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Autore: Enid    13/07/2018    0 recensioni
Storia scritta per la Challenge di Natale 2017 del gruppo Aspettando Sherlock 5 - Spoiler ed Eventi
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Promt di Aurora Bernardi: Sherlock e John sono sposati, vivono una vita felice e hanno finalmente trovato la serenità. Durante un caso Sherlock ha un incidente e si risveglia in ospedale, scoprendo di aver perso la memoria. A quel punto John dovrà aiutarlo a ricordare e soprattutto, dovrà riconquistare il suo amore.
Dedica:
Questo è uno dei miei trope preferiti di sempre: l’amnesia! Ho saltellato quando ho visto questo prompt e l’ho scelto subito!
Nota: ci ho messo 6 mesi MA LA FIC E' COMPLETA! Metterò un capitolo a settimana ^^
Curiosità: Il titolo della storia è il titolo di una famosa canzone folkloristica inglese che si canta a natale, e i capitoli... sono il testo della canzone, ovviamente adattati!!
Genere: Azione, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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On the sixth day of Christmas ironic fate sent to me six broken kneecaps, five confused policemen four cricket bats, three rotting corpses, two Holmeses and a retrograde amnesia

Era l’una passata quando andarono via da casa di Edea Kramer, dopo che la nipote era arrivata. Sherlock si era fermato sul marciapiede e con il suo solito potere magico aveva evocato dal nulla un taxi.

Erano entrati, in silenzio, e con diversi centimetri di distanza tra di loro, ma per una volta John non ne era scontento.

Era stata una giornata ben strana, iniziata con Anthea che era tornata a portare loro un plico di documenti riguardanti la seconda guerra mondiale, la fornitura di mazze da cricket inviata dal governo australiano e notizie riguardo uno zaffiro di straordinaria purezza perso alla fine del secondo conflitto mondiale. Perso, insomma, più che altro rocambolescamente trafugato da quattro soldati australiani. John non aveva ancora ben capito come fosse arrivato in mano ai tre morti e alla signora Kramer, ma a quel punto gli interessava relativamente.
Era grato che Sherlock stesse in silenzio in quella corsa in taxi. Non perché non amasse sentirlo parlare, ma perché aveva bisogno di riordinare i propri pensieri, e di decidere come muoversi.

E tutto per via di una scazzottata.

In seguito alle informazioni girate a loro da Mycroft e ad un paio di intuizioni geniali di Sherlock, erano arrivati nei pressi dell’abitazione della signora Kramer solo pochi minuti prima dei malviventi. Ben sei di loro, tutta la banda se Sherlock aveva fatto bene i conti, si erano introdotti in casa della signora, e loro due avevano chiamato la polizia ed erano corsi all’interno non appena avevano udito il grido di paura di quest’ultima. E no, John non aveva zoppicato affatto, mentre arrivare fino a lì era stato un supplizio.
Una volta entrati, si erano trovati davanti tre dei sei uomini, mentre gli altri tre cercavano di forzare la porta della cucina dietro la quale la donna si era barricata. Lì, il Capitano Watson non aveva potuto fare a meno di uscire. Afferrando uno dei bastoni nel portaombrelli accanto alla porta, John aveva affrontato i primi tre senza battere ciglio. Erano inesperti al combattimento e aveva notato subito che lo sottovalutavano. Uno di loro lo aveva caricato e lui lo aveva facilmente schivato, stordendolo con una bastonata sulla nuca, per poi metterlo fuori gioco o almeno rallentarlo molto con un calcio ben assestato al ginocchio sinistro. Il secondo si era avventato su Sherlock, che, utilizzando quella strana arte marziale ibrida che praticava, lo aveva steso, copiando John nel dislocargli una delle rotule. Il terzo e il quarto avevano puntato contemporaneamente John, il quale non aveva fatto altro che fare un passo in avanti col bastone tenuto orizzontale di fronte a sé, colpendo di fatto i due tirapiedi con i pugni all’altezza della bocca dello stomaco. Si erano rapidamente rialzati, e ne era nata una sorta di danza, dove i due sferravano pugni che John schivava, e John li colpiva ai punti vitali con il bastone. Una bastonata ben assestata sulle ginocchia dei due li aveva spediti a terra assieme ai loro amici, doloranti. Sherlock evidentemente si era distratto (a far cosa, John non lo sapeva) e non aveva visto in tempo il quinto uomo farglisi sotto, e questi era riuscito a mettere a segno un pugno in faccia a Sherlock. John aveva visto rosso. Si era lanciato a testa bassa verso l’uomo e lo aveva mandato a sbattere contro il pesante tavolo in legno massello, spostandolo di oltre un metro, e una volta lì, lo aveva tramortito con un pugno ben assestato e aveva concluso di nuovo dislocando una delle ginocchia. Il sesto uomo aveva deciso che non voleva arrendersi e aveva riprovato a colpire Sherlock, ma suo marito si era già ripreso dal pugno, e con una proiezione aveva mandato a terra l’aggressore, la gamba piegata in modo innaturale.

