DISCLAIMER:
I personaggi sotto presentati non mi appartengono.
La
storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Partecipante
al contest ‘Like
an Hero — Eroe per un giorno’
indetto
da Emanuela.Emy79
sul forum di Efp
Fiore di Marzo
♦
I
want to say that I lived each day,
Until
I die
And
know that I meant something in somebody’s life
…
I
was here
I
lived, I loved
“I was here”, Beyoncé
♦
Gli
eroi non hanno mai paura; una legge naturale e semplice, nata con e
per loro.
Gli
eroi sanno sempre come agire, quando e perché; conoscono
ogni
risposta e risvegliano i sentimenti più intensi, trasformano
la
rabbia in perdono e l’egoismo in gentilezza, dalla morte
fanno
sbocciare la vita. Antepongono i loro fratelli a sé stessi,
per
custodirne la felicità; sono liberi e forti come le onde del
mare,
ugualmente purificatori.
Questi
sono gli eroi… tutto ciò che io non sono.
No,
non lo sono né lo sarò mai, e quando o se questo
mondo avrà
bisogno di me, di certo risponderò: ma non come eroe.
Sì,
darò tutta me stessa, combatterò, ma non come
eroe: non
riuscirei a salvare nessuno, io.
A
volte, Aguri Yukimura ripensava a quelle parole colme di amarezza,
vergate di fretta su un diario dalle pagine ormai rovinate e intrise
di tante lacrime d’inchiostro, tutte simili tra loro: figlie
di un
tempo già lontano, pensieri notturni e sfoghi della
primissima
giovinezza, l’età delle bambole e della
spensieratezza era finita
proprio il giorno in cui quelle lettere avevano ricamato una pagina
bianca con tracce di disillusione, tristezza e senso di smarrimento.
Qual
è il mio posto in questa realtà? Avrò
una mia missione, una
bandiera da seguire, un ideale? Il felice ieri sembra così
distante,
ora, e il domani mi rattrista ancora di più.
Il
mio cuore… se non sapesse guidarmi? Se lo perdessi, se non
lo
sentissi più? Ho paura: della superficialità,
della menzogna,
dell’insensibilità, di ciò che un uomo
dai pensieri oscuri può
fare a un suo simile, dell’abbandono… e di me: di
quello che non
saprò, potrò o vorrò fare.
A
volte le rileggeva, ancora e ancora, fino a quando il tramonto si
affacciava alle finestre della sua casa e poi vi entrava per bagnare
di luce, colori e sospiri i libri ammucchiati alla rinfusa su tavoli
e sedie, le schede scolastiche ancora da completare, e il suo sorriso
⸺ un sorriso dolce, pieno di calore e discrezione, che spuntava
ogni qual volta il pensiero dei suoi studenti allentava
l’ombra di
una giornata troppo lunga, di un’altra ora e
un’ennesima notte da
passare in solitudine.
A
volte lasciava volare il tempo cullando l’insicurezza della
ragazzina che era stata, guardando a quel passato e poi al proprio
presente, ritrovando in ogni pianto i passi che avevano formato i
suoi obiettivi e le stelle che avevano trapuntato i sogni.
C’era
voluto il proprio tempo per arrivare a non avere terrore di fallire,
di cadere e non potersi più rialzare: aveva dovuto attendere
le ali
della maturità, l’esperienza che impedisce a tutti
di rimanere
uguali e immobili nell’inflessibile scorrere
dell’esistenza, la
passione per gli studi che le aveva permesso di conoscere le proprie
capacità e pensare a come poterle donare al mondo, per
aiutare,
liberare e rendere migliore qualcuno; aveva dovuto vedere crescere la
sua adorata Akari, l’astro più bello che la vita
le aveva donato,
per sbocciare insieme a lei.
Solo
allora quelle mute domande avevano iniziato a trovare risposta nella
gentilezza che era sempre stata parte del suo animo, nella premura
capace di attendere ai bisogni di chi la circondava,
nell’empatia
che le aveva impedito di staccarsi dalla realtà e camminare
distante
da essa; solo allora, con lentezza ma costanza, il diario aveva
smesso di essere un mostro in attesa di oblio e condanna, e da anni
lei poteva finalmente guardarlo con la calma di chi ha superato una
tempesta e, tuttavia, continua a rispettarla.
«Non
sarò mai un eroe… ma chi mi è caro lo
posso comunque consolare,
lo posso vegliare e sostenere; questo significherà pure
qualcosa,
avrà un suo motivo per esistere.»
Ogni
volta, le parole di dolore si alleggerivano e non facevano
più male:
la vita correva e lei continuava a imparare, a sorridere e ad aprire
le proprie braccia al mondo, ed era sempre una nuova primavera
ciò
con cui riempiva il cuore.
