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Autore: crazy lion    17/07/2018    4 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora presente in italiano.
Demi sta componendo il suo quinto album e rimane da sola in un tardo pomeriggio a scrivere. Sente che, anche se ha già registrato delle canzoni che parlano di lei, ne manca una che sia più sua, più personale, più vera. Dopo alcuni tentennamenti decide di andare a trovare il padre in cimitero. Non si aspetta però che tra bei ma soprattutto dolorosi ricordi, un improvviso e lungo flashback e rapidi ritorni al presente, quella sera qualcosa in lei cambierà per sempre.
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Demi Lovato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Chi sta leggendo la mia long “Cuore di mamma” noterà che il flashback e altre, piccole parti sono presi da un paio di capitoli della storia. Questa è una cosa voluta, ma qui la vicenda è completamente diversa. Se ho usato quei pezzi è solo perché ho voluto analizzare meglio il carattere di Patrick, le sue azioni e come tutto questo abbia influito su Demi.
Inoltre, in questa FF è presente Buddy e non Batman perché il primo è morto nel 2015 e la storia è ambientata nel 2014.
 
 
 
 
 

                     FATHER
 
Demi era nello studio di registrazione e si teneva la testa fra le mani. Non ne poteva più. Era tardo pomeriggio e ancora non aveva scritto nulla. Negli ultimi tempi aveva composto alcune canzoni per quello che sarebbe stato il suo quinto album e  le piacevano molto, ma sentiva che le mancava qualcosa. Scriveva sempre riguardo la sua vita e le esperienze che aveva fatto e in quell’album, che avrebbe contenuto canzoni più leggere rispetto ad altre dei precedenti, mancava un brano che fosse ancora più suo. Aveva provato a scriverne uno su sua mamma, che era la persona che ammirava di più al mondo perché era forte, ne aveva passate tante ma non si era mai arresa. Rilesse le poche righe scritte su quel foglio bianco ma non le piacevano. Non erano abbastanza profonde, non sembravano nemmeno descrivere Dianna.
“Uffa!” esclamò, frustrata. “Perché non ci riesco?”
Fece un gesto spazientito con la mano, come per scacciare un insetto che le stava dando fastidio.
Era sola. Aveva detto a tutti di andare via prima dato che erano stanchi, mentre lei si era fermata e sarebbe rimasta lì finché non le fosse venuto in mente qualcosa, anche solo un argomento sul quale scrivere. L’amore? No, ne aveva già parlato. I suoi problemi passati? Nemmeno, anche di quelli aveva scritto parecchio. Decise che forse non scrivere sui cari, vecchi fogli di carta ma mettersi davanti al computer sarebbe stata la cosa migliore. Magari battere i tasti, digitare parole a caso e cancellarle se non le sarebbero andate bene avrebbe potuto aiutarla. Prese il portatile, aprì un file e cominciò, ma dopo cinque minuti nei quali non aveva fatto altro che ritrovarsi ogni volta con il foglio di Word bianco batté un pugno sul tavolo.
“Maledizione!” sibilò fra i denti.
Odiava quel blocco che ogni tanto le impediva di scrivere. Era insopportabile e le faceva pensare di essere imprigionata in una metaforica gabbia dalla quale non sapeva se sarebbe mai uscita.
Un colpo alla porta la fece sussultare. Si era immersa così tanto nel suo mondo fatto di parole che quel rumore la spaventò come se fosse stato un fragoroso tuono di un temporale.
“Avanti!”
“Demetria, tutto bene?”
Era Phil, il suo manager.
“Ehm… no, non molto” ammise, guardandolo con occhi pieni di tristezza.
“Che succede?”
“Non riesco a scrivere. Non ho ispirazione e non so nemmeno su cosa concentrarmi. Avevo pensato a mia mamma, ma forse non è il soggetto giusto per questa canzone” sospirò.
Di solito era piena di energia, ma quel giorno a Phil Demi appariva stanca. Lo capiva anche dal tono della sua voce, dato che sembrava faticare a parlare.
