CAPITOLO
8. SOGNI SPEZZATI
“L'ignoranza
conduce alla paura, la paura conduce all'odio, l'odio conduce alla
violenza.”
Averroè
“Splendide,
splendide notizie!” esclamò Henrich tutto
gongolante,
avvicinandosi al gruppo che se ne stava ad un tavolo intento a fare
colazione.
“Possiamo finalmente lasciare questa topaia e
andarcene?” fece con sufficienza Preston, accendendosi un
sigaro.
“Meglio! Siete pronti per un primo ufficiale viaggio
nel tempo. Da soli.”
“Ma
l'abbiamo già fatto.” disse timidamente Giovanna.
“Non
proprio. Quello che avete fatto è stato teletrasportavi da
soli in
un altro luogo e tempo per poi ritornare qui nello stesso modo un
istante dopo. Questa volta lo farete insieme. Andrete nello stesso
luogo e tempo, e non tornerete subito indietro. Resterete lì
per
almeno un'ora. Il vostro corpo deve abituarsi alla vostra presenza
nel passato o nel futuro e non può farlo se continuate con
una
toccata e fuga.”
“E' tutto molto interessante, ma non
potevamo farlo oggi pomeriggio? Io ho sonno.”
borbottò Kira,
mangiando un biscotto mal volentieri.
“Io
non vedo l'ora. Insomma, lo so che siamo tutti stanchi e che vogliamo
tornare alle nostre vite e al tempo a cui apparteniamo, ma possiamo
esplorare un luogo e un tempo diverso dal nostro grazie ad una
capacità che abbiamo solo noi. E' come scoprire qualcosa di
inesplorato. Non è fantastico?” esclamò
Giovanna, beccandosi
un'occhiataccia da James.
“Sì, è davvero fantastico.
Lasciamo un posto di merda per visitare un altro posto di merda per
poi ritornare alle nostre vite di merda.” fece Kira in tono
annoiato.
“Ma non sai neanche dove e quando andrete.”
disse Henrich, confuso.
“Beh ho uno spoiler per te, caro
professore. Ogni luogo e ogni tempo è una merda.”
insistette
Kira.
James si avvicinò a Colton.
“Mi sono perso. Perché
usare gli escrementi come aggettivo? Qual'è il suo
significato?”
Colton
sghignazzò, ma gli rispose comunque.
“Schifo. Soggetto più
la parola merda usato come aggettivo significa che il suddetto
soggetto fa schifo.”
“Schifo?”
“Sì,
schifo. Orribile. Disgustoso. Il contrario di bello. Un po' come lei,
del resto.”
Il
poliziotto si aspettava di vedere uno sguardo ferito sula ragazza, ma
non trovò altro che irritazione.
“Non mi sembri proprio
nella posizione di giudicare l'aspetto fisico degli altri,
Harrington. Soprattutto considerando la faccia di merda che ti
ritrovi. Dio, persino Frank è più attraente di te
ed è composto da
pezzi di cadavere.”
Tutti si voltarono verso Frank che se ne
stava in un angolo del grande salone quasi in stand by, e il quale ci
mise un po' per capire cosa si stessero dicendo.
“Grazie,
Kira. Apprezzo molto i tuoi complimenti, sono assai graditi.”
fece
Frank in tono metallico, facendo un piccolo inchino alla
ragazza.
Calò un imbarazzante silenzio, fino a quando James
non si sporse verso Kira.
“Vi piace davvero molto usare
questo aggettivo. Interessante.”
“Vuoi sapere cosa non è affatto interessante, sottospecie di ammiraglio o qualunque grado tu abbia? Questa sensazione di disagio che mi viene ogni volta che mi dai del voi. Dacci un taglio.”
“Un
taglio a che cosa?” chiese James, sempre più
confuso.
“Avete
finito di mangiare? Bene, perché nel frattempo ho deciso
dove
andrete. Madrid, 1970. Vi teletrasporterete nella Puerta del Sol. E'
una delle più importanti, vedrete vi piacerà.
Potrete passarvi
l'ora come volete, passeggiando o stando in un bar a mangiare
qualcos'altro se la colazione non vi è bastata. Nelle vostre
stanze
troverete un po' di soldi e un abito da indossare adatto all'epoca.
Ricordate, l'importante è passare inosservati.”
fece Henrich,
tutto soddisfatto.
Tutti
si alzarono per fare quello che aveva chiesto, ma Kira non si
mosse.
“Andiamo, io ho ventiquattro anni, sono nata negli
anni novanta, che è solo vent'anni dopo. Gli abiti che
indosso vanno
più che bene, direi.”
Henrich
la squadrò dall'alto in basso.
“Di certo non passeresti per
pazza, ma neanche inosservata. Meglio andare sul sicuro.”
fece
Henrich, facendole pat pat sulle spalle.
Sbuffando, Kira
ritornò in camera sua, dove trovò un abito intero
color azzurro. Un
abito molto più femminile di quelli che era abituata a
portare.
