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Autore: Il cactus infelice    15/07/2018    1 recensioni
Cinque mesi prima Ianto ha avuto un incidente alieno che gli ha fatto perdere la vista. Ma ha anche guadagnato dei sensi particolarmente sviluppati e ora è presente sul campo più di prima. Anche con Jack le cose sembrano essersi fatte più serie.
Ma delle cose succederanno, succedono sempre. Forse il Capitano dovrà imparare ad avere più cura delle persone che gli stanno attorno.
(One shot ispirata a Daredevil ma non è un crossover. C'è solo molto angst).
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ianto Jones, Jack Harkness, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TORCHWOOD

 

MISSIONE 001

 

 

 

 Jack Harkness riprese coscienza con un singulto improvviso e i suoi polmoni si misero subito a lavorare per incanalare più ossigeno possibile. 

 

Fissò gli occhi al soffitto e le sue mani si aggrapparono al pavimento bianco sotto di lui come fosse in cerca di un contatto stabile con la realtà. Lentamente si mise seduto e poi si accorse di Ianto appoggiato alla parete accanto a lui, lo sguardo immobile in un punto indefinito. 

 

“Che è successo, Ian?”
“Be’, eri morto”.
“Ma tu stai bene?”
“Sì”. 

 

Solo in seguito il Capitano si accorse che c’erano diversi uomini armati stesi a terra, tutti svenuti o comunque immobili. 

 

“Li hai stesi tutti tu?”
“Certo. Mentre tu ti impegnavi a morire”. 

 

Jack si alzò con non poca fatica e poi allungò una mano per aiutare Ianto a fare altrettanto. I due si rimisero in piedi e Jack si guardò subito attorno.
“Andiamocene prima che arrivi qualcun altro”.
“Cerchiamo una porta”. 

 

Il Capitano afferrò la mano del ragazzo e insieme iniziarono a camminare alla svelta cercando una via d’uscita.
“Di là!” disse, dirigendosi verso un’uscita d’emergenza. “Attento alle scale”. Si spostò per fare passare Ianto davanti a lui, mentre lo seguiva con il cappotto lungo che gli svolazzava dietro.  

 

Dopo una ventina di rampe di scale, si ritrovarono fuori dall’imponente palazzo senza sapere esattamente come ci fossero arrivati.
Jack afferrò di nuovo la mano di Ianto e insieme raggiunsero il Suv. Il Capitano si mise alla guida, ma non partì prima di aver guardato il giovane seduto accanto a lui.
“Senti qualcuno arrivare?”
“No, non ci stanno seguendo. Via libera”. 

 

Jack mise in moto e Ianto potè finalmente rilassarsi contro il sedile e tirare un sospiro di sollievo. Aveva come la sensazione che fossero usciti sani e salvi per pura fortuna. L’altro gli afferrò una mano per stringerla tra le proprie dita, senza dire nulla. Pure Ianto si trattenne dal fare commenti. E così, nel completo silenzio, raggiunsero la base di Torchwood dove vennero accolti dagli altri tre rimasti in attesa. 

 

“Com’è andata, ragazzi?” chiese loro Gwen, appoggiata alla sbarra del terrazzo superiore. 

 

“Più che altro abbiamo preso e dato cazzotti. Ma siamo riusciti a recuperare una chiavetta. Non so cosa contenga, ma sembrava abbastanza importante per loro”, rispose Ianto.
Jack tirò fuori la chiavetta e la passò a Toshiko già posizionata ai computer. Solo un gemito del più giovane richiamò l’attenzione di Owen che gli corse subito incontro.
“Sei ferito?”
“Credo sia solo un graffio”. 

 

“Devo dargli un’occhiata”. 

 

Ianto andò verso il lettino e con un gemito si sedette sopra, togliendosi la maglietta. 

 

Owen tornò con alcune garze e un po’ di alcol disinfettante. Indossò i guanti in lattice e diede un’occhiata alla ferita sul fianco.
“Non è grave, non hai bisogno di punti. Ti disinfetto un attimo”.
Il ragazzo si stese sul lettino e lasciò che l’altro lo curasse. Ora che l’adrenalina si stava abbassando, sentiva dolori ovunque, le ossa scricchiolare e la pelle con le cicatrici tirare. Dopotutto, aveva messo a tappeto almeno una cinquantina di uomini, quasi tutti da solo perché Jack non era molto bravo nel combattimento corpo a corpo e la sua disattenzione lo faceva uccidere spesso. Era fortunato, lui, ad essersene uscito solo con quel graffio. 

 

“Ianto?” lo chiamò Owen, probabilmente vedendolo particolarmente preso da chissà quali pensieri. “Stai bene? C’è qualcos’altro che ti fa male?”
“No, Owen, grazie. Sto bene”. 

