Chiacchiere, chiacchiere e chiacchiere
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-
Ginny non
vedeva Pansy da dopo la colazione. A pranzo chiese a Ron se lui
l’avesse vista.
“È andata al
San Mungo con Camille” rispose il rosso. Oh. Si era scordata.
“E quando
tornano?”
Lui scosse le
spalle. “Non lo so. Pensavo stessero via solo la mattina, ma
si vede che mi
ricordo male”.
“Ok.”
“Perché la
cerchi?”
Scosse le
spalle e si sedette vicino al fratello, iniziando a mangiare
anche lei.
“Mi ha scritto
la mamma. Ti ricordi la tipa che Percy ha portato a casa dopo
Natale?” disse a
Ron.
“Sì. La tipa
bionda? Avril? O Aretha?”
Ginny sorrise.
“Quasi: Audrey. Ma non ricordo il cognome”. Lui
annuì, più interessato al cibo
che alla fiamma di Percy. “Beh, si sono fidanzati”.
Ron fece
cadere la forchetta e fischiò. Ginny spalancò gli
occhi divertita.
“Di già?” le
domandò.
“Se ho capito
bene, lui le stava dietro da quasi un anno. Ma lei si è
convinta a uscire con
lui solo quando si è finalmente unito all’Ordine
della Fenice e ha combattuto”
spiegò lei e Ron la guardò di sottecchi.
“E tu come lo
sai?” Lei sorrise.
“Non
sottovalutare la mamma, Ron. Quando Percy si è presentato
con Audrey lei ha
subito sguinzagliato tutte le sue conoscenze al ministero per scoprire
se era
una brava ragazza e che tipo fosse: ha superato
l’esame”. Ginny strizzò un
occhio sorridendo ancora.
Ron era
inorridito. Cosa aveva fatto sua mamma?
“E l’ha fatto
anche con Fleur?” domandò.
“Cosa?”
“Chiedere
informazioni” precisò Ron.
“Ma mica è
andata in giro a fare domande, la fai sembrare una fuori di
zucca!”
Lui era ancora
stranito. “Ma l’ha fatto?”
“Beh, un po’
conosceva Fleur e ha tenuto occhi e orecchie aperte. Ma penso che si
sia
convinta quando Fleur ha dichiarato il suo amore a Bill dopo che era
stato
attaccato da Greyback” spiegò.
“E chiederà
informazioni anche per me, George e Charlie?” chiese il rosso.
Lei alzò le
spalle. “Beh, Angelina la conosce già e ha
un’alta opinione di lei. Per
Charlie, avrà qualche problema se si trova una ragazza in
Romania, ma immagino
che non sia un grosso impedimento, quando mamma si mette in testa
qualcosa... Per
te… sicuramente chiederà informazioni su
di te!”
Ginny rise
mentre il fratello le lanciava il tovagliolo di stoffa e lei si chinava
per
schivarlo.
“Quindi
si
sposano?” le chiese Ron.
“Così sembra.”
“Quando?”
“Non hanno
ancora deciso”. Ginny stava spostando le patate arrosto nel
piatto da una parte
all’altra. Sospirò.
“Cosa c’è?” le
chiese il fratello.
“Come?” La
rossa alzò lo sguardo.
“Che hai? Di
solito non giochi con il cibo” disse lui, corrugando la
fronte.
“Oh. Niente…”
E continuò a spostare le patate, schiacciandole.
“Non posso
lasciartelo fare!” Ron si allungò e con la
forchetta le rubò tre patate che si
mise in bocca.
“EHI!” urlò Ginny.
Alzò la testa e gli picchiò una mano con il dorso
della forchetta.
“Non te le
meriti. Sono buonissime” disse lui allungandosi ancora.
Ginny spostò
il piatto ridendo. “Smettila!”
“Allora,
cos’hai?” le chiese ancora e la ragazza
tornò seria.
“Domani vado
all’allenamento con le Holyhead
Harpies”
ammise.
“Oh, ancora? Dovresti smetterla di angustiarti
così. Se ti hanno chiamato
dopo poco tempo, hai fatto bella figura, no?”
Però Ginny continuò a pensare all’altra
ragazza, quella dell’accademia.
Glielo disse.
“Cos’è, hai paura che sia la
Chang?” chiese Ron, continuando a mangiare.
La rossa spalancò gli occhi. Non ci aveva pensato. La Chang?
No. No! “Tu
dici che…”
Ron si sporse verso di lei e le mise le mani sulle spalle, scuotendola.
“Basta.
Ti stavo prendendo in giro. E poi la Chang è una cercatrice,
no?” Ginny annuì.
“E poi non avevamo detto che era brutta,
quell’altra?” Strizzò un occhio e
ridacchiò mentre la prendeva in giro.
Ginny si infuriò ma si fece contagiare dalla sua risata.
