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Autore: FireFistAce    21/07/2018    0 recensioni
Sabo è morto ed Ace non riesce a darsi pace nemmeno nel sonno, ma per fortuna c'è Rufy.
[Storia partecipante alla 26 Prompt Challenge indetta dal gruppo "Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart"]
{Prompt 11/26: PTSD - Disturbo da Stress Post-Traumatico}
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PTSD - disturbo da stress post-traumatico

sostantivo maschile

1.
La diagnosi di PTSD si pone nel momento in cui una persona, esposta ad eventi traumatici, sviluppa duraturi sintomi intrusivi, di evitamento e di iperattivazione.


2.
Evento negativo, che incide sulla persona e la disorienta. 

.

 


I'll always be here for you


Lo sguardo onice era fisso sul soffitto, sbarrato, il fiato pesante che gli smuoveva il torace.

Lo aveva sognato. Di nuovo.

Sinceramente, Ace non capiva come mai la sua mente continuasse a proporgli l'immagine della barca di Sabo in fiamme, il corpo del bambino affondare privo di vita, la bandiera distruggersi sotto al fuoco impietoso.

Non era stato presente quando quel Tenryuubito bastardo aveva sparato all'imbarcazione di suo fratello, aveva solo udito il racconto da Dogura proprio come Rufy.

E allora perché continuava a fare quel sogno?

Il bambino si girò su di un lato per poter osservare il sonno tranquillo del fratellino, il cui volto rilassato sembrava senza alcuna preoccupazione, ed Ace si chiese se non fosse stato uno sbaglio la morte di Sabo.

Erano passati quasi due mesi ormai, ed il più grande non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che, se fosse stato lui a morire al posto del biondo, sarebbe stato meglio.

In fondo, chi poteva amare il figlio del Demonio?

Ace rabbrividì ricordando come Rufy si fosse più volte lasciato sfuggire di come Sabo fosse il fratello più gentile, e si voltò di scatto per dare le spalle al fratellino.

Sì, Rufy aveva ragione. Sabo era sempre stato un fratello migliore di lui, e questo Ace non poteva negarlo in alcun modo.

Scosse la testa e si circondò il torace con entrambe le braccia, come per abbracciarsi, si raggomitolò un po' su sé stesso e chiuse gli occhi, sperando in qualche ora di sonno senza sogni.
 

.


La situazione stava iniziando a farsi critica, Ace non poteva più negarlo, e persino Rufy si era reso conto che qualcosa non andava.

Non sognava più Sabo andare a fondo, Sabo bruciare o Sabo urlare di dolore.

No.

Adesso sognava un Sabo dal volto cianotico, lo sguardo sbarrato di paura, il corpo per metà mangiato dalle fiamme.

E lo fissava.

Non faceva assolutamente niente, ma era un sogno ugualmente disturbante, perché Ace, in quegli occhi spalancati, non vedeva solo paura ma anche accusa.

Accusa nei suoi confronti, che lo aveva lasciato nelle mani di quei nobili che il biondo rifiutava di chiamare genitori.

Accusa per aver convinto Rufy a non andare a riprenderlo, perché per lui era meglio così.

Accusa di averlo spinto a scappare, portandolo indirettamente alla morte.

Ed Ace non aveva mai avuto problemi a dormire, per questo le borse lentamente apparse sotto ai suoi occhi stanchi furono un segnale di allarme piuttosto evidente.

Fu una notte, dopo poco più di tre mesi dalla morte di Sabo, che Ace si alzò per andarsene sulla collina dove spendeva il suo tempo ogni volta che aveva bisogno di pensare, la luna alta nel cielo che illuminava la stanza dove lui e Rufy dormivano a casa di Dadan.

Fu in quella notte che Ace, pronto ad uscire dalla finestra -perché la porta era vecchia e scricchiolava, ad il giovane lentigginoso non voleva svegliare nessuno- si ritrovò bloccato da un paio di braccia che gli circondarono la vita, ed un leggero peso gli si posò contro la schiena.

"Dove vai?"