“Ma
che cazzo?!? Una gonna?? Questa sarà l'ora più
lunga della mia
vita.”
Esasperata,
si accinse ad indossare quell'abito, che oltretutto stringeva pure ai
fianchi.
“Che vita di merda.”
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“La vita è
meravigliosa.” sorrise una più giovane Kira,
tenendo un peluche di
Pikachu tra le braccia con orgoglio.
“Tutto per un peluche?”
scherzò un ragazzo accanto a lei, un giovanotto alto e con
la pelle
più scura, incrociando le braccia.
“Sei solo invidioso
perché avresti voluto vincerlo tu, ma ho vinto io e ora lui
viene a
casa con me. Lo chiamerò Nobby e io e lui passeremo tante
belle
serate insieme. E ci faremo delle maratone infinite di
Friends.”
“Ma.. ma
Friends è una cosa nostra!” fece il ragazzo,
fingendosi
geloso.
“Non temere, se farai il bravo io e Nobby ti
permetteremo di essere presente, ma solo se farai il bravo.”
I due
scoppiarono a ridere, e poi il ragazzo mise una maso sulla testa del
peluche, come per accarezzarlo.
“Sembra che non abbia
scelta, non è vero Nobby?”
In quel
momento arrivò una pimpante e allegra ragazza dai capelli
rossi e
lentiggini, che stava bevendo un succo alla frutta.
“Oddio
ragazzi, Kamal sta per esibirsi. E questa bibita è fuori dal
mondo!
E... e tu hai un peluche di Pikachu? Com'è possibile?!?
Dimmi dove
l'hai preso!”
“Chiedilo
al tuo ragazzo. L'ho stracciato e grazie alla mia eccezionale
bravura, ora sarà mio per sempre.”
La rossa guardò il
ragazzo con finta delusione.
“Jozef!”
“L'ho
fatta vincere.” fece spallucce lui.
Kira lo colpì
amichevolmente ad un braccio.
“Ok, non avevo chances.”
“Sul serio
Jozef, da quando il tuo quartiere è diventato
così figo? Io non
voglio più andare a casa!” fece Kira.
“Ehy, è sempre
stato figo! Solo che non ve ne siete mai rese conto! Devo spiegarvi
sempre tutto io?!? Ah, le donne.”
“Stronzate.
Siamo amici da quando avevamo sei anni. Ti assicuro che me lo
ricorderei se fosse stato sempre così.”
continuò
Kira.
“Confermo.” aggiunse la rossa.
Lei e Jozef si
avviarono nella piazza principale per assistere alla musica di Kamal,
un albanese vicino di casa di Jozef che suonava magicamente la
chitarra. Kira però non si mosse, così i due
amici si voltarono
verso di lei.
“Non vieni?”
“Non.. non
volete stare da soli?”
Kira amava passare del tempo con
Jozef e Valeriya, erano i suoi migliori amici, li conosceva da
sempre, erano le due persone più importanti della sua vita,
ma ora
loro erano una coppia. Kira era felice per loro, aveva fatto anche da
cupido per aiutarli a mettersi insieme quando avevano iniziato a
capire di provare qualcosa di più dell'amicizia l'uno per
l'altra,
ma a volte quando uscivano tutti insieme si sentiva come un terzo
incomodo. Loro non l'avevano mai fatta sentire così, ma lei
sotto
sotto pensava che avrebbero voluto avere più privacy. E
all'ennesimo
tentativo da parte sua di dargliela, loro reagirono come tutte le
altre volte.
“E ora chi è a dire stronzate?” fece
Jozef,
mentre Valerija le andò incontro, per trascinarla nella
folla
insieme a loro.
Camminarono una decina di minuti, e arrivarono
in una piccola piazzetta dove Kamal aveva già iniziato a
deliziare
le persone con la sua musica allegra e spensierata.
Jozef
prese Valeriya per una mano e si buttò con lei nella folla a
ballare, ma non prima di sussurrare a Kira di non muoversi
perché il
prossimo ballo l'avrebbe fatto con lei.
Kira sorrise e guardò
i suoi migliori amici ballare. Quando la musica si fece più
lenta e
romantica, smise di guardarli per dargli quella benedetta privacy che
meritavano, e iniziò a guardarsi intorno, incuriosita.
C'erano
davvero tante persone quella sera, giovani, anziani, famiglie,
bambini. Russi come lei e Valeriya e immigrati o comunque persone
appartenenti ad altre entie, come Jozef. Poi vide due poliziotti che
pattugliavano la zona. Se ne stavano negli angoli, e avevano gli
occhi fissi sulla folla come se li stessero studiando. Ogni tanto
guardavano l'orologio, e tenevano il manganello dietro la schiena.
Entrambi erano pallidissimi, e biondi. Perché c'erano ben
due
poliziotti ad una normale festicciola in un piccolo quartiere di
immigrati? Kira pensò che fossero lì per
controllare che nessuno si
facesse male, considerando quanta gente era presente, e smise di
pensarci per tornare alla musica.
