Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Tony Stark    13/07/2018    1 recensioni
Luciano è l'unico a sapere chi Germania sia davvero
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: 2p!Hetalia, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Avvertimenti: Violenza, riferimenti al nazismo, Nazi!Germany…
Note: 2P! Character
Coppie: Nessuna
Ambientazione: Non specificata, Modern Days

 
Distorted Reflection
Broken Mind


La mente di Germania era un luogo oscuro e, che il mondo intero fosse maledetto, se il tedesco non ne era consapevole.
E lo era, lo era come poteva non esserlo? Quando, ad ogni incontro, si trova a dover stringere i pugni, le sue mani nascoste sotto il tavolo ai suoi lati, mentre cercava di non far vedere nessuna traccia della tensione che c’è nel suo corpo. La sua mente che gli sussurrava di azioni orribili che potrebbe fare, che sarebbero così… così facili per lui.
E, allora, Germania si chiese, si chiese se fosse un mostro, ma…
No, non lo sei.
Non lo sei.
Non pensare di esserlo.
Si disse. E ci credette,una parte di lui rise, per questo suo sciocco illudersi, perché alla fin fine quella che lo rassicurava non era quella stessa mente traditrice che gli sussurrava di cose che non avrebbe voluto mai-più- fare?


Germania non era un mostro, non più, e su questo tutti concordavano. Quindi ci credeva anche lui, fingendo di non sentire il sorriso tagliente che gli piegava le labbra ogni volta che solo per un istante pensava di cedere.


Germania NON era un mostro.
Non lo era… giusto?


Sbagliato.
Lui lo era, ma lo ha dimenticato, si è convinto di essere come gli altri.
E nessuno sapeva quanto avrebbe voluto riportarlo indietro, quel potere, quella forza e quella brutalità che gli scorrevano nelle vene insieme al sangue.
O, almeno, Germania credeva che nessuno lo sapesse. Ma c’era qualcuno, qualcuno che lo osservava da dietro uno specchio, che sorrideva, dolce, con uno sguardo però che avrebbe potuto uccidere col suo veleno.
Sorrise.
E appoggiò le mani, delicate e affusolate, mani da artista, contro il vetro che lo divideva dal tedesco e tracciò il suo profilo su quel vetro freddo.


«Perfetto»


Sussurrò, rimanendo inascoltato. Lui lo avrebbe riportato indietro, lo sapeva che poteva farlo.
Lo avrebbe liberato da quel guscio che si era costruito intorno.
Lo avrebbe fatto.
E poi Germania lo avrebbe guardato, e gli avrebbe sorriso, con quel suo ghigno freddo, segnato da un egocentrica e ossessiva gioia. E quegli occhi di ghiaccio sarebbero stati solo suoi, puntati solo su di lui.
Il suo sorriso si spense quando scorse un distintivo ricciolo, delle sottili braccia olivastre avvinghiate intorno al suo tedesco.
Ringhiò.
Le mani ora premute contro il vetro, mentre cercava come di graffiarlo.


«Via! Togli le tue sporche mani da lui»Gridò inutilmente sapendo che nessuno poteva sentirlo.
Feliciano sorrise inconsapevole nel sonno, il suo corpo stretto a quello del tedesco.
E lui nello specchio urlava.
Gridava contro il piccolo, debole, esile italiano. Lo minacciava.
Prometteva vendetta.


«Tu l’hai trascinato nel fango, ma io lo riporterò indietro» diceva, un sorriso velenoso che gli piega le labbra, combinandosi con la luce letale nei suoi innaturali occhi magenta che sembrano bruciare di un fuoco mortale. «E riderò mentre ti massacrerà, perché lo farà traditore! Lo farà» aggiunse, tirandosi indietro, la sua figura che lentamente scompariva nel vetro facendo tornare lo specchio… uno specchio.


Solo un istante più tardi l’italiano aprì gli occhi, solo appena, ancora avvolto dalla nebbia del sonno. Guardò quello specchio, semplice appena decorato da una sottile cornice bianca, e vide il suo riflesso rispondergli, guardò nel riflesso dei suoi occhi ambrati per un istante e poi li chiuse di nuovo, accoccolandosi un po’ di più contro Ludwig, lasciando che il battito calmo del cuore del tedesco calmasse l’improvvisa e insensata inquietudine che lo aveva svegliato. Sentì le sue, ben più forti, braccia stringersi, leggermente, troppo delicatamente, intorno a lui.
E allora si addormentò di nuovo.
Non c’è niente di cui preoccuparsi, si disse.


Oh, come si sbagliava.







 
-Capitano...-
Una voce lo chiama e Ludwig sente di conoscerla.
Sta lontano’ gli disse il suo istinto. ‘Sta lontano’
Ma… perché dovrebbe ascoltarlo? E’ solo un sogno e lui è davvero incuriosito.


-Capitano..Vieni da me. Trovami-


E Ludwig la segue quella voce, in quel nulla patetico che va riempiendosi di cenere.
E’ incuriosito, cieco al suo istinto che gli grida ‘Non è un sogno! Sta lontano!Non seguirlo!’,
ci sono incendi che illuminano solo di poco quel nulla nero. Ora grigio.
L’aria è metallica e calda come in un forno.
E’ questo che vuole il sogno? Lo vuole vedere bruciare?
Una risatina dolce in tutte le note sbagliate riempe quella stessa aria.
-Non essere sciocco, Capitano. Non potrei mai farti del male.-
Il suo istinto capta menzogna, la sua mente invece gli crede.
Cosa vuoi, allora?’ vorrebbe chiedergli, ma non riesce a parlare.
Si sente la bocca e la gola secchi pieni di cenere bollente e inizia a dubitare, forse dovrebbe ascoltare il suo istinto?


-Va tutto bene, Capitano- La voce dice -Va tutto bene, ma alle volte per creare qualcosa di grande si deve prima distruggere.-
Ludwig si ferma. Circondato dalla cenere, da un nero tinto di indistinti fuochi lontani.
Frenetico cerca, cerca qualcosa, qualunque cosa.
Ha paura ora e la voce lo sa, ride deliziata.
Sente qualcuno alle sue spalle, non fa in tempo a voltarsi che viene bloccato.
Ma ad impedirgli di reagire non è la presa, no, non c’è forza in quella sembra quasi l’abbraccio di un amante. No, a fermarlo è la familiarità che prova.


-Va tutto bene, Capitano. Va tutto bene-


Anche quella voce prima disincarnata ora gli sembra ancor più familiare, ma può fidarsi?


-Non ti tradirei mai, Capitano.-


Il nero sfuma in rosso, mentre per un solo istante Ludwig si permette di fidarsi di quel qualcuno.
Di quell’ombra fatta di cenere che lo tiene stretto fra le sue braccia, gelate.
Ludwig si trova a pensare che nonostante l’inquietudine che gli ha stretto il cuore per un momento e la cenere… e quel calore infernale, la sola presenza di quel qualcuno che non riesce a riconoscere, lo rende quasi un bel sogno.
La figura ridacchia morbidamente.
Le sue delicate mani di cenere che gli accarezzano le braccia, dolcemente.


