Al mio fianco, tra i gigli sbocciati in una notte d'inizio estate
In
quel momento l’orecchio attento di un paggio qualsiasi
avrebbe
facilmente supposto che le stanze del principe fossero rimaste
abbandonate a loro stesse, nella quiete di quell’assolato
pomeriggio di fine giugno. Oltrepassando lo stipite richiuso avrebbe
ponderato la possibilità che il futuro regnante ne avesse
approfittato per fare visita alla madre, oppure si stesse dedicando
allo svago della principessina per distrarsi a sua volta; non avrebbe
immaginato, dunque, che nel solenne silenzio dell’ala est
Shade se
ne stesse in realtà chino sulla propria scrivania.
Incartamenti,
dossier e tomi antichi lo attorniavano come le dune del suo Regno,
non altrettanto sfuggenti, mentre un servizio da tè ormai
freddo
giaceva abbandonato sul tavolino lì di fronte.
Non
mancava molto al giorno del suo ventunesimo compleanno, sei mesi
soltanto, e ventiquattr’ore passavano sempre più
in fretta di
quanto ci si potesse augurare. Shade posò la piuma e prese
un
profondo respiro, maledicendo il farsetto che gli attanagliava il
petto; dopotutto era finito il tempo dei giochi, delle fughe da
palazzo in sella a Regina e di Eclipse, il cavaliere misterioso. O,
in quel caso, del suo comodo
completo
giallo.
Inclinandosi
sul bracciolo sinistro, il palmo della mano a lambirgli la guancia,
Shade osservò la documentazione che esibiva chiaramente la
complessità di governare un’area ben
più estesa della camera di
Milky e del suo fortino di cuscini. Adocchiò la mappa del
Regno
della Luna esposta a lato, sulla parete tinta d’avorio,
concentrandosi sulla Valle delle Stelle. Non pioveva da mesi, il lago
andava prosciugandosi e il villaggio che prosperava grazie alle
risorgive chiedeva con urgenza l’intervento del Regno della
Goccia;
il quale, come gli aveva fatto notare il suo ambasciatore, stava
già
provvedendo a risolvere il problema – impiegandoci
più tempo del
previsto.
Con
il popolo irrequieto, dunque, c’era ben poco da cui
distrarsi. Le
tubazioni erano in viaggio e le pompe sarebbero state collegate in
non meno di una settimana: era evidente che sarebbe stato necessario
sospendere la tassazione idrica locale per non gravare sulle spalle
dei villeggianti, ma il ministro del tesoro non sembrava pensarla
allo stesso modo. Pur di finanziare il progetto l’unica
alternativa
restava quella di controbilanciare l’assenza di imposte con
la
crescita delle accise, ma non si poteva nemmeno rischiare il
malcontento dei nobili–
Qualcuno tossicchiò ai limiti dello
studio, interrompendo le sue elucubrazioni. Shade alzò il
capo con
uno scatto per ricomporsi, ma rilassò le spalle nel
riconoscere il
viso di una delle domestiche fare capolino dalla porta.
«Perdonate
il disturbo, vostra altezza» pigolò intimorita,
interpellata da un
suo cenno, «Il valletto mi manda a dire che nella sala del
trono è
richiesta la vostra presenza.»
Incuriosito e preoccupato che
sua madre potesse aver bisogno di lui, Shade congedò la
servitù con
un gesto della mano e abbandonò lo scranno, precipitandosi a
passo
svelto nel cuore del palazzo stesso. Avvicinandosi, un impercettibile
profumo floreale lo accarezzò di sfuggita: su insistenza di
Milky,
che alla veneranda età di otto anni già si
permetteva di dare certe
direttive, sette enormi vasi di gigli bianchi – uno per Regno
–
erano stati spostati dal giardino reale al perimetro a mezzaluna del
salone. Alcuni boccioli avevano già schiuso le loro corolle,
segnando l’arrivo dell’estate, e la prima cosa che
vide al suo
ingresso furono proprio i loro petali bianchi. La seconda, Rein.