E
nel marzo degli eventi, quando tutto si preparava al grande inizio,
la giovane un tempo senza certezze era ormai un fiore
dall’anima
priva di barriere.
«Non
vi posso lasciare andare.»
“Penso
che mi ritirerò.”
«Perché
non resistete ancora un po’? Presto andrà meglio,
lo so,
recupererete… sono qui per questo!»
“Ci
dispiace, sensei, ma
sta solo sprecando il suo tempo con noi. Anche se ci vuole
rassicurare, sappiamo che è tutto inutile!”
«Non
per me.»
I
banchi vuoti piangevano spesso: trasudavano memoria, tristezza e
malinconia, tutto tranne che silenzio. Le pareti della modesta
struttura non chiudevano i loro occhi davanti alla sua figura
composta, seduta in cattedra e in attesa che il nuovo mattino le
riportasse i suoi cari studenti, e non riuscivano a lasciar fuggire
il dispiacere nato dagli occhi spenti, rassegnati, che avrebbero
incontrato il suo volto ostinatamente amichevole ⸺
se cado io, non ci sarà più nessuno a combattere
con voi.
I
ragazzi della sezione E,
gli “scarti” ⸺ come poteva un essere umano definire
spazzatura,
semplice “cosa”, altri umani, ragazze e giovani
colpevoli solo di
non raggiungere ottimi risultati? La vergogna non doveva pesare su
quelle spalle, ma sulla mente che aveva ideato una prigione di
umiliazione e giudizio, la rete che avrebbe incatenato e dilaniato le
ali di quegli sfortunati per un intero, lungo anno, e probabilmente
anche di più ⸺ della prestigiosa Kunugigaoka, ascoltavano
sia le
lezioni che gli incoraggiamenti con il medesimo sguardo: lontano,
privo di speranza, occupato da pensieri troppo grandi per loro,
vecchi ma senza alcuna strada da poter percorrere.
Facevano male le parole atone
con cui rispondevano: ogni mancanza era un’assenza malata,
nessun’alternativa era stata data a quei ragazzi…
e per quanto
lei lo sapesse bene, tuttavia continuava a spronare le loro menti e
frenare la deriva della loro sorte, portando al limite le proprie
forze per trattenerli il più possibile. Un maestro deve
essere un
esempio, uno spirito guida, un bastone per chi fatica ad avanzare e
un faro sui sentieri del domani: anche se ai suoi studenti quel
domani sembrava oscuro, intimidatorio e quasi negato
loro,
lei avrebbe continuato a illuminarlo e tentare ogni cosa pur di
renderlo palpabile.
Per i pochi ragazzi che
riuscivano, con i propri sforzi e disperato sacrificio, a rientrare
nelle sezioni normali, non aveva che parole di lode e sollievo; ma in
quei momenti si protendeva ancora di più ad assistere i
restanti e
aiutarli a rialzarsi, raccogliendo i cocci dei loro sogni
perché i
fallimenti non li calpestassero, sforzandosi di rimetterli al proprio
posto nel modo più indolore e accarezzando ognuno di essi.
«Voi non siete abbandonati,
non siete soli, non siete solamente numeri! Avete un cuore, pensieri
e passioni, e tutto ciò vi deve sempre accompagnare. Non
perdetevi,
ragazzi, non lasciatevi spezzare; piegatevi se necessario, per
resistere e avanzare, ma mantenete salda la presa su voi stessi.
No, non scordatevi mai; questo
è il solo vero modo per non cadere. Vivete con orgoglio, con
gentilezza e pazienza: siate al meglio delle vostre
capacità,
qualunque cosa accada.»
Avrebbe voluto dire tutto ciò,
spesso lo sussurrava tra sé e sé o lo lasciava
scivolare oltre il
muro di sofferenza e rassegnazione di quelle anime; forse, a tempo
debito, sarebbe fiorito dentro di esse e avrebbe
sfaldato
la pietra,
portando il cambiamento.
Il
vero eroe non cerca l’adulazione, combatte per la
verità e la
giustizia solo perché quella è la sua natura,
aveva udito rispondere una volta, la voce nascosta tra le altre e
forse nemmeno rivolta alla sua figura; perché quelle parole
non
potevano ancora parlare di lei, era semplicemente troppo presto.
Il
Dio della Morte non aveva ancora sorriso, ma già attendeva;
intanto,
un nuovo anno finiva e uno lo inseguiva, veloce nel mutare il fato
del mondo, inesorabile e compassionevole.
Mi
chiedo se tu abbia mai vissuto. Un giorno, un’ora o anche
solo per
un attimo… hai mai conosciuto davvero il mondo?