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“Tutti
pronti?” fece Henrich, non appena vide il gruppo in piedi e
vicino
pronti per il teletrasporto.
Tutti
gettarono un'occhiata di disappunto a James.
“Cos'è
quello?” chiese Henrich, indicando il parrucchino che James
portava
ancora in testa.
“E'.. è la mia parrucca.” fece
l'ammiraglio, come se dovesse dire l'ovvio.
“E perché è
sulla tua testa?”
“E'
sempre sulla mia testa.”
“Se ti fai vedere con quella
specie di gelato in testa nella Spagna degli anni settanta, ti
sbattono in manicomio prima che tu possa dire parrucca.” fece
Kira.
“Quindi.. quindi devo rimuoverlo?”
“Direi
di sì.” fece Henrich.
James
lo fece, ma molto mal volentieri.
“Credo.. credo tu abbia
anche la camicia al contrario.” fece Giovanna allungando la
mano,
ma James si allontanò da lei disgustato.
“Ho capito, ma non
toccarmi.”
Giovanna
non ci rimase benissimo, ma non aggiunse altro. James andò
un
momento in camera sua, poi ritornò subito con il gruppo,
senza
parrucchino e con la camicia a posto.
“Sembri più giovane
senza quell'orribile parrucca.” fece Colton, indicando i
capelli
corti e scuri dell'ammiraglio, poi si rivolse a Kira “tu
invece
sembreresti quasi una donna con quell'abito, se solo non avessi quei
disgustosi peli nelle gambe.”
Kira
guardò il poliziotto con sufficienza come se quel commento
non le
facesse nessun effetto, ma non rispose.
“Ah e se ne
approfittaste per socializzare e legare sarebbe fantastico, visto che
dovete creare tra voi un legame emotivo oltre che fisico.”
puntualizzò Henrich, beccandosi un paio di occhiatacce.
Si
misero tutti in posizione, uno fianco all'altro, mentalmente
focalizzarono la loro meta. Spagna. Madrid. Puerta del Sol, 1970.
Spagna. Madrid. Puerta del Sol, 1970. Spag-
Kira iniziò a
sentire il suo corpo come sovraccaricarsi di energia ed ebbe come la
sensazione di muoversi, nonostante fosse ferma. Chiuse gli occhi.
Percepì le stelle, lo spazio, la galassia. E poi
percepì con i
piedi la pietra. Aprì gli occhi, e si ritrovò
nella maestosa Puerta
del Sol, con il resto del gruppo.
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“Allora?”
esclamò Valeriya, buttandosi a pesce su Kira per
abbracciarla da
dietro.
“Allora cosa?” sorrise Kira, ricambiando
l'abbraccio. Jozef camminava vicino a loro, e guardava le amiche
sorridendo.
“Come cosa? Tra un mese è il tuo compleanno! Si
compiono diciassette anni una volta sola. Hai già pensato a
cosa
fare?”
“Penso che mi butterò su Star Trek. Non sarebbe male passare il giorno del mio compleanno con Spock.”
“Sai che Spock e Star Trek è la Bibbia anche per noi, ma è il tuo compleanno! Dovresti organizzare anche una grande festa! Magari invitare i tuoi compagni di classe!”
“Non mi piacciono. E io non piaccio a loro. Rimango con Spock.”
“A te e a
Spock dispiacerebbe avere un po' di compagnia?” fece Valeriya.
“E
qualcuno deve pur badare a Nobby! Tu sarai troppo concentrata su Star
Trek e lui si sentirebbe offeso. Non va bene.” aggiunse
Jozef.
Kira sorrise dolcemente.
“Volete davvero
venire? A me farebbe piacere, ma in questo momento casa mia
è un
casino.”
“Non ci interessa di casa tua. Ci interessa di te. E ti sbagli se pensi che ti permetteremo di passare il giorno del tuo compleanno da sola.” fece la rossa, abbracciandola di nuovo.
Kira abbracciò i due amici forte, stringendoli a sé. Loro ricambiarono.
“Che
carina che sei Kira, la nostra principessa Disney.” fece
Valeriya.
“Cosa? Principessa Disney?”
“Oh
andiamo, sotto sotto sai anche tu di esserlo. Sei sempre troppo
buona. Troppo gentile. Vedi sempre del buono negli altri. Noi ti
invidiamo un po' sai, vorremmo avere la tua fiducia
nell'umanità.”
continuò la rossa.
“Onestamente non credo di es..”
Ma Kira non riuscì a terminare la frase. Si sentì una grande botta, un rumore assordante, provenire da dietro di loro, più precisamente dalla piazzetta in cui si era esibito Kamal.
I tre si
voltarono di scatto spaventati.
“Cos'era? Un petardo?”
ipotizzò Kira.
“I petardi
non fanno quel rumore.” fece l'amica.
“Allora cos'era?”
fece Jozef, che forse era il più preoccupato del trio.
