NdA
Riscrittura
in versione DC di Romeo e Giulietta, prima classificata al contest
“E se le
opere classiche fossero degli anime?” indetto da eleCorti sul
forum di efp.
Buona
lettura!
Kyoto, Residenza Kudo
«Che vi succede,
Kudo?»
Il giovane Shinichi Kudo era
rimasto seduto a fissare il cortile per tutta la mattina senza
proferire parola; anche adesso impiegò qualche secondo per
rispondere alla chiamata di Heiji Hattori, suo fedele e nobile amico,
erede d’una casata di Osaka da secoli alleata ai Kudo.
«Hattori… Non
vi ho sentito arrivare».
L’amico lo raggiunse,
sedendosi accanto a lui. «Si vede che siete perso in
riflessioni importanti. Cosa vi tormenta? A me potete dirlo».
Shinichi sospirò.
«Soffro; soffro terribilmente, poiché son privo
dell’unico oggetto del mio desiderio».
«Non sarete
innamorato?» azzardò Hattori, riconoscendo
nell’amico sintomi che conosceva bene.
«Ahimè,
sì».
«L’amore
è una gioia, per un cuore nobile. È
bella?»
«La più bella
donna che abbia mai visto la luce».
«Allora perché
vi disperate? Corteggiatela; sono certo che non potrà
resistervi a lungo».
Shinichi non rispose subito; scosse
la testa e sospirò nuovamente.
«Impossibile!»
esclamò con voce rotta. «Ha fatto un voto; vuol
tenersi casta per badare al padre, rimasto vedovo. Suo padre, inoltre,
mi ha in odio; non posso avvicinarmi!»
«Inizio a comprendere la
ragione dei vostri affanni. Tuttavia, ella non è certo
l’unica donna di Kyoto; ne troverete un’altra,
altrettanto bella, se non più!» affermò
Hattori con convinzione.
«Non avverrà;
indicatemi una bellezza, ed io ripenserò a lei,
all’angelo crudele per cui tanto patisco».
«Vi farò
cambiare idea, o non me lo perdonerò» fu la
replica decisa del nobile d’Osaka.
Shinichi
l’osservò con sguardo vacuo. «Vi
conosco; avete qualcosa in mente».
«È
così; c’è una mascherata stasera,
all’ohiroma dei Miyano. Desidero che vi veniate, con me e
Kuroba».
«Non sono in umore da
festa; in più, sapete bene che tra il mio clan e quello dei
Miyano non scorre buon sangue».
«Ne sono consapevole, ma
non vi riconoscerà nessuno. Suvvia, non fatevi pregare;
venire vi farà bene».
Dopo qualche attimo di riflessione,
Shinichi assentì. «Verrò».
~
Più
tardi, nella sala da ricevimento [ohiroma] dei Miyano
«Che ne dite, Shinichi?
Non è una bella festa?»
«È tutto vano,
Kuroba. Dal nostro arrivo, Kudo non ha smesso un secondo di fissare
quella dama; Mori Ran, mi ha detto un servo. Sarà difficile,
se non impossibile, distrarlo».
«Crede d’esser
romantico, costui; quisquilie; l’amore vero è
altro, non perdersi in sospiri e pianti per chi non ci ricambia!
Signori, non perderò questo ballo. Arrivederci».
Così dicendo, l’erede dei Kuroba si
allontanò.
«Dovreste andar con lui,
Hattori; io starò qui… Ma!»
L’urlo del giovane
riscosse Heiji, donandogli un po’ di speranza. «Che
succede?»
«Chi è mai la
fanciulla appena entrata?»
Heiji seguì il suo
sguardo. «Non la conosco» ammise.
«È splendida».
«Splendida?»
ripeté Shinichi. «Non ho mai visto vera
beltà prima di questa notte. Se
ho creduto d’aver amato, prima, mentivo; devo
conoscerla».
«È bello
sentirvi dire così, Kudo; che aspettate? Avvicinatela, senza
esitare!» fu pronto ad esortarlo Heiji.
Per una volta, il giovane non si
fece pregare e seguì il consiglio, raggiungendo la ragazza
all’esterno. Una volta uscito, socchiuse il fusuma.
