti lo rispettassero. Tutti, tranne suo fratello, i suoi stupidi amici e lei.

Li aveva visti schierarsi con quel maiale di Potter e quel tipo strano di Lupin contro loro, i Mangiamorte, brandire le bacchette e urlare a voce alta che le loro ore erano contate, che non si poteva seguire un folle con manie di grandezza che vuole un mondo dove solo lui e i purosangue potessero vivere.

Guardò il suo riflesso sul vetro bagnato. Cercò invano di riconoscere qualcosa che gli ricordasse Sirius in quei tratti, ma quel che vide era il volto stanco di un diciottenne che da anni non viveva più nell’ombra del fratello maggiore.

Erano passati otto anni da quando era solo un moccioso con la divisa recante il fresco marchio di Serpeverde, fiero di essere nella Casa frequentata da tutta la sua famiglia, ma non di dover considerare il proprio fratello maggiore come un rivale.

 Ricordava ancora le urla e i pianti disperati della madre alla notizia dello smistamento di Sirius, definendolo un’onta sulla storia della nobile famiglia Black ed erano vividi nella sua mente gli sguardi sprezzanti che erano stati rivolti al figlio maggiore al suo ritorno da scuole per le vacanze di Natale del suo primo anno.

 Negli occhi di quel bambino di undici anni, seduto in attesa del responso del Cappello Parlante, vi era la consapevolezza che toccava a lui portare alto l’onore della famiglia. Ricordava perfettamente come si era sentito in dovere di guardare con superiorità il fratello maggiore, seduto tra i leoni, dopo che il Cappello Parlante aveva urlato a squarciagola “Serpeverde” e i suoi nuovi fratelli argento e smeraldo lo avevano accolto con un fragoroso applauso.

Osservò le gocce di pioggia disegnare un percorso sul vetro, unirsi nei vari punti per formare dei bivi.

Ricordava come Lucius Malfoy l’avesse accolto a braccia aperte nella Sala comune di Serpeverde e i comportamenti sinistri ed evasivi di Severus Piton, sempre ad un angolo a studiare e mai pienamente partecipe della vita che scorreva in quella stanza nei sotterranei.

Ora anche loro portavano il Marchio Nero sul braccio proprio come lui, fieri di essere parte integrante di quel progetto che avrebbe riportato il sangue puro al potere sul quel putridume di mezzosangue e traditori.

Si allontanò dalla finestra e si diresse nuovamente verso il tavolo di noce prestando finalmente attenzione a quel che vi era sopra.

Libri.

Vi erano un voluminoso tomo provenienti dalla Sezione Proibita della biblioteca di Hogwarts recante il titolo Segreti dell’arte più oscura e cinque della sua collezione personale acquistati da Magie Sinister e altri antiquari di Notturn Alley, tutti come argomento la magia oscura più antica.

Un lieve sorriso attraversò le sue labbra alla vista del blasone della scuola. Penetrare dentro Hogwarts non era certo un problema per il suo elfo domestico.

La copertina logora ma ancora rigida gli riportò alla mente i momenti passati nel Lumaclub: quel guazzabuglio di studenti dalle più o memo enormi potenzialità che negli anni erano riusciti a metterle a frutto anche grazie a una spintarella di quel professore tanto influente che firmava volentieri permessi per quei volumi oscuri, carichi di magia nera, senza chiedersene il motivo.

Ed era stato lì, in quel luogo pieno di nomi e menti eccelse che per la prima volta la sua curiosità era stata solleticata da lei.

Si passò la lingua sulle labbra.

Non era mai stato un tipo interessato alle frivolezze e tanto meno alla gente inutile che teneva scritto a caratteri cubitali Mazzosangue sul volto, ma dalla prima volta che l’aveva vista, seduta accanto a Sirius, con il leone rampante sul petto, aveva sempre provato una curiosità nei suoi confronti. Curiosità che era diventato vivido interesse una volta entrato a far parte del Lumaclub: vederla lì, lei che non aveva alcun legame con le nobili famiglie magiche, che era una Nata Babbana, seduta sulle poltrone di pelle di fronte al fuoco, l’aveva lasciato spiazzato.

 Ricordava perfettamente la sorpresa di vedere una Grifondoro e per giunta una Mezzosangue, tra i più nobili e famosi cognomi di purosangue; si era chiesto cosa avesse bevuto Lumacorno per invitarla lì, nel suo club d’elitè e fu in quel momento che lei, dapprima impegnata in un’accesa conversazione con un’insulsa Corvonero, si era accorta della sua presenza.

 Gli tremarono le gambe al semplice ricordo di lei che si alzava dalla poltrona e si avvicinava spedita, protendendo lentamente la mano “Tu sei il fratello di Sirius, vero?”. L’aveva scacciata di malo modo.

Non certo il migliore degli inizi.

 Pensò ridacchiando mentre la tempesta imperversava fuori dai vetri.

 Da quel momento fu tutto una discesa di insulti e sguardi torvi per i corridoi. Lui non era mai stato un tipo irascibile, ma la sola presenza di quella sciocca ragazzina lo mandava in bestia. Non aveva il diritto di studiare in quella scuola, non con i suoi natali, figuriamoci se doveva condividere i previlegi che solo gli studenti scelti da Lumacorno in persona potevano avere.

Il fatto che lei fosse così vicina a suo fratello, che li vedesse parlare e bisticciare per quel Potter non poteva che aggravare la situazione e accrescere l’odio nei suoi confronti. Perché Sirius era così interessato a lei e non a lui? Cosa faceva lei di tanto speciale?

Ed era stato per questo che la seguiva ovunque, che la guardava da lontano, sempre ben attento a occhi indiscreti.

Cosa aveva di tanto speciale?

I lampi squarciarono il cielo, facendolo sobbalzare e strappare ai ricordi.

 Stava perdendo tempo.

Era tornato in quel luogo solo per studiare, per informarsi sulle maledizioni e anatemi antichi che aveva visto compiere dal suo Signore e che avevano suscitato la sua curiosità.

Era sempre stato un tipo curioso, sveglio e abbastanza discreto da non farsi mai cogliere sul fatto. Erano state queste abilità, quel suo essere falsamente disinteressato a mandare di matto i suoi docenti e a far scatenare l’interesse di lei.

Lei che ancora una volta faceva capolino nei suoi pensieri. Come un tarlo che si insinua nelle fondamenta per ridurle a un colabrodo, lei era sempre lì, pronta nella sua mente, a presentarsi prepotentemente provocandogli una rabbia incontrastata dentro.