 

I suoi colleghi - amici - erano diventati parecchio premurosi da quando aveva avuto… be’, quell’incidente. All’inizio la cosa gli aveva dato parecchio sui nervi ma alla fine aveva imparato a conviverci e, in fondo, la cosa gli faceva anche piacere. Dopotutto, l’incidente non era stato una cosa da poco: aveva perso la vista solo cinque mesi prima perché un alieno - un alieno che non erano mai riusciti a identificare - gli aveva sparato una strana sostanza acida che aveva corroso tutti gli organi interni dei suoi bulbi oculari. Da quel momento tutto il suo mondo era diventato completamente nero. Tutti i medici che aveva consultato gli avevano detto che non c’era niente da fare, che la vista non l’avrebbe recuperata manco con un trapianto. Le prime settimane erano state terribili, si era chiuso in casa e pensava che non ne sarebbe più uscito perché quello era l’unico posto sicuro per lui, che conosceva, che sapeva come era fatto e dove non rischiava di andare a sbattere contro qualcosa. O almeno, all’inizio sì, sbatteva contro ogni mobile, ma poi aveva imparato a fare attenzione.
Ma a quanto pareva, quello scontro con l’alieno non lo aveva danneggiato poi del tutto. Dopo alcuni giorni aveva scoperto di avere gli altri sensi molto più sviluppati. Non sviluppati come un normale cieco li avrebbe avuti, ma sviluppati in modo… anormale. Riusciva a sentire suoni e voci a chilometri di distanza, a sentire l’odore dei cibi che le persone avevano mangiato due giorni prima e sotto il tatto tutti i tipi di elementi che componevano un oggetto al solo tocco. Anche le papille gustative erano state toccate e dio solo sa quanto aveva vomitato dopo aver mangiato cibi troppo speziati.
Da lì aveva preso il coraggio di farsi un giro nel suo vicinato, poi nel quartiere, poi nella città e infine sul campo di battaglia. Aveva recuperato alcune nozioni di quando faceva judo per sconfiggere i nemici e con un udito ben sviluppato riusciva addirittura a sentire quando stavano per  attaccarlo grazie al loro battito cardiaco o ai respiri. Era tornato in palestra ad allenarsi e aveva trovato un maestro che aveva deciso di aiutarlo, l’unico oltre al suo team che sapeva delle sue doti.
“Fai attenzione, non sei immortale come Jack”, si raccomandò il medico mentre gli metteva una garza sulla ferita. Ianto annuì e si alzò dal lettino con molta calma. 

 

“Ragazzi!” li richiamò Tosh senza distogliere gli occhi dallo schermo del computer. “Sembra che abbiate raccolto qualcosa di interessante”. 

 

Tutti i membri del gruppo si precipitarono da lei. “Sembra che su questa chiavetta ci fossero delle planimetrie riguardo l’edificio dove siete stati, il loro covo”.
Jack diede un’occhiata allo schermo e storse la bocca. “Sono solo planimetrie, non ci sono molto utili per sapere cosa tramano”.
“No, ma magari se le studiamo meglio possiamo trovare qualcosa. É comunque un’informazione”. 

 

“Non è abbastanza”, sbottò Ianto sbattendo un pugno sul tavolo. Tutti i volti si girarono verso di lui. “Potevamo fare di meglio”. 

 

“Non essere severo con te stesso”, gli disse Gwen poggiandogli una mano sulla spalla e Ianto sussultò. “Siete andati nel loro covo, una missione praticamente suicida e siete riusciti a recuperare delle informazioni. Forse non è abbastanza ma è più di quello che avevamo prima”. 

 

Ianto non rispose, rimase a fissare un punto che non riusciva a vedere con un’espressione scontenta.

 

“Ragazzi, basta così per oggi. Si sta facendo tardi, tornate a casa. Guarderemo questi file domattina”.
All’ordine di Jack, tutto il team cominciò a mettere via le proprie cose e a salutarsi, contenti pure loro di poter abbandonare quella giornata di lavoro estenuante. Gli ultimi ad abbandonare la base furono Jack e Ianto. Quest’ultimo afferrò il suo bastone ma lo lasciò ripiegato perché gli bastava il braccio del Capitano per capire dove stava andando. 

 

 

 

 

 

Jack aprì la porta della casa di Ianto - della loro casa - e appese il cappotto all’attaccapanni, insieme alla giacca di pelle del compagno.  

 

C’era un’altra cosa positiva che gli aveva portato la cecità permanente; Jack si era finalmente dichiarato e ora stavano insieme ufficialmente, nel senso che anche i loro amici e tutti quelli che li incontravano sapevano che erano una coppia. 

 

Inizialmente Ianto si era messo in testa che il Capitano stesse con lui solo per pietà nei suoi confronti, perché aveva bisogno di aiuto e di un briciolo di felicità. Ma non poteva essere così, Jack non lo avrebbe mai fatto. La loro storia era iniziata molto tempo prima solo che nessuno dei due aveva voluto ammetterlo. E Ianto aveva bisogno di tutto fuorché di aiuto o pietà. A momenti non sembrava nemmeno cieco. Riusciva ad arrampicarsi sugli edifici, a correre senza sbattere contro niente e nessuno, a fare a pugni senza mai mancare il bersaglio. La convivenza, poi, era arrivata in un attimo, quasi fosse stata inevitabile. Jack continuava a venire a trovarlo, a rimanere a casa sua durante la notte nel caso avesse bisogno di aiuto, lasciava le sue cose, i vestiti, lo spazzolino, il cuscino… avevano solo bisogno di mettere in chiaro le cose.
Ianto si buttò sul divano e rimase a fissare il vuoto.
“Che ne dici se ordino del Thailandese?” gli chiese Jack. 

 

“Va bene”. 

 

Il Capitano prese il telefono e sparì per alcuni minuti, durante i quali Ianto si sdraiò sul divano e prese a massaggiarsi la testa. 

 

“Di nuovo il mal di testa?” gli chiese Jack. Il ragazzo non si era nemmeno accorto che fosse tornato. 

 

“Sì”. 

 

“Forse è un effetto collaterale. Ti bruciano gli occhi?” 