Sentirono
qualcuno parlare in lontananza in modo fiero. Era tedesco, non
capirono quasi nulla. A Kira parse di sentir nominare Hitler. Poi
qualcuno, anche se non sapeva se si trattava dello stesso che aveva
parlato in tedesco, urlò “A Morte!”.
Si sentì
un'altra botta. Più forte della precedente. La folla
iniziò ad
andare nel panico, e a correre avanti e indietro, in ogni direzione.
Si sentirono grida, urla di terrore, disperazione e paura provenienti
da persone di ogni età, come se ogni grido rappresentasse
ogni
persona che si trovava lì.
Kira cercò con lo sguardo uno
dei due poliziotti che aveva visto prima. Erano poliziotti. Erano
lì
per proteggerli. Loro avrebbero saputo cosa fare. Riuscì a
riconoscerne uno, il primo dei due che aveva visto, ma sentì
il
cuore fermarsi e il sangue nelle vene gelarsi quando vide che nelle
mani teneva un grosso fucile. Un fucile che di certo non danno alla
polizia. Un fucile con cui iniziò a sparare sulla folla
terrorizzata.
La musica che si era sentita per tutta la serata tacque, per fare spazio all'unica colonna sonora di quel momento, le urla della folla, sempre più disperate, spaventate. E l'unico rumore che si sentiva diverso da quelle urla erano altri botti, altri spari. Che sapevano di morte.
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Nessuno
aveva voglia di fare una passeggiata, così si ritrovarono in
una
tavola calda, e ordinarono qualcosa. Se ne stettero lì,
seduti ad un
tavolo, intorno a loro un silenzio imbarazzante, rotto solo dalle
persone intorno a loro.
“Ancora mezzora.” fece Preston,
dando un'occhiata all'orologio della tavola calda.
“E' molto
accogliente questo posto. E Madrid. E' così maestosa. Non
avevo mai
visto una città così grande.” fece
Giovanna, l'unica entusiasta a
quanto pare.
“Lieto che tu ti diverta tanto, bellezza.”
commentò Preston.
Colton
accavallò le gambe, e facendolo fece cadere la sua pistola
d'ordinanza. La raccolse prontamente e la tenne sotto il tavolo per
nasconderla, intento su dove metterla con quei pantaloni blu strani e
attillati che doveva portare, ma James se ne accorse.
“Henrich
vi ha restituito la pistola?” chiese.
“Anche a te.” fece
Colton, notando che sotto la giacca l'ammiraglio teneva una bella
pistola d'epoca, ricca di particolari e molto maestosa “Posso
vederla?”
James la prese per mostrargliela meglio, ma continuò a tenerla. Non si fidava abbastanza da dargliela, e Colton lo capì, lui avrebbe fatto lo stesso.
Kira
gli gettò un'occhiata, e quando vide entrambe le pistole, i
suoi
occhi si infuocarono dalla rabbia. Pierre se ne accorse, e la
guardò
preoccupato.
“Cosa cazzo state facendo?” sbottò, con
un
tono talmente alto che alcuni dei presenti si voltarono verso il loro
tavolo.
Il
gruppo la guardò con gli occhi fuori dalle orbite, tutti
tranne
Pierre.
“Abbassa la voce.” fece Colton digrignando i
detti, cercando inutilmente di reprimere la rabbia.
“Sono delle pistole quelle?!?”
“Fai
silenzio o ci scambieranno per dei pregiudicati!”
“E per
fare in modo che non accada, voi avete avuto la brillante idea di
tirare fuori le vostre cazzo di pistole in un luogo pubblico!”
James
mise la sua dentro la giacca immediatamente, spaventato sia dalla
reazione della ragazza sia dagli sguardi sbigottiti degli spagnoli
intorno a loro che stavano ascoltando tutto.
Colton invece era
tutt'altro che spaventato. Era furioso. Con Kira. Più del
solito.
“Ma si può sapere che razza di problema mentale
hai?!?”
“Metti subito via quella cazzo di pistola o giuro su Dio, te la infilo su per il culo.” sbottò Kira, ignorando totalmente il commento del poliziotto.
Per
Colton fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Ti farò
pentire amaramente di quel-”
La
frase di Colton venne interrotta da un forte rumore provenire dalla
strada, che agli altri clienti della tavola calda risultò
indifferente. Doveva trattarsi di qualcosa a cui erano abituati.
Una
botta? Un tonfo? Un rumore assordante ed insistente.
Kira
iniziò ad agitarsi più di prima.
Iniziò a tremare quasi
involontariamente, le sue gambe si fecero rigide e le sue mani
premettero sulle sue orecchie, tutto per interrompere quel rumore.
Iniziò a dondolarsi nella sedia, facendo qualche verso con
la bocca,
un misto tra pianto e paura, ma il rumore non cessava e i suoi occhi
erano ancora puntati su quella maledetta pistola, e gli sguardi
allibiti del gruppo che la guardavano sconvolti.
“Rilassati,
è solo l'orologio.” fece Preston, mantenendo il
suo solito tono
annoiato.
