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Autore: fedegelmi    16/07/2018    9 recensioni
"Non eravamo poi tanto diversi, anche se un particolare fondamentale ci distingueva, una linea sottile che separa l’uomo dal mostro: quello che mi si presentò davanti alla fioca luce della mia torcia uccideva senza pietà qualsiasi essere vivente, che fosse uomo, donna o bambino, probabilmente stuprava anche prima di mettere fine alla loro sofferenza; io uccidevo quelli come lui. Sebbene fosse solo una mera scusa, sapere di uccidere i “cattivi” mi permetteva di dormire meglio la notte."
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il picchiettio dell’acqua nel luogo angusto in cui mi trovavo non mi infastidiva, né mi innervosiva. Sentivo ogni singola goccia staccarsi dal soffitto di pietra grezza per poi cadere in picchiata verso il pavimento duro e freddo, dove con un piccolo “plin” si scomponeva per aggiungersi alla piccola pozza formatasi dopo giorni di picchiettio incessante. Il freddo costante, ma non pungente della grotta mi donava un senso di pace e serenità, sarei potuto rimanere seduto ad ascoltare i suoni della natura per ore, ma sapevo che il momento era arrivato.
Mi alzai lentamente ingobbendo leggermente la schiena a causa del soffitto basso e andai verso il fondo della grotta. I miei passi riecheggiavano tra le pareti, rimbalzando da una parte all’altra creando una leggera eco. Mi stavo avvicinando a lui sempre di più, la caverna non era troppo lunga anche se non si poteva vederne la fine a causa del buio sempre più pesto. Nonostante questo mi sentì arrivare perché un fruscio rapido e disperato cominciò a rimbombare insieme ai miei passi. La paura era quello che mi dava più soddisfazione in assoluto, la consapevolezza di star per morire e non poter fare nulla se non supplicare o piangere. Ma ancora più soddisfacente era sapere che la mia vittima non era scelta a caso, era essa stessa un’aguzzina. Non eravamo poi tanto diversi, anche se un particolare fondamentale ci distingueva, una linea sottile che separa l’uomo dal mostro: quello che mi si presentò davanti alla fioca luce della mia torcia uccideva senza pietà qualsiasi essere vivente, che fosse uomo, donna o bambino, probabilmente stuprava anche prima di mettere fine alla loro sofferenza; io uccidevo quelli come lui. Sebbene fosse solo una mera scusa, sapere di uccidere i “cattivi” mi permetteva di dormire meglio la notte.
Mugolava terrorizzato mentre mi avvicinavo, percepivo la sua paura palpitare intorno a noi, vedevo i suoi occhi guizzare velocemente tra le armi posate di fronte a lui, abbastanza vicine per essere viste, abbastanza lontane per non essere prese.
Sapevo a cosa stava pensando: lui quelle armi le aveva usate tutte per torturare e uccidere, le aveva usate senza timore sapendo che le sue vittime erano disarmate e innocenti, legate e impotenti. Ma io non ero un vigliacco, l’avrei affrontato ad armi pari.
Afferrai un coltellaccio, di quelli che si usano per scuoiare gli animali di grossa taglia. Subito cominciò a urlare, la sua voce ovattata dal bavaglio che aveva in bocca.
«Non preoccuparti, non lo userò con te» gli dissi sprezzante avvicinandomi a lui.
Come non detto: prese ad agitarsi più di prima e ad urlare disperato cercando di sferrare calci quanto possibile.
Evitai le sue scalciate andando di fianco a lui, agguantai le spesse corde che gli tenevano legate le mani all’anello di ferro incastrato nel solido muro di pietra e le tagliai con un sol colpo. Successivamente passai al bavaglio e quando anche quello fu inerme a terra mi allontanai per mettermi di fronte all’uomo.
Quello rimase immobile con un’espressione incredula stampata in volto.
«Scegli un’arma» gli ordinai secco.
L’uomo continuò a stare fermo, senza dare il minimo segno di volersi muovere.
«Oppure puoi morire lentamente in questa grotta, scegli tu».