«Chi siete,
pellegrino?» domandò lei vedendolo; poteva avere
quindici anni al massimo, ma Shinichi non avvertì la minima
insicurezza nella sua voce.
«Un folle,
forse» rispose, «perché credo
d’aver visto un angelo. Lo siete?»
Lei sorrise. «No,
signore; non sono un angelo, ma una peccatrice».
«Allora lascia che prenda
il tuo peccato su di me» propose Shinichi accostando il volto
al suo. La baciò.
«Sono affezionata ai miei
peccati» replicò lei, baciandolo a sua volta.
«Non potrei lasciarveli».
«Temevo di
sconvolgervi».
«Dovrete impegnarvi di
più, per questo».
«Voi…»
Shinichi non poté concludere la frase, perché la
parete dietro di loro fu nuovamente scostata.
«Shiho, siete qui! Vostra
madre vi cerca».
«Addio,
pellegrino» si congedò la fanciulla.
Sparì rapidamente com’era venuta, e Shinichi si
chiese se non fosse stata un’apparizione. Riuscì
però a fermare la donna che l’aveva richiamata.
«Ditemi, chi è la madre?»
Lei lo squadrò da capo a
piedi, prima di rispondere. «Sembrate un bravo giovane; la
madre della mia signora è la padrona di questa
casa». Quindi si congedò.
«Oh sorte avversa! Una
Miyano dunque!»
Shinichi calciò una
pietra del cortile. «Una nemica!»
Un’altra, più
familiare figura si affacciò dall’interno.
«Venite, Kudo, il
ricevimento è alle ultime battute. È tempo
d’andar via».
Con un cenno del capo e lo sguardo
ancora più vacuo rispetto alla mattina, Shinichi si
apprestò a seguire Hattori fuori dal territorio del clan suo
rivale.
~
Muro esterno della
Residenza Miyano
«Toglietevi
quell’espressione cupa dal volto, Shinichi! Non vi riconosco
più».
«Così non
aiutate, Kuroba» Hattori redarguì prontamente
l’amico; Kaito Kuroba era sempre stato un tipo schietto, non
usava farsi problemi nel dar voce ai suoi pensieri. Era estremamente
impulsivo - spesso scherzava sul fatto che, non fosse stato imparentato
con lo shogun, avrebbe dovuto temere per la sua vita.
In effetti, più di un
samurai si sarebbe volentieri vendicato dei suoi commenti impertinenti.
Tutti, però, temevano
suo zio, lo shogun Nakamori.
«Come posso andarmene? Il
mio cuore è in trappola» sospirò
Shinichi. Heiji si chiese se avesse prestato orecchio alla loro
conversazione – probabilmente no.
«In trappola?»
ripeté Kaito. «Riprendetelo, dunque!»
Kudo lo fissò scettico.
«Impossibile!»
«Non vorrete lasciarlo
tutto solo con il nemico? Suvvia, Shinichi! Abbiate più
ardore!»
«Potete ridere di me solo
perché non avete mai provato questa ferita».
«Conosco le donne; non
val la pena, farsi stregare a questa maniera. Ma vi vedo, siete senza
speranza; seguitemi!» esclamò d’un
tratto Kuroba, incamminandosi lungo la cinta muraria.
«Cos’avete in
mente?» domandò Heiji, accodandosi ai due.
Shinichi, infatti, non aveva esitato a seguire il nipote dello shogun.
Kaito lo zittì con un
dito. «Posso farvi entrare senza che i guardiani vi
notino» spiegò. «Viene da sé,
dovrete mantenere il segreto più rigoroso al riguardo. Non
voglio che i miei metodi divengano di dominio pubblico».
«Ma di che
state-»
«Mi perdonerete, Hattori,
ma dovrete incamminarvi da solo per stasera».
~
Shinichi seguì le
indicazioni di Kaito alla lettera e, vagamente incredulo,
riuscì a raggiungere il retro dell’abitazione dei
Miyano senza particolari impedimenti.
Si inoltrò per qualche
metro; raggiunto il castello, svoltò un angolo e si
appiattì contro il muro.
Che stava facendo? Oh, quanto
avrebbe desiderato conoscere la posizione della stanza della giovane
Miyano, che aveva così prepotentemente invaso la sua mente.
Invaso? No, le era bastato uno sguardo per averla in dono.
