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Autore: daniverse    20/07/2018    2 recensioni
⤿ { shade!centric, pining!bluemoon ❀ future!fic, o canon divergence da ambientarsi dopo le due stagioni animate }
Se non fosse stato certo si trattasse di Rein – le palpitazioni del suo cuore parlavano chiaro – Shade dubitava l’avrebbe persino riconosciuta.
→ Storia vincitrice del premio “Miglior stile” al contest « Friends to lovers? » indetto da Ayumu Okazaki sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Al mio fianco, tra i gigli sbocciati in una notte d'inizio estate

In quel momento l’orecchio attento di un paggio qualsiasi avrebbe facilmente supposto che le stanze del principe fossero rimaste abbandonate a loro stesse, nella quiete di quell’assolato pomeriggio di fine giugno. Oltrepassando lo stipite richiuso avrebbe ponderato la possibilità che il futuro regnante ne avesse approfittato per fare visita alla madre, oppure si stesse dedicando allo svago della principessina per distrarsi a sua volta; non avrebbe immaginato, dunque, che nel solenne silenzio dell’ala est Shade se ne stesse in realtà chino sulla propria scrivania. Incartamenti, dossier e tomi antichi lo attorniavano come le dune del suo Regno, non altrettanto sfuggenti, mentre un servizio da tè ormai freddo giaceva abbandonato sul tavolino lì di fronte.
Non mancava molto al giorno del suo ventunesimo compleanno, sei mesi soltanto, e ventiquattr’ore passavano sempre più in fretta di quanto ci si potesse augurare. Shade posò la piuma e prese un profondo respiro, maledicendo il farsetto che gli attanagliava il petto; dopotutto era finito il tempo dei giochi, delle fughe da palazzo in sella a Regina e di Eclipse, il cavaliere misterioso. O, in quel caso, del suo
comodo completo giallo.
Inclinandosi sul bracciolo sinistro, il palmo della mano a lambirgli la guancia, Shade osservò la documentazione che esibiva chiaramente la complessità di governare un’area ben più estesa della camera di Milky e del suo fortino di cuscini. Adocchiò la mappa del Regno della Luna esposta a lato, sulla parete tinta d’avorio, concentrandosi sulla Valle delle Stelle. Non pioveva da mesi, il lago andava prosciugandosi e il villaggio che prosperava grazie alle risorgive chiedeva con urgenza l’intervento del Regno della Goccia; il quale, come gli aveva fatto notare il suo ambasciatore, stava già provvedendo a risolvere il problema – impiegandoci più tempo del previsto.
Con il popolo irrequieto, dunque, c’era ben poco da cui distrarsi. Le tubazioni erano in viaggio e le pompe sarebbero state collegate in non meno di una settimana: era evidente che sarebbe stato necessario sospendere la tassazione idrica locale per non gravare sulle spalle dei villeggianti, ma il ministro del tesoro non sembrava pensarla allo stesso modo. Pur di finanziare il progetto l’unica alternativa restava quella di controbilanciare l’assenza di imposte con la crescita delle accise, ma non si poteva nemmeno rischiare il malcontento dei nobili–
Qualcuno tossicchiò ai limiti dello studio, interrompendo le sue elucubrazioni. Shade alzò il capo con uno scatto per ricomporsi, ma rilassò le spalle nel riconoscere il viso di una delle domestiche fare capolino dalla porta.
«Perdonate il disturbo, vostra altezza» pigolò intimorita, interpellata da un suo cenno, «Il valletto mi manda a dire che nella sala del trono è richiesta la vostra presenza.»