 

“Da morire”. 

 

Jack si appoggiò accanto al compagno e gli baciò la fronte. “Domani ti fai visitare da Owen, ok?” 

 

“Non ci sarà nulla di diverso dall’ultima volta”. 

 

“Non lo puoi sapere. È solo una precauzione”. 

 

“Okay”. 

 

Ianto chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. Erano alcune settimane che a volte gli veniva un forte mal di testa, insieme a un bruciore forte agli occhi. Sul campo non ci pensava più di tanto perché c’era l’adrenalina ad aiutarlo e poteva bastare un’aspirina per far passare tutto. Ma nell’ultimo periodo la cosa era andata peggiorando e ora non riusciva più a dissimulare.
Cercò di sistemarsi meglio sul divano ma ottenne solo un dolore lancinante al fianco che lo fece gemere come un gatto abbandonato. Si sentiva peggio di un sacco da boxe.

 

Jack accorse dalla camera da letto con i boxer infilati per metà. Da quando facevano coppia fissa scattava al minimo lamento di Ianto. Non pensava che un giorno sarebbe diventato così ansioso.

 

“Ti serve una mano?”
“No, mi serve che mi ammazzi!” si lamentò il ragazzo, ritrovandosi con le gambe fuori dal divano e un braccio penzoloni.
Jack sghignazzò e andò ad aiutarlo. “Non essere così melodrammatico”. Senza alcuna fatica lo rimise sul divano e gli si inginocchiò accanto. “Forse conosco un modo per distrarti”, aggiunse malizioso, allungando una mano verso le parti intime di Ianto. Iniziò a massaggiarlo delicatamente, mentre il ragazzo cercava di rilassarsi e di isolarsi dai suoni che sentiva provenire da fuori. Non pensava di riuscire ad eccitarsi quella sera, troppo stanco e provato per qualsiasi cosa che non fosse dormire, eppure eccola lì, l’erezione forte che cercava di farsi strada attraverso i suoi jeans.
Jack non ci mise molto a sfilarglieli e a iniziare a succhiargli il pisello facendolo gemere di nuovo, ma questa volta di piacere. Dopo i pantaloni, toccò alla maglietta essere sfilata e gettata via, lasciando scoperta la schiena piena di cicatrici che sembrava formassero un mosaico. Ma Jack non si faceva impressionare facilmente, anzi, le cicatrici lo eccitavano ancora di più. 

 

 

 

Il campanello li sorprese esattamente pochi minuti dopo che entrambi ebbero raggiunto l’orgasmo. Jack si infilò velocemente un paio di pantaloni e andò ad aprire. Ianto si alzò con calma dal divano e cominciò anche lui a mettersi dei vestiti. Fare sesso con il Capitano lo metteva sempre di buon umore e si sentiva come… come rivitalizzato. C’era qualcosa di portentoso in quell’uomo e se solo ripensava a quanto avesse sofferto mesi prima, anzi, anni prima per amarlo segretamente gli veniva da tirare un sospiro di sollievo. Non tutte le disgrazie venivano per nuocere e se una tragedia come l’essere diventato cieco gli aveva dato la possibilità di stare insieme a Jack be’… allora non era poi così male. Dopotutto, con i sensi sviluppati che aveva, era come se non gli mancasse alcun senso.

 

Iniziò a tirare fuori piatti e bicchieri per la cena, intanto che il Capitano pagava il ragazzo delle consegne.
“Sento un buon profumino”, commentò Jack tornando con i sacchetti pieni di cibo. 

 

“Non dirlo a me”. 

 

I due si sedettero a tavola e cominciarono a mangiare. “Comunque, dobbiamo risolvere questa situazione il prima possibile. È un mese che ce la trasciniamo avanti”. 

 

“Abbiamo troppe poche informazioni e tutte disconnesse”.
“Domani lavoreremo sulle planimetrie che c’erano nella chiavetta. Magari scopriamo qualcosa”. 

 

“Okay”. 

 

Quella, tra tutte, era la missione più difficile nella quale erano incappati e che durava da ormai troppo tempo per i loro standard. Tutto era iniziato con delle misteriose sparizione di persone di diverso sesso, età ed etnia. Il tutto poi li aveva condotti verso quella specie di multinazionale che aveva aperto i battenti a Cardiff poco meno di un anno prima. Ma ci avevano messo diverso tempo a scoprirlo e tutt’ora non avevano idea di che cosa quella multinazionale dovesse occuparsi. Ufficialmente vendeva prodotti per l’igiene ma ufficiosamente faceva qualcos’altro. Quando avevano scoperto che Torchwood gli stava col fiato sul collo, avevano iniziato a contrattaccare mandando loro creature e oggetti alieni strani fino a eserciti di uomini e donne che obbedivano come burattini agli ordini di chi tirava le fila. Ma ancora non avevano capito chi tirasse le fila di tutto quello né perché. 

 

“Ianto”, lo richiamò Jack prima che il ragazzo iniziasse a sparecchiare. 

 

“Che c’è?” 

