Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: pattydcm    16/07/2018    1 recensioni
“Quelle quattro scatole accuratamente nascoste sotto un mobile fanno da tomba al cuore di un uomo brillante e geniale. John le rimette al loro posto pensando a quanto gli sarebbe piaciuto scoprire una scatola che contenesse le prove del suo amore per lui”. Scopre, invece, che Sherlock ha collaborato con un team di giornalisti investigativi madrileni. Questi rivelano a John la verità sul ‘suicidio’ di Sherlock e lo invitano ad unirsi a loro per salvare il consulente investigativo dal pericolo nel quale si è cacciato. Verranno a galla verità sul passato di Sherlock, sui piani di Moriarty e sul rapporto tra i fratelli Holmes. Questa avventura vedrà crescere e consolidarsi il rapporto tra il dottore e il consulente investigativo, intenzionati a percorrere insieme il cammino che li porterà fino alla verità, sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Buongiorno a tutti
Eccoci a questa seconda parte che guarda la storia con gli occhi di Mycroft. Come dicevo l’altra volta, trovo sia un personaggio complesso. Il canone di Doyle lo descrive come una persona che predilige la solitudine, ritirato dagli avvenimenti mondani e sociali benchè occupi ruoli di prestigio. L’aspetto fisico è diametralmente opposto al fratello: l’uno longilineo, agile e scattante, l’altro obeso in modo smisurato. La cosa più eclatante è che sia persino più intelligente del già brillante Sherlock. Nella trasposizione della BBC Mycroft è sì poco amante della mondanità, ma esce molto più spesso dal suo studio al Diogenes Club o dalla sua casa rispetto a quanto non faccia nel canone. E’, inoltre, magro e visibilmente in lotta con la forma fisica e il mantenimento di un giusto peso corporeo. Per questi aspetti, trovo questa versione del fratello di Holmes più interessante. Da l’idea di essere tormentato e comunque interessato all’altrui parere e giudizio. Devo ammettere che non sono molto incline alla Mystrade, ma ho anche strabuzzato gli occhi quando nella quarta stagione Mycroft era titubante all’idea di accettare o meno l’invito di ‘Amore’. Ho sempre visto il Mycroft di Doyle come asessuale, quindi disinteressato ad ogni coinvolgimento fisico ed emotivo. La bbc, invece, mi permette di ‘giocare’ con un aspetto di emotività coartata reso un po’ più chiaro, a mio parere. Una persona, quindi, che non sa proprio come muoversi nelle relazioni e che non capisce cosa stia provando. Ciò che non capisce lo spaventa ed ogni cosa che genera paura va eliminata o negata.
Ci tenevo a dirvi la mia in merito al ‘Governo inglese’, penso possa essere utile per capire il perché di determinate scelte lungo la trama.
Vi auguro una buona lettura
Alla prossima
 
Patty
 
Capitolo 15
 
L’auto si ferma davanti all’ingresso del Saint Bartholomew Hospital. Lo sguardo di Mycroft va automaticamente al tetto da dove suo fratello ha spiccato il salto. Benchè sapesse del materasso gonfiabile che ne avrebbe attutito la caduta, il cuore gli si è fermato per un lungo istante quando lo ha visto cadere.
<< Vuoi che venga con te? >> gli chiede Anthea distogliendolo da quel macabro ricordo.
<< Sì. Quella donna mi da ai nervi >>.
<< Come la quasi totalità della popolazione umana mondiale >> ribatte Anthea. Ha uno strano sorriso sulle labbra mentre scende dall’auto. Mycroft la guarda stupito. È la prima volta che ribatte a una sua osservazione in modo ironico. Credeva non fosse dotata di alcun senso dello humor, ironico o sarcastico che fosse.
<< Se inizia a sragionare intervieni >> le dice uscendo dall’auto. << E ti autorizzo a richiamarmi, nel caso dovessi essere esageratamente privo di tatto >> aggiunge e il sorriso compare nuovamente sulle labbra della sua segretaria.
Entrano nell’ospedale e si dirigono all’obitorio. Mentre passo dopo passo raggiungono l’ascensore, il ricordo della prima volta che mise piede in un obitorio si fa strada nella mente di Mycroft. Anche questo si trovava nei sotterranei ed aveva avuto la sensazione di scendere in una cripta. Quando le porte dell’ascensore si erano aperte, il gelo innaturale di quel luogo gli aveva accapponato la pelle. Si era fermato subito fuori dall’ascensore, il respiro improvvisamente corto. Lo zio Rudy si era voltato preoccupato verso di lui.
