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Autore: mystery_koopa    18/07/2018    28 recensioni
Un what-if sull'epica greca ambientato durante la presa di Troia da parte degli Achei.
E se, invece di Aiace, a trovare Cassandra nel tempio di Atena fosse stato Agamennone?
✠ Storia partecipante al contest "Racconti al profumo di frutta" indetto da Dollarbaby sul Forum di EFP.
✠ Seconda classificata al contest "Ave Atque Vale - Salute e Addio" indetto da Fiore di Cenere sul Forum di EFP.
✠ Seconda classificata al contest "Keep calm e... fatemi amare il vostro personaggio preferito! II Edizione" indetto da Elettra.C sul Forum di EFP.
Prima classificata pari merito al contest "Il meglio di me" indetto da Milla4 sul Forum di EFP.
Prima classificata nella squadra Angst al contest "Angst vs Fluff" indetto da Claire roxy sul Forum di EFP.
Genere: Angst, Dark, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Non-con, Violenza
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Vorrei lasciare un ringraziamento speciale a Saelde_und_Ehre per il supporto che mi ha dato durante la revisione della storia.
 
 

CASSANDRA

 
La giovane si affaccia alla finestra non appena cala la notte; una lacrima le scende lungo il candido viso, i capelli castani sono mossi dal vento e le pupille, bagliori verdi nell’ultima oscurità, tremano quasi impercettibilmente, mentre osservano il compimento del preannunciato orrendo. Cassandra urla con tutta la forza che ha in gola mentre le sentinelle danno l’allarme: gli Achei sono entrati in città, armati di ferro e di fuoco, in cerca di sangue, di gloria e di ori. Tutti gli abitanti del palazzo corrono disordinatamente, si rifugiano nei templi sacri ai protettori di Troia e imprecano contro quel cavallo di legno e contro se stessi: capiscono che avrebbero dovuto ascoltare Laocoonte, ma nessuno si ricorda che la prima a preannunciare tutto ciò fu lei, la profetessa di sventure condannata all’oblio, colei che il Fato farà ricordare nei secoli ma che non potrà mai fare nulla per salvare la propria patria e la propria famiglia. Lei è solo una donna, debole di fronte alla guerra e agli sguardi di chiunque, ma non di fronte a se stessa.

La giovane si rifugia nel tempio di Atena, la protettrice degli Achei, dove nessuno è entrato fin dall’arrivo di Elena. Si aggrappa con le mani al candido drappo che ricopre la statua della dea, stringendolo come se potesse darle la salvezza, mentre attraverso una fessura nella parete vede le fiamme arancioni che divampano nella parte bassa della città; la stanza odora di muffa e di marcio, di chiuso e di morte. Cassandra urla disperata nella notte, vestita solamente di un drappo di stoffa e del proprio dolore, mentre intorno a lei i rumori si acuiscono e i sensi si annebbiano. A un tratto un tonfo maggiore degli altri rimbomba all’interno di quelle mura di pietra, seguito da urla di donne e versi che paiono grugniti animali – soldati indegni di quel nome, uomini che non sono nemmeno più tali: le fiamme si spandono insieme al terrore. La violenza penetra nel palazzo e dilania le anime e le carni, infrangendo le illusioni di salvezza dei difensori.

Cassandra piange in silenzio e si strappa le vesti, per la prima volta ignara del proprio destino: “Uccidimi, o dea, dammi la morte ma distruggili!” sussurra piano, stringendo il drappo e toccando con la mano le caviglie del simulacro, mentre le ginocchia cedono facendola rovinare a terra. Si toglie di dosso anche gli ultimi residui delle vesti e si alza in piedi aggrappandosi al piedistallo di roccia, poi avanza con rinnovata sicurezza fino al centro del tempio, mentre il fragore minaccioso di passi pesanti si avvicina sempre più alla porta sbarrata – le scintille intrise di calore penetrano nella sua pelle attraverso le piccole finestre e i capelli castani le ricadono sfatti sul volto: pare un ritratto della Morte.
Cassandra è nuda davanti alla statua velata, in piedi, circondata dalla pietra che la sta proteggendo da tutto ciò che c’è all’esterno di quella stanza abbandonata; nei suoi occhi verdi che fissano la città, gonfi e inespressivi come smeraldi opachi, si riflettono i bagliori arancioni che devastano tutto ciò che fino a quella notte era sempre stato di fronte ai suoi regali occhi. I pochi sopravvissuti – ma lo saranno ancora per poco: Troia sta precipitando senza ritorno nella spirale dell’oblio - corrono verso la breccia nelle mura, tentando di andarsene per sempre dalla propria terra natia; Cassandra tace, mentre il suo mondo urla di dolore.
 
***

La porta lignea della stanza cede, sbattendo violentemente sulla dura pietra del pavimento; l’asse che la sbarrava si spezza e un’oscura e altera figura compare in ombra sulla soglia, stagliandosi davanti alle fiamme. L’uomo indossa le insegne regali achee e ha il portamento arrogante di chi ha in mano il mondo: dai muscoli delle sue braccia e dei suoi polpacci, tesi allo spasimo, scendono copiose gocce di sudore, mentre la chioma bruna si perde nello sfondo di distruzione che si è lasciato alle spalle. Fa un passo in avanti, e la sua mole occupa prorompentemente il campo visivo della giovane, che continua a fissarlo con disprezzo mentre sul suo volto fiero si dipinge un ghigno compiaciuto; gli occhi di Agamennone la osservano con brama e risoluzione, come per prenderla essi stessi con violenza.