Era
voltata di spalle, conversava a mezza voce con sua madre avvolta in un
semplice abito verde bottiglia; Shade rallentò il passo.
Dunque
non c’era stata nessuna emergenza, nessun malore della
reggente:
solo una principessa – una vecchia amica,
o qualcosa di più – da accogliere come il
protocollo imponeva.
Tutto sotto controllo.
«Oh,
ecco Shade.»
Distogliendo
l’attenzione dalla reggente Rein si volse nella sua direzione
e
accennò un piccolo inchino, che lui ricambiò. Per
qualche motivo
dal sorriso che gli rivolse parve più raggiante del solito,
ma Shade
non osò introdurre l’argomento; conoscendo Rein,
presto l’avrebbe
lei stessa reso partecipe del proprio entusiasmo. A quel punto
raggiunse le due dame, accostandosi a sua madre.
«La
principessa è arrivata giusto qualche momento fa per
porgerci i
saluti dal Regno Solare», lo mise al corrente Moon Maria,
tornando
poi a rivolgersi alla sua ospite, «Sarai stanca, dopo aver
condotto
la vostra mongolfiera fino a qui.»
Rein
scosse il capo, facendo ondeggiare i capelli intrecciati. «No
affatto, la reputo un’attività piuttosto
rilassante. È stato un
viaggio piacevole.»
«L’importante
è che abbiate migliorato gli atterraggi» la
schernì Shade con tono
divertito, rammentando i disastri della sua infanzia.
La
principessa inarcò un sopracciglio ma non rispose alla sua
provocazione, dettaglio che in quel momento lo colpì come
altri che
notava tardivamente; la sua postura, per esempio, retta ma non
rigida, regale, e il portamento delicato nel compiere il più
semplice dei gesti. Come rivolgere una cordiale riverenza verso Moon
Maria, dinanzi la sua proposta di un tè in compagnia del
figlio.
Shade
le porse il braccio, che Rein accettò, e insieme si
avviarono verso
i giardini. Scortati da un paio di guardie, passeggiarono tranquilli
lungo il cortile lastricato di marmo. La veste di lei sfiorava
leggera il selciato, ma l’attenzione di Shade era catturata
dai
lineamenti del suo volto: gli zigomi parevano più affilati,
meno
infantili, e le labbra sfumate di rosso. In quel momento si accorse
che era truccata.
«Vostra
madre ha sempre molto da fare con il Regno»
sospirò Rein nel
lanciare lo sguardo verso un punto indefinito tra la vegetazione che
rifioriva nel giardino. «Eppure è ancora una delle
donne più belle
e disponibili che conosca.»
Shade la guardò. «Lo è,
indubbiamente.»
Cogliendo
una nota di scherno in quell’onesta affermazione, Rein
alzò il
viso e incontrò i suoi occhi, illuminati da una scintilla di
divertimento riemersa dal passato. «Siete di parte,
è vostra madre.
Ma mi fa piacere trovarci in accordo, per una volta» rise tra
sé.
Ripresero
a camminare, poiché nel frattempo si erano fermati ad
ammirare le
rigogliose palme che concedevano un po’ di refrigerio dalla
calura
desertica. Non presentavano frutti, quelli sarebbero arrivati
più
tardi, ma il vassoio di pasticcini assortiti posato su uno dei
tavolini del cortile si prospettava un’alternativa
altrettanto
ghiotta. Fine avrebbe gradito molto, se fosse stata anche lei
presente.
Shade
sistemò la sedia di Rein prima di accomodarsi a sua volta.
Una delle
domestiche versò del tè ghiacciato nelle tazzine
e poi si ritirò,
lasciandoli soli. La principessa alzò gli occhi al cielo
scrutandone
l’azzurro limpido quanto la sfumatura dei suoi capelli mentre
Shade
si concedeva il primo sorso di quella che si annunciava una lunga
chiacchierata, sebbene il motivo della visita di Rein gli rimanesse
ancora sconosciuto. Porgere i saluti del Regno Solare a sua madre non
era abbastanza per costringerla a usufruire della mongolfiera reale e
presentarsi a corte, dunque Shade aspettò.
