Note:
Alla fine,
dopo mesi, ce l’ho fatta, quasi 6k di Thomas/Michael che ne
esistono troppo
poche al mondo, pure se non ve ne frega una cippa.
Ad Azzurra, che prima me li ha fatti conoscere, poi mi ha
detto che non esisteva altra anima al mondo a shipparli a parte noi due
e che
comunque mi ha fatto tirare fuori sto popò di roba. Due
istruzioni per l’uso: è
divisa in tre parti che ricalcano seconda, terza e quarta stagione,
cioè dall’apparizione
di Michael in poi.
Il titolo è l’inizio dell’incipit
“Le due città” di Charles
Dickens, lo trovavo azzeccato, non so perché. XD
Spero piaccia a qualcuno. <3
It was the best
of times,
La prima volta che lo vede,
Michael ha diciassette anni,
gioca nel giardino di casa della signora Johnson assieme a suo
fratello: indossa
camice di iuta fatte a mano e il sorriso innocente di chi ha vissuto
un’esistenza lontana dalle pistole, dalle rapine, da tutte le
minacce e le
maledizioni che il nome Shelby si porta dietro.
Ha un attimo di ripensamento, Thomas, quando lo vede ridere
come se il mondo girasse esattamente nel modo giusto. Dura meno di un
minuto,
poi decide che Polly merita di vedere con i suoi occhi e di toccare con
le sue
mani il volto di quel ragazzo che porta su di sé i suoi
stessi lineamenti,
senza però lo sporco che nella loro famiglia li contamina
tutti appena emettono
il primo vagito.
Gli dà un nome. Gli dà un indirizzo. Dopo va via
sperando
che decida di restare dov'è, con l’adottiva madre
amorevole che lo ha protetto
dal mondo, a vivere una vita ordinaria e tranquilla che lo
farà dormire sereno
la notte, con la semplicità di un'esistenza che loro non
hanno mai avuto, ma che
lui merita.
Michael Gray non sa nulla del mondo sporco in cui loro
vivono, delle lotte e dei sacrifici che hanno fatto. Michael Gray ha le
mani
pulite e l'innocenza ancora cucita addosso, ha la purezza di chi non ha
mai
ucciso nessuno, non immagina nemmeno tutto il male che il mondo riesce
covare e
a sputare loro in faccia, senza riguardo alcuno. Thomas pagherebbe per
assicurarsi che almeno uno, in quella loro stramaledetta famiglia,
resti
così.
Si pente di quel viaggio il giorno dopo averlo fatto e si pente
ancora di più quando trova, un paio di settimane dopo, quel
ragazzino seduto
alla tavola di Polly. Ha gli occhi curiosi, porta abbozzato sulle
labbra un
sorriso che sa di felicità, di frenesia, di un'avventura che
nei fatti non sarà
mai bella ed emozionante come lui l'immagina. Gli porterà
solo dolore, sangue e
distruzione; Thomas è consapevole di tutto quello e in un
moto di blanda bontà
vorrebbe risparmiarglielo.
Gli chiede di tornare a casa per mettere a tacere la sua
coscienza e cercare di rimediare all’errore che ha commesso
quando ha deciso di
rivelargli il suo nome.
Michael ha le spalle poggiate alla sedia e il volto acerbo
che nasconde quello dell'uomo che deve ancora sbocciare, ma Thomas
può leggere
nei suoi occhi fermi, gli stessi di suo padre, l'ostinata
caparbietà che li ha
sempre accompagnati e che il più delle volte li ha portati a
restare a letto
con una pallottola conficcata da qualche parte e un paio di bestemmie
mormorate
tra i denti.
La prima cosa che fa, Michael, appena giunto a Small Heath è
disobbedire agli ordini del fottuto Thomas Shelby, con una naturalezza
che
costringe Tommy con le spalle al muro. Gli vede dipinta in viso la
determinazione della famiglia, l'eccitazione folle della violenza, lo
sguardo
di chi ha preso una decisione e la porterà avanti incurante
delle
conseguenze.
Michael ha deciso di restare e la sua decisione rappresenta
per Thomas una condanna alla pazzia. Sembra incastrarsi in mezzo a loro
senza
nessuna difficoltà: Polly pende dalle sue labbra, John
scherza con lui come se
non fosse stato lontano per dodici anni e Arthur gli racconta di loro
bambini
tra le strade di Small Heath. Sembra aver conquistato anche Ada
attraverso
Karl, lo ha comprato con caramelle e giochi d’ombra fatti con
le mani di fronte
alla fioca fiamma dei lumi. Thomas delle volte sembra vedergli negli
occhi la
stessa meraviglia che coglie in quel bambino, quella che nasce dalle
cose
semplici.