Incuriosito e preoccupato che sua madre potesse aver bisogno di lui, Shade congedò la servitù con un gesto della mano e abbandonò lo scranno, precipitandosi a passo svelto nel cuore del palazzo stesso. Avvicinandosi, un impercettibile profumo floreale lo accarezzò di sfuggita: su insistenza di Milky, che alla veneranda età di otto anni già si permetteva di dare certe direttive, sette enormi vasi di gigli bianchi – uno per Regno – erano stati spostati dal giardino reale al perimetro a mezzaluna del salone. Alcuni boccioli avevano già schiuso le loro corolle, segnando l’arrivo dell’estate, e la prima cosa che vide al suo ingresso furono proprio i loro petali bianchi. La seconda, Rein.
Era voltata di spalle, conversava a mezza voce con sua madre avvolta in un semplice abito verde bottiglia; Shade rallentò il passo. Dunque non c’era stata nessuna emergenza, nessun malore della reggente: solo una principessa – una vecchia
amica, o qualcosa di più – da accogliere come il protocollo imponeva. Tutto sotto controllo.
«Oh, ecco Shade.»
Distogliendo l’attenzione dalla reggente Rein si volse nella sua direzione e accennò un piccolo inchino, che lui ricambiò. Per qualche motivo dal sorriso che gli rivolse parve più raggiante del solito, ma Shade non osò introdurre l’argomento; conoscendo Rein, presto l’avrebbe lei stessa reso partecipe del proprio entusiasmo. A quel punto raggiunse le due dame, accostandosi a sua madre.
«La principessa è arrivata giusto qualche momento fa per porgerci i saluti dal Regno Solare», lo mise al corrente Moon Maria, tornando poi a rivolgersi alla sua ospite, «Sarai stanca, dopo aver condotto la vostra mongolfiera fino a qui.»
Rein scosse il capo, facendo ondeggiare i capelli intrecciati. «No affatto, la reputo un’attività piuttosto rilassante. È stato un viaggio piacevole.»
«L’importante è che abbiate migliorato gli atterraggi» la schernì Shade con tono divertito, rammentando i disastri della sua infanzia.
La principessa inarcò un sopracciglio ma non rispose alla sua provocazione, dettaglio che in quel momento lo colpì come altri che notava tardivamente; la sua postura, per esempio, retta ma non rigida, regale, e il portamento delicato nel compiere il più semplice dei gesti. Come rivolgere una cordiale riverenza verso Moon Maria, dinanzi la sua proposta di un tè in compagnia del figlio.
Shade le porse il braccio, che Rein accettò, e insieme si avviarono verso i giardini. Scortati da un paio di guardie, passeggiarono tranquilli lungo il cortile lastricato di marmo. La veste di lei sfiorava leggera il selciato, ma l’attenzione di Shade era catturata dai lineamenti del suo volto: gli zigomi parevano più affilati, meno infantili, e le labbra sfumate di rosso. In quel momento si accorse che era truccata.
«Vostra madre ha sempre molto da fare con il Regno» sospirò Rein nel lanciare lo sguardo verso un punto indefinito tra la vegetazione che rifioriva nel giardino. «Eppure è ancora una delle donne più belle e disponibili che conosca.»
Shade la guardò. «Lo è, indubbiamente.»
Cogliendo una nota di scherno in quell’onesta affermazione, Rein alzò il viso e incontrò i suoi occhi, illuminati da una scintilla di divertimento riemersa dal passato. «Siete di parte, è vostra madre. Ma mi fa piacere trovarci in accordo, per una volta» rise tra sé.
Ripresero a camminare, poiché nel frattempo si erano fermati ad ammirare le rigogliose palme che concedevano un po’ di refrigerio dalla calura desertica. Non presentavano frutti, quelli sarebbero arrivati più tardi, ma il vassoio di pasticcini assortiti posato su uno dei tavolini del cortile si prospettava un’alternativa altrettanto ghiotta. Fine avrebbe gradito molto, se fosse stata anche lei presente.