-Ti riporterò indietro, Capitano. Te lo prometto.-


Ludwig si sente confuso a quelle parole, e poi lo sente tracciare qualcosa, il suo tocco delicato come una farfalla, se non ci stesse prestando attenzione non lo sentirebbe neanche.
Sta tracciando qualcosa, mentre continua ripetergli quella frase con tono sommesso.
Nel momento esatto in cui riconosce quella forma, tracciata contro la sua pelle, si allontana con un uno scatto, come se si fosse bruciato. Si volta e vede lo spettro di cenere.
Non ha una forma definita, ma i suoi occhi.
Ludwig li conosce, li conosce.
Lo chiama quello sguardo, ora deluso.


Quegli occhi… magenta, in cui si riflette una luce distorta. Un fuoco che brucia più intenso di quelli che li circondano.
Sente i suoi occhi allargarsi, nel momento esatto in cui lo riconosce.


Lo spettro di cenere sorride.
-Sì, sono io, Capitano.-


Ludwig si sente rispondere, contro la sua volontà. La sua voce resa graffiante dalla cenere.
«Luciano»
La figura di cenere getta la testa indietro e ride, ride in un suono stonato e maniacale che fa rabbrividire Ludwig che si sente gelare.
La cenere che cade, cade come cadono i tasselli di un domino, collassando verso l’interno mentre la figura di Luciano comincia a prendere forme più definite.

 
«Ludwig? Ludwig! Svegliati, Ludwig!»
Luciano smette di sorridere.
E quella è l’ultima cosa che Germania vide prima di aprire li occhi, trovandosi quelli dorati, ambrati di Italia a pochi centimetri dai suoi, brillavano di preoccupazione. Le sue mani esili posate sulle sue spalle.
«Germania, va tutto bene?» gli chiese dolcemente l’italiano.
Germania annuì, non sentendosi davvero sicuro di poter rispondere con la sua voce. Sentiva ancora la cenere in bocca, nella gola. Le dita esili di Luciano che tracciavano una svastica sul suo braccio con la stessa dolcezza e la stessa delicatezza con cui Feliciano gli stava accarezzando le spalle nel tentativo di calmarlo.
«Germania… Ludwig, va tutto bene, va tutto bene.» sussurrò Italia dolce. Ma la sua voce non lo calmava, sentiva quella di Luciano al suo posto, sentiva quella di quello spettro maligno che pensava non avrebbe mai più visto. «Era solo un brutto sogno, solo questo»
Per un istante Germania si chiese cosa avesse detto, cosa avesse fatto per rendere Italia consapevole del suo incubo, sapeva solo di non aver detto il suo nome. Italia sarebbe stato terrorizzato altrimenti.
«Ja… Sì, hai… ragione Italia.» riuscì a dire dopo qualche istante rendendosi conto che nella realtà non c’era cenere non ne aveva respirato alcuna, poteva rispondere al piccolo Italia «Mi dispiace di averti svegliato» aggiunse.
Italia gli sorrise brillantemente «Non devi scusarti, Germania. Davvero, va tutto bene» disse «Vuoi provare a dormire ancora, Ludwig? E’ davvero presto neanche l’alba… Ma! Se non ti senti, possiamo continuare a parlare, per me va bene comunque»aggiunse, incespicando un po’ con le sue parole, la sua voce per quanto premurosa ancora assonnata.
Germania gli sorrise appena, il suo sorriso nascosto dalle ombre che avvolgevano la stanza. La sua mente rimase, per una volta silenziosa. «Torniamo a dormire» disse, ‘abbiamo un incontro fra un paio d’ore’ quello rimase non pronunciato ma non importava al momento.
«Allora, buonanotte, Capitano» gli augurò Italia con un sorriso, tornando ad abbracciarlo come aveva fatto prima, stranamente la cosa non lo infastidì come al solito. E provò ad addormentarsi di nuovo anche lui, sperando di non sognare di nuovo quel… quel folle.
Eppure quel ‘Capitano’ pronunciato con dolcezza da Feliciano gli aveva ricordato tanto di lui da rendergli difficile il tentativo.


Per un istante senza una spiegazione, che trova logica, i suoi occhi saettarono allo specchio e ciò che vide fu… il loro riflesso.
Certo…
Cosa mi aspettavo di trovare? Si disse e chiuse gli occhi cercando di svuotare la mente.


«Ti riporterò indietro, Capitano.»


Luciano guardava il suo tedesco dallo specchio mentre ripeteva quella promessa. Per una volta si sentì di poter ignorare tranquillamente Feliciano. Aveva visto e sentito la fiducia di Ludwig nei suoi confronti, e aveva visto l’incertezza in quelli di Feliciano.
Sì, il suo Capitano era davvero vicino alla superficie, bastava solo…


Una piccola spinta.


Sarebbe stato facile, un po’ violento, forse un po’ insanguinato ma facile.


Luciano sorrise e sparì ancora una volta dallo specchio.


















Germania stava passando un momento veramente difficile. Era davvero ad un passo dal lasciare che i suoi pensieri più oscuri vincessero di nuovo.
Strinse ancora i pugni sentendo un leggero dolore, che lo distrasse appena dai suoi pensieri intossicanti, quando le sue unghie gli ferirono i palmi.
Non ce la faceva più.
Non sapeva se fosse a causa dell’incubo con Luciano la sera precedente o se semplicemente aveva raggiunto il suo limite.
Possibile che le altre nazioni non fossero capaci di discutere civilmente senza trasformare ogni dannato incontro in una rissa da bar?
Quasi non sentiva le voci confuse e cacofoniche degli altri, mentre la sua mente gli proiettava immagini molto più vivide del solito nei pensieri.
Sì… Sì, li voleva lì.
In silenzio, ai suoi piedi.
Terrorizzati. Schiacciati.
Sconfitti.
Sentì un sorriso gelido e tagliente piegargli le labbra. Mentre allentava i pugni, sentendo tutta la sua rabbia fluire mentre quelle parole si ripetevano nella sua mente.
Non voleva più dover temere che il suo parere portasse gli altri a isolarlo, ancora.
Voleva la Gloria.
Voleva essere di nuovo potente.


«Ruhe!» esclamò, la sua voce fredda e ferma. Dopo essersi alzato in piedi. Il silenzio calò immediatamente nella sala e le altre nazioni lo guardarono con sospetto, alcuni con un pizzico di paura.
Francia lasciò andare il colletto di Inghilterra, facendo cadere l’inglese a terra. Russia nascose il suo rubinetto nel cappotto dopo che America ebbe lasciato i lembi della sua sciarpa, Cina mise da parte il suo wok.
Tutti guardavano Germania.
E per un istante il tedesco si sentì di nuovo forte, sentì quella parte che aveva ignorato tanto di sé quasi crogiolarsi sotto quell’attenzione così sbagliata.
Ogni fibra nel suo corpo che fremeva perché prendesse la Luger che portava sempre con sé e sparasse a qualcuno.
Iniziasse un’altra guerra.


‘Ti riporterò indietro, Capitano’ la voce di Luciano nel suo orecchio.
Le sue dita che tracciavano la svastica sul suo braccio.