Chi sei, chi sei?
Gli scienziati lo avevano
definito pericoloso, abile nel parlare e nel confondere, letale e
spietato; in quel giovane dai capelli d’inchiostro e la fama
d’assassino lei aveva visto questo, e altro.
Nessuno ha mai guardato
dentro di te.
Mani tremanti e animo disposto
a tutto lo avevano rinchiuso lì, considerandolo un altro,
prezioso e
al medesimo tempo sacrificabile, topo da laboratorio; solo lei
riusciva a vedervi ancora il palpito di un’anima che mai
sarebbe
potuta divenire cosa?
Così solo… chi sei?,
chiedeva la sua mente mentre osservava il sorriso accennato, rivolto
al mondo intero e a nessuno di veramente importante, avvicinandosi
alla barriera che proteggeva una e condannava l’altro
— sono
anch’io tua carceriera, quindi
— e sorridendo a sua volta; anche con quel giovane non
riusciva a
non farlo.
Vivi con onestà, stringi
la realtà con gentilezza.
Pure
in quell’ambiente di soprusi e tormenti questa
trovò il modo di
mettere radici, e fu proprio con essa che Aguri iniziò a
parlargli,
tra la calma e una sorta di… empatia?
che le impediva di rimanere neutra davanti al viso che
l’osservava
con lieve indifferenza, ma senza lasciarsi sfuggire nulla.
Quella
sorta di curiosità, di avidità
d’apprendere e controllo della
realtà, era la parte che per prima aveva sentito viva in
lui;
penetrava oltre ogni difesa e scintillava nel suo sguardo come una
provocazione o sfida all’ignoto — anzi, al noto:
chiunque il
ragazzo fosse, poteva comprendere i segreti e desideri altrui senza
alcuno sforzo, ingannando e aggirando tutto… o quasi. Quasi,
perché
il buio che sentiva in lui era vuoto, mancante di qualcosa fin dalle
origini e quasi sconosciuto allo stesso portatore; così,
scoprì che
il fondo di quegli occhi non era poi così diverso da quello
dell’intera classe E — anche
tu devi essere salvato, forse.
A
volte, nel contatto speciale che solo la notte poteva concedere, era
il giovane a farle domande: presto abituatosi alla sua presenza, non
doveva considerarla un problema — come se lo fosse mai stato,
spontanea e materna qual era — e quindi meritevole di non
essere
plagiata.
In quelle ore, lei parlava di sé e dei suoi ragazzi, e
intanto
scopriva il mondo al di là della separazione loro imposta;
lui
rimaneva invece
in silenzio e
ascoltava,
sempre più vicino alla barriera e alle sue mani.
Le
stelle impallidivano troppo presto negli
ultimi tempi,
si trovò a pensare lei un mattino, all’improvviso
e con intensità;
e mentre anche il
chiarore dell’alba
si sfaldava in una
corsa verso il pieno giorno,
il suo cuore prese a battere più forte e a cadere in una
culla di
malinconia, un bisogno di vicinanza che la spinse a voltarsi
innumerevoli volte verso la struttura alle sue spalle…
là dove
forse
qualcuno attendeva, come lei, la venuta delle tenebre.
«Perché
continui a restare in un luogo
simile? Non è fatto per quelli come te.»
La
voce del
suo sorvegliato speciale
non ammetteva menzogne e
giunse a piegare il principio di quella sera; e seguendone
la
traccia, lei raggiunse nuovamente il volto più nascosto del
Dio
della Morte. Dentro di sé questi era gentile e teneva alle
persone,
ma non era
cosciente
di ciò:
la sua anima era sepolta sotto un abisso
di sangue e
violenza, solitudine
e oblio, eppure continuava a pulsare come una fiamma sferzata dalla
neve, difficile da estinguere seppur esile. C’era già,
inoltre, una crepa nello sguardo, un minuscolo varco che lei
non
avrebbe mai
forzato; ma
c’era.
«Devo
farlo. Ho promesso…»
«Anche
se hai ancora molto da imparare, il tuo posto è in mezzo
agli
studenti.»
«Io…»
Lo so; e allo
stesso tempo non sono più sicura che sia l’unico
luogo in cui
poter fare qualcosa.
È da tanto che lo penso.
«Non
volevo dire nulla di spiacevole: la tua compagnia non mi disturba, ma
non riesci a spegnere il cuore.»
Un
silenzio discreto, non ostile né divisore. «E il
tuo? Lo senti come
lo sento io, anche
ora?»
Le mani della bella cavia si
appoggiarono alla propria prigione di vetro per un istante, come per
cercare di uscire o sporgersi da essa per guardarla meglio negli
occhi; e quando si staccò, dalla parte opposta lei
sentì solo
calore quando i polpastrelli si appoggiarono nello stesso punto.