Shade sistemò la sedia di Rein prima di accomodarsi a sua volta. Una delle domestiche versò del tè ghiacciato nelle tazzine e poi si ritirò, lasciandoli soli. La principessa alzò gli occhi al cielo scrutandone l’azzurro limpido quanto la sfumatura dei suoi capelli mentre Shade si concedeva il primo sorso di quella che si annunciava una lunga chiacchierata, sebbene il motivo della visita di Rein gli rimanesse ancora sconosciuto. Porgere i saluti del Regno Solare a sua madre non era abbastanza per costringerla a usufruire della mongolfiera reale e presentarsi a corte, dunque Shade aspettò.
Conscia della sua curiosità, Rein riportò le iridi verde acqua su di lui. Per tenerlo un po’ sulle spine, gioviale e civettuola, sorseggiò a sua volta un po’ di tè. Infine parlò.
«Fine ti saluta» confessò pacatamente, passando da un registro formale a uno ben più intimo e, in qualche modo, accusatorio, «e mi chiede come stai. Sospetta che tu sia impegnato con il Regno, sai… Si raccomanda di non strafare.»
Shade non disse nulla, ma si limitò a incassare il colpo. Avrebbe dovuto aspettarselo, dopotutto si trattava di sua sorella; e sapeva bene quanto oltre potesse spingersi l’istinto protettivo di un fratello nei confronti dei propri consanguinei.
Posando le mani in grembo, Rein lo fissò senza imbarazzo. La piega del suo sorriso, ora, pareva quasi compatirlo. O probabilmente rimproverava se stessa per essere stata troppo dura con quelle semplici parole, perché se Rein provava un minimo d’affetto per lui non l’avrebbe mai detestato. Tutt’al più, avrebbe cercato di capire.
«Lei sta meglio, comunque. Non è stato facile, ma insieme a Bright siamo riusciti a tirarla su di morale. Per distrarla abbiamo deciso che lui l’accompagnerà a Meramera in questi giorni… per fare un’escursione sul vulcano, finché è ancora silente. E per salutare Bo Dragon.»
Sovrappensiero, la mano di Rein tornò a lambire la tazzina. Questa volta, il polpastrello si limitò ad accarezzarne la bordatura dorata. Passò qualche secondo prima che desse nuovamente voce ai propri pensieri.
«Non è strano come un cuore spezzato sia in grado di unire le persone?» domandò quindi di punto in bianco, lanciando a Shade un’occhiata fugace. «Nonostante la perdita l’amore si rafforza, diventa più saldo. Lo trovo...»
«...strano» concordò lui, parlando per la prima volta da quando erano stati lasciati l’uno in compagnia dell’altra. «Anni di studi sui meccanismi della psiche non sono stati necessari a svelare il mistero. Resta il perché di questa domanda, tuttavia.»
Rein tacque, addentando svogliatamente un pasticcino alla frutta.
«In ogni caso io sto bene, di’ a Fine che non deve–»
«Ti va di venire ai balli campestri di Tanatana?»
Shade rimase interdetto, lasciando cadere la frase. Dunque corrugò le sopracciglia. «Perché cambi sempre argomento?»
La principessa sorrise nascondendosi dietro la propria tazzina e il principe si rese conto di come fosse Rein in quel momento a fare la misteriosa, conducendo le redini del gioco e non lui, con buona pace di Eclipse. Shade optò per arrendersi e lasciarsi alle spalle le insinuazioni della fiordaliso. «Perché non ci vai con Bright?»
«Purtroppo è impegnato» rispose prontamente la principessa, sorridendo vivace «e a Fine i balli piacciono poco, perciò per lei sarebbe più una tortura che un piacere. Restavi solo tu» ammise Rein con candore, facendogli l’occhiolino. Alla vista, Shade si rasserenò nel vedere pian piano riemergere la vecchia lei nell’abbandonare l’etichetta che era stata imposta a entrambi dal giorno della loro nascita; tempo addietro, era stato quello uno degli aspetti di Rein a conquistarlo. Nonostante gli anni e l’adolescenza ormai alle spalle, Shade era sollevato nell’intravedere quella luce negli occhi di lei. La vita di re e regine, dopotutto, non sempre concedeva una simile innocenza. Tantomeno la felicità.