  Era tutto iniziato a causa di quella stupida festa di Natale. Lei gli aveva versato un po' del suo succo di zucca sulla giacca e lui l’aveva chiamata “Sporca Mezzosangue” d’avanti a tutti, guadagnandosi un ceffone e vedendosi sottrarre ben 20 punti per la sua casa; poi Lumacorno l’aveva invitato a chiarire con lei dicendogli che non avrebbe tollerato altri atti di razzismo nel suo club. Nel giro di mezz’ora erano passati dal vomitarsi i peggior insulti, feriti nell’orgoglio, al graffiarsi e mordersi la pelle nuda e sudata sul pavimento dell’aula deserta di Pozioni, poco lontano da dove si svolgeva la festa. E la mattina dopo lei aveva inspiegabilmente accettato l’invito a uscire di un idiota che la implorava praticamente dal primo anno.

E poi era tornata da lui, altre volte nel corso di quell’anno, a cercare il suo corpo e a insultarlo e sentirsi insultata come se questo le desse un insano piacere.

Detestava ammetterlo, ma lei da sempre stroncava i suoi schemi, il suo mondo; riusciva con poche parole a colpire nel segno, come se riuscisse a leggerlo dentro. Era qualcosa di inaccettabile per un Purosangue come lui essere perennemente insultato e si ripeteva che continuava a sopportare la sua vista solo per vendetta - contro di lei e contro quell’usurpatore-, non per altro; una vendetta che si era consumata avidamente anche tra le lenzuola del letto su cui si era appena seduto, sotto il tetto di quel cottage protetto da un gran numero di incantesimi.

Si passò una mano tra i capelli leggermente lunghi. Il pensiero di quella donna gli provocava sempre dei sentimenti contrastanti a cui non sapeva esattamente attribuire un nome. Era sempre stato padrone delle sue azioni, misurato e controllato e lei, con il suo fare arrogante, con la sua superbia e altezzosità nonostante fosse solo una povera Mezzosangue riusciva a confonderlo; era riuscita a farsi odiare e al tempo stesso aveva provocato in lui un ardente desiderio della sua carne.

La detestava.

Ma non poteva perdere ulteriore tempo. Ormai erano sette mesi che non la vedeva e non doveva vederla! Non dopo che lei…

La porta d’ingresso si aprì improvvisamente e una folata di vento e pioggia lo investì, strappandolo ai suoi pensieri e costringendolo a spostare la sua attenzione all’ingresso.

Quando l’ennesimo fulmine di quella tempesta si scagliò nel cielo, gli bastarono pochi secondi per riconoscere la figura che si era stagliata sulla porta e che ora entrava nella piccola abitazione, frizionandosi i capelli umidi con una mano e abbassando lentamente l’ombrello che prese la sua forma originaria di piuma di gufo bruno non appena toccò il terreno.

“Vattene via”, esclamò il ragazzo senza degnare di uno sguardo l’ospite.

“Vattene via?” la voce di lei era infastidita “Regulus, sono mesi che non mi vedi e l’unica cosa che sai dirmi e vattene via? Potresti almeno degnarmi di uno sguardo”.

“Conosco perfettamente la tua faccia”, Regulus prese velocemente uno dei libri dal tavolo e lo portò sul letto. Non aveva alcuna intenzione di parlarle, anche perché la conosceva abbastanza da poter immaginare il motivo per cui fosse lì e non aveva alcuna intenzione di assecondare la sua curiosità né tanto meno darle informazioni sul suo Padrone.

Improvvisamente lei lo abbracciò da dietro, stringendo la sua schiena al petto poco voluminoso.

L’odore di camelia che emanavano i suoi capelli gli entrò nelle narici e fugacemente un sorriso gli attraversò il volto.

Osservò le mani che lo stringevano, rosee e affusolate, e un moto di rabbia lo pervase quando dall’indice sinistro brillò l’oro della fede nuziale.

Regulus si allontanò “Che cosa vuoi, Evans? Come facevi a sapere che ero tornato?”

“Ancora ti rifiuti di chiamarmi Lily?” Lily puntò i suoi grandi e magnetici occhi verdi su Regulus.

Il ragazzo non rispose. Schioccò la lingua e tornò a occuparsi dei volumi.

Lily scosse il capo e sospirò; conosceva il ragazzo abbastanza bene da sapere quanto a lungo potesse tacere pur di farle dispetto.

“Ho messo un incantesimo alla porta di questa casa”.

Regulus Black si immobilizzò, gli occhi spalancati e un tomo nella mano destra, a mezz’aria. Aprì la bocca, ma non vi uscì alcun suono.

“Se te lo stai chiedendo è un incantesimo molto antico che non lascia tracce evidenti” rispose Lily alla sua tacita domanda “Silente vuole che noi dell’Ordine siamo preparati a qualsiasi attacco da parte dei…” si morse il labbro, abbassando lo sguardo improvvisamente interessa alla punta dei suoi stivali neri.

“Mangiamorte” continuò per lei “Come me”.

Lei annuì con il capo, continuando a guardare il pavimento. Lo stesso fece lui.

Era strano trovarli così, in silenzio. Tra di loro non erano mai volati fiumi di parole che non fossero odio per le reciproche fazioni e non si era mai creato un silenzio così imbarazzante da presagire una tempesta come quella che si stava scatenando fuori da quelle mura.

“Evans, o meglio Potter” nel dire quel nome Regulus dovette trattenersi dal fare una faccia disgustata; Lily lo guardò non poco sorpresa “Si può sapere che ci fai qui? Perché continui a cercarmi?”

“Lascia i Mangiamorte e unisciti all’Ordine”.

Un fulmine squarciò nuovamente il cielo, donando una luce differente ai volti dei due ragazzi.

Regulus lesse una determinazione mai vista prima negli occhi verdi di quella ragazza che spesso era strisciata tra le sue braccia con il vile scopo di usarlo, di soddisfarsi, per poi al mattino tornare a baciare pubblicamente le labbra di Potter, il suo attuale marito.

Sollevò un lato della bocca in un sorriso sghembo che si tramutò presto in una risata isterica “Hai voglia di scherzare?”

“Regulus, ascoltami”.

Lily si muoveva cauta verso di lui, come se fosse di fronte a un gatto randagio pronto a graffiare.

“Sono passati mesi dall’ultima volta che ti ho visto ed è più di due anni che non vedi tuo fratello Sirius. Siamo tutti molto preoccupati e vorremmo che tu…”
“E mio fratello lo sa che mi hai visto più tu di lui?”

Lily si agitò “E questo cosa c’entra? Ti sto dicendo che siamo preoccupati e…”

“Sirius si ricorda che sono suo fratello?”

“Ma… Regulus, certo che lo sa! Che vorr…” Lily non riuscì a terminare la frase.

Regulus Black le si era avvicinato costringendola a indietreggiare finché non si trovò spalle al muro.

“Io non credo che Sirius si ricordi che sono suo fratello, credo piuttosto che lui abbia un altro fratello che guarda caso è tuo marito” marcò ogni lettera dell’ultima parola, incurante di sputare in faccia alla povera ragazza che lo fissava con incerto timore.

“Non vedo cosa c’entri questo discorso” replicò Lily, puntando i piedi ben saldamente al terreno e sorreggendo lo sguardo dell’altro quasi sfidandolo a intimorirla.

