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Autore: TheGhostOfYou0    21/07/2018    0 recensioni
"Non riusciva a distinguere molto di lui per il buio e la distanza, ma era chiaramente un ragazzo, un ragazzo incredibilmente magro che preparava la colazione alle quattro di mattina.
Uno che si svegliava a quella folle ora o che, come lui, non aveva dormito affatto.
Uno che aveva una vita proprio di fronte alla sua."
Dove Thomas è uno studente fuori sede nel mezzo di una crisi esistenziale, Newt un promettente giornalista, troppo impegnato a mantenere la sua borsa di studio per permettersi inutili distrazioni come l'amore e ogni giorno Newt e Thomas si svegliano alle quattro di mattina per preparare il caffè (e spiarsi a vicenda).
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Newt, Newt/Thomas, Teresa, Thomas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Parte Seconda
 

Lo Chapeau era il bar più famoso della zona e preparava i migliori long Island che Newt avesse mai assaggiato, per questo quando non doveva lavorare in pizzeria e riusciva a trovare un po’ di tempo tra un esame e l’altro, trascinava lì Minho, ignorando le sue proteste.
Il suo coinquilino non era certo tipo da pub come quelli, a lui piacevano le discoteche ed i locali chic pieni di belle ragazze, non certo un bar con spogliarellisti troppo maschi ed una percentuale di clienti femmine decisamente bassa.
Bastava però che Newt nominasse Brenda, la nuova barista, che l’asiatico riusciva persino a sorridere mentre afferrava la giacca e si guardava allo specchio, provando il migliore sei suoi sguardi magnetici.
Poi, sentendosi osservato, si affrettava a giustificarsi.
“Lo faccio solo per il tuo amichetto là sotto.”
Allora Newt rideva e con un gesto della manoed un’ occhiatamaliziosa liquidava rapidamente la faccenda.
“Certo, certo.”
 
Puntualmente la nottata si concludeva con Minho che gironzolava solo per la città in cerca di compagnia, mentre Newt portava a casa qualcuno a cui non chiedeva neppure il nome e che cacciava brutalmente fuori non appena concluso l’amplesso, perché non dovevano avere il tempo di porgergli e neppure di pensare la fatidica, tremenda domanda.
“Non è che ci rivediamo?”
No, no, no che non ci rivediamo.
 
Più di ogni altra cosa non permetteva a nessuno di dormire lì, con lui.
È un gesto comunemente sottovalutato, dormire insieme, eppure è proprio mentre dormiamo che siamo più fragili, più scoperti.
Siamo nudi, in qualche modo.
E Newt non voleva dare a nessuno il potere di vederlo debole, tanto meno di distruggerlo.
 
A Minho non piaceva un granché quel via vai di uomini nel suo appartamento, diceva sempre che era una puttana e Newt non se la sentiva neppure di dargli torto.
“Dovresti trovarti un ragazzo vero.” Gli aveva consigliato, più di una volta.
Ma se frequenti giornalismo alla Metropolitan di Denver con una borsa di studio e lavori ed i tuoi hanno a malapena i soldi per mangiare, non puoi permetterti una relazione o sentimenti, perché i sentimenti sono distrazioni e sono impegnativi.
Lo avrebbero allontanato dal suo obiettivo.
No, non poteva permettersi scomode, stupide complicazioni come l’amore.
 
Solo che Newt aveva commesso un errore di valutazione piuttosto importante e quell’errore portava il nome di Thomas Edison.
 
Come ogni venerdì sera lo Chapeu era pieno, Brenda era appena visibile dietro il muro di ragazzi che aspettavano di essere serviti e tutto ciò che Newt riusciva a scorgere erano le sue braccia lunghe che s’agitavano cercando di accontentare tutti.
Minho sospirò profondamente e Newt gli mise una mano sulla spalla annuendo con fare comprensivo e fintamente dispiaciuto.
“La vita è dura amico mio.” Gli disse.
Minho lo spintonò trattenendo un sorriso. “Non prendermi in giro” Poi assunse di nuovo l’aria afflitta e continuò. “Non riuscirò a parlare con lei stasera, chiederle di uscire poi…”
Newt scosse il capo e si avvicinò al bancone, trattenendosi dall’ impulso di dire a Minho che probabilmente avrebbe fatto la cosa migliore rimanendo zitto, perché colpire a suon di pessime battute quella povera ragazza non avrebbe portato a nulla se non un secchio di ghiaccio in testa, esattamente come era successo la settimana precedente.
 
“Ciao ragazzi, sono subito da voi.” Li salutò Brenda.
“Ti aspettiamo bambola.” Rispose prontamente Minho, ammiccando.
Newt nel fra tempo aveva iniziato a guardasi attorno, mentre il cantante della band che suonava quella sera aveva intonato una canzone che sembrava un’enorme, immenso lampeggiante con su scritto “Cantante gay in un locale ancora più gay” .
 
Gli venne da ridere,ma alla fine non era neppure così male.
 