<< Non sei obbligato a venire, Myc. Possiamo dire a tuo padre che hai fatto il tuo dovere, non lo verrà mai a sapere >>.
Rudolf Holmes sapeva bene quanto lui che suo padre non se la sarebbe bevuta quella bugia. L’avrebbe considerato un atto sciocco e puerile e glielo avrebbe rinfacciato per troppo tempo e non voleva avere occasione per essere riportato a quel triste evento più del necessario. Aveva rifiutato l’offerta scuotendo il capo e lo aveva seguito fino all’ingresso del reparto. Il responsabile dell’obitorio si era rifiutato di permettere a un ragazzino di soli dodici anni di entrare, ma lo zio Rudy era stato convincente, come sempre.
Mycroft aveva sentito il cuore battere forte e le gambe farsi pesanti come fossero di piombo. Aveva sudato per compiere quei pochi passi che dall’ingresso portavano alla camera ardente. Si era bloccato quando, varcata la soglia, aveva visto i due catafalchi, ognuno con il suo triste ospite. Faceva uno strano effetto quel lenzuolo bianco gettato sul piccolo ingombro che si perdeva nella vastità del catafalco. La prima che avrebbero dovuto riconoscere sarebbe stata sua madre, ma Mycroft non riusciva a distogliere lo sguardo dal piccolo ingombro. Sentì solo suo zio dire ‘Sì, è lei’ e poi il rimbombare dei passi del coroner sul linoleum, le sue mani a sollevare il lenzuolo scoprendo il corpicino di Jane. Il cuore gli si era fermato e tutto il sangue del corpo sembrava essere stato richiamato ad esso.
L’immagine di Sherlock in coma, ricoverato nel reparto pediatrico qualche piano più sopra, si era per un attimo sovrapposto a Jane. I tubi che uscivano dalla sua bocca, i sensori attaccati al suo piccolo torace e quel ‘bip’ continuo dell’elettrocardiogramma. Non c’era nulla di questo sul corpo di Jane. I suoi fratellini sembravano due statuine di porcellana, con l’unica differenza del colore delle labbra: rosa pallido quelle di Sherlock, blu cianotiche quelle di Jane. Il volto della sua sorellina, poi, era pieno di lividi. Si erano accaniti con brutalità sul suo corpicino. ‘Letteralmente uccisa di botte’, aveva sentito dire al detective, che era subito ammutolito quando si era accorto della sua presenza.
<< E’ lei >> aveva detto lo zio e il coroner si era affrettato a coprirla nuovamente. Un pensiero del tutto irrazionale aveva attraversato la mente di Mycroft vedendo quel gesto. “Deve aver freddo, per questo la copre” aveva pensato. Le sue gambe si erano rifiutate di muoversi e solo dopo un po’ si era reso conto della mano dello zio sulla sua spalla e del suo invitarlo ad andare via.
La manina di Jane era rimasta scoperta e senza pensarci l’aveva indicata. Lo zio allora aveva provveduto a coprirla e lo aveva poi spinto fuori da lì a forza. Mentre veniva condotto via, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che non avrebbe permesso che Sherlock finisse in quella stanza. Non lo avrebbe mai visto pallido, con le labbra blu e con un semplice lenzuolo bianco in fibra dura a coprirne il corpo nudo.
Ricorda di essersi ritrovato seduto sul sedile posteriore dell’auto dello zio e solo allora il gelo era passato. Era passato e aveva lasciato il posto a un calore improvviso, prima sul petto e poi sul viso, e per la prima e ultima volta era scoppiato in un pianto disperato. Il suo cervello si era spento e vagamente si era reso conto dell’auto che si fermava, delle braccia dello zio ad avvolgergli le spalle, del suo intimare all’autista di non fare parola con nessuno di quanto stesse succedendo e del suo promettergli che sarebbe rimasto un segreto che mai sarebbe giunto all’orecchio di suo padre.
Le uniche immagini che occupavano la sua mente erano quelle del corpo di Sherlock tenuto sotto controllo dalle macchine e di quello di Jane freddo e senza vita, unite alla deduzione terribile e indicibile che aveva trovato conferma in quella visita all’obitorio. Una deduzione che si era fatta spazio nella sua mente fin da che gli era stata data la triste notizia.