Germania spalancò gli occhi, tornando in sé. La paura che sostituiva quel senso di potere che lo aveva pervaso prima. Fece un passo indietro, quasi inciampando sulla sua sedia.
Il sospetto venne sostituito dalla preoccupazione negli occhi delle altre nazioni, tranne Russia che lo guardava con una divertita curiosità.


«Io… Mi dispiace… non mi sento molto bene» riuscì a dire, spezzando il silenzio che era andato creandosi.


«Dichiariamo concluso l’incontro di oggi, da?» propose Russia, anche se la sua sembrava solo una dichiarazione che si concludeva in domanda per dare l’illusione di una scelta. Le nazioni annuirono, i loro sguardi ancora sul tedesco che si era fatto pallido come se avesse visto uno spettro.


Germania fu il primo a lasciare la stanza accompagnato da Italia. Nessuno dei due però notò che gli altri rimasero indietro ancora per un po’.


«Come ti senti, Capitano?» gli chiese Italia, dolce, ma con la preoccupazione scritta su tutta la sua espressione.
Germania rabbrividì a quella parola «Non… non chiamarmi Capitano… va bene, Italia?»
La nazione mediterranea annuì anche se lo guardò un po’ stranamente.
«Puoi dirmi tutto, Ludwig, lo sai. Cosa ti turba?» gli chiese l’italiano.


E Germania voleva dirglielo, voleva dirgli di quei pensieri oscuri che lo tormentavano, voleva dirgli di quelle emozioni diverse e contorte che alle volte gli animavano il cuore… voleva raccontargli dell’incubo della scorsa notte, voleva dirgli di… Luciano. Ma non poteva, non poteva.
Non poteva permettersi che Italia lo vedesse come un mostro o, peggio, come un folle.


Italia capì il significato del suo silenzio, capì dalla sua espressione che qualcosa lo disturbava profondamente ma che non riusciva a dire nulla. E quindi il minuto italiano fece quello che faceva spesso quando lo sapeva sconvolto per qualcosa, lo abbracciò.


In quell’esatto istante la nazione tedesca fu felice che fossero in una delle sale inutilizzate dell’edificio conferenze, perché quando Italia lo strinse fra le sue braccia non poté fare altro che lasciare che la sua frustrazione, la sua paura, la sua confusione si trasformassero in lacrime cristalline.
Nascose il viso contro la spalla del più piccolo e pianse.
L’italiano lo tenne semplicemente stretto fra le sue braccia, accarezzandogli la schiena con fare calmante e mormorandogli piccole parole gentili, sebbene fosse anche lui sconvolto. Non aveva mai visto Germania piangere, mai. Non davvero almeno.
Era silenzioso, notò.
Completamente silenzioso.
Se non fosse per il tremore delle sue ampie spalle o per il fatto che le sue lacrime gli stavano bagnando la giacca, Italia non avrebbe neanche potuto dire che stesse piangendo.
Ma continuò a cercare di rassicurarlo, per quanto potesse.
Era preoccupato per lui, però. Qualcosa lo stava tormentando.
Qualcosa gli stava facendo tanto male da fare crollare anche qualcuno di forte come lui.
E il modo in cui gli altri avevano guardato Germania lo aveva infastidito.
Non erano più nemici, tutto quel sospetto era inutile. Germania non era pericoloso, non più.


Dallo specchio nascosto in un angolo della sala, Luciano li osservava. Ed era infastidito.
Infastidito dal fatto che fosse Feliciano a tenere fra le braccia il suo tedesco.
Infastidito dal fatto che il suo forte, freddo Capitano stesse piangendo.
E arrabbiato verso qualunque cosa lo avesse portato a tanto.
Sapeva che una parte era colpa sua, lui lo aveva disturbato, entrando nei suoi sogni come un fastidioso moscerino solo per tormentarlo un po’.
Ma era colpa degli altri se il suo Capitano era diventato tanto debole da rispondere con le lacrime alle sue parole invece che rispondere lasciando che il suo vero sé si riprendesse ciò che era suo.


«Ti riporterò indietro, Capitano. Lo farò… ma prima devo liberarmi di Feliciano.» disse, rimanendo inascoltato «E’ lui la ragione principale della tua debolezza, quando saremo solo io e te… tornerai perfetto»


Sì, era così. Sapeva che il suo Capitano non era cambiato, sapeva che quella era solo una maschera, doveva solo fargliela togliere. E se non fosse riuscito a togliergliela, gliel’avrebbe strappata via.


Rivoleva indietro il suo bel tedesco. Il suo adone ariano, la perfetta macchina assassina che era stato un tempo. Non questo fragile Germania che l’unica cosa che aveva del suo vero sé era il suo impeccabile aspetto.
Luciano li guardò per qualche altro istante.
«Goditelo finché puoi, Felicia’. Sto per strappartelo» disse «Ci sarai tu in questo fottuto nulla presto, non io.»
E poi lo specchio tornò a riflettere la stanza.




Germania, il ‘grande’ Germania era terrorizzato. Terrorizzato da sé stesso, da quei pensieri che si stavano facendo sempre più intrusivi dalla visita di Luciano nei suoi sogni. Terrorizzato che la prossima volta che avrebbe ceduto anche solo per un’istante com’era successo all’incontro, non sarebbe riuscito a fermarsi.
Che avrebbe ceduto e non poteva, non poteva permetterselo.
Non dopo quello che aveva fatto.
Non poteva rischiare di farlo ancora.


Per fortuna aveva Italia con sé, il caro, dolce Italia. Il suo alleato, il suo migliore amico che sapeva sempre come trattarlo, sapeva sempre come trascinarlo fuori dai suoi pensieri. Come distrarlo e contemporaneamente rassicurarlo.
Ogni sua azione nei suoi confronti che cementava quella che era cominciata a sembrargli quasi la delusione di un folle.
‘Non sei un mostro, Germania’ certo non l’aveva mai detto in questi termini, ma sapeva che lo pensava.
Lui non era un mostro.
Era solo… ancora turbato da quello che aveva permesso succedesse, sì… era così. Non era un mostro.
«Germania?» lo chiamò Italia. Ludwig si sentì tranquillizzato dalla sua semplice presenza, non aveva neanche bisogno di vederlo per sentirsi più tranquillo. «Come ti senti?»
«Meglio, Italia, molto meglio. Grazie per essere rimasto.»rispose, stava per alzare lo sguardo dai documenti(che non aveva ancora veramente letto) per guardare Italia ma la nazione mediterranea ridacchiò appena e scivolò alle sue spalle.
Germania sorrise. L’atteggiamento spensierato e giocoso di Italia lo stava aiutando molto ultimamente.
Sentì le mani dell’italiano posarsi sulle sue spalle, per un istante si irrigidì, involontariamente, dannata sia la sua paranoia.
«Italien..?» disse, mentre cercava di voltare il viso per avere almeno uno scorcio di Italia, ma venne bloccato dall’italiano.
«Ha-ha, Germania. Non ti girare» gli disse giocoso e Germania sapeva di potersi fidare di Italia, anche se qualcosa da qualche parte in quella sua mente traditrice gli diceva di non farlo, gli diceva che c’era qualcosa di strano nella voce di Feliciano, ma lo ignorò. Era semplicemente quella traditrice che cercava di farlo isolare completamente, lo sapeva. «Ora, rilassati, Capitano. Rilassati e lascia fare a me»


«Italia-» iniziò ma venne rapidamente zittito dall’italiano con un divertito ‘shh, Capitano’ e il numero di volte in cui lo stava chiamando il quel modo, gli stava davvero facendo gelare il sangue.
Sapeva che era Italia.
Ma pensava a Luciano ogni volta che lo sentiva.