È così che Michael si trova sempre più
spesso in mezzo a
loro, tra riunioni a cui non dovrebbe partecipare e corse di cavalli
che
mettono a rischio la sanità mentale di Polly, che alla fine
della giornata
hanno messo a rischio anche quella di Tommy.
C’è una differenza abissale tra lui e loro, tra la
macchia
che il loro mondo rappresenta e il candore negli occhi di Michael.
Thomas pensa
che può ancora salvarsi, che può ancora essere
libero da quel nome, da quel
destino, dal sangue sulle dita prima di diventare un uomo.
Spera che qualcosa giunga a fargli cambiare idea, che lo
costringa ad andare via.
Si sente davvero spregevole, per la prima volta in vita sua,
quando guardando i lividi sul suo volto pensa che la notte passata in
prigione
possa essere quella che ha benedetto la sua vita, quella che potrebbe
portarlo
via da Small Heath e da tutta quella violenza. Lo spera così
intensamente da
far finta di non curarsi delle sue ferite, fa finta che non gli
importi.
Crede che Polly non gli perdonerà mai quella mancanza e
spera che Michael inizi a odiarlo un po’, perché
questo potrebbe riuscire a far
sì che lui non si trasformi in un gangster affamato, come
tutti loro.
Michael può ancora essere diverso. Diventare come loro
significa avere l’anima frantumata in un milione di schegge
impossibili da
recuperare. Hanno sulle mani la guerra e nella testa la morte, lacrime
mai
buttate e soffocate sotto quintali di pallottole conficcate dentro la
carne,
per mettere a tacere il grido sordo di tutto quello che hanno perso.
Vorrebbe mandarlo via da tutto quello, anche se lui sembra
aver portato una ventata d’aria fresca nella sua vita, una
ventata che lo fa
pensare alla primavera, ai fiori, alla brezza leggera sulla pelle e
alla
possibilità che quella sensazione non se ne vada mai via.
Michael sembra il
bellissimo scorcio di un luogo che non merita di essere macchiato, che Thomas non ha il diritto di prendere e
sporcare con tutto quel marciume.
Vorrebbe urlargli di andarsene nei giorni in cui tutto
sembra troppo cupo per poter davvero finire bene, ce ne sono altri in
cui
invece gli sembra di poter tenere tutto sotto controllo. Ed
è così che Michael
resta con loro. Sgomita fino a ritagliarsi un posto che Thomas non
riesce a
negargli e che a malincuore ammette sembra essergli stato cucito
addosso, con
tutti quei numeri e quella precisione degna di un uomo perbene e non di
un Peaky
Blinders.
Lo accetta in mezzo a loro, sceglie di farlo facendogli un
regalo che lo rende a tutti gli effetti uno Shelby, ma che per Thomas
ha tutto
un altro significato; in certi frangenti si illude che
quell’orologio possa
significare l’inizio di qualcosa a cui lui non dovrebbe
nemmeno pensare. Alla
fine non riesce nemmeno a pentirsi più di tanto, ha dato
vita ad una ruota che
non può più fermare. Maledice se stesso
più di una volta, con più di un
bicchiere di whiskey, seduto al tavolo del Garrison.
Scende a patti con la sua presenza costante decidendo di
amare Grace, di nuovo, per togliersi dalle mani e dalla testa la
tentazione
folle di trascinarlo a fondo con lui.
«Fuck it»
è una
nenia che mormora tra una sigaretta e l’altra, tra un sorso e
l’altro. Quel
whiskey sembra avere il sapore di perdita e rancida amarezza.
«Fuck, Michael.»
-
«Fuck»
è ancora il
primo pensiero che gli si affaccia nella mente ogni volta che incontra
il viso
di Michel nel suo ufficio. Succede anche se vive accanto a
quell’angelo di
Grace e il sorriso di suo figlio gli illumina le giornate
più buie. Li ama più
della sua stessa vita, anche se non ha ancora imparato a mettere a
tacere
quella sottile voce suadente che vorrebbe convincerlo a mettere le mani
su
Michael, un pomeriggio di quelli.
Ama le labbra morbide di Grace, ma ancora si domanda quale
sia il reale sapore delle labbra di Michael, immagina che non sappiano
di
rossetti e cipria come quelle di lei, ma di whiskey e sigarette, di
gioventù e
adrenalina.
Fa finta di niente ogni notte, convincendosi che nel corpo
di Grace possa affogare uno per uno tutti quei desideri che gli
martellano la
testa e che ancora non è riuscito a scacciare.
