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Autore: Manto    19/07/2018    2 recensioni
♥ Prima classificata al contest ‘Like an Hero — Eroe per un giorno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp
Un piccolo tributo ad Aguri Yukimura e al suo infinito amore, alla dolcezza che le consentì di salvare e di essere salvata.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aguri Yukimura, Koro Sensei
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: I personaggi sotto presentati non mi appartengono.
La storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.



Partecipante al contest ‘Like an Hero — Eroe per un giorno
indetto da
Emanuela.Emy79 sul forum di Efp


Fiore di Marzo




I want to say that I lived each day,
Until I die

And know that I meant something in somebody’s life

I was here
I lived, I loved



I was here”, Beyoncé




Gli eroi non hanno mai paura; una legge naturale e semplice, nata con e per loro.
Gli eroi sanno sempre come agire, quando e perché; conoscono ogni risposta e risvegliano i sentimenti più intensi, trasformano la rabbia in perdono e l’egoismo in gentilezza, dalla morte fanno sbocciare la vita. Antepongono i loro fratelli a sé stessi, per custodirne la felicità; sono liberi e forti come le onde del mare, ugualmente purificatori.
Questi sono gli eroi… tutto ciò che io non sono.
No, non lo sono né lo sarò mai, e quando o se questo mondo avrà bisogno di me, di certo risponderò: ma non come eroe.
Sì, darò tutta me stessa, combatterò, ma non come eroe: n
on riuscirei a salvare nessuno, io.
A volte, Aguri Yukimura ripensava a quelle parole colme di amarezza, vergate di fretta su un diario dalle pagine ormai rovinate e intrise di tante lacrime d’inchiostro, tutte simili tra loro: figlie di un tempo già lontano, pensieri notturni e sfoghi della primissima giovinezza, l’età delle bambole e della spensieratezza era finita proprio il giorno in cui quelle lettere avevano ricamato una pagina bianca con tracce di disillusione, tristezza e senso di smarrimento.
Qual è il mio posto in questa realtà? Avrò una mia missione, una bandiera da seguire, un ideale? Il felice ieri sembra così distante, ora, e il domani mi rattrista ancora di più.
Il mio cuore… se non sapesse guidarmi? Se lo perdessi, se non lo sentissi più? Ho paura: della superficialità, della menzogna, dell’insensibilità, di ciò che un uomo dai pensieri oscuri può fare a un suo simile, dell’abbandono… e di me: di quello che non saprò, potrò o vorrò fare.

A volte le rileggeva, ancora e ancora, fino a quando il tramonto si affacciava alle finestre della sua casa e poi vi entrava per bagnare di luce, colori e sospiri i libri ammucchiati alla rinfusa su tavoli e sedie, le schede scolastiche ancora da completare, e il suo sorriso ⸺ un sorriso dolce, pieno di calore e discrezione, che spuntava ogni qual volta il pensiero dei suoi studenti allentava l’ombra di una giornata troppo lunga, di un’altra ora e un’ennesima notte da passare in solitudine.
A volte lasciava volare il tempo cullando l’insicurezza della ragazzina che era stata, guardando a quel passato e poi al proprio presente, ritrovando in ogni pianto i passi che avevano formato i suoi obiettivi e le stelle che avevano trapuntato i sogni.
C’era voluto il proprio tempo per arrivare a non avere terrore di fallire, di cadere e non potersi più rialzare: aveva dovuto attendere le ali della maturità, l’esperienza che impedisce a tutti di rimanere uguali e immobili nell’inflessibile scorrere dell’esistenza, la passione per gli studi che le aveva permesso di conoscere le proprie capacità e pensare a come poterle donare al mondo, per aiutare, liberare e rendere migliore qualcuno; aveva dovuto vedere crescere la sua adorata Akari, l’astro più bello che la vita le aveva donato, per sbocciare insieme a lei.
Solo allora quelle mute domande avevano iniziato a trovare risposta nella gentilezza che era sempre stata parte del suo animo, nella premura capace di attendere ai bisogni di chi la circondava, nell’empatia che le aveva impedito di staccarsi dalla realtà e camminare distante da essa; solo allora, con lentezza ma costanza, il diario aveva smesso di essere un mostro in attesa di oblio e condanna, e da anni lei poteva finalmente guardarlo con la calma di chi ha superato una tempesta e, tuttavia, continua a rispettarla.
«Non sarò mai un eroe… ma chi mi è caro lo posso comunque consolare, lo posso vegliare e sostenere; questo significherà pure qualcosa, avrà un suo motivo per esistere.»
Ogni volta, le parole di dolore si alleggerivano e non facevano più male: la vita correva e lei continuava a imparare, a sorridere e ad aprire le proprie braccia al mondo, ed era sempre una nuova primavera ciò con cui riempiva il cuore.
E nel marzo degli eventi, quando tutto si preparava al grande inizio, la giovane un tempo senza certezze era ormai un fiore dall’anima priva di barriere.