E vi era anche una piccola conferma a quella deduzione. Invisibile ad occhi poco accorti, ma non ai suoi. Un segno sulla guancia destra di Jane. Un livido che, come un marchio a fuoco, aveva la forma di parte dello stemma degli Holmes impresso nell’anello che suo padre portava al mignolo destro. Lo stesso che indossa lui oggi.
Si ritrova a giocherellare con quell’anello mentre l’ascensore scende imperterrito verso la fredda cripta del Bart’s. Anthea solleva a intervalli regolari lo sguardo dal Blackbarry per portarlo proprio a quella mano e al suo strano movimento. Quando la porta si apre Mycroft la segue fuori dall’ascensore e i suoi passi si bloccano. Il sangue abbandona il corpo per tornare di corsa al cuore e il freddo gelido lo avvolge.
Anthea si volta, stupita del vederlo fermo. Torna sui suoi passi e gli si avvicina, annullando quel mezzo metro di distanza che c’è sempre tra loro. Gli prende la mano gelida nella sua e la stringe piano. Gli sorride, un sorriso dolce e bello e fa un passo indietro, aiutandolo a compiere quel primo passo e poi un altro, finchè non capisce che il meccanismo è tornato a funzionare e lentamente lascia andare la sua mano.
Mycroft vorrebbe richiamarla a sé, chiederle di non lasciarla, di tenerlo ancora, ma sono pensieri assurdi e infantili quelli. Si scuote, aggiusta la cravatta e ritrova il giusto contegno. Solo allora la ragazza si volta e torna a camminare, come sempre stando qualche passo davanti a lui, apparentemente distratta dal suo telefono ma pronta a scattare come una molla dinanzi a un potenziale attacco.
Oltrepassano la porta d’ingresso del reparto e Anthea chiede alla receptionist di poter parlare con Molly. Li fa accomodare nella saletta dicendo loro che sarebbe arrivata subito. Restano entrambi in piedi, Mycroft appoggiato al suo ombrello e Anthea concentrata sul Blackbarry. Passa qualche minuto e una trafelata Molly Hooper si presenta loro aprendo di scatto la porta. Si guarda attorno per accertarsi siano soli poi chiude la porta mantenendo la mano ferma sulla maniglia.
<< Cosa volete? >> chiede loro, gli occhi spalancati e il fiato corto di chi è terrorizzato. Atteggiamento che la ragazza è solita mostrare da che ha preso parte al ‘suicidio’ di Sherlock.
<< Buonasera, dottoressa Hooper >> la saluta cordialmente Mycroft.
<< Non è una buona sera. Non lo è mai quando venite a cercarmi >> li aggredisce. Trema come una foglia, ma è l’unica cosa che resta della ragazza timida e impacciata che era solita vedere ripresa dalle telecamere di servizio al seguito del fratello.
<< Abbiamo bisogno di informazioni sui corpi recuperati dallo studio di Magnussen >> le spiega Anthea prendendo in mano la situazione, come da lui richiesto.
<< Tutte cose che potete benissimo hackerare o ricevere comodamente nel vostro ufficio senza prendervi il disturbo di venire fino a qui. Cosa volete da me questa volta? >>.
Anthea, stupita quanto lui, gli scocca un’occhiata interrogativa.
<< Dottoressa Hooper, lei è stata molto importante nell’operazione da noi svolta… >>.
<< Non abbindolatemi con questi inutili giri di parole! >> la zittisce Molly in tono perentorio.     << Ogni volta che vi presentate da me è per qualcosa legato a Moriarty. Mi avete interrogata a lungo temendo fossi in qualche modo sua complice, dal momento che mi ha usata per arrivare a Sherlock. Mi avete trattata come una criminale e io ho comunque accettato di aiutarvi. L’ho fatto per lui. E per John e adesso sono entrambi morti >> un singhiozzo le strozza la gola lasciandola senza fiato.  << Non cercatemi più, per favore >> dice più lentamente. << Non mi do pace per quello che ho fatto. Sono vostra complice in ben due omicidio, perché è così che stanno le cose. Abbiamo ucciso John tenendolo all’oscuro di tutto e abbiamo ucciso Sherlock >> questa volta è il pianto a lasciarla senza parole. Punta gli occhi gonfi di lacrime su Mycroft e leva l’indice ammonitore contro di lui.