 

Il Capitano rimase a osservare il ragazzo che aveva lo sguardo fisso nel piatto e aspettava che l’altro continuasse a parlare. Jack gli prese una mano tra le sue e sospirò. Gli mancava il contatto visivo che avevano potuto avere una volta, quando erano solo amanti, ma sapeva che non poteva cambiare lo stato delle cose. Ricordava bene il giorno in cui Ianto aveva avuto quell’incidente, a quanto avesse sofferto. Non riusciva più a rimuovere dalla vista le lacrime che il ragazzo aveva spanto, i singhiozzi contro la sua spalla e a come si aggrappava alla sua camicia, come se non avesse nient’altro. E lui si era sentito miseramente impotente. Perché, tra tutte le persone, era dovuto capitare al suo piccolo Ianto? Se fosse capitato a lui sarebbe guarito in un attimo. 

 

“Cosa c’è, Jack?” 

 

Jack si distrasse dai suoi pensieri e tornò a rivolgere l’attenzione al ragazzo che stavolta aveva alzato lo sguardo verso di lui e sembrava davvero che potesse vederlo. 

 

“Devo darti una cosa”. Tirò fuori dalla tasca un piccolo oggetto e lo mise nelle mani del compagno. Ianto lo prese tra le dita e lo tastò per bene. Era un oggetto sottile, tondo e argentato. Un anello. Jack gli aveva regalato un anello?
“Co… cosa?” L’espressione mista tra sconvolto e sorpreso fece sorridere Jack. “È un anello?”

 

“Indovinato”. Il Capitano riprese l’anello e con l’altra mano strinse quella di Ianto. “Volevo chiederti di sposarmi. Non per forza subito, non deve nemmeno essere quest’anno. Può anche essere tra dieci anni. Insomma, quando ti sentirai pronto. Però intanto volevo chiedertelo, farti questa promessa. Che comunque andranno le cose, non ti lascerò mai”.
“Jack… io”. Ianto esitava, non sapeva bene cosa dire. Non perché non volesse accettare, sarebbe stato cretino, ma perché non sapeva davvero come rispondere senza sembrare un demente e mettersi a piangere come una ragazzina. 

 

“Allora, vuoi diventare mio marito?” 

 

“Sì, Jack. Certo che sì!”

 

Jack sorrise e infilò l’anello al dito di Ianto. Poi si baciarono appassionatamente.
“Ma perché non dovrei volerti sposare subito?” chiese il ragazzo dopo un po’. 

 

“Be’, stiamo insieme solo da qualche mese e…”. 

 

“Ma ci conosciamo ormai da due anni”. 

 

Jack non trovò modo di controbattere e si limitò a sorridere. Ianto si allungò di nuovo verso le sue labbra e si baciarono ancora… e ancora… e ancora.
“Sappi che è stata Gwen ad aiutarmi a trovarlo”, gli soffiò il Capitano sulle labbra. 

 

“Accidenti! Quindi ora tutti sapranno di questa proposta”. 

 

“Probabile”.
E scoppiarono a ridere felici. 

 

 

 

 

 

Dopo aver ripulito i piatti, i due si rifugiarono sul divano con un film davanti. Ianto ormai non guardava più i film particolarmente, ma lo aiutavano a distrarsi dai rumori assordanti della città e a prendere sonno.
Lì, tra le braccia di Jack che lo stringeva a sé come se non volesse perderlo, dopo la promessa che gli aveva fatto si sentiva la persona più al sicuro del mondo. 

 

E il Capitano sapeva che, nonostante l’espressione dura che il ragazzo metteva su ogni giorno, nonostante sapesse tirare dei pugni micidiali e muoversi come un gatto, sapeva che era solo un ragazzino spaventato dal mondo. Ora più che mai. 

 

 

 

 

 

Jack e Ianto arrivarono al lavoro dopo che tutti gli altri avevano già occupato le loro postazioni. Da quando stavano insieme avevano preso l’abitudine di arrivare più tardi rispetto agli altri, ma nessuno gliene faceva un cruccio. 

 

“Owen, fai una visita completa a Ianto?” ordinò Jack salendo le scale verso il suo ufficio. 

 

“Jack…”, fece Ianto per protestare ma l’altro glielo impedì. 

 

“Niente ma. Eravamo d’accordo”. 

 

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo - più per abitudine che altro - e seguì Owen verso il fondo della Base; tra tutti i membri, lui era quello che era finito più spesso sul lettino del dottore. Nascose la mano con l’anello nella tasca dei jeans. Non era che non volesse dirlo, ma avrebbe preferito farlo insieme a Jack, al momento giusto, magari una volta che tutta quella storia fosse finita.

 

“Che c’è che non va?” gli chiese il collega.

 

“Ho mal di testa. Sempre più spesso. E mi bruciano gli occhi”. 

 

“Okay, fammi dare un’occhiata”. Owen prese una piccola torcia e la puntò negli occhi del ragazzo che non reagirono affatto alla luce - non che si aspettasse diversamente - solo che quando era successo l’ultima volta, cinque mesi prima, Ianto tremava come una foglia sotto le sue mani e lui aveva dovuto raccogliere tutto il coraggio che aveva per dargli quella brutta notizia.
Gli auscultò il cuore e controllò le ferite. 

 

“Ti faccio un prelievo”. 

 

Ianto iniziò ad arrotolare la manica del braccio destro mentre Owen prendeva tutto l’occorrente per le analisi del sangue. 
Una volta finito si tolse i guanti e mise a posto le provette. Poi prese qualcosa da una dispensa mettendola nelle mani del ragazzo. “Sono delle gocce per gli occhi. Non dico che risolverà il problema in modo permanente ma potrebbe aiutarti. Hai gli occhi molto secchi. Per quanto riguarda i mal di testa, forse è solo un effetto collaterale dei sensi più sviluppati. Magari col tempo passa. Ti farò altre visite più avanti”.