Conscia
della sua curiosità, Rein riportò le iridi verde
acqua su di lui.
Per tenerlo un po’ sulle spine, gioviale e civettuola,
sorseggiò a
sua volta un po’ di tè. Infine parlò.
«Fine
ti saluta» confessò pacatamente, passando da un
registro formale a
uno ben più intimo e, in qualche modo, accusatorio,
«e mi chiede
come stai. Sospetta che tu sia impegnato con il Regno, sai…
Si
raccomanda di non strafare.»
Shade non disse nulla, ma si
limitò a incassare il colpo. Avrebbe dovuto aspettarselo,
dopotutto
si trattava di sua sorella; e sapeva bene quanto oltre potesse
spingersi l’istinto protettivo di un fratello nei confronti
dei
propri consanguinei.
Posando le mani in grembo, Rein lo fissò
senza imbarazzo. La piega del suo sorriso, ora, pareva quasi
compatirlo. O probabilmente rimproverava se stessa per essere stata
troppo dura con quelle semplici parole, perché se Rein
provava un
minimo d’affetto per lui non l’avrebbe mai
detestato. Tutt’al
più, avrebbe cercato di capire.
«Lei
sta meglio, comunque. Non è stato facile, ma insieme a
Bright siamo
riusciti a tirarla su di morale. Per distrarla abbiamo deciso che lui
l’accompagnerà a Meramera in questi
giorni… per fare
un’escursione sul vulcano, finché è
ancora silente. E per
salutare Bo Dragon.»
Sovrappensiero,
la mano di Rein tornò a lambire la tazzina. Questa volta, il
polpastrello si limitò ad accarezzarne la bordatura dorata.
Passò
qualche secondo prima che desse nuovamente voce ai propri
pensieri.
«Non è strano come un cuore spezzato sia in grado
di
unire le persone?» domandò quindi di punto in
bianco, lanciando a
Shade un’occhiata fugace. «Nonostante la perdita
l’amore si
rafforza, diventa più saldo. Lo trovo...»
«...strano»
concordò lui, parlando per la prima volta da quando erano
stati
lasciati l’uno in compagnia dell’altra.
«Anni di studi sui
meccanismi della psiche non sono stati necessari a svelare il
mistero. Resta il perché di questa domanda,
tuttavia.»
Rein
tacque, addentando svogliatamente un pasticcino alla frutta.
«In
ogni caso io sto bene, di’ a Fine che non
deve–»
«Ti
va di venire ai balli campestri di Tanatana?»
Shade
rimase interdetto, lasciando cadere la frase. Dunque corrugò
le
sopracciglia. «Perché cambi sempre
argomento?»
La
principessa sorrise nascondendosi dietro la propria tazzina e il
principe si rese conto di come fosse Rein in quel momento a fare la
misteriosa, conducendo le redini del gioco e non lui, con buona pace
di Eclipse. Shade optò per arrendersi e lasciarsi alle
spalle le
insinuazioni della fiordaliso. «Perché non ci vai
con Bright?»
«Purtroppo
è impegnato» rispose prontamente la principessa,
sorridendo vivace
«e a Fine i balli piacciono poco, perciò per lei
sarebbe più una
tortura che un piacere. Restavi solo tu» ammise Rein con
candore,
facendogli l’occhiolino. Alla vista, Shade si
rasserenò nel vedere
pian piano riemergere la vecchia lei nell’abbandonare
l’etichetta
che era stata imposta a entrambi dal giorno della loro nascita; tempo
addietro, era stato quello uno degli aspetti di Rein a conquistarlo.
Nonostante gli anni e l’adolescenza ormai alle spalle, Shade
era
sollevato nell’intravedere quella luce negli occhi di lei. La
vita
di re e regine, dopotutto, non sempre concedeva una simile innocenza.
Tantomeno la felicità.
«Oh, avanti, Shade. Ti sto pregando.»
Sbuffò.