Ma poi Italia iniziò a massaggiargli le spalle, e il collo, con quelle sue esili mani delicate. E Germania sentì la sua preoccupazione sciogliersi insieme alla tensione che era rimasta intrappolata nei suoi muscoli.
Poteva quasi immaginare Italia sorridere mentre lo faceva, sorridere mentre lo aiutava a rilassarsi appena un po’ di più di quanto era capace.


L’oscurità nella sua mente era andata, chiusa da qualche parte, mentre Italia continuava.
«Va molto meglio, vero, Capitano?» gli chiese dolcemente. E per una volta non fu neanche turbato dall’uso di quel titolo.
Riuscì appena a raccogliersi abbastanza per rispondergli con uno scialbo e morbido assenso.
«Ti ho detto che potevi fidarti di me, non è così Capitano? Farò sempre ciò che vuoi.» disse l’italiano «Io non ti tradirò mai»


E furono quelle parole a risvegliare la paranoia di Germania a portarlo di nuovo in all’erta.
‘Non ti tradirei mai, Capitano’ gli aveva detto Luciano.
E Italia non aveva ragione di parlargli di fiducia, Feliciano sapeva che si fidava di lui con la sua stessa vita.


Le mani di Italia -?- si fermarono, le dita curvate ai lati del suo collo, i pollici uniti contro le vertebre.
«Ti ci è voluto un po’ per capirlo vero, mio Capitano?» soffiò Luciano, piegandosi leggermente in avanti e facendo una sgradevole pressione contro le sue vertebre cervicali, ma Germania non si mosse. «E’ naturale, ti fidi più di me che di Feliciano. Sai che io non ti tradirò mai, mentre quel debole l’ha fatto. Ti ha voltato le spalle e se n’è andato con gli Alleati. Io non l’avrei mai fatto, avrei preso la caduta con te… avrei cercato di non farti mai cadere, mio Capitano» l’italiano fece un’altra pausa, diminuendo la pressione delle sue mani «Non ti avrei mai tradito, ma quel dannato di un inglese mi ha cacciato, intrappolato in una dimensione vuota, hanno lasciato il controllo a Feliciano e il codardo ha firmato la resa a Cassibile, io non lo avrei mai fatto. Mai. Avrei preferito morire che tradirti.»


«Feliciano ha fatto solo quello che era giusto per voi. La vostra gente stava morendo, Luciano.»


«No!» esclamò con un grido strozzato, come incredulo delle sue parole. Stringendo le sue mani, impedendogli quasi di respirare correttamente «Non era giusto, e i nostri figli erano felici di morire per te, perché io avrei dato tutto per te, mio Capitano. Tutto. Tutto e non ti permetterò di parlare in questo modo, non fino a che non sarai tornato in te» aggiunse, e nel suo tono così ossessivo c’era un sottotono di tristezza che fece accendere un fuoco di rabbia nel petto del tedesco.
Come poteva essere triste, perché non era più quel mostro?
Come poteva, dopo tutto quello che aveva fatto?


Lui era Germania!
Quello che era stato prima era solo un sadico mostro che non meritava il suo status di nazione.


Portò le mani ai polsi esili dell’altro italiano e cominciò a stringere, a stringere fino a che quel folle non avrebbe lasciato la presa. Ma non lo faceva.


«Va bene, Capitano. Va bene, so che sei arrabbiato, so che non avrei dovuto parlarti così, ma so anche che è l’unico modo per farti tornare quello che eri» gli disse il suo tono dolce eppure che ghiacciò tanto Germania da bloccarlo ancora una volta. L’italiano ossessivo sfruttò il momento e sfilò le mani dalla presa del tedesco, e ne portò una alla sua testa, le sue dita sottili che si stringevano fra quelle ciocche dorate. E veloce prima che il tedesco potesse reagire gli calò la testa contro la scrivania, facendogli perdere i sensi. «Mi dispiace, Capitano. Mi dispiace. Ti assicuro che lo sto facendo solo per il tuo bene…» disse, il suo tono veloce, frenetico quasi come se non si capacitasse di aver effettivamente fatto male al suo caro Capitano. Prima che una luce irata bruciasse in quei suoi occhi innaturali e mortali. «E non avrei neanche dovuto farlo se quel fottuto, bastardo di Feliciano non ti avesse riempito la testa con quelle sue cazzate!» gridò.
Scoccando uno sguardo furioso allo specchio dove Feliciano impotente li guardava.
La sua bocca aperta in un grido disperato, le sue mani premute contro il vetro come se sperasse di poterlo rompere.
Luciano gli lanciò un altro sguardo e poi sollevò, anche se con fatica, il tedesco.
Aveva un posto dove portarlo.
Un luogo che nessuno conosceva a parte loro due.
Così vicino ma anche così nascosto.


Luciano sorrise.


‘Andrà tutto bene, Capitano. Ora ti riporterò indietro e poi saremo di nuovo solo io e te’








Freddo.
Non riusciva a muoversi.
Non poteva.
Qualcosa gli stringeva i polsi, glieli teneva bloccati.


Was? Wo… Wo war er?

Ci mise un po’ a ricordare. La sua camera, Feliciano era arrivato… solo… che non era Feliciano. Non era il suo dolce Italia, no era quel folle, ossessionato di Luciano!
E… cos’era successo? Luciano gli aveva detto qualcosa, non ricordava le parole esatte ma il suo tono lo faceva rabbrividire al solo pensarci. E poi..
Aveva detto qualcosa che aveva fatto perdere la pazienza al pazzo e…
Un forte dolore.
Nero.
E la prossima cosa di cui si era reso conto era il freddo.
Intorno a sé non riusciva a vedere nulla, completa oscurità. Non doveva essere così, non poteva non vedere nulla, non in modo così assoluto, anche nel buio più fitto riusciva a vedere qualche sagoma… non ora.
Che… che gli aveva fatto?!


Sentì dei passi, una risatina leggera e poi delle mani calde posate sulle sue braccia.
«Fermo, Capitano, non ti agitare. Ti farai male, non voglio che tu lo faccia» la voce di Luciano era molto più calma ora. Tranquilla, osava dire, ancora ossessiva oltre ogni misura ma tranquilla.
Germania però non si fermò cercò ancora di muovere le braccia, o anche le gambe, ma sembrava essere nella stessa situazione.
«Dove mi hai portato?!» ringhiò sentendo il panico ribollirgli nel petto. Doveva cercare di calmarsi… Lo sapeva, ma non poteva. Non ci riusciva, non mentre quel pazzo lo aveva bloccato da qualche parte, non mentre non riusciva a vedere nulla.


Luciano non sembrava infastidito mentre gli sussurrava di calmarsi, le sue mani calde che si stringevano sulle sue spingendole leggermente all’indietro contro la superficie su cui era steso, bloccandogli così qualunque movimento delle braccia.