«Kudo, Kudo…
perché proprio tu, un Kudo?»
Shinichi sussultò,
udendo quella voce inaspettata. Alzò lo sguardo; intravide
una finestra aperta e, leggermente sporgente da essa… il suo
angelo! No, la mia peccatrice,
si corresse mentalmente pensando alla breve conversazione che avevano
avuto.
Sembrava stesse parlando tra
sé, ma ad alta voce. Incuriosito dall’invocazione,
decise d’attendere prima di rivelarsi.
«Destino crudele,
permettere a un nemico d’avermi con uno sguardo!»
«Nemico? Non potrei mai
esserlo, non per voi!»
Non aveva potuto impedirsi
d’intervenire. «Comandate, e vi
ubbidirò! Chiedetemi di lasciare la mia casata, fuggire con
voi: non saprò dirvi “No!”».
«Chi è
là, che spia le mie confessioni alla notte?» La
voce di Shiho tremolò di terrore. Se i guerrieri di suo
padre l’avessero sentita parlare così, non sarebbe
finita bene per lei. Aveva a stento potuto persuaderlo a lasciarle
più tempo per prepararsi al matrimonio; se avesse saputo del
suo sentimento per il giovane Kudo, l’avrebbe al contrario
affrettato. Rabbrividì al solo pensiero.
«Datemi voi un nome,
ché io non oso più usare il mio, se
v’indispone!»
«Questa voce! Possibile?
Due frasi sussurrate, poco più che sospiri, ho sentito da
voi; eppure vi riconosco. Siete Shinichi, mi sbaglio?»
«Solo se questo non mi
rende a voi inviso».
«Inviso? Oh, lo
vorrei!» dichiarò lei con rimpianto.
«Ormai è tardi; sono vostra; e tuttavia vorrei che
non aveste origliato i miei pensieri, complice la luna che vi lascia
celato. Vorrei vedervi!»
Shinichi mosse un passo per
accontentarla, ma fu presto fermato da un’esclamazione di
terrore.
«No, non mostratevi,
è meglio; se qualcuno dovesse vedervi… Non
conoscete gli uomini di mio padre, voi, ma non esiterebbero a
eliminarvi. Il mio cuore non è cosa di cui io possa
decidere, per loro».
«Se voi mi amate, non
temo nessuno! Ditelo dunque, non attraetemi con le parole per lasciarmi
boccheggiante in attesa della conferma… Posso sperare nel
vostro affetto?»
«Vorrei negarlo,
ritrattare, non concedermi subito; non mi è più
possibile, mi avete sentita prima. Mi avete stregata, signore, vorrei
odiarvi per questo – non mi è concesso. Sono
vostra».
«Non ho parole per
descrivervi la mia letizia. Non potevate concedermi grazia
maggiore!»
«Se davvero mi siete
grato, vi prego: lasciate questo luogo. Tornate dove vi aspettano,
mettetevi in salvo».
«Dopo così
tanta gioia, volete ora uccidermi?»
«Al contrario, cerco di
salvarvi».
«Chiedermi di vivere
senza voi è come affondarmi un ferro nel petto; no,
è più doloroso. Non posso farlo!»
«Andate. Vi
manderò domani un’amica fidata; ma ora,
andate!»
Qualcosa nel tono della Miyano
impedì a Shinichi di opporsi ancora al suo volere.
«Vi prego di mantenere la
parola, o ne morirò. Addio, mia signora; addio!»
~
Mattina del giorno
seguente, Residenza Kudo
«È forse stato
tutto un sogno? Mi par sia troppo bello. Non oso sperare, e pur
tuttavia! Era così reale».
«Speravo di trovarvi
più allegro di ieri, ma pare abbiate trovato nuovi assilli
con cui dilettarvi».
Kaito era entrato, non annunciato,
nella sua stanza. Shinichi si sarebbe accigliato, di norma, ma non quel
giorno.
«Devo
ringraziarvi» lo accolse infatti. «Il vostro aiuto
mi è stato prezioso, la notte passata».
«Al vostro
servizio» dichiarò l’ospite con un
ghigno e un mezzo inchino. «Allora,
com’è andata la serenata?»
«Lei è
magnifica».
«Lo spero bene»
ribatté Kaito annoiato. «Ma non è
quanto vi ho chiesto».