Quella scena doveva già averla vissuta, una volta in un
passato non
troppo lontano. «E va bene!»
Rein
sorrise con entusiasmo, posando la tazzina. Osservandola, reggendo
tra le mani la propria, Shade non poté non notare
un’ombra
attraversarle lo sguardo. Era morbida, il riflesso di un giuramento,
e le parole che seguirono glielo confermarono.
«Non te ne
pentirai, te lo prometto» lo rassicurò Rein,
riprendendo a
sorseggiare il suo tè.
❀
La
festa si teneva durante la notte tra il venti e il ventuno giugno
–
il giorno del solstizio d’estate, appunto,
un’occasione per tutti
i sette Regni di festeggiare la fine della primavera e
l’inizio
della stagione secca.
La
pedana allestita per l’evento era abbastanza grande da
accogliere
gli abitanti di Tanatana e qualche forestiero e ospite
d’onore,
anche, come Rein gli aveva anticipato qualche giorno prima. Poco
distante campeggiava l’Albero Madre, nudo di qualsiasi
decorazione
eccezion fatta per il piccolo padiglione floreale allestito sotto le
sue folte fronde; era dedicato ai novelli sposi che si erano uniti a
nozze durante la stagione, gli aveva spiegato Solo una volta ricevuto
a corte. Da quanto ne sapeva, non era una tradizione recente;
risaliva ai tempi di Grace e si vociferava fosse nata proprio per
celebrare la sua vittoria contro il Cristallo Nero, imponendo
metaforicamente la calda luce estiva sulla fredda oscurità
invernale
e dunque un nuovo inizio.
In
ogni caso, Rein era in ritardo.
La
pista non si era ancora del tutto riempita, sebbene fosse ormai sera
inoltrata, ma i musicisti suonavano ormai da qualche ora i migliori
brani del loro repertorio. Per la maggior parte si trattava di
composizioni adatte a strumenti di fattura popolare come flauti di
pan, percussioni e chitarre, benché tra le altre Shade
riconobbe
anche qualche ballata dal ritmo lento ed elegante; nonostante
l’iniziale scetticismo, la prospettiva di danzare con Rein
non gli
dispiaceva affatto.
Ma
c’era qualcos’altro che lo turbava, una sorta di
reminiscenza che
non riusciva ad afferrare e concretizzare in pensieri coerenti. Una
sorta di sensazione,
l’avrebbe definita, la premonizione che quella sera qualcosa
sarebbe
successo. Shade si appoggiò contro un albero lungo il
perimetro
della pista, osservandola distrattamente. Si fidava del suo istinto,
ma quel sentore persisteva più l’attesa dilatava
il tempo.
Trascorse
una manciata di minuti durante i quali si limitò a scrutare
la folla
che defluiva dalla strada maestra fino allo spiazzo dove sorgeva la
pedana e rese omaggio alle principesse di Tanatana al loro passaggio,
sebbene il suo sguardo tornasse puntualmente al sentiero di ciottoli.
Un paio di paggi gli passò accanto nell’accendere
le prime
lanterne; ben presto tutta l’area fu illuminata, rilucendo
nella
radura come un’isola dorata.
Fu
tra quelle luci che finalmente la vide, impegnata a occhieggiare la
folla per individuarlo. Se non fosse stato certo si trattasse di Rein
– le palpitazioni del suo cuore parlavano chiaro –
Shade dubitava
l’avrebbe persino riconosciuta. Il principe non mosse un
passo,
colto dalla sorpresa, e attese che fosse lei a raggiungerlo. Rein
sorrise imbarazzata, o intimidita; non avrebbe saputo dirlo. Ma
quando gli fu vicina la tensione si disciolse tra le lucerne e
sparì
nelle note di una ballata allegra, passata in secondo piano.
«Shade»
sussurrò lei, la gonna in seta bianca tesa tra le mani in
una
piccola riverenza.
«Rein» replicò lui, osservandola senza
curarsi di nascondere la propria sorpresa. «Ti sei tagliata i
capelli.»