«Non è importante, Capitano, quello che è importante è che siamo solo noi due e nessuno può trovarci. Avrò tutto il tempo di levarti questa maschera che tieni e poi saremo liberi, insieme»


«Maschera?» ripeté, cercando di concentrarsi su qualcosa che non fosse il fatto che era solo.
Con quel pazzo. Dove nessuno poteva trovarli. «Non ho nessuna maschera! E’ quello che sono.»
«No, non è vero, Capitano lo sai che non è così.» ribatté Luciano, la sua voce che gli suonava così vicina ma non abbastanza perché riuscisse a sentire il suo respiro contro la pelle o perché il suo calore potesse distrarlo da quel gelo tremendo.


«Non sono più quel mostro, Luciano» disse con la voce più ferma di cui era capace, mentre cercava di capire come provare a levarsi da questa situazione così svantaggiata. Sentì Luciano prendere un respiro tagliente come se la sua affermazione l’avesse ferito, le sue mani si strinsero appena ma non gli fece male, non stavolta. «La guerra è finita, sono andato avanti. Sono cambiato.»


«Se sei cambiato, Capitano, allora perché i tuoi sogni sono gli stessi di allora?» gli chiese quasi con un pizzico di scherno, una fredda nota ironica che però risuonava in tutta la domanda. Gli lasciò le mani, per percorrere poi le sue braccia con solo la punta delle dita, in un tocco che era lì e non lo era come quello di uno spettro. «Perché li sogni ancora quei fuochi? Quelle suppliche disperate soffocate dalle tue truppe marcianti? Quell’odore acre di carne umana bruciata che lasciava le ciminiere, il fumo che si confondeva con le nuvole. Li ho visti i tuoi sogni, Capitano, e so che sono gli stessi, potrei rimanere qui ad elencarli, ma poi... li conosci, vuoi solo negarli» e le sue parole erano calde contro la sua pelle, Germania voltò il viso, anche se non riusciva a vederlo, come per affrontarlo.
Le loro labbra si sfiorarono.
Luciano sorrise ancora una volta.


«No… non sono così, non più…»
«Shh, Capitano.» lo zittì in quello stesso modo e quello stesso tono che aveva usato quando ancora credeva lui fosse Italia. «Non negarlo, è inutile. Lo rivuoi, il tuo cuore lo chiama. Perché non riaverlo? Saresti così forte, potente… Nessuno potrebbe fermarti, perché non smetti di fingere di essere questa… Germania addomesticata


«Ho perso mio fratello nell’ultima guerra, non… farò lo stesso errore due volte...» insistette, la sua voce era più ferma ora. Anche se la vicinanza con Luciano lo destabilizzava. Una parte di lui era ripugnata dal folle italiano, l’altra lo bramava, tanto quanto bramava il potere e la Gloria.


Luciano ridacchiò dolcemente.«Tuo fratello? Preußen? Non credo che ti preoccupi davvero, ricordi cosa gli hai fatto? Quando avete parlato nel ‘33?» sussurrò. E Germania non voleva ricordare… non voleva. « ‘Dovresti essermi grato, perché ti ho portato sotto la mia bandiera invece di seppellirti con i tuoi principi e i tuoi re e il tuo misero onore massacrato, dovresti inginocchiarti e chiedermi perdono...’ Ricordi come finiva, Capitano? Dillo, ti prego. Fammi contento solo stavolta. Ti toglierò la benda, promesso» La voce di Luciano aveva preso via via un tono più piagnucolante, seppure suonasse tanto esagerato e fanciullesco da suonare completamente sbagliato.
Ma Germania non ci fece caso.
Non molto, perché sentendo quelle parole, si era reso conto di conoscerle…
Le aveva davvero dette?
A suo fratello?
Sì.
Lo aveva fatto.


«Il trattato andava firmato. Saremmo stati completamente annientati sennò. Cosa ne sarebbe stato di te?» Gilbert gli aveva parlato con calma, le mani aperte di fronte a sé come in segno di resa, nel tentativo di calmarlo.
Ma lui era così, così infuriato.
Le sue parole, il suo continuo screditare il Führer. I suoi commenti. Non ne poteva più, aveva sopportato oh, se lo aveva fatto.
Quante possibilità gli aveva dato?
Non ricordava ormai.
«Avremmo perso comunque la guerra, ormai sei abbastanza grande da capirlo, no? Non puoi continuare a credere nelle favole, non importa come Herr Hitl- »
Prussia non riuscì mai a completare quella frase, no.
Lo prese per il collo e lo spinse fuori dalla finestra, tenendolo sollevato sopra la parata che si stava svolgendo sotto di loro.
Voleva lasciarlo cadere, lasciargli vedere che i suoi tedeschi, i tedeschi che contavano davvero, lo avrebbero calpestato senza riguardo, perché la Prussia non era più nulla.
Uno stato decadente, qualcosa che sarebbe morto se non fosse stato per lui.
«Penso che sei tu quello che crede nelle favole, fratello» gli aveva ringhiato contro, ignorando volutamente il modo in cui Prussia aveva cominciato ad artigliargli le mani, per reggersi e allo stesso tempo nel disperato tentativo di poter respirare « Favole che parlano di Kaiser e castelli, dove la grande Prussia governa su tutte le terre tedesche. Lasciamelo dire fratello: E’ finita. Persino il tuo cancelliere voleva che io nascessi, anzi lui è il motivo del perché sono nato. Cosa dice questo sulla ‘tua’ gente, Großer Preußen


Gilbert non gli aveva risposto, lo aveva guardato, i suoi occhi che andavano sfocandosi e le sue mani che cominciavano a perdere qualunque forza. E poi aveva riso, un suono soffocato e senza fiato. «Finalmente la tua faccia si adatta alla tua mente, Bruder»; un sorriso velenoso gli piegava le labbra.
E lui voleva cancellarglielo. Voleva strapparglielo via.
«Non sarà mai più come prima. Anche dopo il nostro Führer, io continuerò ad esistere. Io, il Terzo Reich, diventerò potente come il Sacro Impero Romano e tu, tu rimarrai per sempre una mia regione» ringhiò. E poi con un unico movimento aveva scagliato suo fratello dentro, contro il pavimento.
Non gli aveva dato neanche il tempo di riprendere fiato prima di schiacciargli il viso sotto la suola del suo stivale, sorridendo freddo, appagato dalla debolezza del suo fratello maggiore, dal modo in cui poteva fargli tutto, tutto quello che voleva.
Senza conseguenze perché adesso aveva il potere.
« Dovresti essermi grato, perché ti ho portato sotto la mia bandiera invece di seppellirti con i tuoi principi e i tuoi re e il tuo misero onore massacrato, dovresti inginocchiarti e chiedermi perdono...