<< Lei… lei, come può essere così tranquillo? Era suo fratello! >> grida perdendo del tutto il controllo.
<< Molly, ti prego, ascoltami… >> tenta di intervenire Anthea andandole incontro.
<< Non mi toccare! >> grida la ragazza facendo un balzo indietro come un gatto. << Tu sei anche peggio di lui. Così fedele, come un cane al suo padrone. Non mi importa delle conseguenze di quanto vi sto dicendo. Io per voi non esisto, non cercatemi mai più! >> getta a terra la cartellina che tiene tra le mani. << Qui c’è l’elenco dei colleghi a cui sono stati assegnati i corpi di quei poveracci. Contattateli direttamente, per voi non sarà un problema ottenere ciò che volete >> dice tra i denti. Asciuga le lacrime e si ridà un contegno. << Ho pietà della vostra anima >> dice severa per poi uscire sbattendo la porta.
Il silenzio cala sulla piccola sala d’aspetto. Anthea si china a raccogliere la cartellina e legge diligente i nomi dei coroner.
<< Sono stati assegnati a tre dottori diversi che però saranno in turno solo domani >> dice.
<< Bene. Allora direi che possiamo andare >>.
Escono dalla sala così come erano entrati, Anthea avanti e Mycroft qualche passo subito dietro. La risalita è lenta ma liberatoria, come una boccata d’aria dopo essere stati troppo a lungo sott’acqua. Raggiungono l’auto e Anthea apre la portiera. Mycroft si accomoda e subito dopo la ragazza si siede al suo fianco. La vettura parte diretta a villa Holmes.
<< Sono vostra complice in ben due omicidio, perché è così che stanno le cose >> le parole dure e disperate di Molly continuano girare nella mente di Mycroft. Non è la prima volta che si ritrova ad essere complice di due omicidi. Complice perché a conoscenza dei fatti ma obbligato a mantenere il segreto. Lo era stato allora proprio come lo è ora.
<< Ha ragione >> sussurra e la mano scossa da un tremito sale a coprire gli occhi.
<< E’ sotto shock, Mycroft. Non sa quello che dice >>.
<< Lo sa bene, invece, come lo sapeva Sherlock. Lo ha sempre saputo. Nella rabbia di Molly ho rivisto la sua. Quello sguardo carico di disgusto e risentimento. Ha ragione, sono complice di due omicidi. Ho ucciso mio fratello e il suo compagno >>.
<< Non è così, no! >> dice Anthea prendendogli la mano. << Loro sono vivi >>.
<< Non grazie a me. Se gli spagnoli non fossero intervenuti, se i piani si fossero svolti così come Moriarty e Moran avevano previsto, credi che le cose sarebbero andate diversamente? Sherlock forse non si sarebbe suicidato, ma sicuramente sarebbe ricaduto tra le braccia della cocaina e John… ligio al dovere com’è avrebbe accettato una relazione scomoda ma ormai avviata. Sarebbe morto anche lui in un certo senso. Molly Hooper ha ragione. Allo stato attuale, non sapendo come stanno realmente le cose, posso dire di essere stato complice del loro omicidio >>.
<< No! Non è giusto! Perché ti fai del male in questo modo? Non sei il carnefice, Mycroft. Sei anche tu vittima di questo gioco insano messo in piedi da Moriarty >>.
<< E questo cosa cambierebbe? >>.
<< Pone anche te al centro del ciclone. Tu hai sofferto quanto tuo fratello. Anzi a mio avviso ancora più di lui, dal momento che hai cercato in tutti i modi di proteggerlo da se stesso ancora prima che arrivasse Moriarty. Dici che vuoi la sua felicità, che ti preoccupi costantemente per lui ma chi si preoccupa per te? Chi tiene alla tua felicità? Nessuno, e io trovo che non sia giusto >>.
<< Beh… credo sia il destino dei fratelli maggiori, no? Dover essere perfetti, così come vogliono i genitori >> dice con un sorriso tirato.