“Da quanto non dormi?” le chiese l’uomo sedendosi accanto a lei.
Le aveva parlato con tanta dolcezza che Demi si commosse. Phil non era solo il suo manager, ma anche un ottimo amico, la persona con la quale si confidava se aveva un problema e su cui sapeva di poter sempre contare.
“Io…” Il cuore prese a martellarle nel petto, tanto che sperò che Phil non lo sentisse come invece stava facendo lei. “Ho dormito benissimo, stanotte e ultimamente non ho nessun problema a riposare!” esclamò con un po’ troppa enfasi, mostrando una forza che in realtà in quel momento non aveva.
“Le tue occhiaie dicono il contrario. È qualche giorno che stai così. Che c’è?” Dato che la ragazza non rispondeva, le prese la mano e chiese ancora: “Che hai, Demi?”
“Cercavo di non pensarci, ma oggi è il primo anniversario della morte di mio padre.”
Era il 22 giugno. Patrick era morto l’anno prima a causa di un infarto. La ragazza non aveva voluto vederlo per anni ma quando era morto aveva sofferto moltissimo, nonostante la rabbia e l’odio che provava nei suoi confronti.
“Capisco. E come ti senti?”
“Male” disse con un singulto, mentre alcune lacrime le rigavano il viso. “E non vorrei, non dovrei stare così.”
“Anche se non andavate d’accordo tu gli volevi comunque bene, cara. E lo sai.”
Phil era consapevole di aver toccato un tasto particolarmente dolente. Sperò solo di non aver ferito la ragazza, perché non era sua intenzione.
Lei non rispose, ma disse:
“Forse dovrei andare a trovarlo. Sarebbe giusto farlo, vero?”
“Vacci solo se te la senti. Nessuno ti obbliga.”
“Non so che cosa voglio.”
Si lasciò andare sulla sedia, tirandosi indietro i capelli castani che le erano finiti davanti al volto e mise le mani congelate sulle ginocchia e poi sulle cosce cercando calore. Nonostante facesse caldo, lei aveva freddo a causa della stanchezza e per questo stava ancora peggio. Nell’ultima settimana aveva dormito tre o quattro ore a notte, passando il resto del tempo a pensare e a pregare affinché Dio le desse un po’ di pace, perché i sentimenti contrastanti che provava per il padre a volte erano così forti da farla andare fuori di testa. Cercava di non pensarci ma non era facile, soprattutto la sera quando si ritrovava sola in casa con i propri pensieri e i suoi ricordi.
“Comunque,” riprese il manager, “ti consiglio di uscire da qui, andare a casa e farti una bella doccia. Dopo ti sentirai più rilassata e capirai cos’è meglio fare.”
“Ma…”
“Niente ma. Non puoi lavorare in queste condizioni. Sei troppo stanca. Hai già registrato un po’ di canzoni e va bene così, abbiamo tempo per fare tutto il resto. Sei stata anche troppo brava, Demetria.”
“Mi sa che hai ragione” si arrese.
“No, io ho sempre ragione.”
“Cretino!” scherzò, dandogli un buffetto sul naso. “Grazie, Phil.”
“Figurati! È sempre un piacere darti dei consigli.”
Detto questo entrambi si alzarono e uscirono insieme, poi ognuno andò per la sua strada.
Una volta rientrata a casa Demi venne accolta da Buddy, il suo cane, un maltese adorabile che non appena la vide le saltò addosso per farle le feste.
“Ciao, piccolino!” esclamò la ragazza, parlandogli in quel modo un po’ scemo ma simpatico con cui di solito ci si rivolge ai propri animali domestici.
Si chinò per accarezzarlo e il cane la leccò, poi lo prese in braccio e andò con lui a sedersi sul divano. Demetria era stanca, ma il cane assolutamente no, anzi era pieno di energia e infatti poco dopo le portò la sua pallina preferita per giocare. La ragazza passò una buona mezzora a lanciargliela e lui a riportargliela, finché Buddy si stancò e corse a dormire nella sua cuccia.
