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Autore: Diana_96writter    13/07/2018    0 recensioni
Quando neanche il tempo cancella la tenera carezza dell'amore, quando neanche gli occhi riescono a celare l'anima, quando la distanza non riesce a recidere un legame. Una storia che ama la vita e la libertà di viverla, una poesia che narra un'amore che non muore, una storia che non riesce a far del male a chi si ama e ammette il sacrificio, una poesia che non lo permetterà.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il regno di Riusse era nella tranquillità assoluta in quella notte di festa, anche se nei meandri dei vicoli si aggiravano minacce che avrebbero insidiato il castello in ogni dove, la regina era dislocata a Sud assieme al re e aveva lasciato ai due figli il governo del regno principale e di quello a nord, spartendo con il regno vicino la parte ad Ovest delle montagne pericolose da valicare. Il palazzo era in festa, brindavano come ogni anno alla riunione di tutti i nobili in onore dei due fratelli, Principi del regno.
Sebbene le guardie fossero sparse ovunque e altamente competenti riuscì a infiltrarsi con l’agilità di un gatto e attese nascosta la sua preda nel momento più vulnerabile, il sonno notturno. La porta si aprì e le parole di congedo la prepararono ad agire, ascoltò ad occhi chiusi tutti i suoni. Il sospiro stanco ma appagato, la stoffa pregiata che scivolava sulla pelle per lasciarla libera alla stoffa più comoda e leggera per la notte, la spada sfilata dal fodero pulita e riposta, i passi che si avvicinavano al letto e la pressione sul materasso che accoglieva il Principe per prepararlo al giorno a seguire. La luce ancora accesa e le pagine che sfogliavano, finché chiuse le tende, rimase solo il respiro a riempire il silenzio. Lasciò il suo nascondiglio con il rumore di un’ombra e si soffermò a guardare quella vittima così invitante, i capelli biondi e più lunghi di quanto avesse immaginato si adagiavano sul cuscino, i ciuffi sfioravano il respiro e si confondevano con le ciglia degli occhi chiusi, il pallore nobiliare risaltava nell’oscurità protetto dalla spalla, voltato su un fianco: «Una bellezza senza precedenti». Sussurrò senza lasciar uscire un fiato dalle labbra, strinse il pugnale preparandosi a recidere la vita di quel giovane adone, quando gli occhi di ghiaccio sopra di lei la sorpresero, prima ancora che potesse reagire quel ragazzo aveva le aveva afferrato il polso e l’aveva bloccata a terra: «Preferisco incontrarli alla luce del sole i miei ospiti». Forzò la presa per liberarsi, sorpresa alla tranquillità che l’aveva ingannata: «Spiacente, non posso intrattenermi». Gli assestò una ginocchiata liberandosi dalla presa, svanendo nella tenda lanciata in alto dal vento del balcone spalancato. Inseguirla servì a poco, era svanita su quella follata di vento come una fata, massaggiò la spalla sorpreso con un sorriso quasi vendicativo sul volto, non avrebbe lasciato andare quegli occhi come l’ossidiana in cui si era specchiato, sarebbe riuscito a prenderla sebbene avesse avuto l’accortezza di recuperare il pugnale, perso di mano, per non lasciare indizi, a parte quello sguardo limpido e quella voce soffocata dal tessuto.
 