“Ti odio, sai?”
disse ancora mentre rideva.
Almeno non era più agitata per l’allenamento. Ora
voleva solo prendere a
pugni suo fratello. Come tutti gli altri giorni. Lui si risedette per
mangiare
il dessert, così lei allungò un cucchiaio e
gliene rubò metà.
“NO!” esclamò lui.
“Così impari.”
Lui sbuffò. “Sicuramente la Chang mangia meno di
te!”
Ginny spalancò gli occhi, gli rubò anche
l’altra metà del dessert e andò
via dal tavolo Grifondoro sorridendo.
***
Quando Pansy e
Camille tornarono a Hogwarts, tramite il camino della McGranitt, la
preside le
guardò con aria severa. E con aria severa guardò
tutti i pacchi e le borse che
le ragazze avevano, testimoni del pomeriggio di shopping.
“Signorina
Parkinson, signorina Lemaire. Buonasera. È stata molto lunga
questa visita al
San Mungo?”
“Preside
McGranitt, potremmo parlare io e lei e mandare in camera Camille, che
è molto
stanca?” chiese Pansy. Sapeva che ci sarebbe stata una
punizione, ma preferiva
che Camille non ne sapesse niene.
La McGranitt
fece un cenno con il capo e disse: “Signorina Lemaire, lei
può andare”.
Camille
guardò
le due streghe che si osservavano, senza capire granché.
Così salutò e uscì
dall’ufficio. Ma non andò in camera: si
fermò poco lontano dall’ufficio e si
nascose in attesa di veder uscire la sorella.
“Non
metta in
punizione Camille, per favore. Le ho detto io che potevamo stare fuori,
non
aveva motivo per non credermi”. Pansy parlò
velocemente, prima di ripensarci.
La strega più
vecchia la guardò con il suo sguardo glaciale e
tirò le labbra in una linea di
disapprovazione. “Parlerò con il professor
Lumacorno della sua punizione,
signorina Parkinson, e poi le faremo sapere”.
Detto ciò la
congedò con un cenno del capo e le indicò la
porta.
Quando uscì,
Pansy trovò la sorella che l’aspettava.
“Cos’è
successo? Ti ha messo in punizione?” le chiese.
Pansy sorrise.
“No no”. Non ancora. Ma
andava bene
così: era stata una bella giornata, nonostante tutto.
Arrivarono
prima alla stanza di Pansy e quando entrarono, trovarono Millicent e
Daphne che
chiacchieravano scegliendo vestiti dalle loro cabine armadio e si
zittirono
subito loro quando entrarono.
Camille se ne
accorse e disse alla sorella: “È meglio che vada
in camera mia”. Prese quasi
tutte le borse e i pacchi, salutò tutte le ragazze e se ne
andò.
Pansy appoggiò
quel poco che aveva sul letto, sorrise alle compagne e aprì
il suo baule,
pensando di lasciarle continuare.
Millicent
però, dopo una strana occhiata le chiese: “Avete
fatto acquisti?”
“Sì” le
rispose, sintetica.
Non voleva
essere maleducata, ma Millicent poteva essere pesante e Pansy voleva
darle meno
corda possibile.
“E la
McGranitt vi ha lasciato uscire?” domandò ancora.
“Sì” confermò
lei.
La mora lanciò
un’occhiata a Daphne, ma lei non ricambiò lo
sguardo, lo tenne fisso su un
completino intimo che aveva appoggiato sul letto.
“Hai fatto
acquisti per sabato?” continuò il suo
interrogatorio Millicent.
“Sabato?” chiese
Pansy, stranita.
Daphne
intervenne: “Sabato c’è il weekend a
Hogsmeade”.
Pansy tornò a
quello che stava facendo. “Oh. Giusto. Mi ero
scordata”.
“Tu ci vai con
qualcuno?” chiese ancora.
Pansy era
stufa di tutte quelle domande, così alzò lo
sguardo e domandò: “Dimmi
Millicent, che facciamo prima: cosa vuoi sapere da me?”
Vide la
compagna di casa inalberarsi. “Io non voglio sapere proprio
niente!” Poi si
girò verso Daphne e le comunicò in tono rabbioso:
“Io vado a farmi la doccia.
Ci vediamo dopo”.
Prese
l’accappatoio, il beauty e tutto quello che le serviva e a
passo deciso uscì
dalla stanza.
Daphne
guardò
la compagna uscire. E sospirò contenta: a volte Millicent
diventava un po’
opprimente. Poi si rivolse alla mora e le chiese: “Siete
state al San Mungo?”
Pansy la guardò con sospetto, ma poi lei spiegò:
“Astoria mi ha detto di
Camille”.
“Non lo dirai
a nessuno, vero? Non metterla in mezzo fra noi”. Pansy si
agitò. No, non aveva
capito. Lei non voleva litigare, anzi…
“No no. Non lo
dirò a nessuno, lo sai. Va…. tutto
bene?” Vide la mora annuire e tornare a
guardare nel suo baule. Si avvicinò al suo letto e si
sedette. “Vai con Weasley,
sabato?”