“Mio fratello sa che quando hai accettato di uscire con il suo migliore amico dopo che abbiamo fatto sesso sul pavimento dell’aula di Pozioni? Oppure che la notte prima delle tue nozze eri in quel letto con me?” le parole che uscivano dalla sua bocca erano come un acido che si riversava sul corpo di Lily.

La ragazza iniziò a tremare di rabbia, ma non aveva il coraggio di replicare.

“Lo sanno tuo marito e il suo adorato fratello adottivo che nell’ultimo anno sei strisciata in questa catapecchia a elemosinare emozioni che Potter non è in grado di dart…”

Le sue parole stavano ancora aleggiando nell’aria quando furono stroncate dal rumore secco della mano di Lily contro la sua guancia. Il segno bruciava sul volto del ragazzo coì come la furia che cresceva prepotentemente dentro di lui.

Regulus si massaggiò la pelle arrossata mentre tornava a guardarla con occhi in fiamme. Lily, dal canto suo, non sembrava per niente pentita del suo gesto, anzi, lo guardava con aperta sfida, il mento alto e lo sguardo fiero.

“Io credo fermamente nelle parole del mio Signore. E non ho alcuna intenzione di abbandonarlo solo perché una meretrice come te me lo chiede”.

Si allontanò in malo modo e indicò la porta d’ingresso “E ora, sei pregata di andar via. Io e te non dovremmo neanche guardarci in faccia”.

“E questo perché?”

Il ragazzo non rispose.

“Perché sono una schifosa Mezzosangue, dico bene?” continuò lei, inviperita “Una Sanguesporco, usurpatrice di potere magico che si è sposata con un Purosangue, anzi no, con uno sporco maiale traditore del suo status, dico bene?”

Regulus schioccò la lingua contro il palato ma continuava a non parlare, le diede le spalle per non dover più sostenere il suo sguardo.

“Eppure, come mi hai ricordato tu, non hai avuto problemi a rotolarti nel letto con una sudicia, orrida creatura della mia specie, dico bene, signor Black?”

Lui girò lentamente il capo per guardarla.

Lily aveva le braccia incrociate sotto il petto, apertamente ostile. Non aveva la bacchetta in mano, sembrava abbastanza sicura che lui non le avrebbe fatto del male.

“Sto aspettando una tua risposta” continuò con impertinenza, roteando i lunghi capelli rossi.

“Vattene via” ripetè Regulus “Io non ho niente a che fare con te”.

“Si invece!” Lily avanzò svelta, afferrandolo per un braccio e costringendolo a guardarle il viso.

Lo sguardo che la ragazza gli rivolse era dolce e non c’erano più segni della rabbia che l’aveva spinta a parlare poco prima “Tu sei una persona buona, Regulus, non ho sentito una sola voce su di te che hai ucciso qualcuno. Tu-sai-chi ha la tua lealtà, ma noi sappiamo che…”

Il ragazzo la strattonò per liberarsi dalla sua presa. Afferrò la manica destra della camicia nera e la tirò velocemente su, fin sopra il gomito, per mostrare il tatuaggio raffigurante un teschio dalla cui bocca, come una lingua avvinghiata su sé stessa, fuori usciva un serpente.

Lily indietreggiò istintivamente alla vista del Marchio Nero.

“Lo vedi questo?” Regulus avanzò, portandoglielo sotto il naso “Questo è il simbolo della mia lealtà, questo vuol dire che io credo ciecamente nel mio Padrone e in quello che fa. I babbani sono essere inferiori e chi si unisce a loro, tradendo il proprio sangue, merita solo di essere schiacciato come lo saranno loro. E tu! Non credere di essere migliore di me”.

Lily tacque, visibilmente confusa.

“Quell’anello che hai al dito è il tuo Marchio Nero, il tuo legame a cui sei così pateticamente devota e che poi ignori quando cerchi la mia carne. Stupida creatura egoista. Ti congratuli perché non ho mai ucciso alcun babbano? Sappi che ero presente quando la tua amica McKinnon e la sua famiglia sono stati uccisi. Ho visto i suoi occhi spegnersi dopo che aveva combattuto inutilmente. Lei e suo padre sono stati degli ossi duri, hanno tentato di resistere con tutte le loro forze per difendere il resto della famiglia, ma nulla potevano contro il nostro potere”.

La ragazza sussultò nascondendosi il volto con le mani e sussurrando il nome di Marlene.

Regulus si passò la lingua sulle labbra, in una quasi fedele imitazione del tic di Barty Crounch Jr e continuò a parlare con la sadica intenzione di ferirla quanto più poteva: “Lo sai? Il giorno del tuo matrimonio eravamo lì io, Yaxley, Tiger e Piton. Così deliziosa con il velo e l’abito bianco” mentre parlava avanzava lentamente, accarezzandole i capelli e il viso. Vide chiaramente la sicurezza nel suo sguardo vacillare sotto le sue parole e continuò “La timida sposina che dice di sì al suo tanto amato maritino. Yaxley voleva cruciarvi tutti in quell’istante, ma noi avevamo solo l’ordine di intervenire se Silente si fosse presentato e non so chi dovresti ringraziare per la sua assenza. Non l’avete invitato?” aggiunse con una risata sinistra e sprezzante.

Lily non rispose.  Non aveva mai visto Regulus comportarsi così e le faceva paura, tanta paura.

“Ho visto tutto. Dal tuo patetico bacio all’abbraccio caloroso in cui Sirius vi ha stretto entrambi”.

 Quanta invidia aveva provato in quel momento. Vedere Lily bella come un fiore, con l’abito bianco e i capelli raccolti, camminare verso James che la attendeva trepidante all’altare con accanto Sirius, lo aveva quasi portato alla pazzia più totale. Aveva cercato lo sguardo dei suoi compagni per ricordarsi della loro missione ed era rimasto sconvolto nel vedere come Piton, che di norma era il più apatico, sembrasse sul punto di uscir fuori dal loro nascondiglio e di lanciare maledizioni a tutti. Non voleva pensare che forse anche lui aveva lo stesso sguardo.

 “Patetici idioti che celebrano un matrimonio con una guerra magica. Che cosa sciocca”.

“Abbiamo deciso di celebrarlo proprio perché non ci fate paura”.

Le parole della ragazza uscirono taglienti, era passata al contrattacco “Voi non vincerete. Voldemort cadrà e voi tutti, nel migliore dei casi, finirete ad Azkaban”.

“Non essere sciocca” Regulus rise con malignità “Voi tutti morirete e lo sai bene”.

“E allora perché non mi hai ancora ucciso?”

Lily spalancò le braccia, mostrando il vestito a fiorellini lilla e sorridendo nervosamente “Su, fallo. Non è quello che il tuo Signore vorrebbe? Portagli la testa di una Mezzosangue, di una sporca Grifondoro che fa parte dell’Ordine della Fenice, che l’ha sfidato apertamente tre volte, uscendone illesa. Sai quanta gente feriresti? Per primo James, mio marito”.