 

“Grazie, Owen”. 

 

“Figurati”. Ianto stava per allontanarsi quando il medico lo fermò di nuovo: “Ian?”
“Sì?” 

 

“A parte i mal di testa… va tutto bene?” 

 

Ianto esitò un attimo prima di rispondere. “Sì, certo. Sto bene. Perché?”

 

“Così, chiedevo. Lo sai che… se hai bisogno di parlare - di qualsiasi cosa - lo sai che puoi farlo”. 

 

“Certo, Owen”. Ianto si allontanò. 

 

Owen non voleva essere invadente, ma Ianto non era più lo stesso. Si lasciava travolgere dall’azione e non era più scherzoso come un tempo. Ma come biasimarlo, dopotutto? Tante cose gli erano successe, però un po’ gli mancava il vecchio Ianto, quello che sacrificava volentieri il lavoro sul campo per pulire la loro merda e preparargli il caffè. I caffè di Ianto. Dio, quanto gli mancavano! 

 

Forse, dopo che avranno catturato quei mostri, sarebbe tornato come prima. Anche se ne dubitava. Ianto non sarebbe mai tornato come prima, bastava guardarlo negli occhi; una cosa del genere doveva per forza cambiare le persone per sempre. 

 

 

 

 

 

Ianto raggiunse Jack nel suo ufficio e sorprese l’uomo mentre era distratto a leggere delle carte. Chiuse la porta rumorosamente dietro di sé per attirare la sua attenzione.

 

“Ian!” 

 

Il ragazzo gli si avvicinò cercando di non sembrare troppo felice nel vederlo. Il fatto che Jack gli avesse chiesto di sposarlo, gli faceva una strana sensazione. E anche se vivevano assieme, lavoravano assieme e facevano praticamente tutto assieme, non era mai stufo di vederlo. Be’, nel senso metaforico del termine.

 

“Vieni, devo farti vedere una cosa”.
Ianto capì che il Capitano gli stava distendendo qualcosa davanti agli occhi da un rumore di carte e sorrise divertito. “Sembra che queste siano delle planimetrie nascoste, che non sono state dichiarate. Infatti, qua risulta che ci sia una specie di enorme buco…”.
“Jack”, lo fermò l’altro. “Lo sai che non posso vederlo, vero?” 

 

“Oh”, Jack abbassò i fogli leggermente imbarazzato. “Scusa, a volte me ne dimentico”. 

 

“Non fa niente. Tranquillo”.
Il Capitano prese il compagno per i fianchi e lo fece sedere sulla scrivania. “Che ne dici se stasera ti porto a cena fuori? Per festeggiare il fidanzamento”.
“Mi piacerebbe molto”. 

 

Jack catturò le labbra di Ianto tra le proprie e il ragazzo si protese verso di lui cercando maggior contatto. Il Capitano gli infilò le mani sotto la maglietta per accarezzare gli addominali che il ragazzo si era costruito in quegli ultimi mesi. Lo eccitavano da morire. 

 

“Jack, per quanto vorrei fare sesso con te, ci sono gli altri di là. E abbiamo del lavoro da fare”. 

 

“Lo so, lo so”. 

 

Jack uscì di corsa dall’ufficio e radunò tutti in sala riunioni.
“Credo di aver trovato un indizio!” esordì, esibendo sul grande tavolo i fogli che rappresentavano le planimetrie. “Se notate, le planimetrie non ufficiali, quelle che non sono state registrate, indicano che c’è un enorme sotterraneo sotto l’edificio, ma su quelle ufficiali invece non viene indicato”. 

 

Owen le allungò verso di sé per osservare meglio. “Pensi che nascondano qualcosa?”

 

“Deve essere così, altrimenti non si curerebbero di segnalarlo”, osservò Gwen. 

 

“Dobbiamo tornare là. Non c’è altro modo; dobbiamo raggiungere questi sotterranei e capire che cosa ci nascondono”. 

 

“Sì, ma l’altra volta avete rischiato grosso”, fece notare Toshiko togliendosi gli occhiali da vista con fare stanco. 

 

“Andremo più preparati. Ora sappiamo che cosa cerchiamo”, le rispose Ianto mentre si massaggiava gli occhi. 

 

“E immagino che andrete di nuovo tu e Ianto”, chiese Owen che non sembrava apprezzare molto la cosa. 

 

“Ho bisogno che almeno due di voi rimangano alla base. Tosh, puoi cercare di hackerare i loro sistemi di sorveglianza e guidarci. Gwen, tu vieni con noi ma ci aspetterai fuori col Suv accesso”. 

 

“D’accordo”.
“Andremo stanotte, quando avranno la guardia abbassata. Abbiamo già perso fin troppo tempo”.  

 

Dopo aver dato l’ordine di rompere i ranghi, il team si riversò fuori dalla sala delle riunioni. Non prima però che Gwen notasse l’anello al dito del più giovane e tutti facessero loro le congratulazioni.
“Jack”, chiamò Ianto dopo che tutti ebbero lasciato la stanza. “Faccio un salto in palestra. Va bene se ritorno tra un’ora?”
“Certo. Vuoi che ti accompagni?” 

 

“No, non serve, È qua vicino”. 

 

Il Capitano gli diede un bacio in fronte prima di lasciarlo andare. “Non ti preoccupare. Vedrai che stanotte andrà meglio”. 

 

“A me basta che tu non ti faccia uccidere”. 