Pansy alzò lo
sguardo verso di lei. “Weasley?” le chiese, confusa.
Pansy vide la
vecchia Daphne, la sua amica, sorridere. “Sì,
Wealsey! All’inizio mi hai
confuso e parecchio. Ma adesso no” esclamò.
La mora si avvicinò
al letto. “In che senso ti ho confuso?”
domandò.
“Quando
abbiamo fatto la riunione, sei andata via con lui e quando sei tornata
non
avevi più il rossetto”. Pansy spalancò
gli occhi e la bionda rise, quando capì
di averci beccato. “Ma poi niente, non vi ho mai visto fare
cose…
compromettenti. Sembravate solo amici. Come con…
Blaise”. Daphne sospirò e poi
il suo sguardo si illuminò. “Ma
ultimamente… Lo guardi in una maniera… Oh,
Pansy dovresti vederti, davvero. Te lo mangi con gli occhi. Non hai mai
guardato
nessuno così, neanche Draco. E sappiamo tutti quanto tempo
hai speso dietro a
Draco!”
Pansy si
chiese se fosse una cosa così evidente per tutti. Si stava
rincretinendo? Lei?
Ma poi immaginò che forse, Daphne la conosceva da
così tanto che aveva capito
quello che stava succedendo. Forse prima ancora di lei. E sorrise.
Daphne,
l’amica più cara che aveva, era tornata. Ma era
anche quella che l’anno prima,
seppur per colpa sua, le aveva voltato le spalle. Così non
disse niente. Ma la
bionda dovette immaginarlo, perché parlò ancora.
“Io sabato
esco con Macmillan di Tassorosso” confidò Daphne.
“Macmillan? Ma
come…”
Daphne, guardò
per terra, come se si vergognasse. “Sì, lo so, ma
non posso passare la vita aspettando
che Blaise mi chieda di uscire, no? Secondo Millicent è una
buona idea, farlo
ingelosire” ammise.
“Io non credo
che usare Macmillan sia una gran idea, sai?”
La biondina
alzò lo sguardo. “Lo so. Non ho intenzione di
ingannarlo”.
Pansy annuì.
Chissà come avrebbe reagito Blaise. Sperò che non
reagisse male come lei
immaginava.
“Tu e Blaise
avete mai fatto…” iniziò a chiedere la
bionda.
Era il momento
delle confessioni? La mora la interruppe: “Daphne, non ho mai
fatto niente con
Blaise. Non l’ho neanche baciato. E comunque, tu avresti
dovuto dirmelo, che ti
piaceva, ero la tua miglior amica!”
La bionda scosse
le spalle ma poi sorrise, contenta. “E perché
stavate insieme?”
Pansy sospirò.
Forse era davvero arrivato il momento. Così
raccontò all’amica quello che era
successo: di sua madre, di Draco, di Blaise.
Non raccontò
della storia di come sua madre aveva tentato di venderla a Voldemort.
Quello…
ancora non ci riusciva. Non con Daphne che la conosceva da sempre. Lei,
che
aveva una famiglia così perfetta e con cui andava
d’accordo. L’aveva detto solo
a Ginny.
In compenso,
si vergognò immensamente di tutto il resto che
raccontò, ma sapeva che poteva
fidarsi di Daphne e ora, che era tutto finito, non doveva
più nascondersi.
Daphne si
portò una mano alla bocca a soffocare
un’esclamazione non proprio da signora,
più volte, durante il racconto dell’amica. E alla
fine rimase senza parole.
“Non me l’hai mai
detto” sussurrò.
“No” ammise,
ancora.
“Avresti
dovuto dirmelo”. Pansy alzò le spalle. Ormai non
faceva differenza. “E ora stai
con Weasley? Anche lui ti mangia con gli occhi!” Sorrise alla
mora dandole una
gomitata.
Lei aveva
un’espressione sognante, ma poi tornò seria.
“Oh, non lo so”.
“Non sai
cosa?” le chiese, confusa.
“Se sto con
lui” disse l’amica.
La bionda ora
era confusa e Pansy lo vedeva chiaramente. “Perché
non lo sai?”
“Noi…
è complicato” rispose.
Daphne la
guardò ancora, ma Pansy non voleva parlare del Grifondoro,
così si alzò e disse,
andando verso il letto dell’amica: “Allora, cosa ti
metti sabato?”
La bionda si
alzò e si avvicinò a lei. “Non ho
ancora deciso. Neanche l’intimo. Millicent
dice che devo mettere qualcosa di sexy…”
“Devi mettere
quello che ti fa stare meglio, quello che ti fa sentire più
bella” disse la
mora.