«Cosa volete
sapere?»
Prima che una risposta potesse
essere proferita, un servitore entrò nella stanza.
«C’è una donna che chiede di vedervi,
signorino» annunciò. «Si rifiuta di
darmi il suo nome. Cosa devo fare?»
«Fatela entrare,
presto!» ordinò Shinichi, gli occhi accesi
d’una luce nuova.
«Una donna? Non
sarà certo la fanciulla di ieri. M'inganno?»
mormorò Kaito. La curiosità per
quell’interruzione sovrastò
l’irritazione.
Il padrone di casa non si
disturbò a rispondergli.
L’attesa non fu lunga, e
nella stanza entrò una giovane donna con lunghi capelli
castani, stranamente non acconciati ma lasciati liberi
d’incorniciarle il viso. Era molto bella, ma questo lo
notò solo Kaito: per Shinichi non esisteva più
nessuna che non fosse la sfuggente ragazza della sera prima.
«Voi siete?»
domandò, ansioso.
«Dovreste sapere chi mi
manda» dichiarò lei. «Non ne
farò il nome».
Il sollievo si dipinse sul volto
del giovane Kudo. «Non mi ha dimenticato; ma vi prego,
parlate!»
«Che sguardo triste.
Siete qui per pianificare un’unione o annunciare un
funerale?» s’intromise Kuroba.
Shinichi lo fulminò con
un’occhiataccia, tristemente conscio che non sarebbe stato
sufficiente per zittirlo.
L’intrusione
dell’amico, però, lo turbò per un altro
motivo. Prestando più attenzione alla donna, infatti,
dovette dargli ragione. La sua espressione non prometteva nulla di
buono.
«Parlate. Devo
sapere» mormorò, mentre uno strano presentimento
si faceva largo in lui.
~
«Padre!»
Shinichi, spalancato il fusami
dello studio del padre, vi si introdusse come una furia, chiamandolo a
volume forse un po’ troppo alto.
Yusaku Kudo alzò
distrattamente gli occhi dai documenti che stava visionando.
«Cos’è accaduto?»
domandò.
«Devo presentarvi una
questione della massima importanza».
L’uomo inarcò
un sopracciglio. «Parla, dunque».
«Riguarda i
Miyano».
Suo padre non nascose un certo
fastidio. «Spero che sia realmente importante. Non amo sentir
parlare di quel folle di Atsushi Miyano, se non è
indispensabile» chiarì.
«Si tratta di sua figlia.
Vuole darla in sposa al comandante d’un gruppo di mercenari.
Mi sembra importante impedirlo».
L’espressione di Yusaku
non mutò. «Non credevo t’interessassi di
politica».
«Se la loro unione
avvenisse, Atsushi diverrebbe seriamente temibile»
proseguì Shinichi sicuro.
Yusaku poggiò i
documenti e si accostò al figlio. «Cosa
proponi?»
Il giovane deglutì.
«Potrei sposarla io. Sarebbe un modo efficace per impedire il
matrimonio senza spargimenti di sangue».
Gli occhi di ghiaccio del
capofamiglia si fissarono nei suoi per alcuni secondi, che al giovane
parvero un’eternità.
Poi gli diede le spalle e
recuperò le sue carte. «Non ho tempo per i tuoi
scherzi» decretò.
«Ma padre!»
«Mio figlio sposare una
Miyano? Non succederà mai! Dovresti ben sapere quale
risentimento c’è tra le nostre casate».
Shinichi avrebbe voluto ribattere,
ma Yusaku non gliene lasciò il tempo. «Ora vai.
Non ti ascolterò oltre».
Deglutendo contrariato, il ragazzo
non poté fare altro che ubbidire.
~
Residenza Miyano
Shiho strinse i pugni, lottando
contro il disgusto che l’assaliva.
Non sopportava la vista
dell’uomo con cui, malauguratamente, l’avevano
lasciata sola in quella stanza.
Non le era mai piaciuto, ma dopo
l’incontro della sera prima era diverso. Adesso si sentiva
male al solo pensiero di dover passare del tempo con lui.
«Sei carina quando fai la
ritrosa» disse lui, sfiorandole la guancia con un dito.
Un gesto d’affetto?
Certo, come no. Stava solo studiando la mercanzia, Shiho ne era certa.