La
principessa sollevò le labbra e annuì, soppesando
una ciocca
azzurrina nell’arricciarla tra le dita.
«Sì. Dalla schiena alle
spalle è un buon compromesso… Volevo provare
qualcosa di nuovo.»
Detto
ciò gli porse il braccio, una richiesta eloquente che Shade
accettò
di buon grado.
«È una festa veramente graziosa, non
trovi?»
Passeggiavano
lungo il bordo della pista da ballo, attorniati da nobili che come
loro conversavano amabilmente gli uni con gli altri; la presa di Rein
sul suo avambraccio era delicata, notò Shade, eppure ben
salda
nonostante la spensieratezza di quella serata organizzata solo per
divertirsi. E nessun anello spiccava sulle dita diafane, nessun
diamante o lapislazzuli – come unico ornamento alla sua
bellezza
aveva scelto un fiore da appuntare tra i capelli, un giglio bianco
che un valletto aveva offerto a entrambi in qualità di
omaggio a
quella radura selvaggia. Shade teneva il proprio nella sua mano
libera, attento a non sciuparlo.
«Concordo,
l’atmosfera è decisamente serena.»
Mossero
ancora qualche passo, avvicinandosi al buffet. La confusione era tale
in quel punto che dovettero proseguire, recuperando un paio di calici
da una cameriera; raggiunta una zona più calma, Rein
indicò il
cielo. «Una stella cadente!» esclamò
raggiante. Si volse allora
nella sua direzione, brilla di entusiasmo. «Esprimi un
desiderio.»
Shade
scrutò la volta celeste, limitandosi a un cenno di diniego.
«Io non
ho visto niente» la rimbeccò.
«Non
l’hai voluta
vedere,
è diverso» contrattaccò lei, lasciando
la presa sul suo braccio e
congiungendo le mani a capo chino. Shade la vide corrugare le
sopracciglia, concentrata, e mormorare qualcosa che non
riuscì a
cogliere. La sua caparbietà era ammirevole.
«Parlando
di stelle» riattaccò la fiordaliso poco dopo,
riprendendo il
principe sottobraccio, «Quando sono venuta a farvi visita la
scorsa
settimana ho sorvolato il lago Stella; c’era qualcosa sulla
riva
che non ho ben distinto. Forse dei macchinari?»
Shade
annuì, sentendo su di sé il suo sguardo
acquamarina senza dover
nemmeno osservarla. «L’acqua scarseggia in questo
periodo, così
abbiamo richiesto aiuto a chi di dovere.»
Il
passo di Rein si arrestò, costringendolo a fermarsi a sua
volta. La
principessa lo fissava allarmata. «La Benedizione del
Sole?»
ipotizzò in un sussurro incredulo.
Shade sorrise, e scosse il
capo. «Non preoccuparti, si tratta di un evento piuttosto
comune
prima dell’arrivo dei monsoni estivi» e con un
colpetto leggero
sulla sua mano l’incitò a riprendere la camminata.
Alla
sua rassicurazione il volto di Rein si distese, recuperando
l’iniziale serenità. Passeggiarono un altro
po’ prima che la
musica mutasse il suo ritmo in una gagliarda che
attirò più di un ballerino sulla pista
già gremita. La fiordaliso
non disse nulla, ma Shade notò il suo sguardo desideroso in
direzione del palco; in quel momento, la sua premura nel non
domandargli un ballo lo colpì. Nel giro di pochi mesi Rein
era
cambiata così tanto da proiettare l’immagine di
una principessa
non più goffa e inadatta, bensì quella di una
futura regnante degna
del suo trono – pur mantenendo quella sfumatura decisa e
solare del
suo carattere che conquistava anche i più reticenti.
Ma
Shade sapeva leggere bene dietro quegli occhi allegri, o forse Rein
non era stata ancora istruita alla fine arte della menzogna:
contrariamente a quanto si potesse pensare un cuore così
sincero
come il suo avrebbe trovato spine ad accoglierla sul sentiero, e non
petali di rose. In quel frangente, studiandola inosservato, Shade
realizzò per la prima volta ciò che ne sarebbe
stato di lui al
compimento del suo ventunesimo anno di età.