«Non vi posso lasciare andare.»
Penso che mi ritirerò.
«Perché non resistete ancora un po’? Presto andrà meglio, lo so, recupererete… sono qui per questo!»

Ci dispiace, sensei, ma sta solo sprecando il suo tempo con noi. Anche se ci vuole rassicurare, sappiamo che è tutto inutile!
«Non per me.»
I banchi vuoti piangevano spesso: trasudavano memoria, tristezza e malinconia, tutto tranne che silenzio. Le pareti della modesta struttura non chiudevano i loro occhi davanti alla sua figura composta, seduta in cattedra e in attesa che il nuovo mattino le riportasse i suoi cari studenti, e non riuscivano a lasciar fuggire il dispiacere nato dagli occhi spenti, rassegnati, che avrebbero incontrato il suo volto ostinatamente amichevole ⸺
se cado io, non ci sarà più nessuno a combattere con voi.
I ragazzi della sezione
E, gli “scarti” ⸺ come poteva un essere umano definire spazzatura, semplice “cosa”, altri umani, ragazze e giovani colpevoli solo di non raggiungere ottimi risultati? La vergogna non doveva pesare su quelle spalle, ma sulla mente che aveva ideato una prigione di umiliazione e giudizio, la rete che avrebbe incatenato e dilaniato le ali di quegli sfortunati per un intero, lungo anno, e probabilmente anche di più ⸺ della prestigiosa Kunugigaoka, ascoltavano sia le lezioni che gli incoraggiamenti con il medesimo sguardo: lontano, privo di speranza, occupato da pensieri troppo grandi per loro, vecchi ma senza alcuna strada da poter percorrere.
Facevano male le parole atone con cui rispondevano: ogni mancanza era un’assenza malata, nessun’alternativa era stata data a quei ragazzi… e per quanto lei lo sapesse bene, tuttavia continuava a spronare le loro menti e frenare la deriva della loro sorte, portando al limite le proprie forze per trattenerli il più possibile. Un maestro deve essere un esempio, uno spirito guida, un bastone per chi fatica ad avanzare e un faro sui sentieri del domani: anche se ai suoi studenti quel domani sembrava oscuro, intimidatorio e quasi
negato loro, lei avrebbe continuato a illuminarlo e tentare ogni cosa pur di renderlo palpabile.
Per i pochi ragazzi che riuscivano, con i propri sforzi e disperato sacrificio, a rientrare nelle sezioni normali, non aveva che parole di lode e sollievo; ma in quei momenti si protendeva ancora di più ad assistere i restanti e aiutarli a rialzarsi, raccogliendo i cocci dei loro sogni perché i fallimenti non li calpestassero, sforzandosi di rimetterli al proprio posto nel modo più indolore e accarezzando ognuno di essi.
«Voi non siete abbandonati, non siete soli, non siete solamente numeri! Avete un cuore, pensieri e passioni, e tutto ciò vi deve sempre accompagnare. Non perdetevi, ragazzi, non lasciatevi spezzare; piegatevi se necessario, per resistere e avanzare, ma mantenete salda la presa su voi stessi.
No, non scordatevi mai; questo è il solo vero modo per non cadere. Vivete con orgoglio, con gentilezza e pazienza: siate al meglio delle vostre capacità, qualunque cosa accada.»
Avrebbe voluto dire tutto ciò, spesso lo sussurrava tra sé e sé o lo lasciava scivolare oltre il muro di sofferenza e rassegnazione di quelle anime; forse, a tempo debito, sarebbe fiorito dentro di esse e
avrebbe sfaldato la pietra, portando il cambiamento.
Il vero eroe non cerca l’adulazione, combatte per la verità e la giustizia solo perché quella è la sua natura, aveva udito rispondere una volta, la voce nascosta tra le altre e forse nemmeno rivolta alla sua figura; perché quelle parole non potevano ancora parlare di lei, era semplicemente troppo presto.
Il Dio della Morte non aveva ancora sorriso, ma già attendeva; intanto, un nuovo anno finiva e uno lo inseguiva, veloce nel mutare il fato del mondo, inesorabile e compassionevole.