Demi invece rise: si sentiva meglio perché si era distratta e poi giocare con il suo adorato cagnolino, che amava tantissimo, era una delle cose più belle per lei. Si godeva sempre appieno quei piccoli ma importanti momenti di felicità e poi Buddy aveva la straordinaria capacità di farla ridere e star bene anche nelle giornate più nere.
Si alzò, andò in cucina e si preparò due toast e si versò delle patatine in una scatola, poi iniziò a mangiare. Il cane si svegliò e abbaiò per avere un po’ di cibo. Dopo i tiepidi moti di protesta - Demi preferiva che mangiasse le sue crocchette - si arrese e gli diede qualcosa, che lui mandò giù in pochi bocconi.
“Sei il solito ingordo, eh?” commentò sorridendo e grattandogli la testolina pelosa.
Salì a farsi una doccia e subito dopo si sentì più fresca e molto meno debole. Le pareva che anche il suo umore fosse migliorato.
Non volle più continuare ad arrovellarsi e decise di uscire e di andare al cimitero a trovare Patrick. Mentre camminava per percorrere il breve tratto di strada che l’avrebbe portata là, tenne lo sguardo basso e cercò di non pensare a niente.
Una volta entrata sentì le gambe cedere. I cimiteri le facevano sempre quell’effetto: le toglievano ogni singolo grammo di energia ed era come se assieme ad essa Demi sentisse sparire, anche se per poco, la sua voglia di vivere e di lottare. Le mancò il fiato mentre si avvicinava alla tomba di suo padre. Non era più stata lì dal giorno del funerale. Non avrebbe mai dimenticato tutte le lacrime che Dallas aveva versato. Lei aveva potuto passare più anni con il padre l’aveva conosciuto meglio, e nonostante tutto ci si era affezionata tantissimo. Quando era morto, Dallas era stata malissimo. Aveva pianto per mesi, nei primi giorni non aveva nemmeno voluto mangiare tanto grande era il suo dolore. Demi le era sempre stata accanto, sostenendola e confortandola meglio che poteva. Non era stato facile, ma dopo mesi di sofferenza, di crisi di pianto e di sbalzi d’umore, ora la ragazza stava meglio.
“È strano che non ci sia nessuno” si disse la cantante.
Chissà se sua madre sarebbe venuta dopo tutto quello che Patrick le aveva fatto. Dianna le aveva raccontato che per anni aveva continuato ad umiliarla, a trattarla male, e una volta le aveva chiuso una porta su una mano e l’impatto era stato così forte che alcune delle sue dita si erano staccate. Il dottore era riuscito a rimetterle a posto tutte tranne una.
Rimase immobile per lungo tempo, poi iniziò a cantare a voce appena percettibile.
See you calling again
I don't wanna pick up, no, oh
I've been laying in bed
Probably thinking too much, oh, oh
Sorry I'm not sorry for the times
I don't reply, you know the reason why
 
Maybe you shouldn't come back
Maybe you shouldn't come back to me
Tired of being so sad,
Tired of getting so mad, baby
[…]
Quando finì, un grandissimo peso al petto parve volerla soffocare. Cacciò un urlo tremendo, quasi disumano, per tentare di far passare quel dolore lancinante che pareva volerle spaccare il cuore in mille pezzi. Sperò che nessuno l’avesse sentita altrimenti l’avrebbe presa per pazza, ma in fondo non le importava. Respirava male e con affanno, adesso.
Attacco di panico. Sto avendo un attacco di panico.
Fu tutto quello a cui riuscì a pensare. Ne aveva avuti tanti, ormai sapeva riconoscerli, ma nonostante in clinica avesse affrontato anche quel problema le era ancora difficile controllarli.
“Adesso passa, coraggio Demetria. Non è nulla” continuava a ripetere a bassa voce, mentre nella sua testa si faceva strada un solo pensiero:
Sto per morire.