Si ritrasse. «Non vedo
l’utilità di tutto ciò. Tu e mio padre
siete in affari da anni».
L’uomo ghignò.
«Niente cementa un rapporto come un matrimonio».
«Non sono
d’accordo».
«Non
c’è bisogno che tu lo sia, piccola Shiho. Vedrai,
imparerai ad amarmi… o a temermi, dipenderà da
te».
«È una
minaccia, Gin?»
Shiho cercò di non lasciar trapelare la sua agitazione, ma
non le riuscì benissimo. A quell’uomo –
no, a quell’assassino, bastava uno sguardo
per instillarle un timore viscerale. Non capiva nemmeno lei bene la
causa delle sue sensazioni, ma le era impossibile arginarle.
«Decidilo tu»
le consigliò beffardo.
Fu un attimo; ridusse lo spazio tra
loro e le afferrò il volto con la mano destra, impedendole
di distogliere lo sguardo. «Fremo al solo pensiero che presto
sarai mia» le sussurrò, sempre con il suo ghigno
mordace.
Shiho tremò, incapace di
reagire in alcun modo.
Rimasero fermi in quella posizione
per qualche minuto, finché Gin non si stufò di
quel gioco.
«Ci ho ripensato, sai.
Con quello sguardo terrorizzato sei ancora
più carina».
Con quest’ultima
affermazione, le diede le spalle e abbandonò la stanza.
Solo allora lei si concesse di
crollare. Si ritrovò in ginocchio, scossa dai tremiti
d’orrore e disprezzo.
«Non ti amerò mai,
Gin» promise fra sé.
Si abbracciò in un vano
tentativo di confortarsi.
Poteva formulare tutte i voti che
voleva, non avrebbero cambiato la realtà.
Mancavano solo due giorni al
matrimonio pianificato da sua padre e nessuno, tantomeno Shinichi,
avrebbe potuto salvarla. Anche
se una labile speranza l’aveva.
Rimase lì immobile per
ore, finché non sentì un tocco leggero, delicato,
sulla spalla.
«Shiho,
cos’è successo?»
«Akemi…»
mormorò, con la vista annebbiata.
Akemi era poco più
grande di Shiho; figlia della governante dei Miyano, le due erano
cresciute insieme. Per lei era come una sorella, senz’altro
la persona di cui si fidasse di più.
«Gin ti ha fatto
qualcosa?» le domandò Akemi, la voce pervasa di
preoccupazione.
«Sto bene»
affermò Shiho, non convincendo neanche sé stessa.
«Hai trovato le erbe di cui ti avevo parlato?»
Dopo qualche secondo
d’esitazione, la maggiore annuì. «Cosa
vuoi farne?»
La Miyano si alzò,
accettando l’aiuto dell’altra.
«Salvarmi».
~
Il giorno dopo
«Ne sei certa, Shiho? Se
non dovesse funzionare?»
«Funzionerà.
Se non lo facesse… niente è peggio di sposare
Gin».
Akemi sospirò. Non
avrebbe saputo ribattere. Assentì. «Mi fido di te,
dovrà funzionare» disse.
«Ho bisogno che avvisi
Shinichi. Ti chiedo solo questo, Akemi».
«Puoi contare su di
me».
~
Giardino di Kyoto
«Ci dev’essere
qualcosa che posso fare, dannazione! Io…
scapperò. Fuggirò con lei; non
c’è altra scelta!»
«E dove andrete? La donna
è stata piuttosto chiara: la sorveglianza intorno alla
vostra amata è raddoppiata, e se anche riuscisse realmente a
scappare quei mercenari vi sarebbero addosso in un attimo. Inoltre, vi
ricordo che la cerimonia è domani. Il tempo fugge, dovrete
rassegnarvi».
Shinichi guardò Kaito
con rabbia. Le sue parole erano dannatamente
vere, il che le rendeva difficilmente sopportabili.
«Rassegnarmi a non poter fare niente? E venite a dirmelo
proprio voi?» ribatté aspro.
«Dev’esserci una soluzione!»
esclamò disperato, calciando un sasso.
«Da solo non combinerete
nulla» chiarì asciutto Kaito. Sorrise malizioso.
«Ma forse potrei aiutarvi».