“Per ferire tuo marito basterebbe dirgli di questo” indicò con un ampio gesto della mano la stanza.

Lily deglutì e corrucciò le labbra, ma non parve arrendersi.

“Io ti ho usato, Regulus, e anche tu l’hai fatto”.

Lo sguardo della ragazza era serio, impassibile. Era il suo turno di mettere le carte in tavola.

“Ogni volta che ti ho usato era perché qualcosa non andava con James; avevo bisogno di certezze ogni qual volta sentivo il sentimento verso di lui vacillare, quindi venivo da te e la mattina dopo tornavo da lui, dall’unica persona che per me è stato in grado di cambiare e a cui io non riuscivo a credere ed è per questo che sono venuta da te, più simile a me, più affine e al tempo stesso più lontano. Eri l’ideale per me.”

Si avvicinò piano, facendolo indietreggiare. Era il suo turno di spaventarlo con la verità che non voleva sentire. Quando si trovò con le spalle al muro gli passò una mano tra i capelli neri guardandolo con crudeltà.

“Ma io ho sempre preferito James. Ogni volta che ero in crisi venivo da te a elemosinare strisciando quell’amore surreale che lui non riusciva a darmi, quel desiderio carnale e animale che James, troppo puro di cuore, troppo innamorato, tratteneva.”

Regulus non rispondeva, si limitava a guardava attentamente quelle labbra rosee emettere suoni, a leggere il labiale per essere certo che quel che ascoltava fosse reale e non un frutto della sua mente stroppo stanca. La tentazione di serrare quelle labbra con le proprie, come aveva già fatto più volte in passato, era enorme.

“Anche tu hai usato me. Tante e tante volte” Lily inclinò il capo. Una ciocca rossa ricadde sulla spalla curvandosi e richiamando l’attenzione sulla clavicola scoperta.

“E l’hai fatto solo per avvicinarti a Sirius”.

Regulus sollevò lo sguardo e vi trovò il proprio riflesso imbarazzato negli occhi verdi. Improvvisamente si sentì nudo, violato nel suo intimo.

Provò a ridere, a cercare di distruggere la tensione e l’imbarazzo che si era creato, ma aveva aspettato troppo a lungo per poter risultare convincente.

Lily fece un passo indietro “Te sei migliore di tutti coloro che hanno quel marchio. Tu non fai parte di loro”
“Che vorresti dire?”

“Che non basta essere un Purosangue e un Serpeverde per seguire un omicida di persone innocenti, perché Babbani, Mezzosangue o Purosangue non ha importanza, sono sempre persone e tu, dentro di te lo sai perfettamente che odi quel mondo. Ami gli incantesimi, il potere che gira intorno, ma non quello che si lascia dietro”

“Tu non sai quel che dici”
“Io so che segui un folle che ha l’anima completamente distrutta, che si ostina a governare un mondo utilizzando il terrore, imponendo le sue regole. Tu non sei come lui, la tua anima non è corretta dall’omicidio né dall’odio irragionevole verso chi è diverso da te”

“E se io lo abbandonassi che succederebbe? Morirei sicuramente. Preferisco morire per i miei ideali che seguendo voi” Il ragazzo la spintonò lontano da sé, guardandola truce “E ora vai via. Ho altro a cui pensare”.

Ma la ragazza non era dello stesso avviso; per tutta risposta si avvicinò velocemente a lui, portandogli le braccia al collo e baciandolo dolcemente sulle labbra sottili.

Regulus non rimase sorpreso da tale gesto. Faceva sempre così quando voleva ferirlo, quando voleva ulteriormente rimarcare la consapevolezza che lo stava usando.

Conosceva a memoria la sequenza: bacio leggero, poi più intenso mentre una mano accarezzava i capelli e l’altra si poggiava sul petto, in attesa di una risposta. E lui ogni volta cedeva, inebriato da quel profumo di camelia e ambra, da quelle labbra così morbide che lo invitavano ad ampliare il contatto, a spingersi in punti proibiti.

Ma non questa volta.

Serrò le labbra per non cedere alla tentazione di rispondere al bacio e la spinse via, riluttante, per poi darle le spalle.

Lily lo guardò. Non le piaceva comportarsi così, ma con Regulus non aveva altre armi, non conosceva altri modi per interagire con lui se non donare il suo corpo. Ma questa volta non poteva andare oltre al bacio che era stato respinto.

Piazzò bene i piedi in terra. Le era rimasta una sola carta da giocare.

“Se un giorno ti chiedesse, anzi, ordinasse, di uccidere me? Che faresti?”

Regulus si voltò ma non rispose, non aveva mai pensato a cosa effettivamente Lily significasse per lui. Al suo pensiero aveva sempre associato un’immagine di lussuria, di ipocrisia; ma quando l’aveva vista il giorno del suo matrimonio un solo pensiero gli era passato per la testa: avrebbe voluto essere al posto di James Potter.

Se il suo Padrone gli avreste chiesto di uccidere qualcun altro era sicuro che sarebbe riuscito a direzionare la bacchetta anche contro lo stesso Sirius e lo stesso destino sarebbe stato destinato a lei.

“Asseconderei gli ordini del mio Padrone” rispose gelido.

La ragazza non parve sorpresa da tale risposta.

Regulus continuò “Dovevi saperlo che questa cosa non poteva avere senso da quando il Cappello parlante mi ha fatto unire ai Serpeverde. Ci siamo usati solo per farci del male reciproco, lo sappiamo entrambi”.

Lily attese in silenzio che il ragazzo continuasse.

“Tu sei una sporca nata babbana, fissata con la magia antica, convinta di meritare un posto in questo mondo che un giorno ti vedrà per la feccia che sei. Ti ho usata perché eri un bel passatempo, ma la purezza del sangue viene prima di tutto, anche di quelli sciocchi sentimenti in cui credi”.

“Hai altro da dirmi?”

Tacque, sorpreso. Il tono di voce della ragazza era sorprendentemente freddo e questo lo confuse; immaginava che fosse turbata o per lo meno arrabbiata, ma non era così: nello sguardo della ragazza emergeva un solo sentimento e non era certamente rabbia, bensì stanchezza.

Lily si avvicinò lentamente alla porta “Non sottovalutare la magia antica, Regulus. O, per lo meno, non denigrarla dato che ne leggi i libri” fece un gesto con il mento ai tomi che il ragazzo aveva spostato per toglierli dal suo sguardo.

Dalla porta aperta emergevano raggi di sole, la tempesta era finita.

“Io ti voglio bene, Regulus, e anche tuo fratello, per questo sono venuta qui a darti la possibilità di fare la cosa giusta e lasciare quel mondo che non ti appartiene. Ti proteggeremo se ce ne sarà il bisogno”.

Regulus la guardò accigliato, era la prima volta che Lily diceva di volergli bene.

“In più c’è un’altra cosa che ero venuta a dirti”.
“Cosa?”

“Sono incinta”.