«Sempre così dolce…», lo
udì mormorare prima di vedere passare
un’ombra anomala sul suo volto, subito sostituita
dall’onnipresente
sorriso.
Non avrebbe mai dimenticato il
suono di quella parola nella bocca dell’altro: non una taccia
di
debolezza o stupidità, ma una sorta di riflessione su
qualcosa che
non aveva mai ricevuto.
Solo quando l’assassino
stesso le raccontò la propria storia fu certa di averlo sentito
davvero; e che sì, tra le spine che gli strozzavano
l’anima si
agitavano sensibilità e comprensione, immerse nel sonno ma
determinate a risvegliarsi, prima o poi.
Il tempo incapace di frenarsi
unì le loro voci sempre di più: e
all’autunno seguì un inverno
in attesa, a questi una profumata primavera. Marzo li avvolse quasi
senza preavviso, designando un intero anno insieme: il primo
compleanno del Dio della Morte, come lei aveva deciso da tempo, il
primo contatto e una carezza che non era solo immaginazione, ma
riusciva a farsi carne.
Giunta a quel punto, lei aveva
ormai rinunciato a nascondere i propri sentimenti: non più
cieca
obbedienza a un uomo che non la guardava veramente né voleva
farlo,
non più esitazione né bugie a sé
stessa. Il domani, quello sperato
e desiderato, aveva assunto gli occhi notturni dell’uomo
che
aveva davanti a sé; e di quel domani non si sarebbe pentita,
perché
era nato da tutto ciò che era:
energia, protezione, cura… amore.
Allo
stesso modo, poi, non si
sarebbe pentita di ciò che i sentimenti
l’avrebbero portata a
fare: è sempre
stupefacente vedere come alla più intensa delle gioie possa
immediatamente seguire uno spietato dolore o folle paura; ma nemmeno
i suoi artigli avrebbero avuto il potere di fermarla.
Quando
il corpo lunare si infranse e lei scoprì il
perché, coraggio e
tristezza sostennero il suo impeto e la spinsero a rivelare al
giovane quale sarebbe stato il suo destino; tensione e un animo
disposto a tutto pur di salvare chi amava non si fecero frenare dalla
compostezza con cui la notizia venne accolta, né vennero
convinti
quando fu lui a prendere in mano la situazione
—
«Per
favore, non
discutere quello che voglio fare!
Devi andartene adesso, non sei al sicuro qui… o
vuoi morire invano?»,
o
qualcosa di molto simile
—
e rivoltarla secondo il proprio favore.
Più di un motivo o un moto
del cuore la legava a lui, non avrebbe potuto rimanere immobile a
guardare il suo futuro sgretolarsi e lasciarle solamente macerie e
rimpianti: no, le regole del gioco erano state dettate già
da tempo,
e lei che le aveva accettate e fatte proprie non si sarebbe ritirata.
A volte il sacrificio non è
improvviso, in nessuna occasione è imposto: nasce
nell’amore e
attende di illuminare il mondo, e chi ha tanta forza da lasciargli la
stessa vita.
Così, quando fu la sua
esistenza a essere donata, Aguri non pensò neppure un
istante al
dolore: molto più avrebbe sofferto se le sue braccia non
avessero
stretto il Dio della Morte e fattogli da scudo, proteggendolo dagli
altri e da sé stesso.
La carne spezzata non le
impedì di sorridere al volto già mutato, e
tuttavia ancor umano,
del ragazzo che aveva salvato e che l’aveva salvata;
e quei
tentacoli con cui l’aveva abbracciata per strapparla alla
fine non
le sembrarono mai così pieni di vita, e amabili.
Prima di dirgli addio e
intrecciare le proprie ali per andarsene, si accoccolò tra i
suoi
pensieri, là da dove la voce avrebbe preso forza e avrebbe
rivelato
solo la verità: dopo, sarebbe stato solo un nuovo inizio.
Non devi piangere… finché
respirerai, io lo farò con te; finché non
perderai la tua umanità
— so che non lo farai perché sei gentile, e
così compassionevole
— io sarò al tuo fianco. Quando ti spegnerai,
allora inizieremo a
vivere insieme; quindi, di cosa avere paura?
Le mie braccia saranno
sempre un rifugio, ti accoglieranno senza remore: nel mio ricordo
potrai riposare ogni volta che vorrai.
È stato
bello vivere con te, non potrei mai dirtelo abbastanza; e ora tocca a
te portare consolazione e grazia.
Sono certa: ce la farai.
Sarai il mio eroe, e il mio cuore…
… Lo
sei sempre stato.