Tolse il tessuto che le copriva il viso prendendo un profondo respiro di libertà, sistemando i capelli lunghi e scuri come il cielo notturno, lasciandoli liberi di vagare sulle spalle: «Già di ritorno?». Sorrise arresa guardando la luna alta nel cielo: «Non sarà facile ucciderlo, ma non preoccuparti devo impedirgli di prendere la corona entro due anni, non sarà un problema, Luke». Il ragazzo si sollevò dal letto della camera singola, avvicinandosi ad accarezzandole i capelli lasciati al vento: «Se avessi voluto ucciderlo lo avresti fatto, Saya». Sussultò abbassando lo sguardo: «Lo sai che non gradisco quel nome». Luke le lasciò i capelli osservandola attentamente nella sua giovane età: «Non vuoi ucciderlo?». Deviò lo sguardo stringendosi nelle spalle con lui non aveva bisogno di fingere: «Ho forse una scelta?». Luke sospirò accarezzandole la nuca per farle forza: «No, ma la cerchi da quando di te ho memoria, ora hai una possibilità». Allontanò la sua mano voltandogli le spalle: «Non è così facile, per fare quel che vuole deve essere eliminato anche il secondo». Luke sorrise arreso e intenerito: «Al secondo posso pensare io, facciamo così, ti darò due mesi, se non avrai preso la tua decisione, porterò a termine io il tuo lavoro». Sussultò voltandosi di colpo verso quello che sapeva sarebbe stato un suicidio: «Perché sei disposto a tanto per me?». Luke si avvicinò di nuovo inginocchiandosi a guardarla dal basso: «Perché non voglio più vedere quegli occhi immersi nella disperazione, ho giurato di proteggerti e di seguirti, è l’unico motivo che mi tiene ancora in vita, hai due mesi». Svanì in un respiro, lasciandola da sola a guardare il cielo oscurato.

In quella settimana nessuno parlò di altro se non dell’attentato al Principe Adren e della fuga del colpevole, a palazzo erano tutti preoccupati per la propria sicurezza e per i reali, sorrise divertita passando tra le divise, nessuno sospettava che quel nemico mangiasse, parlasse e ridesse con loro: «Eveeeee!». La voce squillante la richiamò come un magnete, aveva preso servizio da appena un paio di settimane ma quei capelli color rame e gli occhi chiari come il prato avevano subito legato con lei: «Mi serve dell’acqua calda nell’ala medica presto!». Sussultò alla preoccupazione correndo a prepararla come da una cameriera ci si aspetterebbe, dopo averla versata nella bacinella, la trasportò con attenzione nell’ala medica, dove la ragazza aspettava trepidante: «Eccola, Belle». Le porse un asciugamano sistemando le maniche del camice da medico di corte: «Belle, chi…ahi…». La ragazza arricciò le sopracciglia imponendo al ragazzo seduto sulla sedia di non muoversi: «Ti ho detto di non muoverti Dylan! Evee mentre preparo le bende e la crema potresti pulire la ferita?». Si sporse perplessa entrando nella stanza osservando il ragazzo a petto scoperto, rigido come una statua, rimproverato amaramente per la sua disattenzione: «Cos’è successo?». Belle sospirò invitandola ad avanzare: «Gli allenamenti, si è distratto mentre combattevano e questo è il risultato». Dylan deviò lo sguardo rifiutandosi di ammettere la colpa: «Lei chi è?» Belle avvicinò la ragazza per mostrarla agli occhi celesti come il cielo: «Una delle nuove cameriere Evee, vorrei presentarti il Principe Dylan». Irrigidì le spalle, non era riuscita a conoscere l’aspetto del secondo Principe e si sorprese quando i due ragazzi parlarono come amici di vecchia data, prese l’asciugamano immergendolo nell’acqua ancora calda pronta ad aiutare la ragazza: «Evee lo affido a te». Sorrise osservando le spalle del ragazzo indecisa su cosa fare, anche lui era un suo obiettivo, ma alla fine non fece altro che prendersi cura delle sue ferite: «Quindi sei nuova». Accennò ad un si ancora più sorpresa che avesse rotto il silenzio: « Belle è stata un valido aiuto per ambientarsi a corte, altezza». Il ragazzo negò con un cenno: «Non sforzarti di essere troppo formale, grazie dell’aiuto». Belle rientrò con una ciotola colma di crema verde, dopo aver con attenzione purificato la ferita, espanse la crema ignorando i brividi del Principe, fasciandola a quattro mani: «Torno ai miei doveri». Chinò il capo lasciando l’ala, sapere che i due ragazzi erano amici forse poteva essere d’aiuto a compiere quel gravoso compito che le era stato assegnato, un compito a cui era stata preparata da una vita e che aveva come ricompensa la libertà.