Orologio?
Pistola d'ordinanza? Orologio? No, botta. Pistola d'ordinanza? No,
arma. Botta e arma. Arma e botta. Spari e botte. Botte e spari.
Percepì quasi un urlo in lontananza, ma nel suo inconscio
sapeva che
non era reale. Che se lo stava immaginando lei.
E poi il tempo
intorno a loro si fermò. L'orologio non suonava
più, il resto delle
persone ferme come statue di cera, tutto era come bloccato tranne
loro. In pausa.
“Che diavolo succede adesso?” fece
Preston.
“Sono stato io.” fece Pierre riferendosi
chiaramente al tempo che si era fermato. Si incamminò verso
Kira
dandole una rapida occhiata “Andiamo via. Adesso.”
Ogni membro del gruppo annuì e, uno ad uno, sparì dalla tavola calda, teletrasportandosi altrove. Rimasero solo Kira e Pierre.
“Ehy.. va tutto bene.” fece Pierre cercando di sembrare il più empatico possibile, fallendo miseramente “adesso ce ne andiamo da qui” aggiunse.
Si
preparò per il teletrasporto, e all'ultimo momento mise
delicatamente una mano sul braccio sinistro della ragazza, per
teletrasportare anche lei con lui. Date le sue condizioni,
optò che
non era il caso che si teletrasportasse da sola, sempre se ci fosse
riuscita, e non poteva neanche afferrarla con forza, perché
qualunque trauma del suo passato stesse affrontando, doveva avere a
che fare con la violenza, così la toccò il
più delicatamente
possibile, quanto bastava per portarla via con lui. Lontana da quel
luogo, e da qualunque incubo o demone del suo passato stesse
affrontando.
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E'
più difficile di quanto si creda descrivere a parole una
situazione
in cui sai di poter morire da un momento all'altro, soprattutto
quando è inaspettato. Soprattutto quando esci per
divertirti, per
passare una serata spensierata con amici per dimenticare i problemi
di tutti i giorni, problemi che ad un tratto diventano così
piccoli,
così insignificanti. E poi arriva quel momento, quell'esatto
momento
in cui realizzi che sono più alte le possibilità
che tu muoia, quel
momento in cui la tua sopravvivenza è legata esclusivamente
alla
fortuna e mentre cerchi disperatamente un modo per salvarti, ti
ritrovi circondato da persone come te, persone che urlano, dalla
paura e dal terrore, tutte con la stessa consapevolezza, tutte con
quegli sguardi disperati consapevoli di essere finiti nel posto
sbagliato al momento sbagliato, consapevoli che la maggior parte di
loro non avranno la possibilità di tornare nelle loro case
ad
abbracciare le loro famiglie, consapevoli che molti di loro quel
luogo e quelle urla di dolore e disperazione, saranno le ultime cose
che vedranno e sentiranno, e che le stesse strade in cui avevano
ballato felicemente quella sera si sporcheranno del loro sangue.
Gli
spari erano iniziati, il terrore si stava diffondendo e le prime
vittime caddero inermi per terra prive di vita e grondanti di sangue,
ed erano passati solo pochi secondi dai primi spari, eppure a Kira
sembrava essere passata un'eternità.
Faceva
ancora fatica a credere a quello che stava succedendo, al fatto che
fosse reale, l'unica cosa di cui era consapevole era che non voleva
morire, e che aveva paura. Sentiva una fitta allo stomaco e il suo
sangue pulsare sotto la pelle. Lei, Jozef e Valeriya iniziarono a
correre, ma quando sentirono degli spari anche nella direzione in cui
stavano andando, si bloccarono e si guardarono disperatamente intorno
alla ricerca di un nascondiglio, ma trovarono solo cadaveri.
“Sono
morti. Oddio, sono morti! Sono morti davvero!”
iniziò ad urlare
Valeriya, da sempre la più emotiva.
Kira
scosse l'amica per farla riprendere. Avrebbe voluto dire qualcosa ad
esempio “noi non siamo ancora morti” e
“mi servi tu se vogliamo
sopravvivere”, ma si limitò a scuoterla. Non
riuscì ad aggiungere
altro, perché nonostante cercasse di negarlo, Kira stava
urlando
esattamente come Valeriya, ma internamente. Urla di terrore.
Jozef
afferrò le due ragazze per le braccia e le spinse in un
vicolo lì
vicino, per poi prepararsi a correre nella stessa direzione in cui
stavano correndo prima, ma questa volta fu Kira ad afferrarlo per un
braccio.
“Dove diavolo vai?!? Sei impazzito?!?”
Jozef
indicò con la testa un edificio lì vicino,
dall'altra parte della
strada.
“C'è mio fratello lì dentro.. Ha solo
sette anni..
Io non-” fece una pausa, poi aggiunse “devo andare
da lui.”
“Jozef,
no! E' un centro sportivo quello! Un edificio pubblico. Uno di loro
potrebbe entrare e..” balbettò Kira.