 

“Ci proverò”. 

 

 

 

 

 

Owen teneva in mano i risultati delle analisi del sangue di Ianto che finalmente era riuscito ad analizzare. Adesso doveva solo andare a parlare con Jack. Sapeva che forse sarebbe stato più corretto mostrarli prima al loro destinatario, ma in quel momento lui non c’era ed inoltre nel loro team non esisteva la privacy: qualsiasi cosa, dalle allergie alle malattie, andava segnalata e tutti i membri dovevano esserne a conoscenza.

 

Inoltre, aveva bisogno di esprimere le sue perplessità al Capitano. Tutto quello gli sembrava troppo affrettato, senza un piano preciso, una missione suicida. 

 

“Jack”, disse bussando alla porta dell’ufficio. 

 

“Dimmi, Owen”. 

 

“Ho qui le analisi di Ianto”. 

 

Jack prese in mano i fogli e li osservò. “Sembra tutto a posto”. 

 

“Infatti lo è. Ianto è sano come un pesce, almeno fisicamente. Non c’è nulla che non va in lui”. 

 

“Che intendi dire, fisicamente?” 

 

“Che forse il problema è neurologico. Vorrei fare dei test sul suo sistema nervoso. Ho un amico all’ospedale che potrebbe prestarmi il materiale”. 

 

Jack guardò il dottore con sguardo perplesso. “Pensi che ci sia qualcosa che non va in Ianto?” 

 

“Non lo so. Ma vorrei fare più test. In fondo, non abbiamo alcuna idea di che tipo di alieno sia quello che lo ha ferito e non sappiamo come mai lui abbia queste… capacità. Una persona non vedente normale non dovrebbe riuscire a sentire quello che sente lui. Essere persino in grado di combattere… Magari è per questo che ha questi continui mal di testa”. 

 

“Dici che possa essere pericoloso?” Jack non si aspettava tutte quelle osservazioni da parte del collega, non in quel momento quando la loro concentrazione doveva essere rivolta su tutt’altro. Tutto quello era stressante persino per Jack, ma quando si trattava di Ianto non c’era missione aliena che tenesse.

 

“Non lo so, sto solo facendo delle ipotesi. Non vorrei che diventasse pericoloso per lui e che sviluppasse altri effetti collaterali. Preferisco scoprirlo subito piuttosto che pentirmene dopo”. 

 

Jack gli sorrise. “Grazie, Owen. Me ne rendo conto. Allora faremo quei test il prima possibile”. 

 

“Dovrai parlarne con lui prima. E un’altra cosa, Jack… sei sicuro che sia saggio agire in questo modo? Non vorrei che affrettassimo troppo le cose. Forse dovremmo studiare un piano più elaborato. Ianto si sta buttando sul campo con troppa facilità; ha collezionato più cicatrici in questi ultimi tre mesi che non negli ultimi due anni che ha passato a lavorare per Torchwood. Capisco che lui voglia rendersi utile, ma… così è troppo pericoloso”. 

 

“Owen, non lo sto facendo per un atto egoistico. Stanno succedendo delle cose a Cardiff e diventano sempre peggio. Dobbiamo risolverlo il prima possibile perché ho la sensazione che più temporeggiamo più sarà difficile. Tu non hai visto Ianto combattere, è fenomenale, riesce ad anticipare tutti gli avversarsi. E fidati che non gli tolgo mai gli occhi di dosso. Inoltre, tutto questo lo sto facendo anche per lui”. 

 

Finalmente l’espressione di Owen cambiò dall’aggressivo al confuso. “In che senso?” 

 

Jack si appoggiò al bordo della scrivania prima di spiegare. “Quando li abbiamo affrontati la prima volta, un mese fa, ho notato che avevano catturato un alieno. Lo stesso alieno che ha sputato acido in faccia a Ianto”. 

 

“Quindi pensi che loro possano c’entrare con quello che gli è successo?” 

 

“Non lo so. Potrebbe essere che li hanno creati loro, abbiamo già visto come sono riusciti a controllare la mente delle persone. Ma potrebbe anche essere che rapiscano questi alieni”. 

 

Il dottore capì. “Quindi se riusciamo a catturarne uno e capire che tipo di sostanza sia scopriremmo anche come mai Ianto ha questi poteri. E magari potremmo ridargli la vista”. 

 

“È un’opzione. Il mio obiettivo è trovare delle risposte. Se riusciamo a ridargli la vista sarebbe fantastico”.

 

“Accidenti!” 

 

“Già”. 

 

“Bene, allora cerchiamo di non perdere altro tempo”. 

 

Non era ancora del tutto convinto, ma comunque Owen abbandonò lo studio senza accorgersi però che Ianto era vicino alla porta e che c’era rimasto già da un po’.  Solo quando ebbe sentito il battito cardiaco del dottore allontanarsi, il ragazzo entrò nell’ufficio di Jack con un’espressione severa. 

 

“Hai sentito tutto”, constatò il Capitano vedendolo. 

 

“Perché non me l’hai detto?” chiese, togliendosi gli occhiali scuri e appoggiandoli su uno scaffale, insieme al bastone ripiegato. 