Posai il coltellaccio a terra sul lenzuolo che avevo predisposto a tovaglia e sul quale avevo esposto le armi che gli davo a disposizione: nessuna pistola, nessuna arma da fuoco, troppo semplice.
Lo osservai mentre, con gli occhi sempre fissi su di me, si avvicinava con cautela alla tovaglia. Allungò un piede quando fu abbastanza vicino e calciò verso di sé il coltellaccio che avevo appena posato. Immaginavo che avrebbe preso quello, l’avevo lasciato il più vicino possibile a lui apposta: i criminali del suo rango sono facili da prevedere. Si chinò mantenendo lo sguardo su di me, controllando ogni mia singola mossa nonostante fossi fermo di fronte a lui.
Quando fu in piedi con il coltello nella mano destra, mi chinai a mia volta. Lo sentii alzare il braccio ancora prima che lo facesse e quando cercò di affondare il fendente sul mio collo non esitai a scansarmi, per nulla stupito di quel suo gesto avventato e vigliacco. Nonostante la mia prontezza, però, un rivolo di sangue uscì dal piccolo taglio che mi procurò sulla guancia. Nulla di grave, solo un incentivo in più per farlo fuori.
Presi un piccolo pugnale, la mia arma preferita, la più letale nelle mie mani.
Rise.
Sorrisi.
Lasciai che fosse lui a fare la prima mossa, che non tardò ad arrivare.
Si lanciò contro di me con un urlo degno dei migliori soldati in prima linea durante le battaglie, il coltello sguainato in alto, lo sguardo che tradiva la sua apparente armatura da assassino. Non mi mossi, lo lasciai venire contro di me, lo scontro fisico era esattamente quello di cui avevo bisogno.
Fece per abbassare il coltello su di me, quando fu abbastanza vicino, e allora lo notai: impugnava l’arma con la mano sinistra, non la destra. Era un bluff.
La consapevolezza di quello che stava per accadere non mi impedì di rimanere stupito dall’inventiva dell’uomo che, al posto di un fendente, mi assestò un pugno sulla mandibola costringendomi a indietreggiare.
Rise nuovamente.
Sorrisi facendo scrocchiare la mascella colpita.
Avevo capito il suo gioco.
Schivai ogni suo colpo successivo senza mai colpirlo, entrambi ingobbiti a causa dell’altezza del soffitto. Più schivavo, più indietreggiavo: cercava di uscire dalla grotta, una mera speranza di salvarsi.
Lo lasciai fare, per un po’, volevo vedere se si sarebbe spinto oltre, volevo metterlo alla prova, fargli sudare la morte che l’attendeva. Potevo sentire la sua morsa attorno a lui, quella fetida bastarda che prima ti fa provare paura, poi ti regala un briciolo di speranza e infine ti fa fuori. Lo stava aspettando ed era impaziente di averlo tra le sue braccia.
Potevo vedere il chiarore del sole avvicinarsi a noi, lasciai cadere la torcia a terra e permisi alla luce naturale di illuminare la sua lotta per la vita, simile a quella che vedeva consumarsi tutti i giorni prima di uccidere qualche innocente. Sembrò esitare al mio gesto, ma si riprese subito, scosso dall’animale istinto di sopravvivenza che accomuna ogni essere vivente.
Mi aveva ormai fatto indietreggiare quasi fino al confine invalicabile.
Una goccia mi cadde sulla nuca, fu allora che mi fermai.
Con un gesto meccanico bloccai il pugno che fremeva per depositarsi sulla mia faccia e stortai il polso dell’uomo fino a sentire il familiare “crack” di un osso che si rompe. Urlò di dolore portandosi il polso rotto al petto, proteggendolo con la mano sinistra che ancora impugnava il coltellaccio. Ringhiò come solo un animale della sua razza poteva fare e sguainò in aria l’arma che scioccamente aveva sprecato.
Ma il suo colpo non fece in tempo a raggiungermi: con un solo e rapido gesto gli recisi la gola, un taglio netto e preciso.
Mi guardò negli occhi confuso, mentre dalla bocca gli sgorgava il suo stesso sangue.
Il coltello scivolò dalla sua presa flebile, cadde in ginocchio e infine a terra, una pozza vermiglio intorno a lui.



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