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Autore: fervens_gelu_    15/07/2018    2 recensioni
Mi trovo qui, dentro un muro di pensieri, gelatinoso, spento alla base, infiammato dentro l’animo; percepisco stanchezza negli altri, nel fluido vitale, in quell’appiccicata vita spasmodica, posticcia quanto basta.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi trovo qui, dentro un muro di pensieri, gelatinoso, spento alla base, infiammato dentro l’animo; 

Percepisco stanchezza negli altri, nel fluido vitale, in quell’appiccicata vita spasmodica, posticcia quanto basta;

E a volte penso che cristallizzare momenti, ricordi, mi faccia stare bene, mi conforti, anabasi di esalazioni salate, catarsi dentro al letto, dentro al corpo inerte di sospiri e di battiti mentre i polsi continuano a tremare, a fruire l’elemento necessario per vivere. E a volte credo che invece sia sbagliato, sia tutto così sbagliato e insufficiente per tenermi in vita, che mi lascio andare, mellifluo all’avanzare di quella primavera che diviene estate, e poi nell’autunno, nella grida di polistirolo che bruciano le interiora e quelle ossa sgretolate su cui ogni giorno piango ciglia di acetone, bruciare quei mattoni inconsistenti che mi porto dietro, in centinaia di fatti con cui mi lascio bagnare la pelle.

E le lacrime sanno, dicono quello che non riesci a dire, che non si può razionalizzare, perché è giusto sia tutto errato, cancellato, come delle gigantesche x, che mi marchiano, dicendomi quello che non posso, non devo fare. E annulli, improvvisamente, in pozze di cristallo quello che fino ad allora si era sciolto sul tuo corpo, si era inumidito, umettato di mille vapori esalati, ricordi slavati, in incertezze che poi divengono amare certezze, verità che fuoco fatuo ti addensano l’animo, agguagliandolo al mondo. Perché i sentimenti, in quei dolci candori non ti ci ritrovi più, senti una lontananza nel petto, impiccando micce fredde, ghiaccio, ti sfregi di ulcere l’anima, che soppesa colpo su colpo i tuoi ritardi, le insicurezze e si fa carico dei tuoi mali. Ancora per poco. Se senti di voler abbandonare il presente, per abbracciare il passato, pasto preferito, nutrimento dell’oggi intimidito, impoverito, ingrigito dalla viltà, scema il futuro, e frattura momenti di immaginifica potenza.

E scendi in una valle, dove quelli come te si riuniscono in pozze d’argento, di rugiada, schizzi tridimensionali, cominci a pensare a dove sei finito, se ancora vivi, o se sopravvivi ai fantasmi, all’altro io che ti segue pesante, a cui si aggrappa come primo amico, ma nemico di un cielo atro, senza stelle dipingi il tuo mondo. Felice vaghi, perditi, in rocce di cartapesta e sopravvivi, appagato, ma dietro di te detriti, calamità apocalissi e ti ritrovi al punto di partenza, i pasti più radi, nutriti stanco della terra marcia e sottrai ai demoni il tuo cuore nudo e ventricoli d’onnipotenza regale. Forse così sentirai fluire un macigno di calcestruzzo, un azzurro più amarena si ricorderà della luna imperitura, un florilegio di stelle spaziali, i mille volti sconosciuti in piazze di un tenore sfilacciante e ciliegi accanto ad una quercia ti sembreranno vivi, in fondo. Ma dentro un foglio di quella carta un po’ gialla, scolorita – inchiostro per paci interrotte e incorrotte amicizie mai sbocciate, mondi in festa ti appiccano le virtù, virtuali ad una nascita di sonori sbagli scampanellati. Ti blocchi e riparti daccapo o sopravvivi, rivivi in un lustrino colorato, ma consapevole di voler inanellare un ricordo di fresca rugiada in chiare pozze d’acqua di sparte chiome di vento, di neon sugli inesatti punti di vista, sei incondizionata tempera a colori un po’ sbafata, ormai. 


 

   
 
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