Ci sono immagini che non è in grado di mandare via, restano
nella visuale periferica della sua immaginazione, mostrandogli
l’alternativa a
quella vita che sta costruendo, sostituendo ai capelli biondi e morbidi
di
Grace quelli castani e corti di Michael, sostituendo al corpo sinuoso e
flessuoso di lei quello spigoloso e forte di lui.
Per questo vuole che il giorno del suo matrimonio con Grace
sia perfetto, perché vuole un ricordo talmente meraviglioso
da non poter volere
nient’altro nella vita, nemmeno Michael.
Li guarda uno per uno.
«No
fight. No fucking fight.»
Lo urla di fronte alle loro facce annoiate finché non punta
il dito contro Michael. Abbassa il braccio che lo indica
perché la sua, di
battaglia, l’accetterebbe volentieri, e sarebbe forse
l’unica che riuscirebbe a
perdonare, seppur maledicendosi. Michael ha lo sguardo annoiato di chi
conosce
a memoria tutta quella bellissima recita e le labbra socchiuse da cui
butta
fuori il fumo della sigaretta che sta fumando come se volesse lanciare
a Thomas
una sfida. Certe volte lo odia per quell’atteggiamento.
È in pieno stile Shelby mandare al diavolo tutto quello che
hanno progettato, ed è in pieno stile Thomas Shelby portare
al proprio
matrimonio anche gli affari più loschi.
Finisce con un russo ucciso da Arthur, con Finn che cavalca
come un maledetto zingaro e con i generali che cercano di vincere
facendo a
botte con la famiglia Lee. Solo dopo scoprirà che finisce
anche con Michael tra
le cosce di una bella ragazzina dell’alta società
che vuole provare la cocaina,
il brivido di una relazione clandestina e il pericolo di un ragazzo che
tiene
tra le mani una pistola mentre la scopa.
La trova anche in ufficio, Charlotte, ha memorizzato addirittura
il suo nome. Thomas odia vederlo lì a godersi una vita che
lui non può più
intaccare, non più di quanto abbia già fatto. Ci
sono volte in cui odia ancora
il pensiero che ha di rovinarlo con le sue mani, di macchiarlo per
farlo
diventare uno di loro, per farlo
diventare suo.
Per scacciare quel pensiero si butta a capofitto negli
affari, ascolta i progetti di Grace, del sogno di smetterla con gli
affari
illeciti e di vivere allo scoperto come gran signori.
Thomas non ha mai voluto quella vita, non per sé almeno, lui
è bravo in quello che fa e gli piace da matti. Le annuisce
perché vorrebbe
renderla felice, perché l’unica altra persona per
cui vorrebbe una bella vita,
libera dalle maledizioni di quel nome da fottuti zingari, è
Charlie.
Alla fine di tutto, non ci riesce, Grace gliela porta via
uno zaffiro maledetto e una vendetta che la sua dannata arroganza ha
messo in
piedi. Non può fare a meno di pensare che Grace
l’abbia uccisa lui, l’ha
rovinata dal primo momento in cui le ha messo gli occhi addosso, e non
può fare
a meno di pensare che anche Charlie avrà lo stesso destino
per il semplice
fatto che nelle sue vene scorre il suo sangue. Il pensiero che Michael
sia
ancora puro e in grado di aspirare a qualcosa di diverso gli arriva in
un
attimo di confusione durante il quale non riesce a pensare a
nient’altro, tutto
è troppo avvolto dal dolore. Pensa solo che potrebbe ancora
essere libero, ma
Thomas non ha l’altruismo per dirgli di andarsene e di non
tornare mai più, non
in quel momento, non quando la vita ha appena osato ricordargli che
Thomas
Shelby non è invincibile.
C’è un terribile momento di vuoto nella sua vita
che inizia
con Grace distesa morente e termina con il terrore che il destino gli
stia
strappando dalle mani l’unica cosa bella che gli è
rimasta.
Si rifugia nell’oppio, negli affari, tra le braccia di una
granduchessa
che vuole fotterlo e che può essere utile ai suoi piani. Non
c’è nient’altro
nella sua testa, vuole che non ci sia nient’altro nemmeno nel
suo cuore, vuole
sradicare quella follia in procinto di catturarlo ogni volta che chiude
gli
occhi anche solo per un attimo.
Va avanti come un treno, senza fermarsi ad ascoltare il
sibilo di quel dolore che porta ancora con sé
l’eco della guerra, della morte
nei tunnel che lui, John e Arthur hanno atteso con voci tremanti. Va
avanti
così in fretta da perdersi i dettagli della trappola
all’interno della quale è
finito, perché troppo cieco per guardare altrove.