 

Jack cercò di prendergli le mani per farlo avvicinare a sé ma l’altro si allontanò. Sospirò. “Perché non volevo che ti allarmassi o che decidessi di agire per conto tuo. Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo probabilmente, ma ho pensato che ti avrei solo fatto preoccupare inutilmente e…”, si interruppe cercando di trovare le parole giuste per esprimere quello che sentiva senza al contempo peggiorare la situazione. “Ian, sto cercando di proteggerti in tutti i modi. Forse portarti a combattere non è la soluzione più saggia, ma preferisco averti sul campo con me che chiuso qui dentro in balia di te stesso. Perché so come sei fatto. So che non ti alleni in palestra tutti i giorni solo per sfogarti, so che stai ancora male e stare fermo non ti aiuterà di certo”. Si arrischiò di nuovo a prendere le mani al giovane che, stavolta, si lasciò guidare fino alla scrivania. 
“E tutta quella storia di… degli effetti collaterali?” 

 

“Sono solo preoccupato. Non mi piace non sapere con che cosa abbiamo a che fare, specialmente se questo coinvolge qualcuno del team. O te”. 

 

“Ma perché dovrebbe esserci qualcosa che non va?” 

 

“Perché abbiamo a che fare con cose aliene e normalmente non si abbinano perfettamente con gli esseri umani. Se scopriamo che questi poteri non ti provocano alcun danno, perfetto. Ma vorrei esserne sicuro”. 

 

Ianto abbassò lo sguardo come un cucciolo bastonato. Una lacrima solitaria gli solcò la guancia. “E se non fosse così? Se fossero pericolosi?”
“Allora troveremo il modo di risolverlo e aiutarti”. 

 

“Jack, non voglio rinunciare a questi poteri. Non posso”, si trovò a sussurrare, le lacrime che ormai si erano fatte strada attraverso i suoi occhi vuoti. 

 

Jack lo strinse forte a sé.
“Senza di loro non posso fare nulla. Non potrei nemmeno prepararvi il caffè”. 

 

“Certo che potresti farci il caffè, amore mio. Potresti fare ancora tante cose”. Il Capitano lo sentiva singhiozzare contro la sua camicia e quello gli ricordò troppo il giorno in cui il ragazzo era dovuto venire a patti con il suo handicap. Il cuore gli si spezzò di nuovo. 

 

“Non c’è nulla che tu non possa fare. Ed è per questo che ti amo. Perché sei forte, perché hai affrontato questo problema a testa alta. E ho promesso che ti avrei sposato perciò è quello che farò. Non ho cambiato idea, non la cambierò mai anche se tu dovessi avere un braccio o una gamba in meno”. 

 

Ianto sorrise. 

 

“Ehi, guardami”, gli sussurrò Jack alzandogli il mento; voleva solo guardarlo negli occhi perché, nonostante tutto, gli occhi di Ianto erano rimasti belli come prima. “Ti stai fasciando la testa per qualcosa che non è ancor avvenuto e che forse nemmeno avverrà”. 

 

Finalmente il ragazzo riuscì a calmarsi e a riprendere il controllo delle proprie emozioni. Jack gli asciugò le lacrime e lo baciò proprio sugli occhi, poi le guance e infine sulle labbra. “Cerca di stare tranquillo. Stasera ho bisogno del tuo aiuto da ninja”. 

 

“Ti amo, Jack”. 

 

“Ti amo anch’io”. 

 

 

 

Quella missione non era finita come avevano voluto. A dire il vero fino ad un certo punto stava andando tutto bene, da quello che risultava dalle mappe sembrava che si stessero avvicinando al sotterraneo segreto. Ma avevano sottovalutato i loro nemici che sembrava avessero previsto di essere sorpresi nella notte. Avevano trovato un buon numero di soldati travestiti da ninja e alieni pronti a combatterli.
Jack e Ianto li avevano affrontati uno dopo l’altro nei corridoi dell’imponente edificio. Purtroppo avevano perso persino il contatto con Tosh quindi si erano dovuti affidare solo all’udito sviluppato di Ianto per capire se stava arrivando qualcuno. 

 

Ma la situazione li aveva presi in contropiede. Jack aveva lasciato che Ianto proseguisse da solo, mentre lui avrebbe cercato di rallentarli.
Quello che però non si aspettava era vedere Ianto prenderle di santa ragione da uno di quei ninja proprio vicino a dove doveva esserci il sotterraneo. Quattro colpi nelle costole e nello stomaco e il ragazzo era già al tappeto. Poi, il nemico riprese la propria sciabola e la conficcò nella pancia di Ianto trapassandolo da parte a parte. Il ragazzo rantolò e crollò a terra come un sacco. Jack urlò e l’unica cosa che gli venne in mente di fare, spinto dall’adrenalina e dal panico, fu prendere la pistola e sparare un colpo al fottuto ninja. Non si accertò nemmeno che fosse morto; corse subito dal compagno che aveva iniziato a perdere sangue copiosamente. 

 

“Cazzo! Cazzo! Cazzo!” 

 

“Jack…” 

 

“Vieni qua. Dobbiamo andare”. 

 

“No, la missione…”. 

 

“Non me ne fotte un cazzo della missione. Devo portarti da Owen”. 

 

Il Capitano riuscì a farlo rialzare non senza averlo fatto gemere come un dannato. Gli mise un braccio attorno alle spalle e insieme, a fatica, rifecero la strada a ritroso, sperando - pregando - di non trovare altre minacce lungo la via.
Gwen li aspettava nel Suv parcheggiato nel garage dell’edificio; non appena li vide arrivare traballanti con Ianto che si reggeva lo stomaco pieno di sangue, accese il motore. 

 

“Oh merda! Che è successo?” chiese la ragazza al volante.