«Oh, avanti, Shade. Ti sto
pregando
Sbuffò. Quella scena doveva già averla vissuta, una volta in un passato non troppo lontano. «E va bene!»
Rein sorrise con entusiasmo, posando la tazzina. Osservandola, reggendo tra le mani la propria, Shade non poté non notare un’ombra attraversarle lo sguardo. Era morbida, il riflesso di un giuramento, e le parole che seguirono glielo confermarono.
«Non te ne pentirai, te lo prometto» lo rassicurò Rein, riprendendo a sorseggiare il suo tè.

La festa si teneva durante la notte tra il venti e il ventuno giugno – il giorno del solstizio d’estate, appunto, un’occasione per tutti i sette Regni di festeggiare la fine della primavera e l’inizio della stagione secca.
La pedana allestita per l’evento era abbastanza grande da accogliere gli abitanti di Tanatana e qualche forestiero e ospite d’onore, anche, come Rein gli aveva anticipato qualche giorno prima. Poco distante campeggiava l’Albero Madre, nudo di qualsiasi decorazione eccezion fatta per il piccolo padiglione floreale allestito sotto le sue folte fronde; era dedicato ai novelli sposi che si erano uniti a nozze durante la stagione, gli aveva spiegato Solo una volta ricevuto a corte. Da quanto ne sapeva, non era una tradizione recente; risaliva ai tempi di Grace e si vociferava fosse nata proprio per celebrare la sua vittoria contro il Cristallo Nero, imponendo metaforicamente la calda luce estiva sulla fredda oscurità invernale e dunque un nuovo inizio.
In ogni caso, Rein era in ritardo.
La pista non si era ancora del tutto riempita, sebbene fosse ormai sera inoltrata, ma i musicisti suonavano ormai da qualche ora i migliori brani del loro repertorio. Per la maggior parte si trattava di composizioni adatte a strumenti di fattura popolare come flauti di pan, percussioni e chitarre, benché tra le altre Shade riconobbe anche qualche ballata dal ritmo lento ed elegante; nonostante l’iniziale scetticismo, la prospettiva di danzare con Rein non gli dispiaceva affatto.
Ma c’era qualcos’altro che lo turbava, una sorta di reminiscenza che non riusciva ad afferrare e concretizzare in pensieri coerenti. Una sorta di
sensazione, l’avrebbe definita, la premonizione che quella sera qualcosa sarebbe successo. Shade si appoggiò contro un albero lungo il perimetro della pista, osservandola distrattamente. Si fidava del suo istinto, ma quel sentore persisteva più l’attesa dilatava il tempo.
Trascorse una manciata di minuti durante i quali si limitò a scrutare la folla che defluiva dalla strada maestra fino allo spiazzo dove sorgeva la pedana e rese omaggio alle principesse di Tanatana al loro passaggio, sebbene il suo sguardo tornasse puntualmente al sentiero di ciottoli. Un paio di paggi gli passò accanto nell’accendere le prime lanterne; ben presto tutta l’area fu illuminata, rilucendo nella radura come un’isola dorata.
Fu tra quelle luci che finalmente la vide, impegnata a occhieggiare la folla per individuarlo. Se non fosse stato certo si trattasse di Rein – le palpitazioni del suo cuore parlavano chiaro – Shade dubitava l’avrebbe persino riconosciuta. Il principe non mosse un passo, colto dalla sorpresa, e attese che fosse lei a raggiungerlo. Rein sorrise imbarazzata, o intimidita; non avrebbe saputo dirlo. Ma quando gli fu vicina la tensione si disciolse tra le lucerne e sparì nelle note di una ballata allegra, passata in secondo piano.