<< E non avresti mai voluto anche solo per un attimo poter essere come lui? Ribelle, e libero di fare tutto ciò che vuole, anche farsi del male. Libero di compiere delle scelte e seguire i suoi sogni. Libero di amare e inseguire la sua felicità o almeno provarci. Quali scelte hai fatto tu, partendo da ciò che davvero senti tuo? Nessuna, ne sono sicura. Non ti concedi neppure un dolce senza punirti per averlo anche solo desiderato >>.
In tutti questi anni di silenzioso ed efficiente servizio al suo fianco questo è il primo discorso lungo e accorato che le sente fare. Pensava che, come lui, Anthea vivesse solo del suo lavoro, della sua carriera, avendo come unico piacere quello del successo. Nell’abitacolo della sua auto nera, accuratamente riparata dall’orecchio indiscreto dell’autista tramite un vetro spesso, gli sta mostrando un lato nuovo di lei. Nella forte stretta con la quale avvolge la sua mano nelle sue, negli occhi lucidi di lacrime trattenute.
<< Jane >> sussurra chiamandola col suo vero nome, cosa che la lascia a bocca aperta. Ora capisce, Mycroft, perché ha scelto lei. Non solo per il suo curriculum, più che qualificato, per la sua bravura e la fedeltà. No. Sono stati quel nome, quegli occhi azzurri e quei capelli neri. È stata la sua età, la stessa di suo fratello e la sua data di nascita, il 7 gennaio. Inconsciamente ha preso al suo fianco una donna che gli ha dato l’idea di come sarebbe stata sua sorella se avesse avuto la possibilità di crescere. Una sorella, però, dalle caratteristiche più simili alle sue. Anthea, invece, gli sta mostrando quello stesso cuore amorevole che la rende ora ancora più simile alla sua sorellina.
La ragazza avvicina la mano alla sua guancia e la accarezza piano. Solo quando porta il viso vicino al suo la ferma, posandole due dita sulle labbra appena lucide di rossetto. Scuote il capo e lei subito torna al suo posto.
<< Scusami >> sussurra.
<< Questo genere di cose non fa per me >>.
<< Lo so. Per questo ho fatto di tutto per lavorare con te. Sapevo che non saresti stato il tipo di capo molesto che approfitta della sua posizione. Sapevo che non saremmo mai rientrati nel clichè della segretaria che se la fa col capo >> ridono entrambi smorzando l’atmosfera tesa. << Dopotutto, però, sono anche io un essere umano. Forse è stato proprio per questo che… >> lascia la frase sospesa, interrotta.
<< Che? >> le chiede, più per un’antipatia per le cose lasciate in sospeso che per una reale curiosità.
<< Niente. Non sono il genere di cose che fa per te >> risponde. Gli sorride dolcemente e gli accarezza nuovamente il viso. Una carezza diversa dalla prima. Quasi materna.
L’arrivo di un messaggio la porta ad allontanare la mano e Mycroft prova un profondo dispiacere per quella interruzione inopportuna.
<< E’ Lestrade. Mi propone di vederci in un motel >> dice inarcando le sopracciglia per poi scoccargli un’occhiata interrogativa. << Si può sapere cosa gli hai detto? >>.
<< Di scrivere il meno possibile e darti appuntamento in posti sempre diversi >> ridacchia divertito dall’audacia del detective. Mycroft comunica il nuovo indirizzo all’autista e si dirigono all’appuntamento.
<< E’ stato veloce, il detective. Dovrei proporgli di lavorare per me >> dice Mycroft. Vede un sorriso incurvare le labbra di Anthea nuovamente rapita dal suo blackberry.
Restano in silenzio per il resto del tragitto. Il motel è decisamente fuori dalla città, isolato e squallido.
<< Ma che romantico >> borbotta Anthea prima di scendere ad aprire la portiera dell’auto.
<< Vieni >> le dice Mycroft. La invita a prenderlo sotto braccio e a camminare al suo fianco. La ragazza intuisce il suo piano e inizia a camminare ancheggiando vistosamente. Entrano nella hall dozzinale nella quale aleggia un tenue odore di cavolo bollito. Lestrade li attende seduto su una poltrona. Si alza e si porta all’ascensore facendo loro cenno di seguirlo. Il receptionist, un vecchio magro ed emaciato, squadra Anthea dalla testa ai piedi con occhi bramosi e volgari. Mycroft stringe protettivo ancor di più il braccio di lei a sé e fulmina con lo sguardo il vecchio, che per tutta risposta gli mostra il pollice rivolto verso l’alto strizzando l’occhio.