Diventare
re non era mai un compito semplice, tantomeno ciò che ne
sarebbe
seguito, e questi pensieri lo spinsero a imitare Rein e acquisire,
per una volta, la sua spontaneità. Vivendo il momento.
Dunque
«Ti va di ballare?» le chiese a bruciapelo,
prendendo la
principessa in contropiede.
«Sì», rispose lei senza avere il
tempo di ponderare la propria decisione, tant’era inaspettata
la
domanda, «certo.»
«Aspetta.
Il fiore.»
Rein
prese con delicatezza il giglio dalle mani di Shade, portandoselo
dietro l’orecchio e fermandolo con una forcina come per il
precedente. Lui l’osservò per tutto il tempo,
imprimendo nella
memoria la cura di lei e i suoi movimenti aggraziati. Una volta
pronta, la principessa gli sorrise incoraggiante.
«Andiamo.»
Con
il palmo di Rein poggiato sul proprio Shade la condusse verso il
centro della pista, dove le danze erano già iniziate. Non fu
quindi
difficile trovare un punto isolato dove infilarsi; da lì fu
tutto un
roteare, inchinarsi, avvicinarsi e allontanarsi. Le loro mani non si
lasciavano se non per brevi istanti, sfiorando petti e fianchi in una
ballata energica che nascondeva ben altro che semplici tumulti
estivi.
«Non
mi hai ancora pestato i piedi» constatò Shade
quando furono
abbastanza vicini da potersi parlare, sorridendo sornione.
«Hai
fatto progressi.»
La
principessa corrugò la fronte, accaldata in viso nel
prendere le
mani di Shade e portarsele sopra la testa, eseguendo un perfetto giro
su se stessa. «Sono passati anni dall’ultima volta
che abbiamo
danzato» gli fece notare, con il rossore sulle sue guance che
sembrò
accentuarsi, e come un meccanismo difettato Rein si fermò
improvvisamente in mezzo alla pista, ignorando gli altri partecipanti
al ballo. Shade fece lo stesso, ma prima che potesse avvicinarla lei
stava già allontanandosi dalla pedana.
«Scusami»
esclamò sopra la musica, fissandolo dritto negli occhi,
«non mi
sento bene». E la sua schiena sparì tra la folla,
fagocitata dal
suo rumoroso entusiasmo.
Pur non capendo il perché di quella
reazione Shade non esitò a seguirla, ovviamente. A fatica si
fece
largo tra i ballerini e fu ben presto in grado di avvistarla, notando
un lungo abito bianco correre a rifugiarsi tra gli alberi che
circondavano la radura. Rein poggiò una mano su uno dei
tronchi
rugosi, respirando profondamente, e sentendo i passi di Shade
echeggiare dietro di lei si volse nella sua direzione.
«Sto
bene» si contraddisse «Probabilmente è
colpa del corsetto. Torna
in pista, io ti raggiungo a breve.»
Nonostante
le sue preghiere Shade scosse il capo con decisione, accostandosi a
lei e offrendole nuovamente il braccio. «Non ti lascerei mai
qui da
sola, sapendo che potresti sentirti male. Andiamo a cercare una
panchina, piuttosto.»
«No», si oppose ancora una volta lei,
«Sto bene qui.»
Shade
sbuffò spazientito, appoggiandosi a sua volta contro la
superficie
ruvida del tronco. Fissava le lanterne ondeggiare alla brezza, appese
a un filo così com’era il loro rapporto.
«Non ti ricordavo così
ostinata.»
«Non
mi sei affatto d’aiuto.»
«E
allora cerca di calmarti, agitandoti peggiorerai solo le
cose.»
Un
silenzio pesante come piombo calò tra i due, interrotto solo
dagli
schiamazzi della festa, mentre nella frescura di quell’angolo
nascosto il respiro di Rein andava via via stabilizzandosi. Shade la
sentì spostarsi, slittare leggermente verso di lui.