«Shade» sussurrò lei, la gonna in seta bianca tesa tra le mani in una piccola riverenza.
«Rein» replicò lui, osservandola senza curarsi di nascondere la propria sorpresa. «Ti sei tagliata i capelli.»
La principessa sollevò le labbra e annuì, soppesando una ciocca azzurrina nell’arricciarla tra le dita. «Sì. Dalla schiena alle spalle è un buon compromesso… Volevo provare qualcosa di nuovo.»
Detto ciò gli porse il braccio, una richiesta eloquente che Shade accettò di buon grado.
«È una festa veramente graziosa, non trovi?»
Passeggiavano lungo il bordo della pista da ballo, attorniati da nobili che come loro conversavano amabilmente gli uni con gli altri; la presa di Rein sul suo avambraccio era delicata, notò Shade, eppure ben salda nonostante la spensieratezza di quella serata organizzata solo per divertirsi. E nessun anello spiccava sulle dita diafane, nessun diamante o lapislazzuli – come unico ornamento alla sua bellezza aveva scelto un fiore da appuntare tra i capelli, un giglio bianco che un valletto aveva offerto a entrambi in qualità di omaggio a quella radura selvaggia. Shade teneva il proprio nella sua mano libera, attento a non sciuparlo.
«Concordo, l’atmosfera è decisamente serena.»
Mossero ancora qualche passo, avvicinandosi al buffet. La confusione era tale in quel punto che dovettero proseguire, recuperando un paio di calici da una cameriera; raggiunta una zona più calma, Rein indicò il cielo. «Una stella cadente!» esclamò raggiante. Si volse allora nella sua direzione, brilla di entusiasmo. «Esprimi un desiderio.»
Shade scrutò la volta celeste, limitandosi a un cenno di diniego. «Io non ho visto niente» la rimbeccò.
«Non l’hai
voluta vedere, è diverso» contrattaccò lei, lasciando la presa sul suo braccio e congiungendo le mani a capo chino. Shade la vide corrugare le sopracciglia, concentrata, e mormorare qualcosa che non riuscì a cogliere. La sua caparbietà era ammirevole.
«Parlando di stelle» riattaccò la fiordaliso poco dopo, riprendendo il principe sottobraccio, «Quando sono venuta a farvi visita la scorsa settimana ho sorvolato il lago Stella; c’era qualcosa sulla riva che non ho ben distinto. Forse dei macchinari?»
Shade annuì, sentendo su di sé il suo sguardo acquamarina senza dover nemmeno osservarla. «L’acqua scarseggia in questo periodo, così abbiamo richiesto aiuto a chi di dovere.»
Il passo di Rein si arrestò, costringendolo a fermarsi a sua volta. La principessa lo fissava allarmata. «La Benedizione del Sole?» ipotizzò in un sussurro incredulo.
Shade sorrise, e scosse il capo. «Non preoccuparti, si tratta di un evento piuttosto comune prima dell’arrivo dei monsoni estivi» e con un colpetto leggero sulla sua mano l’incitò a riprendere la camminata.
Alla sua rassicurazione il volto di Rein si distese, recuperando l’iniziale serenità. Passeggiarono un altro po’ prima che la musica mutasse il suo ritmo in una 
gagliarda che attirò più di un ballerino sulla pista già gremita. La fiordaliso non disse nulla, ma Shade notò il suo sguardo desideroso in direzione del palco; in quel momento, la sua premura nel non domandargli un ballo lo colpì. Nel giro di pochi mesi Rein era cambiata così tanto da proiettare l’immagine di una principessa non più goffa e inadatta, bensì quella di una futura regnante degna del suo trono – pur mantenendo quella sfumatura decisa e solare del suo carattere che conquistava anche i più reticenti.