«Mio caro Untermensch Bruder...» sussurrò il tedesco senza neanche volerlo. Sconvolto dal suo ricordo.
Come poteva Prussia continuare a trattarlo come un fratello?
Dopo che gli aveva fatto questo? Dopo che si era accanito contro di lui.
Dopo che… lo aveva chiamato in quel modo, come se lui fosse l’errore…


Quasi non sentì Luciano ridere, mentre si allontanava da lui per battere le mani, entusiasta.
«Sì, Capitano! Sì, così, lo ricordi ora? Quello che sentivi, lo ricordi?» gli chiese frenetico come un bambino che aveva appena visto il regalo che aveva sempre voluto e non vedeva l’ora di scartarlo.


Germania ricordava.
Sì, ricordava, ma quello che sentiva era solo disgusto, odio profondo verso di sé.
Tutto quello che aveva sentito era sbiadito.


«Rabbia» gli rispose, e non mentiva era quello che stava provando anche ora. «Odio» aggiunse.
E poté quasi sentire il sorriso che ora stendeva le labbra di Luciano dalle sue esclamazioni entusiaste.
Sentì le mani del folle italiano avvicinarsi al suo viso e dovette fare quanto in suo potere per non allontanarsi.
Lo sentì sciogliere qualcosa e qualche istante più tardi, una fredda luce bianca inondò la sua visione.
Accecandolo per qualche attimo.
Batté le palpebre cercando di far adattare i suoi occhi alla luce.
E finalmente ebbe una chiara visione di dov’era.
E… ricordava quel posto.


Anche se l’ultima volta che lo aveva visto, nell’39, era in condizioni decisamente migliori. L’umidità del terreno berlinese era penetrata senza difficoltà oltre il cemento armato, appropriandosi delle pareti con lunghe strisce scure che parevano colare dal soffitto o salire gradualmente da terra, che a giudicare dalle crepe e dal viscoso strato nero che la ricoprivano doveva anche essere stata sommersa in qualche periodo, probabilmente dopo che aveva fatto disattivare l’impianto di drenaggio, visto che aveva intenzione di scordarsi completamente di quel bunker.
Il suo bunker per essere precisi, un luogo dove avrebbe potuto ritirarsi in caso di bombardamenti dalle forze Alleate. In verità dopo la sua costruzione non vi era mai veramente stato, se non quando aveva mostrato la sua locazione a… Luciano.


Guardando quella stanza e il decadimento che lo circondava, per un istante pensò che questo rappresentava al meglio quello che era stato, intoccabile all’esterno, ma dentro? Dentro era marcio, contorto, avvelenato dal pensiero distorto della sua gente.
Ma, adesso tornando a questioni più pressanti, con cosa l’aveva legato? Non aveva nulla che potesse essere… a meno che…
Spostò lo sguardo verso il basso, vide uno spesso cavo nero legato ad una delle colonnine in legno, stranamente quasi del tutto intatto, abbastanza robusto per resistere alla sua forza, del letto ed un altro nella posizione esattamente speculare. Sì, aveva usato i cavi che erano rimasti nella stanza di stoccaggio.
Non poteva romperli, non facilmente almeno.


Il suo sguardo si posò infine sul folle italiano, come aveva immaginato aveva un ampio sorriso sul viso e lo guardava con gli occhi magenta scintillanti in egual misura di gioia e follia.


Lo odiava così… così tanto.


«Oh, Capitano. E’ così bello vederti di nuovo!» esclamò, ma nonostante le sue parole non fece una mossa per liberarlo.
Non era uno sprovveduto, poteva essere completamente pazzo, ma era ancora abbastanza logico da non liberare un potenziale nemico.


Luciano in quel momento si sentiva al settimo cielo, erano gli occhi gelati del suo Capitano a guardarlo.
Freddi come se l’inferno stesso si fosse gelato nella loro furia, brillavano di fiamme cristallizzate nel loro momento più brillante.
Luciano amava quegli occhi e ora lo stavano guardando di nuovo, senza una traccia della debolezza del Germania di Feliciano.


Il suo Capitano era così, così vicino alla superficie, doveva solo aiutarlo un po’ perché togliesse del tutto la sua maschera.
Lo stava per liberare e poi insieme avrebbero ripreso quello che era loro di diritto.


«Non sono il tuo Capitano, Luciano. Non lo sono più.» Gli disse gelido Germania. E Luciano sentì un po’ della sua gioia svanire.
Aveva ricordato!
Aveva ricordato!
I suoi occhi erano tornati gelidi come quelli del suo Capitano, perché allora continuava ad essere debole? Perché?!

«No! Non è così, Capitano! Lo sai, lo sai che non è così!»; Non voleva perdere la calma.
Ma le sue parole così ostinate ci stavano riuscendo.


Bene, se il suo tedesco voleva tanto rimanere attaccato alla sua maschera, allora doveva proprio strappargliela.


Lo guardò infuriato.
E poi si diresse verso di lui.
Stringendo le mani intorno al suo collo, ghignando quando vide la maschera spalancare gli occhi, perdendo lo sguardo freddo del suo Capitano, mentre inutilmente si agitava per cercare di scrollarselo di dosso.


«Mi hai costretto a farlo, ma se non vuoi toglierti questa maschera devo, Capitano.» gli disse «Mi dispiace davvero, credimi, non ti farei mai del male… se ci fosse un’altra possibilità» aggiunse in un tono più basso quasi privo di rabbia, che stonava col suo sguardo ancora furioso.


L’italiano strinse e strinse, ignorando volutamente il fatto che ferire il suo Capitano gli stava facendo davvero, davvero male. Che stava tirando quell’ultima corda di sanità rimasta nella sua mente impazzita, ma doveva.
Doveva, se lo rivoleva indietro.
Non l’avrebbe mai fatto altrimenti.


Gli faceva male vedere il suo Capitano, imprigionato nel suo debole guscio addomesticato, agitarsi inutilmente per cercare di fermarlo, i cavi talmente tesi che non dubitava neanche per un secondo che se non fosse soffocato prima li avrebbe fatti scattare, la plastica e il rame potevano resistere solo a tanto.. prima di spezzarsi.


Sentiva quegli occhi non più tanto ghiacciati fissi nella sua anima, anche ora che andavano sfocandosi e perdendo la concentrazione. Sentiva il tradimento che il suo Capitano stava, sicuramente, provando trafiggergli il cuore, ma voleva distruggere quella maschera per liberare la vera nazione che vi era dietro, quindi doveva.
Avrebbe capito quando sarebbe stato libero.
Quando sarebbe tornato in sé.


‘Mi dispiace, Capitano’ mormorò come in una litania, senza mai lasciare la presa fino a che il tedesco non fu immobile, qualunque luce sparita da quegli occhi così azzurri da sembrare di vetro.
Doveva ammettere che erano bellissimi anche così.
Anche ora che erano ciechi a tutto… erano davvero mozzafiato.


Allentò, lentamente, la presa delle sue mani fino a che non furono solo posate, senza intento violento, su quella pelle chiara e perfetta.
Il freddo umido del bunker che strappava via, velocemente qualunque calore vi fosse nel corpo, ora, esanime del tedesco.


Luciano però non provava rimorso nel sentirlo, il suo Capitano non era umano. Sarebbe tornato presto e lui lo avrebbe soffocato un’altra volta e poi un’altra ancora, fino a che non avrebbe cominciato a confondere i momenti in cui era vivo e quelli in cui non lo era.