John non aveva perso tempo e aveva legato i prigionieri, piazzandoli sotto l’albero come inusuali pacchetti regalo. Si era accorto che, mentre li legava efficientemente e mormorava loro minacce di vario genere ai loro organi interni, Sherlock era rimasto come imbambolato fissarlo. Aveva cercato di ignorarlo. Per questo, una volta terminato, non si era accorto che Sherlock era arrivato proprio alle sue spalle. John si era alzato, girandosi e trovandosi a pochissima distanza dal torace di suo marito. Una tremenda ondata di nostalgia aveva rischiato di riuscire dove sei uomini avevano fallito. Sherlock poi non era parso intenzionato a spostarsi. John gli aveva quasi detto qualcosa, alzando lo sguardo, ma una volta che i suoi occhi avevano incrociato quelli del consulente investigativo, qualsiasi cosa avesse voluto dire se ne era fuggita fuori dalla finestra. Aveva visto Sherlock deglutire, i suoi occhi fermarsi a guardare le sue labbra, per poi tornare a fissarlo negli occhi, come se avesse potuto ricavarne chissà che risposte. L’occhio medico allenato di John non aveva potuto far a meno di notare che le pupille erano dilatate e le guance soffuse di un rossore legato sì allo sforzo appena fatto, ma non solo a quello. John aveva atteso, cercando di lasciare a Sherlock il tempo di decidere. Lo stava sempre osservando quando Sherlock si era inclinato appena in avanti, avanzando di qualche centimetro, e John si era forzato a non trattenere il fiato, a rimanere immobile ma aperto. E poi, quando le labbra erano a pochi centimetri di distanza, il rumore delle sirene che si avvicinavano all’esterno li aveva fatti sobbalzare, e Sherlock si era affrettato ad allontanarsi. John si era schiarito la gola, ed era andato a sincerarsi delle condizioni della signora Kramer, che era ancora dietro la porta chiusa della cucina. La fece sistemare su una sedia prima che svenisse, e aveva iniziato a rassicurarla, mentre Sherlock lo guardava quasi contrariato. Ed era così che li aveva trovati Greg.

Le sue reminiscenze furono fermate dall’arrivo a Baker Street. Sherlock scese imperioso dal taxi, lasciandolo (e certe cose non cambiano mai, amnesia o meno) a pagare. John entrò nella porta mentre Sherlock superava la prima rampa di scale. Il medico sospirò, accostandosi alla parete ora che la gamba aveva deciso di fargli scontare tutto il dolore che non aveva sentito durante la scazzottata. Salì lentamente le scale, e quando arrivò in casa, vide che Sherlock si era messo nella posizione in cui era abituato a stare quando accedeva al palazzo mentale. Andò in cucina e prese un gel pack dal congelatore, avvolgendolo in un asciughino che sembrava pulito. Tornò in salotto e scosse il consulente investigativo, che lo guardò interrogativo ed infastidito.

“Cosa?” chiese questo.

“Tieni. Metti questo sulla guancia, eviterà che ti si gonfi troppo. Aiuterà col dolore.” Sherlock lo guardò come se volesse rovesciargli addosso una sequela di domande, ma alla fine non lo fece. Annuì secco e prese il fagotto dalle mani di John, sfiorandogli di nuovo le dita, e si appoggiò la superficie coperta di stoffa sulla guancia. John lo vide rilassarsi e andò a prepararsi un the, ancora troppo su di giri dalla serata.
Quando il the fu quasi finito e John stava quasi meditando di andare a letto (e quanto era strano dormire di nuovo nella camera di sopra… non riusciva ad addormentarsi molto bene), Sherlock lo prese di sorpresa.

“Perché non cerchi di farmi tornare la memoria?” chiese. E John lo fissò e lo guardò senza quasi capire.