Ma Shade sapeva leggere bene dietro quegli occhi allegri, o forse Rein non era stata ancora istruita alla fine arte della menzogna: contrariamente a quanto si potesse pensare un cuore così sincero come il suo avrebbe trovato spine ad accoglierla sul sentiero, e non petali di rose. In quel frangente, studiandola inosservato, Shade realizzò per la prima volta ciò che ne sarebbe stato di lui al compimento del suo ventunesimo anno di età.
Diventare re non era mai un compito semplice, tantomeno ciò che ne sarebbe seguito, e questi pensieri lo spinsero a imitare Rein e acquisire, per una volta, la sua spontaneità. Vivendo il momento.
Dunque «Ti va di ballare?» le chiese a bruciapelo, prendendo la principessa in contropiede.
«Sì», rispose lei senza avere il tempo di ponderare la propria decisione, tant’era inaspettata la domanda, «certo.»
«Aspetta. Il fiore.»
Rein prese con delicatezza il giglio dalle mani di Shade, portandoselo dietro l’orecchio e fermandolo con una forcina come per il precedente. Lui l’osservò per tutto il tempo, imprimendo nella memoria la cura di lei e i suoi movimenti aggraziati. Una volta pronta, la principessa gli sorrise incoraggiante.
«Andiamo.»
Con il palmo di Rein poggiato sul proprio Shade la condusse verso il centro della pista, dove le danze erano già iniziate. Non fu quindi difficile trovare un punto isolato dove infilarsi; da lì fu tutto un roteare, inchinarsi, avvicinarsi e allontanarsi. Le loro mani non si lasciavano se non per brevi istanti, sfiorando petti e fianchi in una ballata energica che nascondeva ben altro che semplici tumulti estivi.
«Non mi hai ancora pestato i piedi» constatò Shade quando furono abbastanza vicini da potersi parlare, sorridendo sornione. «Hai fatto progressi.»
La principessa corrugò la fronte, accaldata in viso nel prendere le mani di Shade e portarsele sopra la testa, eseguendo un perfetto giro su se stessa. «Sono passati anni dall’ultima volta che abbiamo danzato» gli fece notare, con il rossore sulle sue guance che sembrò accentuarsi, e come un meccanismo difettato Rein si fermò improvvisamente in mezzo alla pista, ignorando gli altri partecipanti al ballo. Shade fece lo stesso, ma prima che potesse avvicinarla lei stava già allontanandosi dalla pedana.
«Scusami» esclamò sopra la musica, fissandolo dritto negli occhi, «non mi sento bene». E la sua schiena sparì tra la folla, fagocitata dal suo rumoroso entusiasmo.
Pur non capendo il perché di quella reazione Shade non esitò a seguirla, ovviamente. A fatica si fece largo tra i ballerini e fu ben presto in grado di avvistarla, notando un lungo abito bianco correre a rifugiarsi tra gli alberi che circondavano la radura. Rein poggiò una mano su uno dei tronchi rugosi, respirando profondamente, e sentendo i passi di Shade echeggiare dietro di lei si volse nella sua direzione.
«Sto bene» si contraddisse «Probabilmente è colpa del corsetto. Torna in pista, io ti raggiungo a breve.»
Nonostante le sue preghiere Shade scosse il capo con decisione, accostandosi a lei e offrendole nuovamente il braccio. «Non ti lascerei mai qui da sola, sapendo che potresti sentirti male. Andiamo a cercare una panchina, piuttosto.»
«No», si oppose ancora una volta lei, «Sto bene qui.»
Shade sbuffò spazientito, appoggiandosi a sua volta contro la superficie ruvida del tronco. Fissava le lanterne ondeggiare alla brezza, appese a un filo così com’era il loro rapporto. «Non ti ricordavo così ostinata.»
«Non mi sei affatto d’aiuto.»
«E allora cerca di calmarti, agitandoti peggiorerai solo le cose.»