Finisce per essere il burattino di un fottuto prete che
condanna a morte nel bel mezzo di quella nube che gli avvolge i
pensieri, durante
la convalescenza. È troppo perso per pensare alle
conseguenze, ma è abbastanza
lucido per carpire l’unico segreto di Michael, quello che non
gli rivela a
parole, ma che gli urla in qualche modo tra i silenzi di quella
richiesta che
Thomas non può negargli, come non è mai riuscito
a negargli nulla.
Nel bel mezzo di quei silenzi c’è il racconto
dell’unica
ferita di Michael che non dipende da Thomas, quella che quel maledetto
prete
gli ha inciso nelle ossa quando era solo un bambino e che Micheal non
dimenticherà mai.
Gli chiede di imparare a uccidere e Thomas non sa dirgli no,
perché Michael merita la vendetta, merita di chiudere il
cerchio strappando la
vita a chi gli ha strappato l’innocenza.
Se non lo amasse come lo ama avrebbe già preso la vita di
quel cane, ma è consapevole del fatto che quello spetti a
Michael, glielo deve
perché rispetta il suo dolore, rispetta il suo vissuto,
perché per quanto odi
sapere che dopo quell’evento sarà come loro, non
può far finta di non sapere
che sarebbero giunti a quel punto prima o poi. Gli deve il sangue che
deve
versare per pagare il pegno del nome che portano.
Succede tutto talmente in fretta che Thomas non riesce a
capacitarsene: è stato fottuto a casa sua, davanti a suoi
occhi. Per la seconda
volta gli hanno strappato parte della sua vita e lui non è
stato in grado di
fermarli.
Impazzisce senza rendersene conto, decide che pagherà
qualsiasi prezzo per la vita di suo figlio, condannerà a
morte il mondo intero
se necessario, maledirà il nome Shelby, i loro soldi,
toglierà la vita a degli
innocenti, tutto purché Charlie torni a casa. Rientra
persino dentro un tunnel
per garantirgli la vita, perché la sua non ha importanza se
non può salvare
nemmeno suo figlio.
Lo avvertono che è finita quando lui ha ormai le dita
ridotte a un grumo di sangue a causa della forza che ha impiegato per
scavare
il tunnel, è coperto di polvere e detriti, puzza di sudore e
di paura. Parla
con suo figlio e lo sente stare bene. Solo la mattina dopo riesce a
scoprire
cos’è successo mentre lui derubava i russi e
Arthur e John si facevano saltare
in aria un treno.
Sono i suoi tirapiedi a dirglielo, gli raccontano di Michael
e della rabbia che gli deformava il viso, dicono che aveva le mani
piene di
sangue. Gli ha strappato la vita con una lama affondata nel collo,
senza
lasciare tra loro lo spazio che una pallottola garantisce, come se
volesse
sentirla sulle mani quella vita che scorreva via.
Polly gli dice che quella macchia, che lei aveva scongiurato
non toccasse mai Michael, ha potuto leggergliela in viso la notte in
cui ha
riportato Charlie a casa. Aveva gli occhi che sembravano vetri colmi
d’acqua,
ma non ha versato una lacrima. Ha lavato via il sangue con una lentezza
disarmante, poi si è seduto su una poltrona e ha bevuto
whisky finché non si è
fatto giorno, senza nessuna espressione in viso.
Thomas sa che quella macchia Polly non gliela perdonerà mai.
Mette a posto tutte le conseguenze di quell’affare
disastroso e compie l’unica scelta che sa gli
metterà davanti l’odio di tutti,
perché è ciò che crede di volere e
meritare, quello che immagina porrà fine
all’immenso impero Shelby, e che più di tutti
spera porterà Michael via da
tutta quella merda, una volta che quella storia sarà finita.
Li ripaga tutti, anche Michael, nell’unico modo che conosce:
usando i soldi. Poi li tradisce, guardandoli in faccia uno alla volta
mentre
vengono arrestati.
L’unico volto che gli resta impresso nella memoria, pero,
è
quello di Michael. Ha gli occhi indecifrabili, non sa se leggergli
l’odio o la
delusione, ha per un attimo il timore di non sapere leggere nulla in
quegli
occhi.
Resta solo, di nuovo, con un bicchiere di whiskey tra le
mani e una sola frase incastrata tra i denti: «Fuck,
Michael.»