Non potendo più sopportare la vista di quei bellissimi occhi azzurri che lo fissavano li nascose dietro a quello stesso tessuto che li aveva nascosti prima, quando ancora brillavano. Non strinse troppo il nodo però, voleva che il suo Capitano non potesse vedere non che il tessuto premesse contro i suoi occhi.


Lo amava troppo per rischiare di danneggiarli. Anche se sapeva che era difficile ferire una nazione in modo permanente, soprattutto considerando che non aveva intenzione di danneggiare Regensburg, ma non poteva permettersi di rischiare, non con qualcosa di così unico e bello.


Adesso, pensò, non gli restava che aspettare che si risvegliasse.
Non pensava ci sarebbe voluto molto, il suo corpo era intatto non c’era nulla che potesse distrarre il suo animo di nazione dal ritornare nel suo corpo ‘umano’.


E mentre attendeva, pensò che non gli sarebbe dispiaciuto avere uno specchio da dove Feliciano avrebbe potuto vedere come spezzava la maschera dietro alla quale aveva costretto il vero Germania a nascondersi. Sarebbe stato divertente, pensò con una bassa risatina che suonò nel silenzio con la stessa forza di esplosione, irritando leggermente Luciano che la interruppe rapidamente.


Se c’era una cosa per cui il Regime Fascista non era conosciuto questa era: l’avere pazienza.
Odiava aspettare.
Lo faceva sentire inutile.
Soprattutto dopo aver passato gli ultimi settant’anni bloccato in una dimensione vuota in cui l’unica cosa che poteva fare era osservare come gli altri costringevano il suo forte, fiero e feroce Capitano a diventare poco più di un segugio al lazzo della nazione più militarmente potente. Fino a che avevano deciso di togliergli anche quello, e di farlo diventare da lupo a cane. Lo avevano costretto ad ammansirsi, a diventare debole come loro.
E Luciano era così tanto infastidito da quello.
Dal modo in cui sfruttando la politica, la società e persino l’economia avevano modellato un guscio di debolezza intorno al suo Capitano.
Sì, la sua situazione attuale era ottimale rispetto a quella post-Grande Guerra ma il suo Germania era scomparso… e ancor peggio rinnegava quello che lo aveva reso grande e il suo desiderio di tornare ad esserlo.


Povero il suo Capitano, imprigionato in quel guscio di sé.
Dietro quella fastidiosa maschera.


Ti riporterò indietro, è una promessa


E così come si era promesso di fare, quando vide il suo Capitano tornare gli diede appena il tempo di riprendere fiato di tornare nel mondo dei vivi, lontano dal limbo delle nazioni. Prima di stringere le mani intorno al suo collo e farlo soffocare.
Scusandosi, sempre, frenetico. Chiedendo perdono e cercando di giustificarsi.
Scivolando senza rendersene conto nella lingua delle nazioni, non una parola in tedesco lasciava più le sue labbra, ma una serie di suoni morbidi e musicali accentati in un alternanza dolce.
Luciano non ricordava l’ultima volta che aveva parlato quella lingua.
Lo Shaykomay.
La lingua del mondo.
Ma al momento non gli importava davvero.
Quello che gli importava era ciò che stava facendo e l’obiettivo che lo stava guidando.
Doveva distruggere quella maschera per riportare il suo Capitano.








Nero.
Freddo.
Si sentiva intorpidito, non ricordava l’ultima volta in cui si era sentito così.


Si sentiva galleggiare.
Bloccato fra il voler/dover ritornare nel suo corpo fisico e rimanere disperso nel niente.


Era ancora con Luciano?
O era solo?


Poteva provare ora a cercare di prendere un respiro, sperare di schiarirsi la mente.. o gli sarebbe stato impedito di nuovo?
Anche se non era esattamente sicuro di aver bisogno di farlo, si sentiva abbastanza lucido.
Perso.
Confuso.


Ma lucido… forse.
Era lucido se non riusciva nemmeno ad essere certo di essere nel mondo dei vivi o in quella sorta di limbo vuoto che attendeva le nazioni alla loro morte?


Non c’era nulla intorno a lui.
Non vedeva, né sentiva qualcosa.
Percepiva solo un profondo gelo umido che sembrava ghiacciarlo fin nelle ossa… se le aveva… se non fosse nel limbo e fosse di nuovo vivo.
Non percepiva neanche il calore del corpo dell’altro Italia.
Forse era ancora nel limbo.


Forse...
No.
Era già passato… non era lì… non poteva esserlo.
E se invece… lo fosse?
Se fosse in Baviera?
In quel sepolcro, per vivere il suo Todentgegenkommen.
Questo avrebbe spiegato così, così tanto.


Anche se non capiva perché si era visto in quel modo…
No, lo sapeva, la morte per lui sarebbe stata possibile solo se fosse diventato debole.
Aveva capito.
Aveva capito tutto.


Aveva incontrato la sua ‘morte’ vi si era lasciato trascinare, troppo accecato da quella debolezza che gli avevano spinto di fronte come normale.
Avevano lasciato che riallacciasse i suoi rapporti con i suoi alleati, ormai anche loro privi della loro ferocia, per tenerlo ‘buono’ come fosse un cane a cui lanciare un osso per tenerlo tranquillo.


Gli avrebbe mostrato cosa succedeva quando cercavano di controllare il Terzo Reich.


Li avrebbe schiacciati. Sconfitti.
Sarebbe tornato al vertice, talmente forte da poter combattere in parità contro Russia in uno scontro uno ad uno.


In quell’esatto momento Germania-?- si sentì tirare via dal nero, da quel gelo. La sua anima di nazione che si ricongiungeva col suo corpo fisico.
Berlino che batteva forte, riscaldando il suo corpo gelido.


«Luciano» ringhiò. Certo che il suo kleinen Italien non avrebbe esitato ad arrivare, ovunque fosse, ne sarebbe andato della sua salute se ci avesse provato.
Sentì immediatamente dei passi veloci e affrettati.
«Ka-Kapitan?» lo sentì sussurrare.


Aveva sempre odiato il modo in cui Italia parlava la sua lingua, il tedesco andava parlato non cantato in quel modo dolce con cui gli italiani parlavano quella loro lingua languida.


«Befreie mich, Italien» rispose. Se Luciano non avesse obbedito immediatamente, lo avrebbe fatto pentire. Voleva dei soldati veloci, pronti ad eseguire qualunque suo ordine all’istante, e non avrebbe sopportato di rimanere bloccato un istante di più per quel piccolo peso di un italiano.


«J-Jawohl, Kapitän» lo sentì dire, in un sussurro estatico, la sua voce che tremava un po’ per un emozione che il tedesco non si preoccupò nemmeno di leggere.


Non ci volle molto prima che le veloci mani esili del fascista lo liberassero da quelle stesse restrizioni con cui lo aveva bloccato.
Non appena fu libero e poté vederlo, non impiegò che un istante ad alzarsi e squadrare Luciano, infastidito da lui e dalla sua piccola trovata, anche se… se non fosse stata per quella sarebbe ancora intrappolato in quel guscio debole e riprovevole di sé stesso.


Se la sarebbe cavata con un avvertimento.