Un silenzio pesante come piombo calò tra i due, interrotto solo dagli schiamazzi della festa, mentre nella frescura di quell’angolo nascosto il respiro di Rein andava via via stabilizzandosi. Shade la sentì spostarsi, slittare leggermente verso di lui. Incuriosito si voltò per guardarla, ma lei evitò il suo sguardo concentrandosi sui colori cupi della volta celeste. La luna era coperta da nubi e vi risplendeva fioca attraverso, apparendo quasi pallida e smunta.
«Prima ti ho mentito.»
Fu un sussurro leggero il suo, uno di quelli così lievi che la brezza avrebbe in segreto trascinato con sé e disperso nella notte. Shade reclinò il capo, in ascolto.
«Non riguardo al corsetto» balbettò Rein, incespicando nelle sue stesse parole, «quello era vero, ma… Sul motivo perché siamo qui. Il giorno che sono stata ricevuta a palazzo sarei dovuta andare al Lago Stella, era per quello che vi ho fatto visita. Avevo– Dovevo confermare una cosa.»
«Nonostante infine la siccità te l’abbia impedito.»
Rein scosse il capo. «In realtà non volevo veramente scoprire quello che il Lago mi avrebbe mostrato. Dentro di me ne ero già consapevole. Questo perché Bright… perché Bright e io non stiamo più insieme, Shade.»
Passò un momento durante il quale nessuno dei due parlò. Per tutta risposta il principe si limitò a osservare le stelle, non sapendo cosa pensare. Sospettava di sapere dove si sarebbe arenato il discorso, ma dubitava Rein si sarebbe spinta a tanto; dopotutto erano 
amici, almeno formalmente, e nemmeno così intimi da presagire una confessione a cuore aperto. Dunque perché la principessa dai capelli fiordaliso si comportava in questo modo, perché parlare a enigmi anziché sbandierargli in faccia la propria sincerità?
Nello stesso istante in cui si pose quel quesito, Rein prese un profondo respiro. Le tremava la voce – un poco.
«Prima ti ho mentito», ripeté, «Fine non ama i balli, è vero, ma la verità è che avrebbe passato la serata con Bright. Si sono riavvicinati… dopo esserci lasciati. Tutti e quattro. Entrambe le coppie che si formarono una volta sconfitto il Cristallo Nero si sono sfaldate». Rein si scostò dall’albero, fronteggiando Shade alla fioca luce della luna. «Vuoi sapere perché ho lasciato Bright?»
Al che Shade sbatté le palpebre, interdetto da quel particolare a lui nuovo. «Sei stata
tu a rompere il fidanzamento?»
Rein non parve turbata. Probabilmente aveva già fatto i conti con i propri sensi di colpa, in quanto «Sì» gli confermò con fermezza. «Forse con il tempo Bright si era
veramente innamorato di me… ma quello che credevo amore si è in realtà rivelato affetto.»
E Shade comprese. Capì, in quell’istante, il perché di quell’invito, di quella fuga da se stessa che Rein aveva perfettamente inscenato. Capì il suo imbarazzo, capì il perché di quel cambiamento improvviso che l’aveva vista più donna e meno fanciulla; come avrebbe dovuto essere, incontaminata dai dispiaceri della vita. Ma Rein era forte, lo era sempre stata: in quel momento si stava semplicemente assumendo le responsabilità per le proprie azioni, facendosi coraggio nel rischiare il tutto e per tutto pur di rimanere fedele a se stessa anche davanti all’amore.
Dunque Shade capì, e le si affiancò. Piano, così come ci si avvicina a un animale impaurito. Ma Rein era tutt’altro che spaventata; se ne stava sull’orlo di una gola che l’avrebbe vista precipitare in un letto di rovi o rimanere precariamente in equilibrio, o forse tra le sue braccia. E nonostante tutto Rein proseguiva per la sua strada, portando a termine quel percorso che lei stessa s’era scelta. Non c’erano più dubbi: l’amava, per questo.
Shade mosse un passo nella sua direzione, esitando nell’osare oltre sfiorandole la guancia. Nell’incertezza, la sua mano rimase lì dov’era.