Il ragazzo strabuzzò gli occhi, sorpreso e solo in quell’istante si accorse del lieve gonfiore che si intravedeva da sotto i vestiti.

“Ovviamente è di James” si precipitò a puntualizzare la ragazza “Almeno non dovrai preoccuparti di ammazzare per errore tuo figlio”.

A Regulus sfuggì un risolino delicato. Lily sorrise.

“Lo sai? Quando il cappello Parlante ti smistò tra i Serpeverde, Sirius sorrideva. E sai cosa rispose quando James gli chiese il perché fosse così felice di avere il proprio fratello nella Casa rivale?”

Lily tacque in attesa di un’espressione che non tardò ad arrivare: gli occhi di Regulus si spalancarono e si fecero vigili verso di lei. Era sempre stato un tipo curioso e attento a carpire qualsiasi informazione.

Lily gli regalò un sorriso dolce “Che era felice perché il Cappello Parlante aveva esitato”

“Con questo che vorresti dire?”

“Che sei veramente il cuore del leone (2)” e si smaterializzò, lasciando la porta aperta.

Il profumo di Lily era ancora nell’aria quando le emozioni del ragazzo esplosero con un urlo, un urlo che avrebbe spaventato chiunque si fosse trovato ad ascoltarlo.

Rabbia, solo rabbia, non riusciva a provare altro in quel momento.

 Quella stupida era venuta di nuovo a metterlo in crisi e ora si era anche presa il merito del loro addio. Come se gli fosse mai importato di lei, che ora lo stava abbandonando con un sorriso stoico.

Prese una sedia e la scaraventò contro la parete. Voleva distruggere qualcosa con le sue mani, aveva il bisogno di sfogare la propria rabbia. Lily aveva appena fatto vacillare il suo animo e non se lo poteva perdonare.

Uscì dall’abitazione, non poteva sopportare di stare ancora in quel luogo che aveva il suo odore. L’umidità e l’odore di erba bagnata lo disgustarono e, velocemente, si smaterializzò nella sua vera casa.

Messo piede nell’ingresso del numero 12 di Grimmauld Place, stretto e angusto con la carta da parati di un verde sbiadito, l’odore pungente di polvere gli indicò che la casa doveva essere vuota da giorni, sorrise al pensiero che lì nessuno lo avrebbe infastidito con assurde pretese di abbandonare il suo Signore né avrebbe insinuato alcun tipo di dubbio nella sua testa.

 Salì pochi gradini senza guardare dove mettesse i piedi e si inorridì quando si accorse di aver calpestato qualcosa di morbido.

“Padron… Regul…”

Regulus sobbalzò a sentire quella voce flebile e roca e voltandosi vide un mucchio di stracci aggrovigliati sul pavimento. Impiegò diversi minuti per rendersi conto che non era altro che Kreacher in posizione fetale che tremava come una foglia.

Si avvicinò all’elfo domestico con urgenza, sollevandoli il capo da terra e constatando con orrore che era bagnato e puzzava terribilmente di carogna.

“Padron…”

“Non parlare!” gli ordinò il ragazzo, sollevandolo delicatamente dal pavimento e portandolo in casa.

 Lo poggiò sul divano costringendolo ad assumere una posizione supina per poterlo esaminare con attenzione: il cranio presentava numerosi ematomi e le orecchie lunghe avevano dei graffi che in diversi punti diventavano vere e proprie lesioni; il corpo non era in condizioni migliori, infatti lo straccio da sempre usato come veste era completamente fradicio e ridotto a poco più che un brandello e in diversi punti era possibile vedere le ossa rotte sotto la pelle trasparente, quasi come se fosse carta increspata, oltre che a innumerevoli ferite rosse e sanguinolenti sparse.

Il povero elfo respirava a fatica; gli toccò il torace e sentì distintamente l’assenza di una costa e pensò che molto probabilmente gli stesse trafiggendo un polmone, rendendogli per l’appunto difficoltoso il respiro.

Cercò la sua bacchetta nella tasca della giacca e la puntò contro l’elfo, iniziando a recitare diversi incantesimi di cura.

“Padron…Regulus…” Kreacher si sforzava di non tremare, sollevando la testa nel vano tentativo di mettersi seduto ma dovette desistere presto, ricadendo sul cuscino sotto l’azione di dolori lancinanti “Voi… non dovreste pre… preoccuparvi tanto per…per uno stupido servo… K-Kreach... Kreacher sa…”

“Taci, Kreacher” gli ordinò “Ora te ne stai buono quì e appena ti sarai ripreso mi racconterai ogni cosa”.

L’elfo chiuse gli occhi, obbediente agli ordini del suo padrone e cercando di trattenere qualsiasi smorfia di dolore.

Continuò a recitare incantesimi di guarigione e a scrutare il volto del servo per cercare i primi segni che indicavano che il dolore iniziava ad alleviarsi.

Sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi immobili di quasi tutti i componenti dell’albero genealogico della famiglia Black che sicuramente, se fossero stati lì, lo avrebbero guardato con disprezzo per ciò che stava facendo. Mancava solo uno sguardo che sarebbe stata la voce fuori dal coro, al suo posto c’era solo una macchia scura con sotto il ricamo di una pergamena dove vi era il nome Sirius.

 

 

-Come l’anno scorso, pieno di osceni babbani! Dovremmo trovare altri modi per raggiungere il binario 9 e ¾.

-Non starla a sentire Reg, i babbani non sono così male.

-Cosa hai detto, Sirius?

-Che avete ragione, madre. Anche nella mia Casa è pieno di babbani. Eccone una per l’appunto. Ehy, Evans!

-Sirius, smettila subito! Non vedi che ci metti a disagio a salutare una… così?

-No, madre. Sono fiero di avere un’amica come lei.

 

 

Erano passati due giorni da quando Kreacher era tornato a casa e Regulus gli aveva ordinato di non muoversi dal suo giaciglio. Gli elfi domestici hanno un sistema di guarigione molto più veloce rispetto ai maghi e nel giro di ventiquattro ore, seppur tremolante, era riuscito a rimettersi in piedi e a raccontargli cosa fosse successo, di come il Signore Oscuro l’avesse portato in una caverna e ordinato di bere una pozione che velocemente l’aveva debilitato, provocandoli dolorose fitte all’addome che tutt’ora non facevano cenno a volersi fermare; gli aveva raccontato come, mentre lui si dimenava e invocava aiuto, il Signore Oscuro lo avesse ignorato per mettere nella stessa ciotola un medaglione, un monile su cui Kreacher pensava di aver riconosciuto l’emblema di Serpeverde, e poi era stato lasciato lì a morire senza una parola di commiato .