Si concentrò sul silenzio, sull’aria fresca della sera che le riempiva i polmoni, sull’odore di terra bagnata a causa dell’acquazzone della notte precedente. La psicologa che l’aveva seguita le aveva detto che pensare al presente e a ciò che la circondava poteva essere una soluzione per superare quei momenti di paura e di ansia intense. Tenersi impegnata la calmò pian piano. Aspettò un paio di minuti, poi disse:
“Scusa per questo genere di saluto, papà. Lo so che forse non era quello che ti aspettavi, in fondo la canzone che ti ho cantato non parlava bene di te, ma mi è venuto spontaneo.”
Avrebbe voluto parlargli ancora, ma ricordò un episodio accaduto molti anni prima. Fu un ricordo talmente improvviso che Demi quasi si spaventò. Era successo tutto quando lei era molto piccola, ma rammentava bene ogni cosa; e quando, una volta cresciuta, ne aveva parlato con la mamma e Dallas, loro due si erano aperte rivelandole ciò che avevano provato. Demi non avrebbe mai dimenticato nulla di tutto ciò.
 
 
Era tarda sera, ormai, e dato che Patrick non era ancora tornato, Dianna aveva preparato da mangiare per le sue figlie. Non era giusto che rimanessero affamate perché lui era andato fuori a bere e Dio solo sapeva quando sarebbe rientrato.
"Tu non mangi?" le aveva chiesto Dallas.
Quella bambina aveva soltanto sette anni e mezzo eppure ne aveva viste, di cose! Litigate tra i genitori, lui che urlava e lei che faceva lo stesso, o che piangeva; e non solo, perché a volte Patrick non usava la voce grossa, ma passava ai fatti.
"Aspetto vostro padre. Si arrabbierà se non…"
In quel momento la chiave girò nella toppa e la porta si aprì e si chiuse subito dopo con un tonfo. Patrick entrò in cucina barcollando. Era pallido e puzzava di alcol e di qualcos'altro che né Demi, né Dallas riuscirono a definire.
"Ti sei anche drogato stasera?" gli chiese Dianna, schietta.
Doveva tenergli testa per non farsi intimidire, per non lasciare che lui la schiacciasse.
"E anche se fosse? Che cazzo te ne fotte?"
"Beh, in realtà mi interessa. Sei sposato e hai una famiglia. Non mi hai mai voluto spiegare perché fai tutto ciò, da non ricordo quanto tempo a questa parte" rispose lei, decisa. "Non pensi che hai due figlie piccole alle quali dovresti badare anche tu?"
"Io ci sono per loro, le amo."
Rischiò di cadere a terra ma si tenne al tavolo.
"Sì, è vero." Dianna doveva riconoscerlo: nonostante tutto, Patrick adorava Demi e Dallas. Giocava molto con loro e aiutava la più grande a fare i compiti, fino a quando non si riduceva in quelle condizioni. "Dopo, però, vai a bere e a drogarti. Non puoi farne a meno e non ti vuoi neanche curare."
"Smettila, cazzo!" Con una forza inaudita sollevò il tavolo e lo rovesciò, rompendo piatti, bicchieri e facendo cadere il cibo a terra. Dianna e le bimbe fecero appena in tempo a spostarsi. L'uomo prese in mano un paio di forchette e le lanciò verso la moglie, che fortunatamente le schivò con uno scatto e si protesse la faccia temendo di essere colpita in un occhio. "Non ti permettere mai più di parlarmi in questo modo, Dianna" sibilò, minaccioso.
Demi intanto si era messa a piangere, ma la madre non ebbe la forza di abbracciarla e calmarla. Quegli scatti di rabbia del marito la terrorizzavano ogni volta e le facevano perdere tutto il coraggio che aveva posseduto fino a poco prima.
"Shhh, sta' tranquilla" le disse Dallas, combattendo con se stessa per non far uscire le lacrime. Era spaventatissima anche lei, temeva che il papà avrebbe potuto farle del male, ma doveva essere forte per la sorellina. "Andrà t-tutto…"
Bene? Come poteva dirlo? I litigi del genere tra i genitori erano sempre più frequenti e ogni volta finivano in quel medesimo modo.
Fu quando Patrick provò a lanciare un oggetto contro le bambine, cosa che prima non aveva mai fatto, che Dianna fece loro da scudo e capì che la cosa doveva finire.