“Ma io non
voglio spogliarmi!” Pansy si girò verso di lei; da
quando aveva la tutela di
Camille, la sua visione del mondo era molto cambiata rispetto a prima.
“Non dovrai
spogliarti assolutamente. Ma sapere che sotto sei bella e ti senti
bene, ti
farà sentire più tranquilla”. Daphne
annuì e lei continuò: “So che hai nel
baule un vestito nero di velluto e pizzo che ti piace
molto…”
La bionda la
guardò e scosse le spalle. “Quel vestito non
l’ho mai messo, perché non è
veramente mio” disse, poi si morse un labbro e
abbassò gli occhi.
“Io invece
sono sicura che sia tuo. E so che ti sta bene. Dovresti
metterlo.”
Daphne la
guardò ancora. “Dici davvero?”
Pansy annuì,
poi, senza premeditarlo, l’abbracciò. Daphne
sembrò piacevolmente colpita dalla
cosa. “Weasley ti sta dando belle abitudini”
mormorò, stringendola.
“Oh, non sai
quante” disse Pansy.
E non hai idea
di quanto mi mancheranno.
***
Nel pomeriggio
Ginny bazzicò nei sotterranei, cercando la maniera per
entrare nella sala comune dei Serpeverde. Sapeva che Pansy e Camille
erano
tornate, ma non le aveva ancora viste. Deviò e si nascose
quando passarono
Rowie e i suoi amici e anche quando passò Nott.
Lo guardò di nascosto: chissà se era lui il padre
del bambino di Camille.
Quel tipo non era né bello, né simpatico
né gentile. Sperò che fosse qualcun
altro. Chiunque.
Quando scorse Malfoy, sorrise. “Malfoy!”
esclamò, uscendo da dietro una
delle colonne.
Lui, che non l’aveva vista, si bloccò di colpo
quando se la trovò davanti
ma, da vero snob, si riprese subito e la sua espressione
tornò la solita, prima
di chiederle: “Piccola Weasley. Che ci fai in giro da
sola?”
“Sto
cercando il modo per andare da Camille. Mi fai entrare in sala
comune?” chiese a Draco.
La piccola teppista aveva il suo faccino da sorella minore.
Pietà per
Weasley, pietà per Potter. Come facevano a sopportarla?
Sbuffò. Non voleva
farsi vedere entrare in sala comune con lei.
La rossa dovette capirlo perché esclamò:
“Oh, e io che pensavo che voi
purosangue snob ve ne fregaste di quello che pensano gli
altri!”
Il biondo rise. “Ok. Dai, andiamo”.
“Bravo Malfoy!”
La rossa gli diede una pacca sulla spalla. Una vigorosa pacca sulla
spalla. Probabilmente Zabini sarebbe stato più delicato.
Ginny lo
seguì e poco prima della porta dei Serpeverde, lui si
chinò e le
chiese: “Avete fatto pace tu e Hermione?”
Lei si girò piacevolmente sorpresa.
“Sì. Ma non avevamo proprio litigato”
Lui annuì. Entrarono in sala comune e lei si
fermò, guardando chi c’era in
giro. Malfoy si diresse verso i dormitori maschili senza salutarla e
lei lo
richiamò.
“Aspetta, Malfoy: ti dico una cosa.”
Draco si
girò, ma vide che lei era rimasta ferma, invece di
avvicinarsi a
lui. Alzò un sopracciglio e lei ghignò.
“Magari non ti interessa?” lo provocò
lei. Il biondo sbuffò e si avvicinò
alla Grifondoro; lei sorrise vittoriosa. “Può
essere che tu sia stato in un
determinato posto, poco tempo fa, senza dirlo a nessuno. E
può essere che qualcuno
che non sapevi essere lì, ti abbia visto. Quindi questo tuo
segreto, non è più
tanto un segreto e adesso, la persona che ti ha visto, si sta facendo
un po’ di
paranoie…”
“Di cosa stai parlando? Non si capisce niente” Lei
sbuffò.
“Stai attento” iniziò e
riformulò tutto come prima. “Parla con la persona
che ti ha visto, ok?” disse alla fine.
Draco era ancora confuso.
La sua faccia
era molto confusa. Era così ottuso. Come tutti gli altri
ragazzi.
“Parla con lei”
concluse lei,
poi si girò e si incamminò verso il corridoio dei
dormitori femminili.
Non si voltò a guardare la faccia del ragazzo. Che si
arrangiasse. Aveva
detto fin troppo.
Camminò fino alla stanza delle ragazze del quarto anno e
bussò prima di
entrare. Le aprì la porta una delle compagne di Camille
(l’unica che le fosse
simpatica) che l’accolse con un sorriso. “Weasley,
ciao bella, entra”.
Ginny entrò salutando, Camille stava sistemando i suoi
acquisti e aveva
una montagna di vestiti sul letto. Oltre a loro due, non
c’era nessuno.