 

“Metti in moto. Veloce!” le ordinò Jack infilandosi nei posti dietro e trascinandosi dietro Ianto morente. 

 

La ragazza non se lo fece ripetere due volte e partì sgommando. 

 

“Accendi la sirena”, le ordinò di nuovo Jack non appena furono in strada. 

 

Accese la sirena e cominciò a fare slalom tra le macchine che per fortuna si spostavano per farli passare, convinti fosse la polizia. 

 

“Ian! Ian! Mi senti?” 

 

Ianto rantolò e svenne in grembo a Jack. 

 

“Amore, resta con me. Resta con me, amore mio”. 

 

“Che succede?” chiese Gwen cercando di concentrarsi solo sulla guida ma le risultava difficile con uno dei suoi amici che stava morendo nel sedile posteriore. 

 

In qualche modo riuscirono ad arrivare e riuscirono a trasportare Ianto dentro la base. Owen scattò all’urlo di Jack e si precipitò a vedere come aiutare l’amico.
“Due costole fratturate e… non mi sembra abbia colpito organi vitali ma sta perdendo molto sangue”, disse Owen attaccando Ianto alle macchine. In quel momento un suono inquietante pervase il nucleo della base di Torchwood. La linea che indicava il battito cardiaco cominciò a diventare piatta, sempre più in fretta. 

 

“Cazzo!” esclamò il medico. “Tosh, portami il defibrillatore”. 

 

Jack, intanto, cercava di non crollare o scappare via. Si reggeva al corrimano delle scale rannicchiato quasi sulle ginocchia, intanto che sentiva le lacrime bagnargli le guance. Se Ianto fosse morto sarebbe stata colpa sua perché lui l’aveva coinvolto in tutto questo, lo aveva portato con sé e spronato. Ma la cosa peggiore sarebbe stata che non sarebbe riuscito a resistere a una vita senza di lui.
“Carica a duecento”. 

 

No. Mai. Non ce l’avrebbe mai fatta.

 

 

 

Jack diede un bacio sulla fronte di Ianto e si alzò dalla sedia sulla quale era rimasto inchiodato per le ultime due ore.

 

Alla fine avevano evitato il peggio ma il ragazzo era messo piuttosto male; aveva più fasciature che pelle scoperta e Owen gli aveva dovuto fare due trasfusioni di sangue. 

 

Erano riusciti a spostarlo nel vecchio letto che usava il Capitano quando dormiva alla base, giusto perché fosse più comodo, ma il dottore aveva proibito categoricamente di spostarlo più di così altrimenti le sue costole si sarebbero ritrovate peggio di così. 

 

Jack andò a farsi il caffè e trovò Owen quasi addormentato sul divano. 

 

“Perché non vai a casa? Resto io qua”. 

 

“No. Preferisco restare nel caso abbia un altro collasso”. 

 

Il cucchiaino scivolò dalle mani del Capitano tintinnando fastidiosamente contro il pavimento.
“Non ti preoccupare. Sono certo che non succederà. Ora è stabile. Appena si sveglia vediamo come sta”. 

 

Jack prese il suo caffè e tornò nella stanza con Ianto che ancora dormiva profondamente con una smorfia dipinta sul volto. Si sedette di nuovo sulla sedia e iniziò a sorseggiare il suo caffè. Aveva sonno, avrebbe tanto voluto dormire ma non poteva, non finché non si fosse accertato che Ianto stesse bene, finché non si fosse svegliato e non gli avesse parlato, fatto un sorriso o una delle sue solite battute. Pensare che solo fino all’altra sera stavano cenando tranquillamente e decidevano di sposarsi… voleva persino portarlo a cena quella sera.

 

E mentre era immerso nei suoi pensieri sentì il primo gemito e poi video una mano muoversi e le palpebre sbattere. 

 

Ianto si svegliò di colpo, cercando di tirarsi subito a sedere, ma il Capitano lo bloccò immediatamente prendendolo per le spalle. “Fermo! Stai giù”. 

 

“Jack, dove sono?”

 

“Sei alla base, nel mio vecchio letto. Hai un paio di costole fratturate e una ferita allo stomaco. Owen ti ha rimesso a posto ma per qualche giorno è meglio se non ti muovi”. 

 

Il ragazzo tornò a stendersi nel letto cercando di rilassarsi e respirare con calma.
“Ci hai fatto prendere un colpo”. 

 

“La missione… il sotterraneo”, cercò di chiedere Ianto. 

 

“Non ti preoccupare di quello. Pensa solo a riprenderti ora”. Jack gli baciò la mano con l’anello e la strinse a sé. “Ci dobbiamo sposare, ricordi?” 

 

Ianto sorrise, anche se debolmente. “Perfettamente”. 

 

 

 

***

 

 

 

Questa fanfiction è nata per un mio capriccio dopo aver visto Daredevil. Ormai sono ossessionata da quella serie e poi Charlie Cox è un patato, così come Ianto. E volevo scrivere una cosa terribilmente fluff e angst che coinvolgesse una delle mie OTP (non posso vivere senza la Janto). Di fatti di trama non c’è quasi nulla, solo momenti smielati tra Jack e il Tea-boy. Pazienza, scrivo su EFP proprio per questo.
Spero di non aver reso i personaggi troppo OOC, ma probabilmente è così. 

 

Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione. 

 

 

 

Kissini

 

 

 

Cactus 

 

 

 

 

 

 

   
 
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