“Che vuoi dire?” gli chiese. Sherlock sbuffò.

“Voglio dire che non mi racconti nulla di cosa facevamo quando stavamo assieme, non cerchi di farmi fare cose che facevamo prima, non mi chiedi se mi ricordo questo o quell’evento. Mi segui, mi aiuti coi casi, e mi curi se mi ferisco. Cos’è, vuoi liberarti di me?”

Probabilmente era la stanchezza. O forse lo stress. O forse entrambe le cose. Ma John iniziò a ridere. A ridere sonoramente, quasi con una o due lacrime che scendevano. “Che c’è, ti faccio ridere ora?” Sherlock stava cominciando ad offendersi. John si costrinse a calmarsi, ma la reazione lo aveva preso tanto di sorpresa quanto le domande dell’amnesico marito.

“Sherlock, mettiamo subito le cose in chiaro: no, non sto cercando di liberarmi di te, non voglio liberarmi di te in nessun modo. Il motivo per cui non ti sto troppo addosso è perché sono un medico e sono perfettamente consapevole che è inutile e spesso controproducente cercare di forzare un amnesico a ricordare.” Lo sapeva lui quanto avrebbe voluto iniziare a raccontagli tutto, ma sapeva che era inutile che anzi avrebbe rischiato di perderlo così. “D’altronde ti assicuro che stiamo facendo moltissimo di quello che facciamo da quando stiamo assieme: travestimenti, risolvere i casi, scazzottate. Sì, anche io che ti seguo e ti curo è perfettamente all’interno della nostra routine.” John si alzò e si accovacciò vicino alla testa di Sherlock sul divano, per poterlo guardare negli occhi. “D’altronde, ti posso assicurare che io ti amo e continuo ad amarti con tutto me stesso, e non vorrei comunque essere in nessun altro posto.”

Non sapeva nemmeno lui da dove fosse uscita l’intensità di una tale confessione. Ma era vero e non avrebbe negato una cosa tanto vera.

“Mi confondi.” Sherlock aveva detto dopo alcuni secondi. “Penso di averti inquadrato e il secondo successivo mi stupisci e mi sorprendi. Sento quasi come se ci fosse una calamita tra noi e non riesco a capirne il perché. Sei un mistero, John Watson.”

“John Watson-Holmes,” lo corresse bonariamente John, “e lo so che questa situazione è strana. Ma dà al tuo cervello qualche altro giorno per guarire e magari tutto avrà senso. Oppure troveremo il ricordo chiave che sbloccherà tutti gli altri.” Disse John, inserendo nella sua voce tutta la speranza che aveva paura di provare.

“E se non dovesse succedere? E se non recuperassi mai la memoria?” il pensiero atterriva John, ma ricordò il periodo dopo La Caduta e rispose, saldo come sempre,

“Non importa. Ho vissuto in un mondo senza Sherlock Holmes, anzi, Sherlock Watson-Holmes, per due anni e mi è bastato. Se non potrò più averti come marito, certo non ti forzerò, ma a meno che tu non mi cacci fisicamente via, io non me ne andrò.”

John sapeva che questo comportamento non era del tutto sano. E non gliene fregava assolutamente niente.

Sherlock parve assorbire quelle parole. Annuì e tornò al suo palazzo mentale. John si alzò faticosamente dalla posizione accovacciata.

“Mentre combattevi non zoppicavi,” Notò Sherlock, “lo sai vero che è completamento psicosomatico?” John emise una risata amara.

“Lo so. L’ho sempre saputo ed è la prima cosa che mi hai detto quando ci siamo conosciuti. Ma sembra che alla mia gamba non interessi: quando tu non sei con me o c’è qualche problema, io zoppico.” Il dottore sentiva il bisogno di riposare. “Vado a dormire, Sherlock. Buonanotte. Cerca di dormire un po’ e se hai bisogno di me sono al piano di sopra.”

“Buonanotte, John.” Gli rispose.

John salì faticosamente le scale e si tolse gli abiti per mettersi quelli che usava come pigiama.
Capì però che Sherlock non era andato a letto. Aveva preso il suo violino e aveva iniziato a suonare. E John riconobbe subito le note della canzone che Sherlock aveva composto per il loro matrimonio. Il cuore gli si strizzò dolorosamente nel petto, ma anche la speranza si rianimò, e riuscì, con quella melodia, ad addormentarsi, finalmente.
   
 
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