“Principessa Cassandra, ti sei già preparata per offrirti al nuovo re di tutto ciò?”

Il possente braccio del condottiero indica le rovine in fiamme fuori dalle finestre, mentre il suo volto si tende in una smorfia di consapevolezza del potere che ha tra le mani. Cassandra afferra il candido drappo che avvolge la statua di Atena, trascinandolo con sé nella sua languida camminata verso l’altero devastatore fino all’essere a un solo passo da lui; il lenzuolo s’impiglia tra le dita del simulacro e il volto di Cassandra si trasfigura, ricoprendosi di un amaro sorriso dispregiativo.
“Com’è che diceva quel soldato, Tersite, che hai fatto malmenare da Odisseo per averti offeso? Ah, sì: nessuno è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli. Oh, povero grande re, l’Atride, sommo capo della spedizione di tutti gli Argolidi nella terra d’Asia; così forte da non essere nemmeno riuscito a punire da solo uno storpio che l’aveva insultato paragonandolo a sé. Un debole vigliacco, che adesso mi violenterà credendosi forte… un vile, un oppressore vestito solamente d’oro e di vergogna!”
Cassandra gli sputa al centro del viso, colpendo la ruvida pelle e l’intoccabile orgoglio del re di Micene; il ghigno compiaciuto sulla sua faccia altera si trasmuta in un cupo sguardo colmo d’odio e rancore, mentre le sue mani afferrano imperiose l’esile corpo della donna.
“Ricordati, rimarrai sempre un vile! E non parlo come profetessa, ma come donna che ha potuto vederti per un solo istante. Fai semplicemente ribrezzo, o grande re”.

Agamennone la getta a terra e si staglia su di lei, che lo fissa inespressiva; lui che non ha mai visto quello sguardo, che di fronte a sé ammette solo la paura, le guarda con rancore il volto, per un’ultima volta. Le cade praticamente addosso, schiacciandola sotto di sé, spostando i lembi del chitone e la spada appesa alla cintura. Le entra dentro gridando, con violenza, mentre la donna distoglie lo sguardo e lo rivolge alla statua della dea: “Che giunga la vendetta”, sussurra dentro di sé, mentre un dolore lancinante le invade le membra – Cassandra tinge i suoi occhi di nero e di arancio, la sua anima è lacerata. La donna trema, ma è decisa a non dare a quel vile la soddisfazione di vederla piangere; distende lentamente una gamba, stringendo gli occhi per non cedere al dolore, e sente freddo sulla punta del piede: un freddo duro e metallico, il freddo della morte. Cassandra urla senza muoversi, mentre il candido drappo che stringeva tra le dita si sporca del suo sangue; Agamennone sussulta, sopra di lei, poi piega il collo fino ad avvicinare la bocca all’orecchio della principessa troiana: “Sarà bello averti come schiava…”

La giovane donna soffre ora in silenzio, mentre il mostro si alza lentamente dal suo corpo sfatto e se la carica in spalla: sarà l’ultima cosa che farà, ma i suoi occhi brillano con rinnovata luce tra il fuoco e le tenebre. Cassandra tira il drappo verso di sé e la statua della dea crolla su se stessa, spezzandosi al contatto con il pavimento; il miceneo si gira, sentendo l’assordante rumore del contatto tra la roccia e il marmo, mentre gli arti della statua si staccano dal busto e impattano contro le pareti laterali del tempio: “Puoi disonorare una donna, ma non una dea!”

Cassandra si lascia cadere dalla sua spalla, sbattendo violentemente a terra, ma sul suo viso avvolto dal dolore c’è una speranza, quella della vendetta. Agamennone si avventa nuovamente su di lei, cercando di estrarre la spada dal fodero; quell’oggetto duro, freddo e metallico, tempestato d’oro sull’impugnatura e di sangue sulla lama, che improvvisamente cade al suolo. Cassandra lo guarda negli occhi e inizia a ridere: è una risata folle, inumana, che sa solo di morte e di vendetta; Agamennone crolla a terra, con il terrore negli occhi, mentre la folle risata continua a risuonare nella sua testa: gli occhi verdi della profetessa lo squadrano con scherno, mentre il suo pugno si chiude intorno all’elsa aurea dell’arma. Il grande re è paralizzato a terra con la bocca spalancata per lo sgomento, ma nessuno dei suoi muscoli si muove: la lama si abbatte sulle tenere carni del suo collo, mentre una lingua di fuoco penetra all’interno del tempio. La stanza odora di muffa e di marcio, di chiuso e di morte. Di sangue.
“Saresti morto anche tornando a Micene. Ho solo risparmiato un’inutile fatica a tua moglie”.
 
***

Cassandra corre e danza tra le rovine bruciate nelle prime luci dell’alba: le navi achee stanno sparendo oltre l’orizzonte, l’aria è impregnata di sangue, di fuoco e di morte, i suoi occhi verdi lampeggiano di pazzia e un sorriso agghiacciante è dipinto sulle sue labbra. La donna s’inginocchia al centro di quello che un tempo era il megaron e alza le braccia al cielo, mentre il vento trasporta il fumo e le fiamme divampano nei suoi occhi.




Note:
La citazione "nessuno è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli", che ho attribuito a Tersite, è in realtà una frase di Nelson Mandela.
  
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