Jozef scoppiò in
lacrime, nonostante facesse di tutto per cercare di impedirlo.
“Lo
so.” ammise, lasciando che le lacrime gli attraversassero le
guance
“ma non lascerò che muoia da solo.”
“Jozef..” lo chiamò Valeriya, singhiozzando “se mi ami davvero, ti prego, ti scongiuro, non andare.” disse, cercando di trascinarlo nel vicolo.
Jozef
si chinò sulla ragazza e la baciò rapidamente,
sapendo che con ogni
probabilità quello sarebbe stato l'ultimo bacio che sarebbe
stato in
grado di darle “ti amo.” le sussurrò non
appena si staccò, poi
pianse di nuovo “ma devo farlo”aggiunse,
staccandosi
definitivamente da entrambe le ragazze e correndo verso l'edificio
per poi entrarci.
Valeriya fece per inseguirlo, ma Kira la
bloccò e la spinse nel vicolo.
“Lasciami! Lasciami io
devo..” fece Valeriya, divincolandosi, per poi calmarsi poco
a
poco.
Quando si calmò definitivamente, Valeriya si
accasciò
al muro, senza smettere di guardare l'edificio. Kira le prese la
mano.
Poi, la cosa peggiore che potesse capitare, è
successa.
BOOOOOM
L'edificio andò in mille pezzi, a
causa di una bomba all'interno probabilmente causata da un kamikaze
che si era fatto esplodere per distruggere la struttura e far saltare
in aria tutte le persone nell'edificio, incluso Jozef.
Non
c'era la minima possibilità che si fosse salvato, ed
entrambe le
ragazze lo sapevano.
Kira urlò internamente, così forte che
se lo avesse fatto con la bocca avrebbe perso la voce, probabilmente.
Delle lacrime silenziose iniziarono a bagnarle il viso, viso che
rimase impassibile, serio, rendendole impossibile manifestare
l'immenso dolore che si sentiva dentro.
Valeriya invece il suo
dolore lo fece uscire come un vulcano che erutta. Iniziò a
correre
verso l'edificio lasciando il nascondiglio, e giunta esattamente a
metà strada, dove alcuni pezzi dell'edificio erano arrivati
a causa
dell'esplosione si inginocchiò quasi cadendo e
urlò disperata. Urlò
forte, così forte che quell'urlo sembrava sentirlo tutto il
pianeta.
Urlò il suo nome, e un lungo e doloroso
“NO” che raccontava
tutto quello che provava per lui.
Kira corse verso l'amica, ricorrendo a tutte le sue energie per alzarla e riportarla nel nascondiglio, per toglierla dalla strada. L'amica si ribellò, ma Kira non volle sentire ragioni. Aveva appena perso il suo migliore amico, non avrebbe perso anche la sua migliore amica.
Giunte
quasi al marciapiede, Valeriya si buttò sull'amica,
l'abbracciò
forte, un po' per supporto e un po' per ringraziarla di essere uscita
dal nascondiglio per andarla a riprendere, consapevole che lei da
sola non ce l'avrebbe fatta.
Socchiuse gli occhi, e vide
dall'altra parte della strada, vicino all'edificio ormai distrutto,
uno degli attentatori. Ripeté di nuovo qualcosa in tedesco,
e iniziò
a sparare a delle persone lì vicino. Senza neanche pensarci
due
volte, Valeriya strinse forte l'amica, forzando entrambe a spostarsi
di centottanta gradi. Così facendo, Valeriya si
ritrovò tra l'amica
e il terrorista, facendole da scudo. Quando Kira se ne accorse, era
troppo tardi.
Quattro,
cinque, sei proiettili raggiunsero il corpo di Valeriya. L'ultimo,
quello fatale, alla testa, facendo schizzare il sangue sugli occhiali
di Kira, che vide l'amica morire tra le sue braccia per
salvarla.
Questa volta urlare solo internamente non era
neanche lontanamente sufficiente. Kira urlò, tanto da avere
male
alla gola, mentre poggiava delicatamente il corpo sanguinante e senza
vita della persona che era morta per lei.
Anche
se al solo pensiero di abbandonarla lì per strada come
spazzatura le
provocava disgusto, Kira lo fece. Lo fece perché la sua Val
era
morta per salvarla, e non avrebbe reso vano quel sacrificio. Sarebbe
sopravvissuta. Per lei. E per Jozef.
Iniziò a correre alla
cieca, non sapendo bene dove andare. Sentiva ancora degli spari, e
tutto quello che vedeva era il sangue della sua amica, che era
rimasto sui suoi occhiali e le copriva totalmente la vista, e senza
occhiali non avrebbe visto niente comunque. E non aveva tempo di fare
altro. Poteva solo correre.
Inciampò un paio di volte, e con
le mani capì che si trattava di cadaveri. Con la poca
energia che le
rimase, si rialzò ogni volta e continuò a correre.