<< Quando ti ho detto posti sempre diversi non era sottinteso dovessero essere infimi >> dice a Greg una volta che le porte dell’ascensore si chiudono dietro di loro.
<< Questo sarà un posto squallido ma è anche un posto sicuro e penso tu voglia che siano soprattutto sicuri >> ribatte il detective.
Entrano nella stanza numero 15 dall’arredamento minimale e un leggero puzzo di muffa che proviene dal soffitto, dove una macchia scura fa sfoggio di sé. Nessuno dei tre ha intenzione di sedersi. Restano in piedi a formare un piccolo cerchio di una distanza di circa mezzo metro l’uno dall’altro.
<< Ho delle ottime notizie >> esordisce Greg consegnandogli una chiavetta usb. Anthea la intercetta, appoggia il laptop alla scrivania tarlata e inserisce la chiavetta. << Dimmock è molto più che in alto mare >> illustra Greg. << Sta seguendo tre piste una più assurda dell’altra. Ci sono, però, due informazioni davvero importanti. Quando vengono uccise persone importanti tutto si muove più in fretta. Sono state già analizzate buona parte delle prove e tra queste ci sono le ottime notizie che interessano noi. Le prime arrivano dai rapporti della balistica >> dice indicando il file appena aperto da Anthea. Si avvicinano alla ragazza e Mycroft legge in fretta la documentazione.
<< Sono stati esplosi parecchi colpi >>, continua Greg, << provenienti da armi troppo sofisticate per dei comuni ladri. Altri sono partiti dalle armi di servizio dei sorveglianti. Ce ne sono una serie, però, che non c’entrano niente. Sei proiettili, due recuperati da pareti e mobilio e tre dai corpi. Tutti e tre dritti al cuore. La balistica ha fatto una ricerca seguendo le scanalature lasciate dalla canna sul proiettile e questo preciso tipo di segni è stato rilevato in un’arma sequestrata dalla polizia madrilena quattro mesi fa. Dagli archivi risulta che il commissario Torres l’ha consegnata come dotazione per una missione sotto copertura >>.
<< Torres è il commissario che si avvale un po’ troppo spesso della collaborazione dei ‘Los Errores’ >>.
<< Esatto! Nessuno dei giornalisti ha il porto d’armi e la loro etica è contraria al loro uso. I colpi andati a segno sono stati sparati da una mano esperta >>.
<< John >>.
<< Sì, non può che essere lui! >> esclama entusiasta Greg. << Le altre informazioni giungono dalla scientifica >>. Greg attende che Anthea apra il file prima di continuare. << Oltre al sangue appartenente alle vittime sono stati rilevati altri tre diversi gruppi sanguigni >>.
<< Tre di loro sono stati feriti >>.
<< Sì. Due in modo rilevante, come indica la quantità di sangue presente una al piano di sotto e l’altro al piano di sopra, vicino ai corpi di Magnussen e della sua segretaria. Non ci sono impronte di alcun tipo, indice che sia i killer che i giornalisti indossavano i guanti. Ho recuperato anche i dati relativi ai campioni trovati. Non so se ti è possibile… >>.
<< Sì >> lo anticipa Mycroft.  Anthea annuisce e apre un programma in uso all’MI6. Estrae dalla borsa quello che sembra un router e lo attiva. << Ho dei campioni biologici di Sherlock e quelli di John li possiamo recuperare dai suoi dati ancora in archivio all’esercito >>.
<< Stavo pensando, Mycroft, non credi sia il caso di metterci in contatto con ‘El Mundo’, chiedere dei ‘Los Errores’ e accordarsi per lavorare insieme? Tu sei bruciato, ma io potrei… >>.
<< No, Greg. Ci avevo pensato anche io ma è pericoloso. Questi ragazzi stanno già rischiando grosso e l’occhio di Moriarty è puntato anche su di te >>.
<< Su di me? E perché? >>.
<< Se Sherlock è saltato giù dal tetto del Bart’s è perché Moriarty lo aveva minacciato che se non lo avesse fatto i suoi cecchini, gli stessi morti ieri in quello studio, avrebbero ucciso le persone per lui più importanti: la signora Hudson, John e te >>.
<< Me? E perché dovrei essere importante per tuo fratello? >>.