«Sei innamorata di me.»
Il viso di Rein si contrasse a quell’affermazione così spavalda e indubbiamente corretta, arrossandosi per l’imbarazzo. Gonfiò le guance come una bambina contrariata, il che lo fece sorridere.
«Avrei dovuto dirlo io» borbottò indispettita, evitando il suo sguardo; non provando nemmeno a negare la sua ipotesi.
«È una fortuna che tu abbia trovato il coraggio per farlo. Per fare tutto questo, intendo» la rassicurò lui, sistemando con delicatezza il candido fiore di giglio che ancora le ornava i capelli. Piano, il palmo scivolò lungo lo zigomo in una carezza gentile. «Perché ti amo anch’io. Da molto tempo, se devo essere onesto.»
Rein sorrise con il cuore più leggero e pieno, traboccante di un’emozione confusamente simile a sollievo e felicità insieme. «Se avessi aspettato te che ti nascondi sempre nell’ombra, allora forse non l’avrei mai saputo.»
«Ti ho amata in silenzio.»
«Lo so» gli concesse, avvicinandosi di un altro passo e lasciando che le braccia di Shade la circondassero. «Mi amerai anche alla luce del sole? E nonostante il rumore?»
Rein non udì mai la risposta che il suo principe si lasciò scivolare dalle labbra. Un fiore dai colori sgargianti, poi un altro e un altro ancora iniziarono a sbocciare nel cielo estivo in boati troppo forti per comprendere i giuramenti di una vita. Era mezzanotte dopotutto, l’ora del coprifuoco.
Ciononostante, lei aveva mantenuto la sua promessa.
Quando la mano di Shade ritrovò la sua guancia, i suoi occhi le chiesero il permesso. E sotto i fuochi di una nuova, meravigliosa estate, Rein si lasciò baciare – a palpebre abbassate, come in un sogno, o una splendida realtà.

Angolo dei Gigli.
Chi è riuscito a giungere fino a questo angolino senza abbandonarmi prima si merita un premio per la perseveranza, dico davvero. Quel che mi stupisce non è stato tanto scrivere otto pagine di oneshot, ma è stato farlo in tre pomeriggi. Un record per me e, onestamente, ne sono molto soddisfatta. Era da molto che pensavo a questa storia, a dire il vero avrei dovuto pubblicarla il 21 giugno (giorno del solstizio d'estate, appunto) ma invece ne ho approfittato per prendere due piccioni con una fava. Ammetto che farmi una maratona di Reign mi ha decisamente aiutata e per svariati barbatrucchi che non starò qui a svelarvi, ma mi sento quantomeno in dovere di informare voi sopravvissuti di qualche dettaglio appositamente inserito nella mia storia.
1.
Il giglio. Nel linguaggio dei fiori indica purezza e castità, caratteristiche che spesso si collegano all'amore adolescenziale. Ciononostante, per via del suo stelo capace di piegarsi senza spezzarsi, vuole simboleggiare una persona fiera e orgogliosa; in campo sentimentale, invece, indica una totale e completa sottomissione amorosa dell'uomo alla donna. In sostanza starebbe a significare qualcosa come “Sei la mia regina”.
2.
Il giardino del palazzo non è altro che lo stesso nel quale si riunirono le gemelle, Altezza, Shade e Poomo per trovare una cura al malessere di Moon Maria. Lo stesso cortile nel quale Shade chiese a Rein di prendersi cura di sua madre insieme a Milky.
3.
La richiesta di Rein a Shade di ballare insieme a lei. Se ricordate bene, nell'anime accade per ben due volte: la prima è la principessa a trascinare il principe in pista durante il carnevale di Meramera, la seconda i ruoli si invertono. Proprio come in questa storia.
Detto ciò, spero abbiate gradito! A presto,

daniverse

   
 
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