-
Dal giorno del rilascio John e Arthur non gli hanno più
rivolto la parola, Esme gli ha giurato che l’avrebbe ucciso
se avesse mostrato
nuovamente il suo brutto muso e Linda ha silenziosamente concordato
affilando
lo sguardo. Polly lo ha maledetto in Gipsy, con mani tremanti e voce
stridula,
mentre Michael è rimasto in silenzio, presentandosi il
giorno dopo in ufficio,
accarezzando con i polpastrelli la scrivania impolverata che Thomas non
ha
permesso a nessuno di toccare e aprendo tutti i registri su cui nessuno
ha
messo mano a parte lui stesso. Gli ha chiesto, senza alzare lo sguardo
da tutti
quei numeri, se quel posto gli appartiene ancora, Thomas gli ha annuito
in
risposta, con la gola secca e qualche parola in procinto di uscire, ma
che poi
è rimasta stretta tra le corde vocali e la lingua, sepolta
sotto il suo amorevole orgoglio e
il rimorso che
prova per averlo quasi condannato a morte.
Michael arriva ogni giorno puntuale in ufficio, va via dopo
l’orario di chiusura, si occupa dei registri e dei libri
contabili con
l’estrema cura che ha sempre applicato sul lavoro, si
presenta sempre
impeccabile e sembra che aver sfiorato la morte non l’abbia
per niente toccato,
ma Thomas sa che non è così, sa che la morte
tocca sempre tutti e lascia segni
che nella vita non si dimenticano. Ne ha la consapevolezza quando lo
vede
tirare una striscia di cocaina prima di mettersi a lavoro e rivede in
lui il se
stesso di qualche anno prima di ritorno dalla Francia, con un miliardo
di
fantasmi stretti attorno a lui e la sensazione che la morte sarebbe
venuta a
prenderlo presto.
Thomas non gli chiede mai di lui, gli chiede di Polly e del
suo essere dipendente dalle pasticche che le hanno rifilato in
prigione,
Michael gli risponde sempre con voce bassa, quasi disinteressata, che
va tutto
bene. È la governante della loro casa a dirgli che non
è così: Michael
trascorre serate intere ad abbracciare Polly per tranquillizzarla dal
fantasma
di quel cappio che sente ancora stretto al collo, la culla come una
bambina
cercando di liberarla dall’eco leggero della morte, lo stesso
che fa tirare a
Michael la cocaina e che ha costretto Thomas a non fermarsi nemmeno un
attimo
negli ultimi dieci anni.
Arriva il Natale, decorato con la stessa atmosfera triste di
tutti gli atri giorni, è pieno di regali costosi per Charlie
e di cene
trascorse in solitaria seduto a capotavola in una sala da pranzo troppo
silenziosa. Il regalo di quell’anno è una mano
nera che racconta di una
vendetta sacra e promette fiumi di sangue in cui nessuno
verrà risparmiato.
Impreca a mezza voce e si domanda in quale vita smetterà di
avere a che fare
con la morte. Non ci vuole molto prima di scoprire che tutti hanno
ricevuto
quella dichiarazione di guerra, anche Finn che non è mai
nemmeno entrato negli
affari di famiglia e Ada che non ha mai sparato per uccidere. Un angolo
della
sua mente si ricorda anche di Michael, del fatto che ha ricevuto quella
condanna a morte perché un giorno Thomas ha deciso che lui
sarebbe tornato a
essere uno Shelby e da quel momento in poi non è
più stato in grado di metterlo
in salvo.
Ordina a tutti loro di mettersi al sicuro per le strade di
Small Heath, in mezzo alla polvere che hanno chiamato casa e
all’esercito di
Peaky Blinders che è loro fedele. Nota con estremo
disappunto, però, che gli
unici a guardarlo ancora come un leader sono Finn, Ada e
inspiegabilmente
Michael. Non capisce perché non se ne sia andato,
perché non abbia voltato le
spalle all’unico che gli ha rovinato la vita, dichiarandogli
implicitamente una
lealtà che lui non si sognava nemmeno.
Cerca di metterli in salvo e nel tentativo, come regalo da
parte della famiglia Changretta, perde John e rischia di perdere anche
Michael.
La guerra inizia portandosi via suo fratello e questo lo
distrugge, è uguale a quando ha tenuto tra le braccia Grace
e a quando ha detto
addio a sua madre. Il dolore è sempre identico, solo
più acuto a ogni caduto.
Si ritrova a correre assieme a Polly per i corridoi
dell’ospedale,
spera che Michael viva, che non sia l’ennesimo uomo morto che
porta sulla pelle
il suo nome come carnefice. Polly urla, perché
l’ha perso già troppe volte per vederlo
morire adesso, urla che vuole gli uomini migliori a proteggerlo, che
vuole la
testa di Luca Changretta servita su un piatto d’argento, urla
quella paura e
quel dolore che appartiene anche a Thomas ma che lui crede non avere il
diritto
di mostrare.
Mentre operano Michael non può far altro che piangere John
sul tavolo di un obitorio che non gli rende giustizia, assieme ad
Arthur che si
colpevolizza di una morte che in realtà è solo
colpa di Thomas.