<< Gli hai dato la possibilità di sperimentare il suo metodo e, come mi hai fatto notare tu stesso stamattina, gli hai dato fiducia. Penso, a conti fatti, che consideri più te come fratello maggiore che me >>.
<< Ma se non ricorda neppure il mio nome? >>.
<< Lei pensa davvero che sia più importante il nome anziché chi lo porta, detective? >> si intromette Anthea, lasciando Mycroft senza parole. La stessa domanda con la stessa inflessione, canzonatoria e dolce allo stesso tempo, gliel’aveva posta Jane una della ultime volte in cui si erano visti.
Aveva litigato con Sherlock, come sempre, quella volta per il suo intestardirsi nel non voler più essere chiamato col suo primo nome, quello che erano soliti usare i loro genitori.
<< Sentiamo, allora, come vuoi che ti si chiami? >>.
<< I nomi sono noiosi, non servono a nulla! >>.
<< Sei il solito stupido! Come puoi dire una cosa simile? Ogni cosa ha un nome. Se non fosse così non si potrebbe riconoscerla >>.
<< Allora vorrà dire che non mi riconoscerete! >> aveva gridato andandosene sbattendo la porta. Jane lo aveva seguito con lo sguardo, rattristata. Si era poi voltata verso di lui, aveva scosso il capo e le sue labbra si erano curvate in un sorriso bonario.
<< Davvero, Mycroft? Credi davvero che sia più importante il nome anziché chi lo porta? Hai davvero bisogno di conoscere il nome di qualcuno per volergli bene? Tu, mamma e papà lo chiamate Billy, io lo chiamo Scotty, lui preferisce Sherlock, e allora? Cosa cambia di lui? >>. Si era poi alzata ed era corsa a raggiungere il suo gemello lasciandolo lì, senza una risposta.
<< Tutto bene, Mycroft? >> gli chiede Greg distogliendolo dai suoi pensieri.
<< Sì… io stavo solo… pensando >>.
Anthea lo guarda con quella nota preoccupata nello sguardo e lui si scopre a sorriderle, non nel solito modo tirato questa volta. La ragazza ricambia il sorriso e torna a portare l’attenzione allo schermo del laptop.
<< Pazzesco >> ridacchia Greg. << Ho sempre pensato che voi non vi somigliaste affatto, eppure poco fa’, con lo sguardo perso nel vuoto e imbambolato, vi ho visti così simili >>.
In effetti gli hanno sempre detto che non c’era alcuna somiglianza tra lui e i suoi fratelli. Questo fin da quando erano piccoli. Lui biondo e liscio, loro bruni e ricci. Lui tendente all’obesità, loro all’essere scheletrici. Loro con quegli occhi di un colore strano e cangiante, ipnotici e accattivanti, lui con un banale azzurro pallido. L’unico particolare in comune è sempre stato il pallore della pelle. ‘Marchio di nobiltà’, era solito dire loro padre. Anche nel temperamento erano del tutto diversi. Lui ligio al dovere ed obbediente, loro due uragani scatenati e ribelli. C’era chi gli avevo più volte chiesto se fossero davvero fratelli.
Questa volta a distoglierlo dai suoi pensieri giunge il ‘bip’ del programma. Anthea si volta sorridente verso di lui e non gli serve quasi guardare il risultato del check per capire cosa ha trovato.
<< Cristo, è lui! È vivo! Maledetto bastardo, è vivo! >> grida Greg e in un moto di gioia lo stringe forte tra le braccia, fomentando la risata leggera di Anthea. Mycroft, colto di sorpresa da quel contatto inatteso e non voluto, ritrova il controllo puntando l’attenzione ai dati indicati nel programma. Il dna ritrovato al piano di sopra dello studio di Magnussen coincide con quello di Sherlock al 100%.
<< E’ vivo, sì, ma ferito >> dice serio.
<< Oh, dai Myc, non fare il menagramo! Pensa alla cosa importante: è vivo, quel filmato è un falso e lui non si è mai buttato sotto a un treno. Fox è andato a cercarlo e lo ha condotto per mano da John >>.
Il programma conclude la sua ricerca senza dare i risultati del dottore.
<< Pare non essere stato ferito, per fortuna  >> dice Anthea.