"Porta tua sorella in camera e rimanete lì" le disse la mamma, in tono forse troppo duro.
Suonava come un ordine perentorio, così la bambina non ci pensò due volte.
"Vieni, Demi" mormorò prendendola per mano.
Cercò di non tremare, ma le fu impossibile.
"No, m-mamma" balbettò la bambina, piantando i piedi per terra, tanto che l'altra dovette praticamente trascinarla su per le scale.
"Non possiamo restare qui, stanno litigando" le spiegò.
"M-ma le farà del male?"
Demi non aveva mai visto il padre così arrabbiato. Lo sentì battere un pugno contro qualcosa, il tavolo forse, e si spaventò talmente che fece un passo all'indietro rischiando di cadere dalle scale, ma Dallas le strinse la manina e la sostenne. Quando chiuse a chiave la porta della sua camera, si sedette sul letto con la piccola sulle gambe e parlò:
"No. Ha già lanciato oggetti e urlato ma non le ha mai fatto niente, vedrai che non succederà nemmeno stavolta."
In realtà qualcosa le aveva fatto, lo sapevano entrambe. Aveva mostrato una sicurezza che non aveva, ne era consapevole. Avrebbe voluto gettarsi a peso morto sul letto e piangere tutte le sue lacrime, ma non lo fece.
"Dopo, quando sarò sola" si disse.
I genitori, intanto, continuavano a litigare urlando così forte che le due bambine potevano sentirli chiaramente. Dianna diceva a Patrick che era assente e che si stava rovinando la vita e di conseguenza stava distruggendo la loro famiglia, e lui le rispondeva che era esagerata, come al solito.
"Basta, non ne posso veramente più di te!" strillò la donna. "Sono stanca, siamo stanche. Tu ci fai vivere nel terrore."
"Che vuoi dire con "siamo stanche"?"
"Che io e le bambine non ne possiamo più, Patrick. Loro sono terrorizzate e anch'io. Continui a farci paura quando ti ubriachi e ti droghi, ma sei troppo sbronzo e fatto per rendertene conto. So che ami le nostre figlie, in un modo a mio parere sbagliato e che io non capisco, ma lo fai comunque. Siamo stati felici per molto tempo, lo sai, poi tutto è cambiato. Quindi se vuoi che loro siano felici, vattene. Lasciaci stare. Prendi le tue cose, sparisci da qui e non fare più ritorno. Parlerò con un avvocato per farti avere i documenti per il divorzio, e ci metteremo d'accordo su quando potrai vedere le bambine, anche se penso che prima dovrai provare a disintossicarti e curarti. Nessun giudice te le affiderà finché starai così, nemmeno per un weekend ed io non te le lascerò finché sei in questo stato; e comunque, te le farò vedere, ma resteranno con me. Te lo ripeto perché ti entri in testa: rimarranno con me! Chiaro?"
La voce di Dianna risuonò forte e sicura come mai prima.
"Mi stai lasciando?" le domandò lui, abbassando un po' il tono.
La donna scoppiò in singhiozzi e Dallas e Demi avrebbero voluto correre di sotto e abbracciarla, ma quando la più piccola si avvicinò alla porta l'altra la fermò.
"Aspetta, è meglio di no; e poi ho chiuso a chiave per sicurezza. Restiamo qui ancora un po', okay?"
"Ma…"
"Demi, torna qui ti prego."
Dallas non alzava mai la voce con lei, era sempre gentile e Demi la adorava per questo. Non era come il papà.
Ubbidì e le si sedette in grembo.
"Sì" rispose Dianna.
Passarono lunghi, interminabili momenti di silenzio. Tutto era sospeso, in attesa di una qualunque reazione da parte di Patrick. La mamma era stata coraggiosa a dirglielo, pensò Dallas, ma ora che cosa le avrebbe fatto? L'avrebbe massacrata di botte? Le avrebbe buttato addosso un oggetto colpendola e mandandola in ospedale? Non era mai successo, ma visto come si comportava, la bambina riteneva che prima o poi sarebbe potuto accadere. Le piccole non lo sentirono, ma l'uomo trasse un profondo respiro, e poi disse tre parole che udirono chiaramente:
"Hai ragione tu."