Aiutandosi
con il tatto, e con un enorme fortuna che non credeva di avere
soprattutto dopo quanto era successo, riuscì ad infilarsi in
un
vicolo, diverso da quello in cui le aveva trascinate Jozef.
Sempre
con le mani, riuscì a percepire quello che sembrava essere
un bidone
della spazzatura pubblico. Senza neanche pensarci, lo aprì e
ci si
buttò dentro a pesce, e fu un grosso errore.
Insieme a
qualche sacchetto della spazzatura, sul lato destro poggiato
verticalmente su un lato, c'era un coltello affilato rivolto verso
l'alto. Quando Kira entrò nel bidone, il suo viso
finì proprio dove
stava quel coltello, che le provocò, oltre ad un notevole
dolore
fisico, un enorme e permanente taglio sulle labbra, che iniziarono a
sanguinare.
Nonostante il dolore, Kira non emise un suono. Non
poteva. Non ci riusciva. Se ne stette lì, immobile, con
ancora quel
coltello conficcato nelle labbra, rannicchiata come un bambino
piccolo, senza muoversi tenendo le mani sulle orecchie per cercare di
coprire quanto poteva i rumori, mentre fuori udiva ancora le urla,
gli spari e la morte che avevano alimentato quella sera e trasformato
un bel momento nel peggiore degli incubi.
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Quando
Kira e Pierre tornarono nel loro consueto salotto con il
teletrasporto, il resto del gruppo se ne stava lì, seduto
nei
divani, ad aspettarli. Alcuni di loro avevano lo sguardo fisso su
Kira, uno sguardo colmo di rabbia, di irritazione, altri evitavano lo
sguardo della ragazza, un po' delusi e un po' timorosi di averla
intorno.
Kira, per la prima volta davanti al gruppo, si mostrò
imbarazzata.. e dispiaciuta, per quanto era successo.
Gli
animi erano davvero troppo tesi, così intervenne Pierre.
“Poteva..
poteva andar peggio.”
Colton
scoppiò in una finta risata.
“No. Non poteva andare peggio.
Non poteva proprio.”
“Siamo
qui. Siamo tornati. E nessuno di noi ha avuto ripercussioni per
quanto è successo.” insistette Pierre.
“Sì, ma ci
mancava davvero poco.” fece Preston.
Colton si alzò e si
avvicinò a Kira. La guardò dritto negli occhi.
“Vattene.”
“Cosa?”
“Ho
detto. Vattene. Sei fuori.” disse in tono risoluto Colton.
“Non
sei tu a decidere chi se ne va e chi resta.” fece Pierre.
“Vuoi
che facciamo a votazioni, pazzoide? Ottimo.” fece Colton,
avvicinandosi al resto del gruppo “Quanti di voi vogliono che
la
svitata dalle labbra storpie continui a venire in missione con noi
rischiando di mandare a puttane non solo la missione, ma anche le
nostre vite?”
Nessuno
parlò. Preston, Giovanna e James guardarono ovunque tranne
Kira,
dando chiaramente una risposta. Provavano pena per lei, per qualunque
problema mentale avesse, dato che ormai erano tutti convinti che
fosse mentalmente instabile, ma non la volevano intorno. Nessuno la
voleva. Tranne Pierre, che la difendeva a spada tratta.
“Tutto
questo perché ha avuto un attacco di ansia?” fece
Pierre, quasi
sbigottito da quelle reazioni.
“Quella non era ansia! Quello
è essere mentalmente pazzi e avere chiari squilibri alterati
nel
cervello. Dio, ho arrestato assassini con meno problemi
mentali.”
continuò Colton.
“E se ricapitasse? Magari durante una
missione pericolosa? Se per un suo errore ci rimettiamo
tutti?”
aggiunse Preston, poi guardò Kira “mi dispiace per
te tesoro, mi
dispiace davvero, ma non posso rischiare di morire per farti da
babysitter”.
“La verità è che qui tutti abbiamo
un'utilità, qualcosa con cui riuscire a vincere. Io so
sparare e ho
buon intuito dato che sono un detective, James e Preston sanno
combattere. Giovanna ha un ottimo senso dell'orientamento”
fece
Colton “e persino il nostro mostro personale ha dimostrato di
avere qualche utilità grazie al suo quoziente intellettivo
alto.”
aggiunse, indicando Pierre.
Poi si mise davanti a Kira.
“Tu,
invece, sei solo un enorme palla al piede. Gli unici ad accorgersi di
una tua eventuale morte saremmo noi a causa di questo cazzo di
legame. Scommetto che non mancheresti a nessun altro.”
Kira
continuò a guardare Colton, ferita, distrutta per la prima
volta da
qualcosa che lui le aveva detto. Sentì le guance bagnarsi di
lacrime.
Pierre stava per ribattere, e anche James sembrò
voler dire qualcosa per farla sentire meglio dopo le parole di
Colton, ma lei non lo permise a nessuno di loro.
Si focalizzò
su qualcosa. E poi sparì, teletrasportandosi
chissà dove, e
quando.