Camille si
voltò verso la Grifondoro quando la chiamò.
“Ciao Ginny! Vieni,
vieni, guarda cosa ho comprato oggi!”
La rossa si avvicinò sorridendo. “E al San Mungo
com’è andata?”
La mora sorrise contenta. “Avvicinati, che ti faccio vedere
il bambino!”
Parlò sottovoce, ma quando vide Ester uscire dalla camera fu
contenta di poter
usare un tono normale. “Guarda com’è
bello!”
Ginny si
avvicinò, mentre lei spostava dei vestiti per farla sedere
sul
letto e prese dal comodino una foto di dimensioni giganti. Si sedette
vicino a
lei e Camille le mostrò il bambino che si agitava.
“Sai che oggi l’ho sentito muoversi? Vuoi provare?
Però adesso non sta
facendo niente” disse. Le prese la mano e
l’avvicinò alla sua pancia, ma Ginny
non sentì niente. “Avresti dovuto vedere Pansy,
era così commossa…”
La rossa le sorrise. Camille parlava tantissimo. Poi, improvvisamente
si
fece seria e guardò la porta della camera che era chiusa.
“Posso chiederti una cosa?” le chiese.
Ginny annuì. “Certo. Puoi chiedermi quello che
vuoi. Ma non soldi” concluse
sorridendo. Vide Camille scuotere la testa senza sorridere e
capì che era una
cosa importante.
“Oggi ho detto a Pansy che Nott è il padre del
bambino e…” la rossa si
portò una mano alla bocca spalancando gli occhi. Merlino!
Allora era vero!
Camille la
guardò mentre imprecava. Possibile che solo lei fosse stata
così stupida da non capire che Nott era un troll?
Sospirò: magari fosse stato
solo quello il problema.
“Ma
avevi detto che era un Grifondoro” obbiettò Ginny.
Camille alzò le spalle “Ho mentito. Non volevo
dirle la verità. Mi
vergognavo di farle sapere che ero rimasta incinta con un troll e che
mi ero
ubriacata. Pansy pensa che voi Grifondoro siate tutti brave persone e
io ho
pensato che se avessi detto che avevo un ragazzo, e che era un bravo
ragazzo
Grifondoro, non sarebbe stato così brutto”.
Ginny scosse la testa lentamente. Ormai, non faceva differenza.
“E lei
come l’ha presa?” chiese ancora la rossa. Si
ricordava la reazione di Pansy
quando c’era stato solo un dubbio, quel giorno che ne aveva
avuto la conferma,
cosa era successo?
“Male. E bene” rispose Camille. Oh. Doveva essere
una bella notizia.
“In che senso?” chiese comunque “Quando
gliel’ho detto è scappata in
bagno a vomitare, ma poi mi ha detto che le aveva fatto male qualcosa
che aveva
mangiato”, Camille si fermò e poi
continuò sottovoce: “abbiamo deciso di non
dirgli del bambino”.
Ginny annuì: sembrava una saggia decisione. Ma la ragazza
aveva ancora
uno sguardo strano. “Mi sembra che fosse quello che volevi,
no?” La mora riportò lo sguardo su di
lei. “Sì, sì. È che mi ha
chiesto una
cosa strana…”
Camille non era
sicura che parlarne con lei fosse giusto, ma non riusciva
più a tenerselo dentro. E non aveva nessun altro con cui
parlarne. Nessuno che
conoscesse tutta la storia. “Cosa ti ha chiesto?”
le chiese quindi Ginny.
“Mi ha
chiesto se io fossi consenziente e se mi avesse dato qualcosa da
bere prima”.
Ginny spalancò gli occhi.
“Davvero?” Era una domanda molto particolare,
quasi… vissuta.
“Perché Pansy pensava che lui avrebbe potuto
violentarmi, secondo te? Tu
pensi che Nott abbia fatto del male a qualche ragazza? Lei è
un prefetto,
magari ha saputo…”
Ginny invece pensava che la ragazza in questione potesse essere proprio
Pansy.
Sarebbe tornato tutto: il fatto che lei fosse spaventata da lui, che
non
volesse neanche vederlo, che si allontanasse quando lui era nei
paraggi. Si
ricordò di quando avevano avuto la discussione prima di
Natale e del fatto che
lei fosse molto scossa. O di quando aveva avuto bisogno della pozione
per
dormire. Certo che se fosse stato davvero così…
Decise di stare zitta: se Camille non ci aveva pensato, non voleva
farle
venire il dubbio proprio lei.
“Potrebbe essere” rispose vaga. “Fammi
vedere meglio quella foto”, cercò
di cambiare discorso.