Mi chiedo se tu abbia mai vissuto. Un giorno, un’ora o anche solo per un attimo… hai mai conosciuto davvero il mondo?
Chi sei, chi sei?

Gli scienziati lo avevano definito pericoloso, abile nel parlare e nel confondere, letale e spietato; in quel giovane dai capelli d’inchiostro e la fama d’assassino lei aveva visto questo, e altro.
Nessuno ha mai guardato dentro di te.
Mani tremanti e animo disposto a tutto lo avevano rinchiuso lì, considerandolo un altro, prezioso e al medesimo tempo sacrificabile, topo da laboratorio; solo lei riusciva a vedervi ancora il palpito di un’anima che mai sarebbe potuta divenire
cosa?
Così solo… chi sei?
, chiedeva la sua mente mentre osservava il sorriso accennato, rivolto al mondo intero e a nessuno di veramente importante, avvicinandosi alla barriera che proteggeva una e condannava l’altro — sono anch’io tua carceriera, quindi — e sorridendo a sua volta; anche con quel giovane non riusciva a non farlo.
Vivi con onestà, stringi la realtà con gentilezza
. Pure in quell’ambiente di soprusi e tormenti questa trovò il modo di mettere radici, e fu proprio con essa che Aguri iniziò a parlargli, tra la calma e una sorta di… empatia? che le impediva di rimanere neutra davanti al viso che l’osservava con lieve indifferenza, ma senza lasciarsi sfuggire nulla.
Quella sorta di curiosità, di avidità d’apprendere e controllo della realtà, era la parte che per prima aveva sentito viva in lui; penetrava oltre ogni difesa e scintillava nel suo sguardo come una provocazione o sfida all’ignoto — anzi, al noto: chiunque il ragazzo fosse, poteva comprendere i segreti e desideri altrui senza alcuno sforzo, ingannando e aggirando tutto… o quasi. Quasi, perché il buio che sentiva in lui era vuoto, mancante di qualcosa fin dalle origini e quasi sconosciuto allo stesso portatore; così, scoprì che il fondo di quegli occhi non era poi così diverso da quello dell’intera classe E —
anche tu devi essere salvato, forse.
A volte, nel contatto speciale che solo la notte poteva concedere, era il giovane a farle domande: presto abituatosi alla sua presenza, non doveva considerarla un problema — come se lo fosse mai stato, spontanea e materna qual era — e quindi meritevole di non essere
plagiata. In quelle ore, lei parlava di sé e dei suoi ragazzi, e intanto scopriva il mondo al di là della separazione loro imposta; lui rimaneva invece in silenzio e ascoltava, sempre più vicino alla barriera e alle sue mani.
Le stelle impallidivano troppo presto
negli ultimi tempi, si trovò a pensare lei un mattino, all’improvviso e con intensità; e mentre anche il chiarore dell’alba si sfaldava in una corsa verso il pieno giorno, il suo cuore prese a battere più forte e a cadere in una culla di malinconia, un bisogno di vicinanza che la spinse a voltarsi innumerevoli volte verso la struttura alle sue spalle… là dove forse qualcuno attendeva, come lei, la venuta delle tenebre.
«Perché continui a restare in un
luogo simile? Non è fatto per quelli come te.»
La voce
del suo sorvegliato speciale non ammetteva menzogne e giunse a piegare il principio di quella sera; e seguendone la traccia, lei raggiunse nuovamente il volto più nascosto del Dio della Morte. Dentro di sé questi era gentile e teneva alle persone, ma non era cosciente di ciò: la sua anima era sepolta sotto un abisso di sangue e violenza, solitudine e oblio, eppure continuava a pulsare come una fiamma sferzata dalla neve, difficile da estinguere seppur esile. C’era già, inoltre, una crepa nello sguardo, un minuscolo varco che lei non avrebbe mai forzato; ma c’era.
«Devo farlo. Ho promesso…»
«Anche se hai ancora molto da imparare, il tuo posto è in mezzo agli studenti.»
«Io…»
Lo so; e allo stesso tempo non sono più sicura che sia l’unico luogo in cui poter fare qualcosa.
È da tanto che lo penso.