Salì le scale con passi lenti e pesanti e le bimbe smisero quasi di respirare, temendo che avrebbe potuto buttare giù la porta e portarle via con sé. Non volevano andare con lui, ma restare con la mamma e vederlo solo quando si sarebbe sentito meglio… forse. Si strinsero l'una all'altra per farsi coraggio. Lo udirono entrare in camera, aprire l'armadio e poi ci furono dei tonfi, infine i suoi passi si unirono al rumore di un trolley. Se ne stava andando. La porta si aprì e si richiuse, stavolta più piano. Dianna entrò probabilmente in bagno, e dopo un po' si sentirono alcuni conati di vomito.
"Perché la mamma mangia poco e poi vomita?" chiese Demi.
Dallas non ricordava da quanto lo facesse, perché non rammentava più nemmeno quando il padre avesse cominciato a bere e a drogarsi.
"Sta male" le rispose.
"Allora sta male molto spesso" osservò l'altra.
Si comportava così quasi ogni giorno tanto che Demi, nonostante la sua tenerissima età, aveva cominciato a guardarsi la pancia e a domandarsi se anche lei era grassa, come la mamma diceva sempre di essere.
"Sì" rispose la più grande, anche se non avrebbe saputo dare un nome a quel problema.
Si sentì l'acqua del rubinetto scorrere, poi più niente.
Passarono pochi minuti e qualcuno bussò alla porta della cameretta. Le bimbe non fiatarono e non mossero un muscolo. Che il padre fosse ritornato a prenderle?
"Sono la mamma" disse una voce.
Dopo qualche momento di esitazione Dallas aprì. Dianna era sconvolta e pallidissima, ma ciò che colpì di più le bambine fu l'espressione dei suoi occhi, arrossati dal pianto e pieni di puro terrore.
"È finita, piccole mie! È tutto passato!" esclamò abbracciandole. "Se n'è andato e vi prometto che non farà più quelle cose, non le vedrete più."
Tutte e tre iniziarono a piangere.
 
 
Un soffio di vento che mosse alcune foglie la fece tornare al presente.
“Quella sera mi hai spaventata da morire, papà; e anche anni dopo, quando ero a casa non ricordo con chi e con Dallas. La mamma non c’era e nemmeno Eddie e Madison. Ad un certo punto la persona con cui stavamo ha chiamato mamma.”
L’aveva fatto perché Patrick aveva cominciato a bussare furiosamente chiedendo di vedere le sue figlie e pretendendo di portarle via con lui. Dianna aveva detto alle bambine e a chi le teneva di nascondersi in camera e di non uscire fino a quando loro non fossero tornati, poi aveva chiamato la polizia. Demi ricordava che ad ogni colpo, ad ogni grido del padre, il suo cuore batteva sempre più veloce e che in quegli istanti aveva persino temuto di respirare per paura che lui la sentisse. Non rammentava cos’avesse fatto la polizia, ma solo che Patrick se n’era andato prima ancora che arrivasse e che il giardino era distrutto, i fiori e le piante erano stati rovinati. Era stato lui.
Si schiarì la voce.
“La canzone che ti ho cantato poco fa,” riprese mentre alcune grosse lacrime le scendevano lungo le guance arrivando fino al collo, “descrive bene ciò che provo per te. Ti ricordi quando avevo quattro anni e tu sei venuto a trovarmi perché volevi passare una giornata con me per farmi felice? Sai cos’è successo dopo, vero? Che mi hai portata a comprare un regalo e poi di nuovo a casa e te ne sei andato. Io sono scoppiata a piangere. È stato brutto, papà. Perché ti sei comportato così? Ero solo una bambina!”
Dianna non l’aveva mai perdonato per ciò che aveva fatto. Demi aveva cercato di dimenticare quell’episodio provando a dargli meno importanza per non soffrire, ma non ci era mai riuscita del tutto. Patrick l’aveva ferita troppo nel profondo, quella volta.