L’elfo tremava di paura mentre raccontava al proprio padrone del dolore che lo attraversavano da parte a parte e del gelo che gli aveva attanagliato le ossa quando le creature oscure, simili a morti decomposti, uscirono dall’acqua e si avvicinavano striscianti verso di lui. Quando il Signore Oscuro aveva ripreso la piccola imbarcazione magica che gli aveva condotti lì e aveva lasciato quel luogo maledetto senza rivolgere uno sguardo indietro, Kreacher era riuscito a smaterializzarsi a Grimmauld Place come aveva ordinato di fare il suo padrone quando tutto sarebbe finito.

Dalla descrizione delle creature che lo avevano attaccato, Regulus capì che doveva trattarsi di Inferi e che la caverna era protetta da qualche potente magia che impediva ai maghi di smaterializzarsi al suo interno, per questo Voldemort si era mosso usando un’imbarcazione.

Ma cosa poteva mai avere di importante un medaglione per essere così protetto?

C’era qualcosa che gli sfuggiva.

Il Signore Oscuro dava molto importanza ai cimeli che erano appartenuti ai fondatori di Hogwarts, ma non poteva essere solo questo il motivo che lo aveva portato a utilizzare un così gran numero di difese.

Gli mancavano ancora dei piccoli tasselli per capire, ma non aveva il tempo per rimuginarci troppo, il Marchio Nero bruciava sulla pelle e un gufo mandato da sua cugina gli imponeva di recarsi al più presto al suo maniero.

Il suo Signore non rimaneva mai molto a lungo nello stesso luogo, era un uomo prudente, e tutti i Mangiamorte facevano a gara per offrirli la propria dimora; a nessuno sembrava importare del rischio di rimanere vittima di un attacco da parte di Auror, importava solo che il proprio Signore gli scegliesse ed entrare così nelle sue grazie. Anche lui si era sentito fiero nell’offrire Kreacher, ora gli ribolliva il sangue al solo pensiero.

L’esterno della dimora dei due coniugi Lestrange rispecchiava perfettamente l’animo cupo dei proprietari: due alte colonne in pietra, capeggiate da dei gargoyle mostruosi, erano divise da un cancello finemente lavorato con ghirigori che richiamavano vagamente la forma di serpenti intrecciati da foglie di edera, un lavoro che solo una moltitudine di folletti poteva fare.

Regulus mostrò il proprio avambraccio sinistro al Mangiamorte di guardia ed entrò nell’abitazione.

L’interno non deludeva le aspettative dell’esterno: le tende di velluto pesante alle alte finestre gli riportarono alla mente Grimmauld Place quando la madre era ancora viva, con le imposte perennemente chiuse per proteggerlo dal mondo che brulicava per le strade di Londra.

“Benvenuto, cugino”

Regulus si voltò per niente sorpreso di scorgere la cugina Bellatrix ad accoglierlo. La donna sorrideva maligna, come se fosse una bambina che sapeva dei segreti e che era pronta a rivelare in cambio di un lauto compenso “Sei stato veloce a rispondere alla chiamata del nostro Padrone. Hai già appreso la notizia?”.

Bellatrix fremeva sul posto. I suoi occhietti vispi, sotto le palpebre pesanti, luccicavano dall’eccitazione.

“Non capisco di cosa parli”.

“Oh, allora devi andare subito nell’altra stanza, subito!” trillò saltando per la stanza, sollevandosi la gonna per muoversi con disarmonica libertà.

Regulus la seguì per il corridoio illuminato dalla luce delle lampade a gas. L’odore gli penetrò nelle narici con la stessa intensità con cui la risata divertita di Bellatrix gli perforava le orecchie.

Non gli era mai stata particolarmente simpatica, neanche da bambini; sempre arrogante, incredibilmente dotata ma svogliata come pochi e sempre pronta a fargli del male fisico anche senza l’uso della magia. Non era mai stata particolarmente intelligente come la sorella Narcissa oppure empatica come Andromeda, ma se avesse dovuto parlare di follia tra le sorelle Black Bellatrix era certamente quella che ne manifestava più apertamente i segni.

Improvvisamente Bellatrix si fermò, facendo segno a Regulus di farsi avanti nella sala.

Il Signore Oscuro non si era accorto della loro presenza, sedeva a capo di una lunga tavolata in mogano scuro occupata da altri Mangiamorte, tutti con le loro vesti nere e un’aria seria in volto.

Il ragazzo riconobbe diversi di loro tra cui il marito della cugina, Rodolphus, Lucius Malfoy, Yaxley e Piton. Fu sorpreso di vedere quest’ultimo con uno sguardo particolarmente sconvolto in viso.

“Mio Signore”

La voce di Bellatrix era timida, come se avesse paura di farsi notare o disturbare troppo l’uomo.

Quando Voldemort si voltò verso di loro, la donna si inchinò profondamente mentre Regulus si limitò a piegare il capo in segno di rispetto.

“Bene, Regulus, siediti pure ragazzo.”

“Molto gentile, mio Signore. Mi scusi se l’ho interrotta”.

Voldemort gli fece segno di sedersi nella sedia libera accanto a Severus Piton che non lo degnò di uno sguardo.

A vederlo da vicino l’uomo sembrava non stare particolarmente bene, era bianco come un lenzuolo e gli occhi neri erano sbarrati, fissi su un punto non ben preciso del tavolo, sembrava che stesse per avere un principio d’infarto.

“Volevo proprio chiederti se il tuo elfo domestico fosse rientrato a casa” esclamò Voldemort portando le mani ossute incrociate d’avanti al mento e un’espressione di finto interesse sul volto livido “Non ho avuto più sue notizie da quando gli ho chiesto quel piccolo favore”.

“No, mio Signore” mentì Regulus “Non ho più sue notizie né le ho cercate. In fondo è solo uno schiavo”.

Qualcuno ridacchio, ma bastò un’occhiata torva del signore Oscuro per farlo tacere all’istante.

“Ci sono creature che sono del tutto sostituibili” commentò “E un elfo domestico è proprio uno di questi, ma sono certo che sarà riuscito a portare a termine quello che gli ho ordinato”.

“Una delle sue caratteristiche era proprio la determinazione con cui portava a termine i miei ordini”.

“Puoi essere orgoglioso di lui, Regulus. Per quanto inutile, la sua vita è stata spesa per garantire la mia”.

La risata gelida e gutturale che uscì dalla bocca priva di labbra di Voldemort fece accapponare la pelle al ragazzo.

“Mio Signore” timidamente Bellatrix si fece avanti “potrei…”

“Oh, Bella” Voldemort la guardò come se si fosse appena accorto della sua presenza “Di’ pure”.

“Volevo chiederle se posso essere io a…”

“Via, via “la ammonì l’uomo “Il nostro Regulus è appena arrivato e non sa nulla della notizia”.

Regulus, sentendosi nominare alzò lo sguardo nella loro direzione ma senza pronunciare parola.

“Severus ci aveva appena comunicato di aver assistito a una profezia che mi riguarda, non è vero Severus?”

L’uomo non rispose, si limitò a fare un rapido cenno del capo e il ragazzo pensò che, se avesse parlato, sarebbe sicuramente scoppiato in lacrime.