La mora sorrise e gliela allungò. Le spiegò tutto
quello che faceva il
piccolo e tutto quello che le aveva spiegato il medimago. Poi le
raccontò del
loro pomeriggio e anche di quando erano andate nella Londra babbana in
un posto
dove delle ragazze le avevano massaggiate. Secondo Camille era stato
fantastico. Ginny era già la seconda volta che sentiva
nominare la cosa.
Per le prossime vacanze avrebbe proposto a Hermione di andarci insieme.
Sicuramente lei sapeva di cosa parlavano, quando dicevano
‘massaggio’.
***
Camille
notò che era quasi ora di cena e chiese a Ginny se le
andasse di
andare a chiamare Pansy insieme per andare in sala grande. La rossa
annuì. Si
diressero insieme verso la camera del settimo anno plus, quando videro
arrivare,
dal corridoio dei bagni, una delle compagne di stanza di Pansy. Quella
che sul
treno aveva fatto l’interrogatorio ad Astoria sul
perché avessero litigato Pansy
e Daphne.
“Weasley,
cosa fai nei nostri dormitori?”
Ginny si voltò e vide la Bulstrode avanzare verso di loro.
“Buonasera
anche a te, Bulstrode. Sempre carina, eh?”
La Serpeverde aprì la porta della camera facendo una smorfia
alla
Grifondoro e il suono di una canzone delle Sorelle Stravagarie
riempì il
corridoio.
“Entrate e chiudete la porta!” urlò una
voce sulla musica.
Tutte e tre entrarono e chiusero la porta obbedendo. La musica era
molto
alta, adesso che la porta era chiusa. Le due Serpeverde, Pansy e la
Greengrass
ballavano scatenate, insieme, sul tappeto in mezzo alla stanza.
“Su, forza, unitevi a noi” La Greengrass fece un
cenno con la mano. Ginny
non se lo fece ripetere una seconda volta e si unì a loro,
trascinando Camille.
Camille si
unì alle ragazze in maniera molto più composta di
Ginny. Era
convinta di non ballare bene e non le era mai piaciuto particolarmente
anche
quando non era incinta, quindi non dovette sforzarsi di limitare i suoi
movimenti per via del bambino.
Ballarono per pochi minuti, prima che la musica si interrompesse
improvvisamente.
Tutte si girarono verso la radio e tutte e quattro videro una Bulstrode
arrabbiata e un po’ nervosa che agitava la bacchetta.
“Ma cosa state facendo?” chiese, ancora furiosa.
Pansy scoppiò a ridere e spiegò: “Scusa
Millicent, ci stavamo divertendo”.
“Già. Era davvero divertente. Perché
hai spento la radio?” rincarò la
sorella di Astoria.
Ginny
tossicchiò. La Bulstrode la guardò con aria
severa, come se fosse
colpa sua (qualsiasi colpa, probabilmente).
“Perché stavate ballando?” La corpulenta
Serpeverde era ancora nervosa.
“Millicent, che ti prende? Abbiamo ballato un sacco di
volte!” disse
sorridendo la Greengrass, scambiando un’occhiata complice con
Pansy. Anche lei
ridacchiò.
A Ginny fece così piacere vederla ridere che si
dimenticò del discorso
con Camille.
“Non vi sarete fumate una canna, vero?” Lo sguardo
della Bulstrode si
assottigliò e divenne di fuoco.
Daphne rise. “Magari. Ne hai sequestrata qualcuna?”
chiese rivolta a
Pansy.
La mora fece un verso con le labbra e disse:
“Macchè. Niente da novembre”.
Ridacchiarono ancora. La Bulstrode si arrabbiò ancora di
più.
“BASTA! Non avevate litigato vuoi due?” Poi si
girò verso Pansy e disse
con cattiveria: “Non ti eri scopata il suo
ragazzo?”
Un silenzio
imbarazzante calò nella stanza. Pansy si
immobilizzò e rimase
senza parole.
“Andiamo a cena, Camille”, Ginny prese la mano
della giovane strega che
guardava tutte con gli occhi sbarrati.
“Non si toccano i ragazzi delle altre” disse,
meccanicamente, Camille.
Pansy riconobbe le sue parole in quelle della sorella. Si
girò verso di
lei. “Infatti non l’ho fatto. Avrò tanti
difetti, ma non ho mai rubato il ragazzo di un’altra. Di
un’amica poi…” Guardò
Millicent con uno sguardo
veramente glaciale. “Grazie per aver detto veramente quello
che pensi di me.
Che tu ci creda o no, sarei stata lontano anche dal tuo, di
ragazzo” Poi si
girò verso Daphne. “Quello che pensi tu, non lo
so. Ma come stanno le cose,
adesso lo sai”.
Tornò verso il suo letto e sistemò le due buste
di acquisti che aveva.
Ginny la
seguì con lo sguardo e vide che aveva una piccola busta con
il
logo del negozio ‘Accessori per il Quidditch di alta
qualità’; lo fece
scivolare fra il comodino e il letto, come se volesse nasconderlo e poi
rialzò
lo sguardo.