“Spesso ti odio, papà, non voglio negarlo. Ti odio per quello che hai fatto passare alla mamma, perché lei è finita in ospedale per colpa tua, perché a causa delle tue violenze inaudite non ha più un dito. Come hai potuto fare una cosa del genere? Ma ce l’avevi una coscienza? Probabilmente no. Chi fa male ad altre persone non credo ne abbia una” si scaldò, alzando molto la voce. “Come ho fatto a pensare, fin dal giorno della tua scomparsa, che tu fossi in Paradiso? Non meriti di stare in quel posto meraviglioso. Il Paradiso non è per persone come te.”
Oh mio Dio! Aveva detto troppo. Non stava a lei decidere cose del genere. Solo Dio poteva.  
Non voleva essere cattiva, ma era quello che pensava. La rabbia che provava era tantissima. La sentiva bruciare dentro come fuoco liquido ed in quel momento era più forte di qualsiasi altro sentimento. Patrick era stato ingiusto con la moglie, con le figlie, e anche se Demi sapeva che aveva avuto problemi di alcolismo e di droga non poteva perdonarlo perché non aveva mai provato a curarsi. Una volta Dianna l’aveva convinto ad andare in terapia, ma a metà della prima seduta se n’era andato, era salito in macchina e aveva tirato fuori una bottiglia di vodka. Batté un piede a terra, poi provò a regolarizzare il respiro.
Dentro, fuori. Inspira, espira.
Le ci volle un po’ per sentirsi più tranquilla, ma alla fine riuscì a riacquistare un certo autocontrollo.
“Scusami” riprese. “Non ci si dovrebbe arrabbiare con i morti. Mi domando se mi hai mai voluto bene, papà. Mi amavi davvero?” Sperava con tutto il cuore di sì. “Scusami se non sono venuta a trovarti in questi anni, ma non ce l'ho fatta. Non sai quante volte mi sono messa in strada e poi mi bloccavo e tornavo indietro! Ci ho provato ed oggi ci sono riuscita, ma è stata dura. Eppure, se sono qui è perché noostante tutto ci tengo ancora a te e spero tu l’abbia capito. Il nostro rapporto è sempre stato molto difficile, lo sai. Anche se prima ho detto di no, spero che tu sia in Paradiso adesso e che abbia trovato la felicità. Se la tua anima fosse tormentata e non in pace, non potrei sopportarlo. Farebbe troppo male.” La sua voce si arrochì e sentiva gli occhi pizzicare e un forte calore invaderle le guance, segno che presto avrebbe pianto. Tossì e andò avanti: “Un giorno forse ci rivedremo e potremo fare pace. Nonostante io e te non siamo mai andati d'accordo e anche se provo a volte sentimenti negativi verso di te, in fondo so che ti voglio bene, papà!" esclamò,mentre due lacrime le rigavano le guance. Iniziò a piangere prima piano, poi sempre più forte.
Si inginocchiò accanto alla tomba di suo padre, mettendo le mani sul marmo freddo.
“Ti voglio bene, papà!” ripeté, scoprendo che aveva un disperato bisogno di dirlo anche a costo di essere ridondante. “L’amore che provo per te è più forte dell’odio e della rabbia. Non penso che ti perdonerò mai, però forse è arrivato il momento di smettere di provare rancore.”