«Coinvolgerete lo
shogun?» domandò Shinichi, ricordando chi fosse
esattamente Kaito. Forse…
«Mio zio?
Perché mai?» fu però la risposta.
La speranza lasciò
nuovamente il giovane Kudo. «Allora non vedo come possiate
migliorare la mia situazione».
Kuroba si finse offeso.
«Uomo di poca fede» lo redarguì.
«Non avete forse fiducia nelle mie doti, nonostante ne
abbiate già avuta dimostrazione?»
«Vi ascolto
dunque!» esclamò Shinichi, seppur non troppo
convinto.
«Kudo, Kudo! È
terribile!» gridò una terza voce, alle loro spalle.
«Quale altra sciagura mi
cerca?» domandò il ragazzo chiamato, girandosi.
Riconobbe la figura di Hattori; il suo sguardo lo spaventò.
«Si tratta della giovane
Miyano. È morta!» annunciò, ansimando
per la corsa.
«Morta?»
ripeté Shinichi, incapace d’avere qualsiasi altra
reazione. La vista gli si annebbiò. «Morta? Non
è possibile…»
«Com’è
successo?» volle sapere Kaito, prendendo in mano la
situazione.
«Pare sia stata
avvelenata; non si sa di preciso. L’hanno trovata nel letto
poco fa. È gelida, e non ha battito».
«Morta»,
ripeté ancora Shinichi. Traballante, mosse qualche passo
verso l’uscita del Giardino.
«Dove andate?»
gli gridò dietro Hattori.
Kaito gli poggiò una
mano sulla spalla. «Lasciamolo solo, per ora»
suggerì. «Spero solo che non commetta qualche
sciocchezza».
~
Vicolo nella
periferia di Kyoto
Shinichi non esitò
nell’entrare in quel buco che avrebbe dovuto essere una
locanda.
«Cosa posso fare per
voi?» domandò l’uomo dietro al banco,
non poco sorpreso nel trovarsi davanti un nobile.
«So che vendi
veleni» mormorò il giovane, senza perdersi in
tanti giri di parole.
«Non so di che
parliate», balbettò il vecchio, a disagio. Che
fosse una guardia dello shogun? L’avrebbero condannato?
«Non devi temere nulla da
me. Ho bisogno dei tuoi servigi, non negarmeli» lo supplicò Shinichi,
ogni traccia d’alterigia nobiliare completamente svanita
dalla sua voce e dal suo aspetto.
L’uomo ne rimase colpito.
«Perché cercate un veleno?»
ardì domandare.
«Se quel che ho sentito
è vero, non ho più ragion di vivere» fu
l’abbattuta, ma sincera, risposta. «Non sopporto
già più la luce del sole; ti scongiuro, vecchio,
fa’ un’opera di carità».
A Hiroshi Agasa si strinse il cuore
sentendolo parlare in quel modo.
«Non dovreste dire
così. Siete ancora giovane, sono certo che avete moltissime
possibilità davanti a voi».
Shinichi buttò fuori una
vuota risata. «Non sono qui in cerca di consigli. Vendi
veleni per sopravvivere quando gli affari vanno male, no? Non vedo
molti clienti. Dammi ciò che voglio, ti pagherò
bene».
L’uomo esitò.
Il ragazzo aveva colpito nel segno. Sopprimendo la sua coscienza, si
lasciò convincere.
In fondo, non era responsabile per
i capricci d’un nobile, si disse porgendogli il filtro che
tanto desiderava. «Se davvero lo farete, posso almeno
promettervi una morte rapida» affermò.
«È
più di quanto speri. A te» rispose Shinichi,
poggiando un sacchetto pieno d’oro sul banco.
«Addio».
~
«Dov’è,
signore? Dov’è Shinichi Kudo? Ho un messaggio
importante da riferirgli!»
«Cos’altro
può esserci, se la tua affascinante padrona è
morta?»
Kaito studiava con
curiosità Akemi, la ragazza di quella mattina, che
l’aveva praticamente assalito in una stradina presso la
Residenza Kudo. Aveva detto d’aver cercato Shinichi per
un’ora, invano. La sua smania stupiva il giovane nipote dello
shogun, soprattutto perché in lei non vedeva tristezza per
la morte di Shiho, solo molta preoccupazione.