Incuriosito si
voltò per guardarla, ma lei evitò il suo sguardo
concentrandosi sui
colori cupi della volta celeste. La luna era coperta da nubi e vi
risplendeva fioca attraverso, apparendo quasi pallida e
smunta.
«Prima ti ho mentito.»
Fu
un sussurro leggero il suo, uno di quelli così lievi che la
brezza
avrebbe in segreto trascinato con sé e disperso nella notte.
Shade
reclinò il capo, in ascolto.
«Non riguardo al corsetto»
balbettò Rein, incespicando nelle sue stesse parole,
«quello era
vero, ma… Sul motivo perché siamo qui. Il giorno
che sono stata
ricevuta a palazzo sarei dovuta andare al Lago Stella, era per quello
che vi ho fatto visita. Avevo– Dovevo confermare una
cosa.»
«Nonostante
infine la siccità te l’abbia impedito.»
Rein
scosse il capo. «In realtà non volevo veramente
scoprire quello che
il Lago mi avrebbe mostrato. Dentro di me ne ero già
consapevole.
Questo perché Bright… perché Bright e
io non stiamo più insieme,
Shade.»
Passò
un momento durante il quale nessuno dei due parlò. Per tutta
risposta il principe si limitò a osservare le stelle, non
sapendo
cosa pensare. Sospettava di sapere dove si sarebbe arenato il
discorso, ma dubitava Rein si sarebbe spinta a tanto; dopotutto
erano amici,
almeno formalmente, e nemmeno così intimi da presagire una
confessione a cuore aperto. Dunque perché la principessa dai
capelli
fiordaliso si comportava in questo modo, perché parlare a
enigmi
anziché sbandierargli in faccia la propria
sincerità?
Nello
stesso istante in cui si pose quel quesito, Rein prese un profondo
respiro. Le tremava la voce – un poco.
«Prima
ti ho mentito», ripeté, «Fine non ama i
balli, è vero, ma la
verità è che avrebbe passato la serata con
Bright. Si sono
riavvicinati… dopo esserci lasciati. Tutti e quattro.
Entrambe le
coppie che si formarono una volta sconfitto il Cristallo Nero si sono
sfaldate». Rein si scostò dall’albero,
fronteggiando Shade alla
fioca luce della luna. «Vuoi sapere perché ho
lasciato Bright?»
Al
che Shade sbatté le palpebre, interdetto da quel particolare
a lui
nuovo. «Sei stata tu
a
rompere il fidanzamento?»
Rein
non parve turbata. Probabilmente aveva già fatto i conti con
i
propri sensi di colpa, in quanto «Sì»
gli confermò con fermezza.
«Forse con il tempo Bright si era veramente
innamorato
di me… ma quello che credevo amore si è in
realtà rivelato
affetto.»
E
Shade comprese. Capì, in quell’istante, il
perché di
quell’invito, di quella fuga da se stessa che Rein aveva
perfettamente inscenato. Capì il suo imbarazzo,
capì il perché di
quel cambiamento improvviso che l’aveva vista più
donna e meno
fanciulla; come avrebbe dovuto essere, incontaminata dai dispiaceri
della vita. Ma Rein era forte, lo era sempre stata: in quel momento
si stava semplicemente assumendo le responsabilità per le
proprie
azioni, facendosi coraggio nel rischiare il tutto e per tutto pur di
rimanere fedele a se stessa anche davanti all’amore.
Dunque
Shade capì, e le si affiancò. Piano,
così come ci si avvicina a un
animale impaurito. Ma Rein era tutt’altro che spaventata; se
ne
stava sull’orlo di una gola che l’avrebbe vista
precipitare in un
letto di rovi o rimanere precariamente in equilibrio, o forse tra le
sue braccia. E nonostante tutto Rein proseguiva per la sua strada,
portando a termine quel percorso che lei stessa s’era scelta.
Non
c’erano più dubbi: l’amava, per questo.
Shade
mosse un passo nella sua direzione, esitando nell’osare oltre
sfiorandole la guancia. Nell’incertezza, la sua mano rimase
lì
dov’era.