«In the bleak
midwinter.»
È un saluto che Thomas non avrebbe mai voluto pronunciare.
Quando anche Arthur gli risponde allo stesso modo sa che
hanno appena detto addio al loro Johnny
Boy per sempre e che hanno giurato nella propria mente che la
guerra
inizierà appena metteranno piede fuori
dall’ospedale, raderanno al suolo
l‘intera Inghilterra per seppellire l’assassino di
John. Thomas darà la caccia
a tutti loro fino ai confini dell’inferno per aver anche solo
cercato di
portargli via Michael.
Resta lontano dall’ospedale fino a che Michael non riprende
conoscenza. Lo fa per Polly che lo guarda ancora tagliente,
perché c’è una
guerra da combattere e un funerale da organizzare. Usa proprio il
funerale di
suo fratello per lanciare un messaggio agli italiani: loro
sono i Peaky Blinders e tutti quelli che cercheranno di
distruggerli bruceranno all’inferno.
È Ada a dirgli che Michael ha riaperto gli occhi, una
mattina in cui Thomas non ha ancora aperto bocca ma ha già
tra le labbra
l’ennesima sigaretta che brucia placida e silenziosa, gli
racconta che ha
chiesto una sigaretta e che ha barattato con sua madre una partenza per
l’Australia in cambio dell’aiuto che lei
può dare a Tommy. Gli riempie un
bicchiere di whiskey e gli domanda perché non va a vedere
come sta, come fanno
tutti loro, perché si ostina a restare nella sua vecchia
casa a macerarsi
l’anima. Thomas non sa risponderle, porta alle labbra il
bicchiere e pensa che
per quella notizia potrebbe anche decidere di ringraziare Dio dopo anni
passati
a ignorarlo.
Lo rivede per la prima volta dopo l’incontro con Luca
Changretta che gli ha promesso vendetta nel più classico dei
modi: assicurandogli
che li ucciderà tutti, John è stato solo il
primo. Ha finalmente la possibilità
di vederlo in faccia e di assicurarsi che è davvero vivo,
anche se mal messo. Porta
una fasciatura stretta laddove i proiettili lo hanno colpito e il
colorito
bianco di chi potrebbe svenire da un minuto all’altro,
però ha negli occhi
qualcosa che scatena in Thomas un brivido lungo la schiena, ha lo
sguardo di
chi non ha più paura di niente, quello che gli ha stretto la
voce quando
Michael ha disobbedito al suo primo ordine: quello di andare via. Un
sacchetto
di carta con dentro delle mele gli ricorda anche l’ha
strappato via da una vita
assolutamente semplice e ordinaria e da una famiglia che non
l’avrebbe mai
messo in pericolo, anche se a Michael quella vita stava stretta e
pretendeva
l’adrenalina e la follia.
Decide di non dirgli nulla, perché finirebbe per
confessargli che gli sembra una benedizione il fatto che lui sia
rimasto in
vita, finirebbe per dirgli tutte quelle cose che ha tenuto dentro da
quando
l’ha trascinato lì, tra polvere, sangue e scelte
pessime che gli hanno cambiato
per sempre la vita.
Discutono dei cambiamenti tecnici e temporanei alla Shelby
Company Limited, per poi far presente parte del suo piano che manda al
diavolo
vendette e tradizioni per assicurare loro protezione e vittoria, votano
tutti
perché non sia necessariamente Arthur a sparare il colpo che
dovrebbe vendicare
John, anche se negli occhi di Michael c’è
un’ombra che ricorda tanto a Thomas
la stessa che aveva quando gli ha chiesto di imparare a uccidere.
Michael sa
che la vendetta è anche una questione d’onore, non
solo di sopravvivenza e, se
Polly non avesse deciso il contrario, lui avrebbe votato in favore
Arthur, ma
tace, perché ha avuto due proiettili in corpo a causa di
quella guerra e sa che
in un modo o nell’altro è meglio finirla il prima
possibile.
Il piano di Tommy procede lungo vie tortuose e tentativi di
farli fuori che mostrano quanto gli Shelby siano attaccati alla vita.
La guerra
va avanti tra le strade di Small Heath e le fabbriche della Shelby
Company,
supera le rimostranze di Arthur a lasciare andare le loro maledette
tradizioni
da Gipsy e il bisogno che ha Thomas di non sentirsi così
maledettamente rotto
ad ogni passo che compie. Va avanti tra trappole e agguati che lo fanno
correre
verso Michael per testare una lealtà che, per
la prima volta, non trova. Vorrebbe ridere e piangere
insieme, ringraziare
il cielo per quella specie di illuminazione divina che ha colto Michael
e
bestemmiare per quelle parole che non gli ha detto, perché
parte di lui
continuava ancora a sperare che Michael restasse in silenzio alle sue
spalle,
senza tradirlo mai.