<< Si starà sicuramente prendendo cura di Sherlock e degli altri due feriti, perfettamente calato nel suo brodo di medico dell’emergenza >> annuisce soddisfatto Greg. Volge lo sguardo verso Mycroft e gli tende la mano << Ti ringrazio, Mycroft. Grazie a te stanotte potrò finalmente dormire, dopo troppe settimane di sonni tormentati e inquieti. Perdonami per le accuse che ho mosso contro di te stamattina. Non sei lo stronzo che credevo tu fossi, dopotutto >>.
Mycroft fissa a lungo la mano che gli tende, prima di decidersi di stringerla.
<< Quella telefonata che dovevi fare alla Hooper… penso sia meglio tu vada da lei di persona >>.
<< Oddio, che le hai detto? >> gli chiede scoccando un’occhiataccia pure ad Anthea, come a rimproverarla di non averlo fermato.
<< In realtà è bastata la nostra sola presenza >> risponde la ragazza. << E’ a pezzi, anche se il mio animo femminista la preferisce così attiva e grintosa piuttosto che la passiva e debole ragazzina sottomessa al fascinoso genio arrogante >>.
Gregory ride facendo echeggiare la sua risata tra le quattro mura.
<< Ok, ok, corro a risolvere la situazione >>.
<< Per quanto immagino possa essere difficile, dato che quella appena scoperta è una notizia che le renderebbe il buon umore, ti prego di non dirle nulla. Rincuorala in… altri modi >> dice impacciato Mycroft e Anthea non ce la fa a trattenere una risata fragorosa.
<< Oddio, non posso credere tu l’abbia detto davvero >> dice la ragazza faticando a riprendersi. Greg si unisce alla risata, benchè le sue guance siano visibilmente rosse. Mycroft si risente della loro ilarità.
“Ma possibile tu sia sempre così ingessato? Farsi una risata ogni tanto, fratellone, fa bene alla salute, sai?” la voce di Jane e la sua risata allegra aprono una diga nel suo petto e Mycroft, dapprima piano poi sempre più forte, si unisce al coro. Incontra lo sguardo di Anthea che annuisce mentre asciuga gli occhi umidi di lacrime allegre.
<< Sta accadendo davvero? Non ci posso credere! Sarà la prima cosa che racconterò loro quando tutta quanta questa storia sarà finita. Ora è meglio, però, che chiami Molly >>.
Escono dalla stanza, riconsegnano le chiavi alla reception e se ne vanno ognuno con i propri mezzi.
Il viaggio di ritorno verso villa Holmes è silenzioso, ma l’atmosfera è più leggera. Una volta giunti a destinazione Anthea scende dall’auto guardandosi attorno un po’ più circospetta del solito, dopo una serata di sotterfugi ai danni di Moriarty. Apre la portiera e Mycroft scende dalla vettura. Insieme percorrono il vialetto, Mycroft apre la porta ed entrano. La ragazza si accerta che non ci siano presenze indesiderate e una volta appurata la sicurezza Mycroft si dirige al mobiletto bar e prende il brandy.
<< Insisto: non dovresti bere >> gli dice Anthea.
<< Non da solo >> ribatte lui porgendole un bicchiere. La ragazza fissa stupita il calice che le porge. Lo prende con entrambe le mani, come avesse paura di rompere quella strana magia. Mycroft alza il suo bicchiere e la ragazza lo imita.
<< A cosa brindiamo? >> gli chiede.
<< A coloro che ce la fanno, sempre >>.
Fanno tintinnare i calici e prendono un sorso di bevanda.
<< Vuoi… vuoi che resti? >> gli domanda e questa volta Mycroft coglie una nota d’imbarazzo nella sua voce.
<< No. Come ti ho detto, questo genere di cose non fa per me >> risponde sentendola come una cosa sbagliata dal momento che in quella ragazza rivede la sorella.
<< Va bene, non te lo proporrò più >> gli dice avvicinandosi a lui. Rompe di nuovo il mezzo metro convenzionale che è solito separarli. Avvicina il volto al suo e posa un bacio sulla sua guancia ben rasata.
<< Buonanotte, Mycroft >> sussurra guardandolo negli occhi.
<< Buonanotte, Jane >> ricambia lui e un sorriso nasce sulle labbra della ragazza. Posa il bicchiere sul tavolino e si allontana da lui. Quando chiude la porta alle sue spalle resta solo l’eco dei suoi tacchi a spillo a spezzare il silenzio.
 
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