Lo afferrò per i capelli e gli tirò la testa indietro, facendogli perdere l’equilibrio con la velocità dei suoi movimenti, non gli importava, davvero finché quell’italiano si ricordava dov’era il suo posto, in ginocchio come gli altri, sottomesso al suo comando.


«Sono il tuo superiore, in ogni senso, Kleinen Italien. Se oserai ancora tentare di cercare di controllarmi, ti staccherò la testa con le mie mani e ti appenderò sull'Altare della Pace, mi hai capito?» La sua voce era bassa e fredda, letale come l’inverno.


Luciano annuì velocemente, un lieve sorriso sul suo viso.
Il suo corpo tremava.


Disgustoso sodomita.
Italia non aveva mai nascosto il suo desiderio per lui, e per quanto lo disgustasse,
Germania doveva ammettere a sé stesso che era l’unico su cui potesse scaricare qualunque forma di frustrazione senza dover controllare la sua forza di nazione… non che ora ne avesse molta.


«Voglio sentirtelo dire, Luciano. Mi hai capito?» scandì, parlando in Shaykomay senza preoccuparsi di parlare nella sua lingua nazionale, l’effetto al suo tono in quella lingua così personale per ogni nazione, fece rabbrividire l’italiano che si affrettò col suo ‘Jawohl, Kapitän’. Il suo sguardo magenta rimaneva però folle e felice, come se la sua mente non partecipasse alla paura del suo corpo.


Lo lasciò andare. Lasciando che cadesse in ginocchio di fronte a lui.
L’uniforme bruna dell’italiano si macchiò facilmente a contatto con quella fanghiglia nera di muffa e umido che rivestiva il pavimento, ma non sembrò curarsene particolarmente.
Mentre lo guardava, servile e felice, qualunque forma di sanità lasciata nella mente del fascista andata.
«Alzati, Italien.» Ordinò mentre già gli voltava le spalle, certo che non fosse diventato abbastanza pazzo da attaccarlo dopo la minaccia che gli aveva appena fatto, dirigendosi verso la porta con passo sicuro «Ho un partito da riformare, una nazione da risollevare e un mondo da conquistare» aggiunse, con lo stesso tono freddo di prima.
Non era solo un piano.
Era una certezza.


Avrebbe riavuto il suo potere.
La sua Gloria.


Non aveva iniziato una Guerra per continuare ad avere solo ciò con cui aveva iniziato.


Deutschland über alles, über alles in der Welt; La Germania sopra tutto, sopra tutto nel mondo. Niente di più vero, li avrebbe dominati e controllati tutti.


D’altronde lui era uno dei pochi Übermensch rimanenti ed era suo diritto governare il mondo.






































































Note dell’Autore


Salve, vi ringrazio tutti per aver letto.
Ora se avete ignorato gli avvertimenti di inizio storia o se avete deciso di leggere comunque dopo averli letti, vi prego di non darmi del simpatizzante nazi-fascista solo perché nella storia da me appena scritta Germania torna il Germania che era durante il Reich, io non concordo con le idee del partito nazionalsocialista o con le idee fasciste e questa intera storia non rappresenta le mie idee politiche ma solo un mio piccolo tentativo di scrivere Nazi!Germany e credo che scriverò ancora su di lui, quindi vi avviso.


Ma ora diamo il via alle vere note dell’autore con le mie spiegazioni e le mie curiosità per alcuni dettagli, oltre che alcuni headcanon personali.


I miei headcanon presenti nella storia sono:


Luciano come Regime Fascista invece che come 2P di Feliciano e il fatto che prima della fine della guerra sia stato rinchiuso da Arthur in una dimensione vuota che può usare gli specchi come finestre per questo nostro mondo.


Shaykomay: E’ il nome che ho dato alla lingua delle nazioni. E’ una lingua speciale potremmo chiamarla ‘magica’ che ogni nazione sa parlare alla nascita anche prima di conoscere la lingua del suo popolo. Non ha generi, non ha articoli come il russo o il latino, per gli umani suona come il greco sebbene non lo sia e la sua forma scritta sembra ebraico con la morbidezza dell’alfabeto thai (potete chiedere di più se siete incuriositi)


Regensburg: Ho scelto la città di Regensburg(Ratisbona) per rappresentare gli occhi di Germania a causa delle sue acque cristalline che, secondo me, possono spiegare perché gli occhi di Ludwig siano di questo azzurro artico.


Note storiche:


Resa di Cassibile: Resa dell’Italia e inizio della resistenza italiana contro il nazifascismo, firmata, in segreto, il 3 Settembre 1943, nella contrada Santa Teresa Longarini distante 3 km dal borgo di Cassabile.


Il ricordo di Germania e l’aperta ostilità dei due fratelli: Dopo il colpo di stato del ‘32 che ha portato all’assorbimento dei Freistaat Preußen nella Germania nazista, i rapporti fra i prussiani e i tedeschi erano comprensibilmente tesi(soprattutto calcolando che i prussiani avevano rifiutato il nazionalsocialismo nel loro stato precedentemente e impedito ad Hitler di visitare, o anche solo di entrare, (nel)la nazione).


Todentgegenkommen: Lett. Incontro con la morte, era un ‘rituale’, possiamo definirlo così, d’iniziazione delle SS dopo l’addestramento, per accettare anche la parte occultista mistificata dell’organo militare delle SS. Le reclute venivano chiuse, per un intera notte, in un sepolcro con solo una torcia con loro, questo serviva a far vivere loro un ‘esperienza di pre-morte’ da qui il nome: incontro con la morte, per fargli accettare e privarli della paura della morte.


Deutschland über alles, über alles in der Welt‘: Prima frase della prima strofa dell’inno tedesco, totalmente rimossa, insieme alla strofa di cui faceva parte, dall’inno dopo la guerra perché a quanto pare era considerata d’influenza negativa per il popolo tedesco.
Per il metodo che Luciano ha utilizzato per far dissociare, in questo caso quasi letteralmente, Ludwig per farlo tornare il Reich è una versione estremizzata(in quella originale erano solo esperienze di pre-morte ma essendo Ludwig uno spirito nazionale ci vuole più di quello per farlo dissociare) di una delle torture più usate nel processo di controllo mentale (ce ne sono anche altre ma sono mille volte peggiori) ideato da Joseph Mengele, lo scienziato nazista soprannominato: “L’angelo della morte”




Angolo delle traduzioni:
Ruhe!: Silenzio!

Was? Wo… Wo war er?= Cosa? Dove...Dov’era?


Preußen=Prussia


Kaiser= Imperatore


Großen Preußen= Grande Prussia


Untermensch Bruder= Fratello subumano (vuol dire che Nazi!Germany considerava suo fratello al pari dei nemici della patria(siamo nel ‘33 ancora non c’erano le persecuzioni antisemitiche o razziali)


Kapitän= Capitano


Befreie mich= Liberami


Jawohl, Kapitän =Sì, Capitano (Lett. Sissignore, Capitano)


Kleinen Italien= Piccolo Italia






Quindi ricapitolando grazie mille per esservi fermati a leggere spero vi piaccia abbastanza da lasciarci una recensioncina per dirmi il vostro parere.
-Anthony Edward Stark
   
 
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