“Una profezia, mio Signore? Posso chiederle su cosa?”

“Sulla mia sconfitta”.

“Mio Signore” Bellatrix si avvicinò piano “se lei mi permettesse…”

“Tutto a tempo debito”. Il tono dell’uomo non mascherava il profondo fastidio che gli provocava essere interrotto nuovamente e la donna indietreggiò, chinando il capo in segno di scusa.

Voldemort tornò a rivolgersi a Piton “Severus” lo chiamò con una insolita e inquietante dolcezza “Potresti essere così gentile da ripetere quello che hai sentito al nuovo arrivato?”

Piton saltò a sedere e non vide il sorriso sinistro che Voldemort gli rivolse.

Si voltò leggermente rivolgendosi verso Regulus ma senza guardarlo direttamente: “Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l'Oscuro Signore... nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo mese... l'Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto...” (3)

La voce di Piton era tetra, come se in quel momento avesse letto la propria sentenza di morte; Regulus gli dedicò un’occhiata in tralice non riuscendo a capire cosa ci fosse a spaventarlo tanto. Come poteva un moccioso non ancora nato essere un problema per l’Oscuro Signore? Voldemort sicuramente l’avrebbe ucciso prima di fargli emettere il suo primo vagito.

“Mio Signore” la voce di Lucius Malfoy si levò melliflua nell’aria “La profezia, sebbene così chiara, non ci dà alcun indizio su chi…”
“Devi essere più attento, Lucius” Voldemort lo ammonì “La profezia è fin troppo chiara su chi si tratta” Si alzò in piedi e cominciò a passeggiare nella stanza, passando dietro ognuno dei suoi seguaci.

“Parla di un bambino nato a fine luglio che io designerò come mio eguale”.

“Nessuno potrebbe mai essere suo eguale” esclamò con impeto Bellatrix per poi emettere un rantolo di dolore: Voldemort l’aveva appena colpita con un incantesimo e la donna era a terra, in ginocchio, implorando perdono per averlo interrotto.

“La profezia” continuò il Signore Oscuro come se nulla fosse accaduto “dice che il bambino nascerà da chi tre volte mi ha sfidato e sono ben pochi gli schiocchi ad avermi sfidato e sopravvissuti per tre volte. Avete idea di chi possano essere?”

“C-ci sono quei due Auror, mio Signore” una voce flebile si alzò dal fondo della sala, era Nott, un tipo mingherlino che da poco si era unito ai Mangiamorte e che faceva da talpa nel Ministero della Magia dato il suo grande talento in Trasfigurazione “Intendo i Paciock. Nel ministero tutti parlano della gravidanza di A-Alice e…”

“Hai perfettamente ragione, mio caro” Voldemort si mosse velocemente alle spalle dell’uomo che si irrigidì “Ma proprio ieri sono stato informato da un topolino che anche i Potter aspettano un figlio che, guarda caso, nascerà proprio alla fine del settimo mese”.

Il sangue di Regulus parve raggelarsi nelle vene. Non riuscì a sentire più niente quando nella sua mente si fece rapidamente largo la figura di Lily alla sua porta che gli annunciava di attendere il figlio di Potter che si sovrapponeva all’immagine di lei senza vita, sacrificata come una cerva sull’altare per portare Voldemort al potere.

“Mio Signore” la voce di Piton si alzò flebile, tant’è che lo stesso Regulus aveva faticato a sentirlo “la profezia potrebbe essere errata o potrei aver sentito male”.

Severus Piton gesticolava in preda all’agitazione, i movimenti che faceva erano ampi e il suo volto tradiva un’ansia che in un uomo posato come lui si faceva fatica a credere.

“Oh, Severus, è qui che ti sbagli.” Voldemort lo guardava come un insegnante osserva un ragazzino che non comprende un argomento “Tu sai meglio di me che le profezie sono la più antica forma di magia e se sono sopravvissute fino ad ora è perché sono le uniche infallibili”.

Magia antica.

Le parole che Lily gli aveva rivolto prima del suo addio iniziarono a vorticargli velocemente in testa “Non sottovalutate la magia antica”

Non sottovalutare la magia antica.

Il Signore Oscuro aveva portato Kreacher in una caverna per nascondere un medaglione appartenente a Salazar Serpeverde.

Il medaglione era sorvegliato da diversi tipi di magia oscura.

La sua mente vagò per ricercare i pezzi. Prima che Lily arrivasse quel giorno e lo distraesse lui stava cercando una magia oscura che il suo Signore aveva accennato solo una volta ma di cui non ricordava il nome.

Voldemort custodiva dei cimeli dei fondatori di Hogwarts gelosamente e allora perché aveva portato quel medaglione proprio lì e l’aveva protetto?

Ricordò perfettamente come andò su tutte le furie quando Rodulphous aveva accidentalmente fatto cadere la coppa di Tassorosso; l’uomo era rimasto sotto l’effetto della maledizione Cruciatus per giorni. Si era chiesto il perché di tanta ira da parte del suo Signore e ricordava che, spinto dalla curiosità, aveva fatto delle ricerche sull’oggetto, scoprendo che era appartenuta a Hepzibah Smith, ultima discendente conosciuta di Tosca Tassorosso, e uccisa della propria elfa domestica che si dichiarava colpevole anche se non ricordava in che modo e neanche il motivo per cui l’avesse fatto. Un caso piuttosto insolito.

Forse non era l’oggetto che il Signore Oscuro voleva custodire, ma qualcosa legato ad esso.

Quando gli aveva parlato di Kreacher aveva parlato della sua anima… Forse in quegli oggetti vi era proprio la sua anime!

Doveva tornare al cottage per consultare quei tomi il prima possibile, doveva capire se le sue teorie erano esatte. 

E poi che avrebbe fatto? Lui non poteva sconfiggere il Signore Oscuro, sapeva perfettamente di non averne le possibilità. Come poteva un ragazzino di diciott’anni appena fare qualcosa contro il più grande mago oscuro degli ultimi tempi?

Le sue forze contro di lui erano limitate, ma doveva far qualcosa almeno per la donna di cui era innamorato.

Amore.

Era la prima volta che dentro di lui i sentimenti contrastanti per Lily Evans prendevano un nome.

 Intorno a lui tutti ascoltavano attentamente le istruzioni di Voldemort ma lui riusciva solo a pensare che se ci fosse stato un modo per aiutare il figlio di Lily, l’unico che secondo la profezia poteva sconfiggere l’Oscuro Signore, lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo in questa impresa anche a costo della sua stessa vita.

 

 

. -Ragazzi, lui è mio fratello.

-Non sapevo che avessi un fratello, Sirius

-Peter, sei sempre distratto, l’avrà detto centinaia di volte

-Ha ragione Remus. Tu sei la speranza della famiglia Black, vero? Io sono James. Speriamo che anche tu entrerai a far parte dei Grifondoro.

- Io spero proprio di no.