La voce strascicata e mezza addormentata di Rufy, seguita da uno sbadiglio, lo fece irrigidire, lo sguardo onice che cercava aiuto attorno a sé, una risposta che non c'era.

Un sospiro gli sfuggì dalle labbra dischiuse.

"Esco. Ti basta sapere questo."

Sentì la stretta farsi più forte attorno a lui, ma non abbastanza da infastidirlo, ed il più piccolo strofinò il volto nell'incavo tra le sue scapole.

"Esci spesso la notte. Come mai non dormi più?"

Ed Ace maledì la percezione di Rufy, che sembrava accendersi solo nei momenti meno opportuni.

"Anche a me manca Sabo."

A queste parole, il più grande dei due aprì la bocca sorpreso, poi la richiuse e la aprì di nuovo, in cerca di qualcosa da dire a riguardo.

"Come sai che si tratta di lui?"

Perché anche dire il suo nome faceva male, e perché non voleva ricevere pietà dal suo fratellino.

Quella che vedeva negli occhi di Dadan era abbastanza, quella megera che una volta aveva blaterato qualcosa riguardo ad una comprensibile reazione al dolore della perdita.

Prima o poi passerà, aveva detto, ma non era lei a doversi confrontare con quei sogni senza senso tutte le notti.

Non era lei che stava perdendo sonno.

Non era lei che voleva essere morta al posto di Sabo.

Ed Ace non voleva pietà da Rufy, perché sarebbe stato ancor più doloroso.

"Ti ho sentito chiamarlo durante la notte, quando dormi."

Il più grande rimase in silenzio, poi afferrò le mani del fratello per poterle scostare da sé e voltarsi a guardarlo, il volto inespressivo.

"Non ho bisogno che un piagnucolone come te venga a darmi la sua pena ed il suo dispiacere, so prendermi cura di me."

Ma Rufy scosse la testa con convinzione, le piccole labbra serrate e le sopracciglia aggrottate in un'espressione corrucciata.

"Io ho pianto e tu mi hai consolato, e anche se tu non hai pianto penso che anche tu devi essere consolato."*

Lo sguardo nero pece sembrò traballare, la sicurezza negli occhi di Ace vacillare, il labbro inferiore catturato tra i denti bianchi per nascondere il leggero tremore che lo scosse.

Ace aveva già pianto tutte le lacrime che aveva, da solo su quella collina, con la lettera di Sabo tra le mani.

Ma allora perché, tra le braccia nuovamente chiuse attorno a lui del fratellino, sentiva gli occhi farsi liquidi e la vista annacquarsi?

Afferò Rufy per stringerlo a sé, nascondendo il volto contro i suoi capelli morbidi, e si sforzò di trattenere le lacrime, perché lui doveva essere quello forte dei due e i veri uomini non piangono, né ricevono conforto.

Sono i veri uomini che donano conforto e protezione ai più deboli e non il contrario.

E forse Ace era più debole di quanto in realtà pensasse, ma non poté allontanarsi dall'abbraccio di suo fratello.

"Andiamo a letto, Ru."

Furono parole stanche a rompere il silenzio, dopo minuti infiniti nei quali i due erano rimasti fermi, in piedi davanti alla finestra, ad abbracciarsi mentre la luce della luna li accarezzava silenziosa, e Rufy annuì prima di allontanarsi, prendendo però la mano del più grande per trascinarlo vicino a sé ed abbracciarlo nuovamente, una volta giunti entrambi nel letto.

"Io ci sono per te. Anche in futuro, io ci sono sempre."

Ed Ace accennò un sorriso a quella frase, che lo riempì di un calore sconosciuto e lo scaldò fin dentro le ossa.

Quella notte Ace non ebbe incubi né sogni, ma dormì bene come mai in vita sua.

-------

 

*So che la forma corretta sarebbe: "Penso che anche tu debba essere consolato", ma considerando che Rufy ha sette anni ho volutamente inserito il tempo verbale errato in quanto, a quell'età, è normalissimo sbagliare una cosa del genere e mi sembrava più plausibile che farlo parlare in maniera del tutto corretta, quindi non spaventatevi se Rufy sbaglia un verbo o due nelle sue frasi

  
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