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Autore: Cry_Amleto_    14/07/2018    0 recensioni
Tratto dal testo: "L'unica cosa che abbia avuto senso è stata vissuta in quell'estate, vissuta da quei due ragazzi che hanno creduto di avere il diritto di essere felici.
L'amore è caduto, assorbito dalla terra e nessuno potrà più assaggiarne il sapore. Non restano che anime intrecciate negli aghi di pino. Mani intrecciate per le dita.
L'ultimo fuoco artificiale si spegne. Rimane una cicatrice di fumo nero che il vento spazza via."
- Ispirato a Stranizza di Valerio La Martire -
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Ma ora non ha importanza'
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Il primo fuoco d'artificio dell'ultima notte d'estate oscura le stelle con uno scoppio. Poi un altro, un altro e un altro ancora.
Li odia i fuochi d'artificio. Quelle fiamme colorate che esplodono in cielo per poi morire così in fretta gli hanno sempre messo addosso una grande tristezza. Solo una scia di fumo che ne ricalca la forma lascia traccia della loro esistenza. Poi anche quella sparisce. 
Così belli nella loro caducità.
Così rumorosi, tanto da coprire pensieri, parole, colpi di pistola. 
Un colpo di pistola.
Raggiunge il suo obbiettivo senza esitazione, si fa strada nella nuca di Masi e non può far nulla per impedirlo.
La vespa cade, li sbatte a terra. 
La fuga è un'illusione che salutano con occhi bagnati ed un sibilo che non ha il tempo e la forza di trasformarsi in urlo. 
Nando si mette a gattoni, le ginocchia e le braccia gli bruciano per le sbucciature. Ma non importa. 
Raggiunge Masi e lo poggia con attenzione contro la corteccia ruvida del pino marittimo. Non guarda la ferita. 
"Tuttu beni" pensa, forse dice anche, i fuochi coprono tutto. "Tuttu beni, Masi. Tra picca nuautri annammu via."
E ancora Masi, Masi, Masi. È l'unica parola che riesce a pensare, mentre si mette in piedi, in attesa dell'inevitabile.
 
Ed eccolo Tano, non poteva essere che Tano. Scende dal motorino truccato e gli si pianta davanti, a un passo da lui.  
Nando non l'ha mai visto così enorme. Capisce di non essere che un ragazzino che fronteggia giganti. Capisce che la fine della storia è già stata scritta. Ma non importa. Il suo sguardo è fermo, troppo bagnato ma fermo. Accusano il gigante i suoi occhi nocciola che non sono mai stai così neri. 
Il cielo continua a sfrigolare di colori funerei, squarciato da ferite blu, gialle, verdi, rosse lava fuoco. Ma ora c'è silenzio. C'è silenzio per Masi. C'è silenzio per Nando, immobile con le gambe sottili nella terra quasi a voler essere anche lui albero. 
Tano lo guarda, i suoi occhi piccoli sono vacui. La pistola è pesante, troppo tempo che la tiene in mano. Non sa se c'è qualcosa che deve dire. Non sa se deve tacere.
«Accussì è statu dicisu.» dice Tano, la sua voce supera i fuochi. «Schifu è chiddu ca fate.» 
Nando chiude gli occhi, annuisce piano. È per quello che stavano scappando, le promesse eterne, senza pegni, ancora sulle labbra. 
C'è ancora silenzio tra il bimbo e il gigante.
Ci sono ancora i fuochi che incendiano la notte.
«Fa stìenniri a mia vicinu a iddu.» 
È ancora fisso come il pino. Gli occhi sono ancora troppo bagnati.
«Ri che parri, carusu?»
La mano stanca si stringe contro il calce. Il dito è ancora lontano dalla leva.
«Fa stìenniri a mia vicinu a iddu. È dà chi vogghiu stari.»
Nando vorrebbe stringere i pugni e alzarsi in alto, più in alto del gigante, come il pino. 
«Nun riri minchiunarìe. Chi riranno doppu?»
Gli occhi bottone di Tano vanno su Masi. Nando gli si para davanti, le spalle ossute a bloccargli lo sguardo. Sembra più alto nel farlo.
«Hannu già parratu bastanti.»
La pistola è troppo, troppo pensate. Non c'è più tempo per parlare.
Tano gli fa un cenno col mento. Il collo grosso trema. Il sudore sulla fronte luccica rosso sotto i fuochi.
«Spicciati» dice solo.
 
Nando gli dà le spalle, le incurva, un albero troppo giovane che si piega sotto una frana, fino a spezzarsi. 
Cerca la mano di Masi con la propria un po' più piccola e un po' più abbronzata. Le dita un po' più sottili e un po' più scure la stringono con forza, poi con delicatezza. Il pollice ossuto ne accarezza il dorso morbido, indugiando sulla cicatrice che la percorre. Masi se l'era fatta per colpa sua, una volta che da piccoli – estati, troppo poche, prima – si stavano arrampicando sugli scogli. Quella ferita cicatrizzata sulla sua mano sempre più fredda si sarebbe dovuta aprire sulla tempia di Nando. Se così fosse stato, la terra non avrebbe bevuto tanto sangue di Masi, non quella sera, non per la sua follia. Ma non era tempo per i 'se'. Si stringe a lui ancora un po'. Affonda il naso tra i suoi capelli bruciati dal sole. L'odore del mare, di quell'estate che era stata loro, gli riempie i polmoni. Abbassa brevemente le palpebre. Quando le solleva, è pronto.  
 
I piccoli occhi di Tano si poggiano sulla creatura sotto l'albero, con gli occhi chiusi sembra che dorma. L'altra creatura si sdraia accanto a lui. Stringe a sé quel corpo morto ancora caldo. Non c'è vittoria in quell'abbraccio a cui è stato proibito d'avere significato. Ma qualcosa, nei movimenti della creatura che abbraccia il cadavere, gli dà una dignità violenta e intoccabile. Qualcosa che avvolge ciò che resta di chi sta stringendo. Qualcosa che scorre elettrica anche sulla pelle del gigante. Una cosa morta di rado riceve tanto amore. 
Tano si trova a chiudere gli occhi mentre il dito scivola nella sede predestinata dal fato. 
Nessun rimorso, nessun motivo, nessuna giustificazione. 
L'unica cosa che abbia avuto senso è stata vissuta in quell'estate, vissuta da quei due ragazzi che hanno creduto di avere il diritto di essere felici.
L'amore è caduto, assorbito dalla terra e nessuno potrà più assaggiarne il sapore. Non restano che anime intrecciate negli aghi di pino. Mani intrecciate per le dita.
L'ultimo fuoco artificiale si spegne. Rimane una cicatrice di fumo nero che il vento spazza via.
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Incominciamo col dire che sono di Napoli e il siciliano me lo sono ricavato attraverso i dizionari online - che tra l'altro non facevano pace col cervello, dicendo l'uno il contrario dell'altro -, e non conosco nessun siciliano. Quiiindi, se qualcuno di voi lo è e può correggermi, per favore, fatelo.
Qui di seguito traduco i dialoghi perché boh, magari sono chiari solo a me perché li ho scritti.
- "Va tutto bene" "Va tutto bene, Masi. Tra poco andiamo via"
- "Così è stato deciso" "Fate schifo."
- "Fammi stendere vicino a lui"
- "Di che parli, ragazzino?"
- "Fammi stendere vicino a lui, è là che voglio stare."
- "Non dire cavolate" "Cosa diranno dopo?"
- "Hanno già parlato abbastanza."
- "Sbrigati"
   
 
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