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Autore: ciredefa    13/07/2018    2 recensioni
Invece Soul era bello, senza alcun dubbio. Aveva il fascino del ragazzo bello ed impossibile classico dei protagonisti dei libri. Capelli ben curati, occhi taglienti, fisico asciutto ma muscoloso nei punti giusti, musicista, atteggiamento all’apparenza menefreghista ma che in realtà che si avvicinava più a ‘per te ridurrei in cenere il mondo, baby’.
Una domanda attanaglia la mente di Maka e cercherà la risposta in colui che è stato al suo fianco per - quasi - tutta la vita. Per Soul, però, la risposta è più che ovvia.
{ Soul/Maka | ✓ 2/2 capitoli ✓ }
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ah, it's a wonderful Death City life!'
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Note: Prima parte di una storiella formata da due parti. La seconda arriverà presto buona lettura!

 

Beauty is in the eye of the beholder

 

 

Maka odiava la parola carina. La riteneva una delle parole più scialbe per descrivere una qualsiasi cosa: era la via di mezzo, una cosa che non è brutta ma nemmeno bella. Tutto poteva essere definito carino, dal fiorellino sul ciglio della strada fino ad un lampione, il che lo rendeva il complimento più che insignificante di tutti. Ogni volta che incontrava quel termine nei suoi libri storceva un po’ il naso, chiedendosi come l’autore del libro potesse essere così superficiale. La faceva arrabbiare un po’ a livello linguistico, un po’ perché Maka sentiva di rientrare perfettamente nella definizione di carina.
Ogni mattina rimaneva minuti interi a fissare il suo riflesso nello specchio dell’armadio prima di preparasi per la giornata. Il collo sottile protetto dai capelli biondo grano che sciolti le solleticavano sempre le spalle, le clavicole e le costole appena marcate sotto la pelle chiara, il seno acerbo – la parte di sé stessa di cui era più insicura -, l’assenza quasi completa di curve, lo spazio tra le cosce magre che le sembrava immenso. Non riusciva a definirsi bella per quanto ci provasse, più analizzava ogni centimetro del suo corpo e più il suo umore si anneriva. Solo carina, niente di più.
Invece Soul era bello, senza alcun dubbio. Aveva il fascino del ragazzo bello ed impossibile classico dei protagonisti dei libri. Capelli ben curati, occhi taglienti, fisico asciutto ma muscoloso nei punti giusti, musicista, atteggiamento all’apparenza menefreghista ma che in realtà che si avvicinava più a ‘per te ridurrei in cenere il mondo, baby’.
Maka scosse la testa, ridestandosi dai suoi pensieri. Guardò il tagliere davanti a lei intensamente, il coltello ancora nella mano destra e una carota nella sinistra. Negli ultimi tempi faceva sempre più spesso quel tipo di pensieri sulla sua arma e si malediva ogni volta. Se Soul avesse saputo ciò che pensava l’avrebbe presa in giro per secoli. Si rimise a tagliare la verdura.
Non poteva lasciar trapelare l’invidia con cui Maka guardava ogni ragazza che si avvicinava alla sua buki – ed erano parecchie –, oppure di quanto imbarazzata si trovasse a fissare la schiena piena di cicatrici dell’albino quando ad agosto faceva troppo caldo in casa per restare completamente vestiti.
Su tutti i manuali per essere un’eccellente meister era caldamente sconsigliato l’amore tra partner: o ne usciva una relazione più profonda, oppure la risonanza dell’anima diventava talmente difficile da utilizzare tanto da essere costretti a cambiare arma. Maka rabbrividì al pensiero, non voleva assolutamente correre il rischio di perdere Soul per le scemenze che le frullavano nella testa.
Si rese conto troppo tardi che la carota che stava tagliando era finita, distratta troppo dai suoi pensieri, “Ahia!” l’urlo sommesso della bionda riecheggiò per tutto il cucinotto. Il piccolo taglio poco sopra l’unghia dell’indice cominciò a sanguinare, le gocce di sangue già cadevano sul tagliere di legno. Stupida, si ripeté mentre i suoi occhi smeraldini cominciarono a pizzicare, stupida che non sei altro.
“Maka? Tutto bene?!” esclamò Soul dal salotto. Lasciò il controller della console e si alzò con un balzo dal pavimento, raggiungendola in cucina. Allungò il naso oltre la spalla di Maka che era rimasta immobile fino a quel momento e appena notò la ferita si precipitò a prendere un pezzo di carta assorbente. Il ragazzo le prese mano e iniziò a tamponare il taglio, stringendo con forza.
“Ma come cavolo hai fatto a tagliarti?” chiese contrariato. Lei scostò lo sguardo, “ … ero sovrappensiero” rispose soltanto. Soul sbuffò, “imbranata”. In quelle parole però non c’era cattiveria, aveva usato un tono che si avvicinava allo stesso che si utilizzava con una bambina che si era appena sbucciata un ginocchio cadendo dalla bicicletta.
Soul lasciò la presa per un attimo, aprì uno dei cassetti e maneggiò dentro finché non tirò fuori una piccola scatolina contenente dei cerotti. Riprese a stringere la mano di Maka, con i denti ne scartò uno e lo avvolse attorno all’indice, assicurandosi di stringerlo bene.
L’albino le era ad un soffio dal viso, e non poté far altro che osservare la sua faccia leggermente corrucciata mentre armeggiava per tamponarle la ferita. Era infinitamente bello e questo la faceva arrabbiare tantissimo, perché sapeva di essere impotente a quella scintilla che sentiva nel petto, sapeva che non esisteva insetticida per le farfalle nello stomaco.
Quando il cerotto fu posizionato in modo sicuro, Soul prese un sospiro e le poggiò una mano sulla spalla, delicatamente “Stai attenta, okay?”. Maka sussultò lievemente “Sì, scusa” e lui tornò nel salotto, riprendendo quello che stava facendo prima.
La ragazza osservò la sua mano, il cerotto blu con le stelline colorate cozzava con la sua pelle diafana. Il rapporto tra lei e Soul era sempre stato così: per quanto lui la ritenesse forte, non poteva far a meno di correre in suo soccorso ogni volta che le succedeva qualcosa. Ogni volta che Maka cadeva c’era lui a sorreggerla, che fosse in battaglia o nella vita di tutti i giorni. Soul era infinitamente bravo a mettere toppe dove più c’era bisogno.
Maka si chiedeva se sarebbe riuscito a mettere il cerotto anche anche sui suoi sentimenti un po’ feriti e sempre confusi, ma preferì continuare a tagliare le carote e riservarsi quei pensieri a più tardi, perché la cena non si sarebbe mai preparata da sola.

 

   
 
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