È quello il primo motivo per cui dà a Polly il
consenso per
metterlo al sicuro tra i boschi di Birmingham, protetto dagli uomini di
Aberama
Gold, sa che non lo vedrà per un bel pezzo e un pensiero gli
si insinua nella
mente, un pensiero che prende la forma di una nave e di una nuova vita
lontana
da loro, che vorrebbe essere una punizione e una liberazione insieme
nella
testa di Thomas.
Scende a patti con quella decisione tra le braccia di
Lizzie, ancora una volta, immaginando che quello
sia l’unica cosa che potrà mai avere nella vita:
del sesso veloce con qualcuno
che lo ama, ma che lui non amerà mai, che li ferisce
entrambi a ogni carezza; che
quella ferita, poi, possa portare alla sua vita un’altra
piccola rivoluzione
non se l’immagina nemmeno.
Lizzie gli dice di essere incinta e lui non sa se gioirne o
esserne totalmente distrutto. Un altro figlio è sinonimo di
un’altra vita da
condannare al nome Shelby e al sangue Gipsy e onestamente non sa quel
che
vuole, comprende però, guardando Liz negli occhi, che quella
decisione non
spetta più a lui e che quella nuova vita arriverà
da lì a breve, deve solo
accettarlo, e decide di farlo mettendo ordine nella propria vita,
pianificando l’ultima
parte di quella guerra.
La prima cosa che fa è comunicare a Michael che deve andare
via, che un treno lo aspetta in direzione Liverpool e che da
lì, due giorni
dopo, una nave lo porterà nella fottuta New York.
«Will
I be coming back?»
No, pensa Tommy,
permettergli di tornare significherebbe dirgli che l’ama e
che per egoismo,
debolezza o forse entrambi ha scelto di tenerlo lì con lui,
permettendogli di
macchiarsi l’anima con peccati che avrebbe dovuto commettere
solo e soltanto
Thomas.
Non gli risponde e riveste quel pensiero di risentimento per
un tradimento che Thomas, alla fine di tutto, comprende e giustifica.
Lo
colpevolizza perché sa che se quella partenza
verrà percepita da Michael come
un esilio, l’accetterà con più
facilità. Polly lo saluta con la promessa di un
nuovo capitolo in Australia non appena tutta quella storia
sarà finita. Thomas
non si volta nemmeno a guardarlo, non aggiunge nient’altro,
sente solo il suo
passo accompagnato dal ritmico bussare sul pavimento del bastone di
legno di
cui ha bisogno per camminare.
È un suono che non dimenticherà mai, ne
è certo.
Quel bussare ritmico lo accompagna anche nell’ultima parte
di quella guerra, mentre l’incontro di box si svolge davanti
a lui; diventa un
eco leggero quando si macchia le mani del sangue di Arthur e sbatte in
faccia a
tutti i presenti la sua morte; gli fracassa i timpani nel silenzio
della resa,
mentre accetta di smantellare tutto ciò che ha costruito in
nome degli Shelby
e, soprattutto, è con lui nell’esatto momento in
cui rivela l’inganno e fa
crollare il castello di carte messo in piedi da Luca Changretta.
Lui è Thomas Shelby e
ha sempre un asso nella manica.
Arthur spara il colpo che li libera dalla vendetta e che
mette un punto a quella storia che li ha macchiati di sangue e morte,
che gli
ha portato via un fratello e di riflesso anche i nipoti, che ha ucciso
il Finn
bambino per dare vita all’adulto che ha preso il posto di
John e, per ultimo,
che ha mandato via Michael una volta per tutte. Quello è il
pensiero che
accompagna Thomas per tutta la notte, lo tiene sveglio a pensare che il
giorno
dopo Michael prenderà una nave che gli farà
cambiare stato e continente e che
lo porterà finalmente lontano da lui e dal suo sguardo.
C’è però uno scenario che
non sa accantonare e che gli mostra una vita misera in cui Michael
è morto
assieme a John e a lui non è rimasto niente oltre alle
parole che non gli ha
mai detto. È lo stesso pensiero che lo fa alzare presto il
mattino dopo e che
lo fa salire su un treno quando ancora il cielo non è
diventato del tutto
chiaro. L’unica cosa che si ripete nella testa, con il volto
sul paesaggio che
scorre veloce davanti a lui prima e con i palazzi scuri di Liverpool
negli
occhi dopo, è che se non lo ha perso il giorno in cui gli
hanno sparato ci sarà
un motivo, uno più forte della fortuna e della bravura dei
medici, un motivo
che sa di destino e cose belle, di un’intera vita da
costruire insieme da quel
momento in poi.