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Kira
non ebbe idea di quanto tempo passò in quel bidone. Il tempo
era una
di quelle cose difficili da calcolare, dopo quanto successo, e quando
sentì qualcuno aprirlo, sussultò dalla paura e
dal terrore, ancora
vividi nella sua mente e nei suoi ricordi.
“Ehy, ehy
tranquilla. Va tutto bene, siamo qui per aiutarti. E' tutto
finito.”
Due soccorritori entrarono nel bidone per
assicurarsi che stesse bene. Uno di loro le tolse delicatamente quel
coltello che ancora premeva sulle sue labbra, mentre l'altro la prese
in braccio.
“Sei stata molto fortunata. Se quel coltello
fosse stato pochi centimetri più a destra, ti avrebbe
trapassato un
occhio.”
Già..
Fortunata. E' proprio ciò che sono.
Quando uscì dal bidone,
sempre tra le braccia di uno dei soccorritori, sentì la
sirena
dell'ambulanza e dei vigili del fuoco. Quello che le aveva tolto il
coltello le coprì gli occhi, per impedirle di vedere alcuni
dei
cadaveri che erano ancora a terra.
Come se facesse la
differenza, dopo quello che è successo.
La portarono dentro
un'ambulanza, e la visitarono brevemente, considerando i tanti feriti
presenti. Dopo un po' di tempo, vide in lontananza arrivare i suoi
genitori. Avevano gli occhi rossi da quanto piangevano, e corsero
verso di lei abbracciandola forte. Le dissero qualcosa.
“Grazie
al Cielo stai bene.”
“La mia bambina.”
“Sei stata così coraggiosa.”
Kira
non disse niente. Si limitò a lasciarsi abbracciare, il suo
sguardo
perso nel vuoto, come se la sua anima non ci fosse più. Come
se
fosse morta quel giorno, insieme ai suoi sogni.
Arrivarono i
primi giornalisti, prontamente cacciati dai vigili del fuoco.
Iniziarono ad elencare il numero dei morti e dei feriti, come se non
fossero altro che numeri.
Poi, vide arrivare la madre di
Valeriya. Vide che parlava con un vigile del fuoco. Poi la donna
scoppiò in lacrime urlando il nome della figlia, mentre
l'uomo
cercava di darle un sostegno morale aiutandola ad alzarsi.
Tutto
apparve sfuocato, lontano, come un sogno antico, come i giorni che
Kira passò in ospedale per alcuni accertamenti.
Quando tornò
a casa, vide sul suo comodino una foto. Una foto che teneva
lì da
sempre, e che quando la vedeva il mattino quando si alzava e la sera
quando andava a letto la faceva sorridere. Una foto di lei, Jozef e
Valeriya da bambini, che giocavano e ridevano, ma questa volta,
quando la guardò, non rise.
La prese, la guardò un'ultima volta con quello sguardo perso e vuoto che non l'avrebbe mai lasciata, e la strappò, buttando ciò che ne restava nella spazzatura.
“I
terroristi, i kamikaze, non ci ammazzano soltanto per il gusto di
ammazzarci. Ci ammazzano per piegarci. Per intimidirci, stancarci,
ricattarci. Il loro scopo non è riempire i cimiteri. Non
è
distruggere i nostri grattacieli, le nostri Torri di Pisa, le nostre
Tour Eiffel, le nostre cattedrali. I nostri David di Michelangelo. E'
distruggere la nostra anima, le nostri idee, i nostri sentimenti, i
nostri sogni.”
Oriana
Fallaci
Note:
Ciao! Sì, non sono morta -.-' Lo so, il mio ritardo per
questo capitolo è vergognoso, ma ho avuto problemi di tempo
e anche al Computer. Inoltre, questo capitolo è stato
modificato tantissime volte. All'inizio doveva essere ambientato a
Parigi e doveva essere molto comico e ironico, giusto per darvi un'idea
di quante modifiche ha ricevuto. Una ventina, minimo.
Anche perchè questo capitolo è strettamente
legato a ciò che avverrà d'ora in avanti fino
alla fine del primo e quindi dovevo pensare bene anche ai capitoli
successivi prima di scriverlo. E per scusarmi dell'eccessivo ritardo,
è anche più lungo del solito.
Spero che vi sia piaciuto, nonostante sia tutto tranne allegro. Per
prepararmi a scriverlo, mi sono ascoltata alla nausea "Non mi avete
fatto niente", ma vi prego, siate clementi, non so molto di attentati
terroristici ed è la prima volta che ne scrivo uno in un
racconto. Ho fatto del mio meglio e spero che sia venuto decente.
PS: i personaggi di Jozef e Valeriya sono ispirati a due miei amici,
che fortunatamente stanno benissimo e godono di ottima salute :)
Grazie a tutti quelli che leggeranno il
capitolo e soprattutto
per quelli che lasceranno una recensione, nonostante l'enorme ritardo.
Spero che il prossimo capitolo arrivi prima! Un bacio.