«Sei
innamorata di me.»
Il
viso di Rein si contrasse a quell’affermazione
così spavalda e
indubbiamente corretta, arrossandosi per l’imbarazzo.
Gonfiò le
guance come una bambina contrariata, il che lo fece sorridere.
«Avrei
dovuto dirlo io» borbottò indispettita, evitando
il suo sguardo;
non provando nemmeno a negare la sua ipotesi.
«È
una fortuna che tu abbia trovato il coraggio per farlo. Per fare
tutto questo, intendo» la rassicurò lui,
sistemando con delicatezza
il candido fiore di giglio che ancora le ornava i capelli. Piano, il
palmo scivolò lungo lo zigomo in una carezza gentile.
«Perché ti
amo anch’io. Da molto tempo, se devo essere onesto.»
Rein
sorrise con il cuore più leggero e pieno, traboccante di
un’emozione
confusamente simile a sollievo e felicità insieme.
«Se avessi
aspettato te che ti nascondi sempre nell’ombra, allora forse
non
l’avrei mai saputo.»
«Ti
ho amata in silenzio.»
«Lo
so» gli concesse, avvicinandosi di un altro passo e lasciando
che le
braccia di Shade la circondassero. «Mi amerai anche alla luce
del
sole? E nonostante il rumore?»
Rein non udì mai la risposta
che il suo principe si lasciò scivolare dalle labbra. Un
fiore dai
colori sgargianti, poi un altro e un altro ancora iniziarono a
sbocciare nel cielo estivo in boati troppo forti per comprendere i
giuramenti di una vita. Era mezzanotte dopotutto, l’ora del
coprifuoco.
Ciononostante,
lei aveva mantenuto la sua promessa.
Quando
la mano di Shade ritrovò la sua guancia, i suoi occhi le
chiesero il
permesso. E sotto i fuochi di una nuova, meravigliosa estate, Rein si
lasciò baciare – a palpebre abbassate, come in un
sogno, o una
splendida realtà.
→
Angolo
dei Gigli.
Chi
è riuscito a giungere fino a questo angolino senza
abbandonarmi
prima si merita un premio per la perseveranza, dico davvero. Quel che
mi stupisce non è stato tanto scrivere otto pagine di
oneshot, ma è
stato farlo in tre
pomeriggi.
Un record per me e, onestamente, ne sono molto soddisfatta. Era da
molto che pensavo a questa storia, a dire il vero avrei dovuto
pubblicarla il 21 giugno (giorno del solstizio d'estate, appunto) ma
invece ne ho approfittato per prendere due piccioni con una fava.
Ammetto che farmi una maratona di Reign
mi
ha decisamente aiutata e per svariati barbatrucchi che non
starò qui
a svelarvi, ma mi sento quantomeno in dovere di informare voi
sopravvissuti di qualche dettaglio appositamente inserito nella mia
storia.
1.
Il
giglio.
Nel linguaggio dei fiori indica purezza e castità,
caratteristiche
che spesso si collegano all'amore adolescenziale. Ciononostante, per
via del suo stelo capace di piegarsi senza spezzarsi, vuole
simboleggiare una persona fiera e orgogliosa; in campo sentimentale,
invece, indica una totale e completa sottomissione amorosa dell'uomo
alla donna. In sostanza starebbe a significare qualcosa come “Sei
la mia regina”.
2.
Il giardino
del
palazzo non è altro che lo stesso nel quale si riunirono le
gemelle,
Altezza, Shade e Poomo per trovare una cura al malessere di Moon
Maria. Lo stesso cortile nel quale Shade chiese a Rein di prendersi
cura di sua madre insieme a Milky.
3.
La richiesta di Rein a Shade di ballare
insieme
a
lei. Se ricordate bene, nell'anime accade per ben due volte: la prima
è la principessa a trascinare il principe in pista durante
il
carnevale di Meramera, la seconda i ruoli si invertono. Proprio come
in questa storia.
Detto
ciò, spero abbiate gradito! A presto,
❀ daniverse