Lo sorprende seduto sul letto della camera d’albergo che gli
ha prenotato, non si è fatto annunciare, ha lasciato un
rotolo di banconote
alla reception per poi salire spedito. Michael sembra immobile, con le
braccia
abbandonate sulle ginocchia e il bastone poggiato sul letto, poco
distante da
lui. Tiene tra le mani l’orologio che Thomas gli ha regalato
quando è
ufficialmente diventato un membro della Shelby Company e lo guarda con
gli
occhi spalancati di stupore. Nessuno dei due dice niente, sulle labbra
di
Michael resta intrappolata l’unica domanda sensata che
vorrebbe porgergli.
«What
the hell are you doing here?»
Michael ha giusto il tempo di mettersi in piedi mentre
Thomas si versa un bicchiere di whiskey che tracanna in un sorso.
«Fuck it.»
Mormora mentre colma la distanza tra loro e ha subito le
mani sul suo volto, la fronte sulla sua.
«Fuck it,»
glielo sussurra
di nuovo sulle labbra «stay.»
È un sussurro che risuona chiarissimo alle orecchie di
Michael, che gli porta alla mente qualcosa che ha sempre creduto
impossibile,
come un sogno, un’illusione; e che nelle mani di Thomas che
stringono il suo
viso in modo così disperato sembra tangibile oltre ogni
immaginazione. Gli
stringe le braccia perché ha bisogno di sentire sotto le sue
dita il calore di
Thomas, di percepire esattamente con quanta forza lo stia stringendo,
come se
avesse davvero paura di vederlo andare via.
«What…»
«Please, stay.
Please…»
È la prima volta che gli sente chiedere per favore, che lo
sente pregare per qualcosa. Thomas Shelby non chiede, non domanda,
prende quel
vuole, quel che può, come se fosse un suo diritto di
nascita, un riscatto che
il mondo gli deve per averlo fatto nascere Gipsy e criminale.
Potrebbe semplicemente dirgli di restare, senza chiedere.
Potrebbe ordinarglielo e rendere anche quella pretesa un suo
insindacabile
diritto. Invece glielo chiede, come se lui avesse sempre avuto la
possibilità
di decidere se restare o meno, se obbedirgli o meno. Come se Thomas non
sapesse
che lui sarebbe sempre stato la prima scelta di Michael, in ogni
situazione.
«I betrayed you»
mormora stringendo di riflesso la manica della giacca di Thomas tra le
dita.
«I don’t care.
Stay.»
La voce di Thomas ha quella sfumatura disperata che Michael
gli ha sentito addosso solo due volte: quando è morta Grace
e quando hanno
rapito Charlie.
Thomas gli stringe la nuca con una mano e sposta il viso
fino a nascondere la fronte nel suo collo, tra il colletto inamidato
della sua
camicia e la giacca scura che indossa. Michael non può fare
a meno di
aggrapparsi alle sue spalle per reggersi, gli stringe le dita sulle
spalle e
gli sembra di ancorarsi in qualche modo all’illusione
più bella della sua vita.
«Please…»
È un mormorio quasi impercettibile alle orecchie di Michael.
«Please. Please.
Please.»
Un mormorio che diventa poi una litania infinita che sa di
preghiera e bisogno.
«Come home with me.»
Gli risponde senza nemmeno fermarsi a pensare, Michael. Gli
risponde sollevandogli il viso con una mano e baciandolo come se quella
fosse
l’unica cosa importante della sua vita. Le sue labbra sanno
di whiskey, tabacco
e di un’infinità di momenti che hanno sempre
immaginato e poi relegato
nell’angolo più nascosto della loro mente.
«I will.»
Gli risponde tra denti, labbra e lingua, nel bel mezzo di un
bacio che sembra un sogno che non avrebbe mai pensato di avverare e che
apre
scenari che non avrebbe mai creduto realizzabili.
Restano due giorni tra le mura di quella stanza prima di
salire su un altro treno che li riporterà a Birmingham, da
tutto quello che Thomas
ha lasciato in pausa, incurante delle conseguenze. È tornato
ad avere il volto
scuro e serio di sempre, che nasconde però l’ombra
di un sorriso ogni volta che
con le dita sfiora Michael in maniera fintamente casuale. Poggia a
volte un
paio di dita all’interno del suo polso, per sentire il suo
battito leggermente
accelerato e sorriderne felice, come se quello fosse sempre stato
l’unico
obiettivo della sua vita e forse anche l’unico davvero
importante da portare a
termine.