«Lei non può
capire! È fondamentale che gli parli! Lui deve
sapere-»
Kaito le posò un dito
sulle labbra. «Perché non ti calmi e mi fai
capire, se è tanto importante?»
~
Cripta dei Miyano
Shinichi era in ginocchio accanto
alla salma perlacea di Shiho.
«Fato crudele, sapevo che
era troppo bello esser ricambiato. Hai dovuto
sottrarmela…!»
Una lacrima gli rigò il
volto. «Ma non rimarrai a lungo sola, mia amata.
Verrò presto da te, ma prima…»
Si sporse e poggiò le
sue labbra calde sulle sue, gelide quanto la morte.
Estrasse la fiala comprata poco
prima. «Spero che tu sia di parola, vecchio»
mormorò, portandola alle labbra.
Ne bastarono due sorsi; la fiala
gli cadde sul terreno, lui si portò una mano sul cuore. Il
dolore era lancinante.
Non poté trattenere un
urlo.
~
Questa voce… Mi gira la
testa, ma credo d’aver sentito Shinichi urlare?
Confusa e annebbiata, Shiho pian
piano tornò tra i vivi. Avrebbe potuto prendersi un momento
per constatare che il suo infuso della morte apparente aveva
funzionato, ma il lamento che aveva perforato la nebbia della sua
incoscienza le aveva prepotentemente occupato i primi pensieri coerenti.
«Shinichi!»
esclamò appena si fu ripresa abbastanza da scorgerlo accanto
a sé. Era lì, accanto a lei, e per un momento se
ne rallegrò. Tuttavia… perché non si
muoveva? Il sorriso fu presto sostituito da una smorfia di
preoccupazione.
Si mosse, presa da una terribile
angoscia, e la sua mano urtò qualcosa di gelido.
Abbassò uno sguardo sull’oggetto incriminato; una
fiala trasparente. La raccolse, un tragico pensiero si fece strada
nella sua mente.
Nel contenitore rimaneva ancora un
po’ di liquido, inquietantemente carminio.
Una fiala mezza vuota a
terra… L’urlo che ho sentito… Shinichi
pallido, una smorfia di dolore sul suo volto.
Non fu difficile per Shiho trarre
le sue conclusioni. Si piegò disperata sul petto del giovane
con cui aveva sperato di poter iniziare una nuova vita, stringendo il
pugno.
«Non hai ricevuto il
messaggio, non è così?»
mormorò tra i singhiozzi.
Rialzò la testa e si
asciugò le lacrime. «Dovevo saperlo. Ho osato
sperare troppo… la felicità non è
prevista nel mio destino».
Fissò lo sguardo sul
volto cereo di Shinichi. «Non temo la morte»
affermò con decisione. «Sei stato pronto a morire
per me; non sarò da meno».
Senza esitare oltre,
ingerì quel che rimaneva del veleno.
Fu immediatamente colpita da
brucianti fitte in tutto il corpo.
Anche tu hai sofferto
così, Shinichi? si chiese piegandosi su di lui. Eppure,
non mi spiace morire con te.
~
Kaito e Akemi giunsero troppo tardi
sul posto, e non poterono far altro che constatare la morte dei loro
amici.
«Dovrei essere io, quello
impulsivo» rimuginò amaramente il nipote dello
shogun. «Se avessi aspettato una sola ora!»
esclamò con rabbia.
Akemi si limitò a
piangere in silenzio accanto al corpo di Shiho.
I parenti dei due amanti ebbero
reazioni diverse alla loro vista. Elena Miyano portò una
mano alla bocca e trattenne un urlo, Yukiko Kudo scosse mestamente la
testa.
Atsushi Miyano guardò
con odio Yusaku e l’accusò d’aver
lasciato che il figlio instillasse bizzarre idee in sua figlia.
Lo scambio sfociò in una
discussione; i tentativi delle due donne di sopire i rancori dei loro
mariti si dimostrarono vani.
Nella confusione che ne
conseguì, nessuno si accorse della sparizione dei due corpi,
e nessuno notò due piccole figure allontanarsi
silenziosamente.
L’alba del nuovo giorno vide due bambini, spaesati ma determinati, lasciare Kyoto alla ricerca di qualcosa che non avevano mai avuto: la libertà.