“Andiamo a cena” disse la mora. Fece un cenno a
Camille e a Ginny e si
incamminò verso la porta.
“Aspettatemi!” La Greengrass le raggiunse
velocemente e tutte e quattro
uscirono dalla porta.
Millicent
guardò le ragazze andare via. Si sedette sul letto,
appoggiando
le cose che aveva portato in bagno per fare la doccia.
Stupide ragazze ricche. Loro non sapevano cosa voleva dire dividere la
camera con loro. Stupide, stupide, stupide. Erano sette anni che le
sopportava.
Loro, con i bei lineamenti e il fisico snello. Loro, con i bei vestiti
e
le scarpe nuove. Loro, con le lozioni e trucchi costosi. Loro, con le
loro
generazioni di purosangue alle spalle. Loro…. che erano
ancora amiche.
E poi c’era lei, che non lo era mai stata.
Ginny e le
ragazze avevano camminato dai sotterranei fino alla sala
grande chiacchierando. La Greengrass non era male. Si notava che lei e
Pansy
erano amiche da tanto. Sembrava che avessero fatto pace da poco.
Chissà se
avevano litigato per quello che aveva detto la Bulstrude. Ma quella non
faceva
che mettere zizzania dappertutto.
Pensò a cose più interessanti: prese Camille da
parte e le chiese: “Cosa
avete comprato al negozio del Quidditch?”
La mora fece una faccia strana, come se non si ricordasse e
improvvisamente
si ricordò: “Oh, dei guanti!”
“Guanti?” chiese Ginny, ancora più
curiosa.
“Sì, dei guanti arancioni”
precisò la ragazza scrollando le spalle con
noncuranza.
Dei guanti arancioni, eh? “Dei guanti da
portiere?”chiese ancora Ginny.
La Serpeverde corrugò la fronte “Non
so”.
“E c’erano per caso delle lettere sui guanti? Tipo
due ‘C’ nere? E una
palla di cannone?” Camille sorrise annuendo.
“Sì, sì” rispose.
Anche Ginny sorrise: dei guanti da portiere dei Chudley Cannons. Per
una
a cui il Quidditch non interessava neanche, erano un acquisto strano. I
Chudley
Cannons erano la squadra preferita di Ron. E lui era un portiere.
Dovette
trattenere una risatina.
***
Quel
giovedì mattina Ginny non riusciva a
concentrarsi a lezione. La McGranitt la vide alla fine della terza ora
mentre
raccoglieva da terra i libri e le pergamene di Trasfiguarazione che le
erano
cadute.
“Signorina Weasley, tanto valeva che le dessi la giornata
libera!”
“Mi scusi, preside McGranitt, mi sento un po’
agitata. Prometto che recupererò
la lezione al più presto” spiegò.
La strega fece volteggiare con la bacchetta una pergamena che era
caduta
lontano dal banco della studentessa. “Vada pure a pozioni,
adesso, ma cerchi di
non far esplodere niente, per cortesia”.
La rossa annuì distrattamente. La McGranitt fece la sua
smorfia
preferita, quella uguale a zia Muriel quando il medimago le aveva detto
di
mangiare la frutta invece dei dolci, e se ne andò.
Ancora due ore di pozioni con Lumacorno e poi poteva pensare
serenamente
all’allenamento. Serenamente? Per Godric, ma che pensava? Non
poteva essere
serena.
Doveva assolutamente riuscire a fare un bel allenamento, mica a
rilassarsi. Doveva essere più brava di
quell’altra. Lo era di sicuro. (Anche se
continuava a pensare alla Chang.)
Le sue compagne l’avevano lasciata indietro, notò;
si incamminò
lentamente verso i sotterranei, schivando altri ragazzi nei corridoi.
Quando
arrivò all’aula di pozioni, Lumacorno sorrise
quando entrò per ultima,
comunicandole che avrebbero fatto un lavoro a coppie.
Guardò verso il lato Grifondoro dell’aula. Dei
Grifondoro mancava Ritchie
Coote, in infermeria dal giorno prima. Erano quindi dispari. E gli
altri erano
tutti in coppie. Stupendo.
Si voltò verso il lato Serpeverde: in due erano rimasti da
soli. Guardò bene
chi fossero: Harper, che conosceva perché giocava nella
squadra di Quiddich, e
piuttosto che passare due ore vicino a lui si sarebbe fatta cruciare,
oppure
Derrick, un ragazzo biondo e magro, con gli occhiali. Si diresse verso
quest’ultimo.
Di solito i Serpeverde erano piuttosto bravi in pozioni.
Sperò che lo
fosse anche il biondino.
“Weasley, vieni da me carina, che Derrick non sa neanche da
che parte mettere
le mani!”