Dopo quell’attacco il primo Principe si era allontanato dal castello e non c’erano stati altri incidenti simili, era passato un mese come se fosse il giro di una lancetta dei secondi così veloce e così divertente, le due ragazze avevano spesso pranzato insieme e tornavano in città ai loro alloggi insieme, ma Evee era costretta a riprendere il turno di prima mattina. Si sollevò stordita dal letto accarezzando la pelle infreddolita dall’assenza degli indumenti, lasciò scorrere l’acqua calda sul corpo accarezzandolo gentilmente, soffermandosi a guardare le cicatrici sui due polsi con malinconia, prese un respiro liberando dalla rugiada mattutina la pelle di nuovo infreddolita, la avvolse con gli indumenti da lavoro, pettinò i capelli umidi passando un asciugamano sulle ciocche e legandoli in due code alte, accarezzandoli con le dita come se fosse seta, sorrise sistemando la frangetta uscendo dalla stanza vuota. Comprò del pane sulla via per rimettersi in forze prima di riprendere il turno, mostrò la targhetta identificativa alle due guardie notando il rafforzo delle stesse in tutto il castello, salutò le altre cameriere prendendo la lista dei suoi compiti, avanzando per il castello a svolgerli come una comune impiegata: «Già a lavoro?». Da quando aveva fatto la sua conoscenza Dylan le rivolgeva parola tranquillamente quando la incontrava nel castello, il suo sincero sorriso era una fonte di energia in più per continuare la giornata, ma non si intratteneva più di qualche minuto per evitare che sospettassero una vicinanza pericolosa: «Come va la ferita?». Dylan mosse la spalla dimostrandole agilità: «Del tutto passata, Belle sa fare miracoli». Evee sorrise fingendosi rasserenata: «Dylan». La voce penetrò nella sua mente come una scheggia ad alta velocità: «Fratello, ero sulla via per incontrarvi». Il primo Principe lo affiancò guardandolo dall’alto contrariato: «Parleremo dopo di quel rapporto, devi…». Si bloccò di colpo quando si accorse che la cameriera aveva ripreso il suo cammino: «Non rammento di te». Dylan si voltò ad osservarla perplesso all’affermazione: «Fa parte delle nuove assunte del mese scorso, a seguito della vostra partenza». Adren arricciò le sopracciglia senza desistere: «Ripercorri i tuoi passi e presentati a me». Evee prese un respiro, a volto basso ripercosse i suoi passi fermandosi davanti all’alta statura del Principe, alzò lo sguardo per poter di nuovo osservare quelle gemme di ghiaccio: «Sono una delle nuove cameriere, il mio nome è Evee, sono a vostra disposizione, Principe Adren». 

Dylan rimase ad osservare il fratello in cerca di una reazione e si soffermò su Evee in attesa di risposta: «Posso fare qualcosa per voi?». Chiese per rompere lo scrutante silenzio in cui era stata immersa: «Puoi, cominciando a spiegare perché hai attentato alla mia vita e chi ti ha mandata a me». Evee sbiancò sorpresa all’accusa affilata: «Non so a cosa facciate riferimento». Dylan si era paralizzato e cercò di intervenire a difesa della ragazza: «Non avevate descritto l’assalitore». Adren accennò ad un lieve movimento del capo, avanzò di un passo verso di lei afferrandole il viso per evitare che si sottraesse all’accusa: «Due perle d’ossidiana così vivida non si trovano ovunque e mai potrei dimenticare il fuoco che le invase e la paura che le incrinò, chiama le guardie». Dylan si arrese chiamando le guardie a prenderla in custodia: «Cosa volete fare?». Non si vide transigente neanche alla richiesta sottointesa del fratello: «Nelle prigioni del castello, sorvegliata costantemente, senza cibo per l’intera giornata». Evee era rimasta scioccata dalla descrizione dell’unica cosa che non avrebbe dovuto riconoscere e che invece l’aveva tradita, sorrise arresa alle grandi capacità e si lasciò portare via senza opporre resistenza.
   
 
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