«Non volevo dire nulla di spiacevole: la tua compagnia non mi disturba, ma non riesci a spegnere il cuore.»
Un silenzio discreto, non ostile né divisore. «E il tuo? Lo senti come lo sento io,
anche ora
Le mani della bella cavia si appoggiarono alla propria prigione di vetro per un istante, come per cercare di uscire o sporgersi da essa per guardarla meglio negli occhi; e quando si staccò, dalla parte opposta lei sentì solo calore quando i polpastrelli si appoggiarono nello stesso punto. «Sempre così dolce…», lo udì mormorare prima di vedere passare un’ombra anomala sul suo volto, subito sostituita dall’onnipresente sorriso.
Non avrebbe mai dimenticato il suono di quella parola nella bocca dell’altro: non una taccia di debolezza o stupidità, ma una sorta di riflessione su qualcosa che non aveva mai ricevuto.
Solo quando l’assassino stesso le raccontò la propria storia fu certa di averlo sentito davvero; e che sì, tra le spine che gli strozzavano l’anima si agitavano sensibilità e comprensione, immerse nel sonno ma determinate a risvegliarsi, prima o poi.
Il tempo incapace di frenarsi unì le loro voci sempre di più: e all’autunno seguì un inverno in attesa, a questi una profumata primavera. Marzo li avvolse quasi senza preavviso, designando un intero anno insieme: il primo compleanno del Dio della Morte, come lei aveva deciso da tempo, il primo contatto e una carezza che non era solo immaginazione, ma riusciva a farsi carne.
Giunta a quel punto, lei aveva ormai rinunciato a nascondere i propri sentimenti: non più cieca obbedienza a un uomo che non la guardava veramente né voleva farlo, non più esitazione né bugie a sé stessa. Il domani, quello sperato e desiderato, aveva assunto gli occhi notturni dell’uomo che aveva davanti a sé; e di quel domani non si sarebbe pentita, perché era nato da tutto ciò che era: energia, protezione, cura… amore.
Allo stesso modo, poi, non si sarebbe pentita di ciò che i sentimenti l’avrebbero portata a fare: è sempre stupefacente vedere come alla più intensa delle gioie possa immediatamente seguire uno spietato dolore o folle paura; ma nemmeno i suoi artigli avrebbero avuto il potere di fermarla.
Quando il corpo lunare si infranse e lei scoprì il perché, coraggio e tristezza sostennero il suo impeto e la spinsero a rivelare al giovane quale sarebbe stato il suo destino; tensione e un animo disposto a tutto pur di salvare chi amava non si fecero frenare dalla compostezza con cui la notizia venne accolta, né vennero convinti quando fu lui a prendere in mano la situazione
«Per favore, non discutere quello che voglio fare! Devi andartene adesso, non sei al sicuro qui… o vuoi morire invano?», o qualcosa di molto simile — e rivoltarla secondo il proprio favore.
Più di un motivo o un moto del cuore la legava a lui, non avrebbe potuto rimanere immobile a guardare il suo futuro sgretolarsi e lasciarle solamente macerie e rimpianti: no, le regole del gioco erano state dettate già da tempo, e lei che le aveva accettate e fatte proprie non si sarebbe ritirata.
A volte il sacrificio non è improvviso, in nessuna occasione è imposto: nasce nell’amore e attende di illuminare il mondo, e chi ha tanta forza da lasciargli la stessa vita.
Così, quando fu la sua esistenza a essere donata, Aguri non pensò neppure un istante al dolore: molto più avrebbe sofferto se le sue braccia non avessero stretto il Dio della Morte e fattogli da scudo, proteggendolo dagli altri e da sé stesso.
La carne spezzata non le impedì di sorridere al volto già mutato, e tuttavia ancor umano, del ragazzo che aveva salvato e che l’aveva salvata; e quei tentacoli con cui l’aveva abbracciata per strapparla alla fine non le sembrarono mai così pieni di vita, e amabili.
Prima di dirgli addio e intrecciare le proprie ali per andarsene, si accoccolò tra i suoi pensieri, là da dove la voce avrebbe preso forza e avrebbe rivelato solo la verità: dopo, sarebbe stato solo un nuovo inizio.
Non devi piangere… f
inché respirerai, io lo farò con te; finché non perderai la tua umanità — so che non lo farai perché sei gentile, e così compassionevole — io sarò al tuo fianco. Quando ti spegnerai, allora inizieremo a vivere insieme; quindi, di cosa avere paura?
Le mie braccia saranno sempre un rifugio, ti accoglieranno senza remore: nel mio ricordo potrai riposare ogni volta che vorrai.
È
stato bello vivere con te, non potrei mai dirtelo abbastanza; e ora tocca a te portare consolazione e grazia.
Sono certa: ce la farai. Sarai il mio eroe, e il mio cuore…

Lo sei sempre stato.



   
 
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