Harper aveva sussurrato in maniera che si sentisse solo dal lato dei
Serpeverde,
ma ridacchiò, intendendo doppi sensi. Ginny alzò
gli occhi, ignorando colui che
aveva già definito ‘idiota’ tempo prima,
e sorrise a un arrossato Derrick.
“Ti dispiace se mi metto qui?” gli chiese. Lui
scosse la testa senza dire
niente.
Lumacorno scrisse alla lavagna di preparare mezzo calderone di
‘Pozione
per attraversare un fuoco incantato di colore nero’
precisando che avrebbero
potuto trovare la preparazione di tale pozione alla pagina 104 del
libro.
Ginny guardò la lavagna imbambolata: non poteva dar loro
qualcosa di più
semplice? Avrebbero dovuto cercare gli ingredienti e la prepazione
specifica
per le fiamme nere. La rossa sbuffò. Che due pluffe. Si
voltò verso il Serpeverde
con cui divideva il calderone e gli fece una smorfia.
Lui alzò una spalla e sorrise. Tirò fuori il
libro e le disse: “Vai alla
pagina giusta, intanto prendo l’occorrente”.
Lei rimase a bocca aperta. Come faceva a prendere ciò che
serviva se non
aveva ancora aperto il libro? Sperò di non aver fatto la
scelta sbagliata. Ok.
Aprì il libro alla pagina 104. Per la pozione servivano:
zolfo e crini di
Terstal. Oh, e basta? Ginny sorrise contenta. Magari avrebbero anche
fatto
presto.
Poi continuò a leggere. Serviva un altro ingrediente a
seconda del colore
delle fiamme del fuoco magico da cui si voleva proteggersi. Merlino.
Cercò bene
nel testo, ma non riusciva a trovare le fiamme nere. Sbuffò
e si girò a
guardare gli altri nella stanza: qualcuno leggeva il libro, qualcuno
preparava
il calderone, qualcuno si avventurava verso la dispensa dove
c’erano gli
ingredienti.
Sospirò. Sperò che quelle due ore passassero alla
svelta. Guardò
l’orologio: erano passati solo dieci minuti. Ci avrebbe messo
una vita. Derrick
tornò con quella che le sembrò troppa roba.
Zolfo, sì, ma anche Erba Fondente e Algabranchia rossa,
radice di
Radigorga e quella che le sembrò Ruta. Lei lo
guardò stranita. “Mah…” Lui
ammiccò e sorrise.
“Shh… “ Si portò
l’indice alle labbra per dirle di non parlare e poi con
un cenno del capo gli indicò Harper che passava vicino a
loro. Aveva preso
tutto quello che aveva scelto Derrick. Ginny sorrise.
Quell’idiota l’aveva
copiato senza neanche guardare il libro! Poi il biondo tirò
fuori da sotto il
maglione un mazzetto di Crini di Therstal. Un genio! Si
voltò verso il
calderone di Harper e notò che lui non li aveva presi.
Sorrise al biondo con più entusiasmo.
Iniziarono a
lavorare insieme e scambiarono quattro chiacchiere. Per
essere un Serpeverde non era male. Era il fratello minore di un
giocatore di
Quidditch di cui Ginny non si ricordava ma, come disse lui subito dopo:
“Di
sicuro si ricorderà Potter”, così lei
lasciò cadere l’argomento.
Merlino, sette anni insieme e lei non aveva guardato quel ragazzo
più di
quante, dieci volte? Lo guardò di sottecchi: non era male. E
il suo biondo
sarebbe stato benissimo con Luna. Le si illuminarono gli occhi. Gli
fece un po’
di domande: gli piacevano gli animali, non gli piaceva il Quidditch (ma
non
piaceva molto neanche a Luna, quindi erano a posto) e voleva diventare
medimago.
La fine delle due ore di pozioni arrivò subito, secondo
Ginny. E il
ragazzo sarebbe stato perfetto per Luna. La loro non fu la pozione
meglio
riuscita, ma lei non se ne fece un cruccio. Vide Lumacorno sospirare e
scuotere
la testa davanti al calderone di Harper e lui guardare il liquido con
espressione confusa. Si sforzò di non sorridere. Derrick
invece ghignava, da
bravo Serpeverde. Quando incontrò il suo sguardo, si
voltò dall’altra parte,
come se fosse stato sorpreso a rubare. Ma lei pensò che
avesse fatto bene.
“È stato un piacere lavorare con te, Derrick. Alla
prossima” gli disse. Lui
allungò una mano e lei, confusa, gliela strinse.
“Il piacere è stato mio”. E detto
ciò se ne andò. Ginny si riscosse e
uscì dall’aula diretta in sala grande. Ora doveva
solo mangiare e cambiarsi.
Sospirò. Per fortuna ci sarebbe stato Harry. Harry?
Già, avrebbe passato il
pomeriggio con Harry! Da soli. Beh, da soli con la squadra di Quidditch
più
bella di sempre.
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