Una cosa che aveva imparato nella sua giovane vita era che quel sentimento avvelena e fa stare male, consuma le persone fin nell’anima e le rende cattive. E lei non aveva nessuna intenzione di essere così. Suo padre non aveva fatto molte cose belle, ma avrebbe mentito se avesse detto che non avevano passato momenti spensierati insieme. Erano stati pochi, ma li rammentava. E, anche se sarebbe stato difficilissimo, anche se non si sarebbe mai lasciata alle spalle tutto il resto, era consapevole di dover iniziare un percorso interiore per cercare di far pace con quella parte del proprio passato e quindi anche con lui. Se Patrick non si fosse comportato come si era comportato, lei crescendo sarebbe stata una persona diversa, forse non così matura e disposta, viste le sue esperienze, ad aiutare gli altri come invece accadeva. In un certo senso gli era grata per questo. Di una cosa era certa: suo papà le mancava. In quel momento, mentre piangeva, avrebbe avuto bisogno di un suo abbraccio e di un consiglio. Rimase lì a lungo, scossa dai singhiozzi, non capendo nemmeno che il custode del cimitero l'aveva ormai chiuso e non si era accorto della sua presenza. Demi, però, non aveva paura. Era come se stare lì accanto alla tomba di suo padre le desse sicurezza, quasi che non si trovasse in un cimitero ma a casa sua, con lui.
Il mattino dopo, quando uscì, rientrò a passo spedito. Era distrutta e gli occhi le si chiudevano per il sonno, ma per fortuna aveva il giorno libero. Si impose di stare sveglia ancora per qualche tempo. Si sedette alla scrivania, accese il computer e fu allora che l’ispirazione tornò. Provava sentimenti contrastanti per il padre , come gli aveva detto, e le era venuta in mente una canzone che li racchiudeva tutti. Mentre batteva velocemente sui tasti le sue mani volavano e così il suo cuore, che faceva le capriole. Demetria era felicissima: finalmente aveva ripreso a scrivere e poteva di nuovo sfogarsi in libertà giocando con le parole e mettendo in quella canzone tutta se stessa. Una volta finita la rilesse, corresse i pochi errori di battitura e iniziò a cantarla.
Father, I'm gonna say thank you
Even if I'm still hurt
Father, I'm gonna say bless you
I wanna mean those words
Always wished you the best
I, I prayed for your peace
Even if you started this
This whole war in me
 
You did your best or did you?
Sometimes I think I hate you
I'm sorry, dad, for feelin' this
I can't believe I'm sayin' it
[…]
La sua voce echeggiava limpida per tutta la casa, mentre Buddy seduto accanto a lei teneva la testina alzata. Adorava sentir cantare lla sua padrona. La ragazza pianse ed era così emozionata che quasi non riuscì a finire. Quelle parole erano piene di tristezza e di dolore, ma anche di voglia di andare avanti e di perdonare. Una volta terminato Demi sorrise e con quello stesso sorriso si distese a letto e si addormentò, convinta che aver parlato a suo padre le avesse migliorato un po’ non solo la giornata, ma anche l’esistenza.
 
 
 
credits:
Demi Lovato, Shouldn’t Come Back
 
 
Demi Lovato, Father
 
 
 
NOTA:
Patrick non ha lasciato la famiglia quando Demi aveva, come in questo flashback, tre o quattro anni, ma quando ne aveva uno e mezzo. L'ho saputo solo poco tempo fa, ma quella parte era troppo importante perché analizzava i sentimenti della Demi di cui parlavo io, quindi ho deciso di lasciarla così com'era. Il fatto che Demi sia stata male a causa del padre il giorno del suo quarto compleanno, che Patrick abbia ferito Dianna in quel modo orribile e che volesse portare via le bambine e abbia distrutto il giardino e che Dianna fosse bulimica sono reali. Li ho letti nel libro “Falling With Wings: A Mother’s Story” scritto dalla mamma della cantante. La scena del flashback in cui Dianna dice a Patrick di andarsene è inventata. Ho letto il libro un po' di tempo dopo aver scritto questa storia. In realtà, Dianna voleva lasciare Patrick quando Demi aveva otto mesi, ma il marito l'ha scoperto e l'ha ridicolizzata, così lei è rimasta. Poi, quando Demi è diventata più grande, la donna ha deciso di andarsene e, nel momento in cui Patrick ha provato a lanciare un oggetto contro le bambine e lei ha fatto loro da scudo, non ce l'ha fatta più. Si è nascosta in una casa che aveva al lago. Ha ricevuto molte chiamate da Patrick che si scusava, ma non è mai tornata indietro. Ha poi trovato un appartamento e un lavoro.
   
 
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