 

 

 

I grandi occhi di Lily si aprirono lentamente e impiegarono un po' per mettere a fuoco la stanza vuota. Fuori dalla finestra non vi era più il sole, quanto tempo aveva dormito?

Cercò di girarsi lentamente sul letto, portandosi sul fianco destro sotto le lenzuola azzurrine, quando sentì un forte dolore nel basso ventre, vicino alla vescica.

 “O mi fai dormire o mi prendi a calci, insomma Harry, non sei molto gentile con la tua mamma” esclamò la donna accarezzando dolcemente la pancia prominente.

Si stiracchiò e cercò di mettersi a sedere, leggermente impedita dal pancione; ormai mancavano pochi mesi alla nascita di suo figlio e sorrideva all’idea di vedere di che colore sarebbero stati i suoi occhi.

Sentì delle voci provenire dal piano sottostante “James?”

Non ottenne risposta, ma le voci non facevano cenno a smettere. Sembrava che fossero diverse persone molto agitate.

“James, sei tu?”

Sentì dei passi veloci correre su per le scale e un volto tondo, pieno di acne nonostante l’età della giovinezza ormai passata, si presentò con un sorriso viscido che le ricordava un roditore.

 “L-Lily” esclamò il ragazzo “James mi ha chiesto di vedere p-perché lo chiamassi e i-io…”
“Perché non è venuto lui, Peter?” chiese la donna, portando le braccia incrociate sopra la pancia. Si era sempre chiesta il perché Peter Minus fosse amico di James. Sin dagli anni in cui frequentavano Hogwarts Lily si era sempre chiesta come mai il ragazzo fosse amico di James e degli altri, non avevano niente in comune, anzi, eppure era sempre con loro, a guardargli ammirato e ad aggirarsi tronfio per i corridoi in loro compagnia.

Peter divenne improvvisamente paonazzo “Ecco, v-vedi… C’è Sirius e… No, voglio dire…”

“Peter?”

“Sirius… sai, lui è qui… anche io sono qui e… e…”

“Lascia stare, Peter, parlo io con mia moglie”.
Un ragazzo alto dai capelli neri ribelli entrò nella stanza, poggiando una mano sulla spalla di Peter che sospirò sollevato per essersi liberato da quella situazione.

 “Ti dispiace dare una mano a Remus?” chiese James e, senza rispondere, Peter si precipitò giù per le scale come un ratto che torna velocemente alla propria tana.

“Qualcosa non va?” chiese Lily mentre James Potter si sedeva sul letto accanto a lei. Sotto gli occhiali tondi lo sguardo era stanco e il sorriso che le rivolgeva mentre le accarezzava la mano gonfia era forzato.

“Sirius è al piano di sotto con Remus e Peter. È fuori di sé. Non l’avevo mai visto così” disse con voce mesta.

“È successo qualcosa?” lo incalzò la donna. Conosceva perfettamente il marito e quando non arrivava subito al punto era perché doveva essere accaduto qualcosa di grave.

James si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli ancora di più.

“Non so se ricordi il fratello di Sirius, Regulus. Crediamo che sia morto”.

Qualcosa dentro di Lily si ruppe. Il suo respiro si fermò e il suo cervello non fu più in grado di pensare a niente che non fosse il volto di Regulus.
 James parve non accorgersi dello stato catatonico della moglie e continuò a parlare “Frank ci ha appena fatto sapere che c’è stato molto scalpore tra le linee dei Mangiamorte; ci sono stati dei giorni in cui tutti cercavano Regulus, ma ora niente, tutto tace. Pare che abbia tradito Tu-sai-chi e questo significa solo che, nella migliore delle ipotesi, sia stato vittima dell’Anatema che Uccide”.

Il ragazzo la guardò, attendendo una qualche reazione che tardava ad arrivare, ma Lily era pietrificata, completamente immobile, era come se una doccia gelata l’avesse travolta.

Un senso di nausea la colpì immediatamente e le lacrime le salirono velocemente agli occhi. Si portò una mano alla bocca con urgenza, trattenendo un conato di vomito.

James si affrettò a sorreggerla “Vuoi che ti accompagni in bagno? Harry ti fa male?”
La donna fece segno di no con la mano, respirò a fondo e si sforzò di sorridere al marito “S-sta tranquillo” balbettò “Sono abituata ormai. Piuttosto va da Sirius e fallo dormire qui stanotte. Ho paura che per la rabbia possa commettere qualche sciocchezza”.

“Ne sei sicura?”

Annuì con vigore, lasciandosi cadere sui cuscini.

James le baciò la fronte con dolcezza “Chiederò a Remus di giocare una partita a scacchi con te più tardi, se ti va.”

Lily fece di sì con il capo, sorridendo al marito che uscì dalla stanza.

La donna respirò profondamente e guardò fuori dalla finestra. Erano passati quattro mesi da quando aveva visto Regulus l’ultima volta con il suo volto scarno, i suoi meravigliosi occhi grigi e quel sorriso che raramente le dedicava e che le era sempre piaciuto.

Tante di quelle volte si era ripromessa di non vederlo e tante volte si era poi ritrovata a sognare quel ragazzino taciturno che le dedicava parole di odio di giorno e che di notte bramava la sua carne, respirando il suo profumo di gelsomino.

Dal piano di sotto giungevano le urla di Sirius che si tramutarono velocemente in latrati disperati a cui si unirono le lacrime di Lily.

La donna afferrò velocemente il cuscino di James e lo premette sul volto per soffocare le proprie urla prima che diventassero troppo forti.

Dentro di lei Harry scalciava all’impazzata contro le pareti della placenta, agitato nel sentire tanto dolore provenire dalla madre.

 

 

 

Guarda, guarda, guarda, un altro Black.

Devo dire che è insolito che due fratelli appartenenti a una famiglia di generazioni di Serpeverde abbiano la mente adatta per diventare dei Grifondoro.

-Come?

Oh sì, in questa testa vedo delle qualità per niente male. C’è voglia di fare, ambizione, curiosità e caparbietà. Doti che Godric in persona apprezzerebbe tantissimo.

-Ti prego, non Grifondoro

Che cosa? Metti in dubbio la mia scelta? Non saresti felice di far compagnia a tuo fratello?

-Non posso essere un Grifondoro, ti prego no!

Ah, non sia mai che mi venga accusato di aver messo nei guai uno studente.

-Ti prego, ti prego

Se proprio insisti sarà meglio… SERPEVERDE!

 

 

 

Note dell’Autrice.

(1)    L’informazione che Regulus fosse un Animagus come il fratello l’ho presa da Harry Potter Wiki, che troverete a questo link: http://it.harrypotter.wikia.com/wiki/Regulus_Arcturus_Black

(2)    Il cuore del leone è un riferimento alla costellazione del leone, dove la stella più brillante che rappresenta proprio il cuore della costellazione è chiamata Regolo, ovvero la traduzione dal latino Regulus

(3)    Harry Potter e l’Ordine della Fenice, capitolo 37, p. 777

  
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