E non lo era neanche il suddetto cantante, che s’agitava attorno al microfonotoccandosi il collo ed il petto, sperando forse che qualcuno iniziasse a prenderlo in considerazione.
Ma la verità è che nessuno andava allo Chapeau per la musica, il più delle volte era pessima.

Newt continuò a guardarsi attorno, spostandosi in cerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione, finché non lo vide.
Era seduto da solo nel più remoto angolo del locale, con la testa bassa tra le mani ed un gran numero di bicchieri vuoti davanti a se, la pelle pallida che risaltava sotto la luce stroboscopica e lo rendeva più simile ad un fantasma che a un uomo.
Nella penombra della sala non riusciva a distinguerlo perfettamente e con le mani messe in quel modo non poteva vedere quasi per niente il suo volto, eppure capì d’averlo trovato, capì che sarebbe stato lui il suo divertimento per quella sera.
 
Ordinò a Brenda un paio di long Island e s’avvicinò al ragazzo, una volta arrivato al suo tavolo posò i drink con ben poca delicatezza e si sedé di fronte a lui, attirando finalmente la sua attenzione.
Uno sguardo bastò a Newt per capire due cose:
Innanzitutto il ragazzo era già piuttosto ubriaco e quella non sembrava essere esattamente la sua serata a giudicare dallo sguardo spento e gli occhi rossi, gonfi e lucidi.
 Quindi o era fatto o era disperato, ed entrambe le cose non erano per niente positive per la sua causa.
In secondo luogo, se tutto fosse andato secondo i piani, sarebbe stato senza ombra di dubbio il ragazzo più carino che si fosse mai portato a letto. I suoi occhi grandi e scuri lo scrutavano curiosi e stupiti,  i capelli, anche questi scuri, erano spettinati e gli donavano un’aria trasandata che eccitava Newt ai limiti dell’impossibile e la sua pelle chiara creava un fantastico contrasto con i nei che disegnavano intrecci sul suo volto regolare e dai tratti dolci.
 Solo a guardarlo si sentì in colpa per quello che avrebbe fatto, perché non solo il ragazzo non sembrava in buone condizioni, ma trasudava un’innocenza tale che per un secondo prese in considerazione l’idea di lasciar perdere.
Ma poi lui parlò, con un tono sbiascicato e per niente sensuale,  sbatté le palpebre per metterlo a fuoco e toccò la sua mano nel tentativo di afferrare il bicchiere che gli aveva portato, allora non immaginò altro che le mani di lui sul suo corpo e la sua bocca sottile che lasciava tracce infuocate sulla sua pelle e si disse che ne sarebbe valsa la pena.
 
“E tu…chi diaaamine saresti?” Domandò il ragazzo, con voce acuta.
Newt rise, sorseggiando il suo drink con fare disinteressato.
“Newton, ma per te semplicemente Newt.”Rispose. L’altro ci mise un po’ a capire e con lentezza rispose, ridendo come avesse appena sentito la più esilarante barzelletta di tutti i tempi.
Aaaamico”  Si alzò, perdendo quasi l’equilibrio, poi gli mise una mano sulla spalla e si finse serio. “Che cazzo di nome è?”
E poi si lasciò ricadere al suo posto ridendo.
Newt si unì a lui, ubriaco com’era non ci sarebbe voluto molto per portarselo a casa.
“Hai una faccia conosciuta. Ma non riesco a ricordare dove ti ho visto.”  Affermò improvvisamente il biondo, scrutando il ragazzo davanti a se che fissava con intensità il suo cocktail e girava la cannuccia, improvvisamente di nuovo serio.
  Thomas fece spallucce, l’euforia era scesa, lasciando spazio nuovamente ad uno strano senso di vuoto, quello stesso che aveva cercato di attenuare in ogni modo uno shot dopo l’altro.
 “ A che pensi?” Chiese Newt, spostandosi in modo da sedersi al suo fianco sul divanetto.
Thomas lo lasciò fare, persino quando gli mise un braccio attorno alle spalle.
 Newt era un bel ragazzo e poi era tutto lontano, come non stesse capitando a lui.
 Avrebbe voluto gridarlo ai quattro venti, che pensava a Jason come sempre, che era andato in un locale per cercare qualcuno che gli scaldasse il letto e magari il cuore e aveva trovato solo il suo ex, che non solo si baciava con un altro in maniera piuttosto appassionata, ma non l’aveva neppure riconosciuto inizialmente.
L’aveva guardato come fosse trasparente, con indifferenza, mentre Thomas non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Era ingrassato, i suoi capelli erano corti ora, gli era cresciuta la barba e non era più bello come prima, ma era Jason, lo stesso Jason che per lunghi anni lo aveva tormentato in sogno, lo stesso che aveva inseguito, il suo tormento personale ed era lì, a pochi metri, e non lo aveva riconosciuto.
Thomas aveva sentito il cuore sgretolarsi, letteralmente, un dolore al petto simile ad una fitta, una pugnalata violenta e rapida, poi era rimasto il vuoto, che faceva quasi più male.
Quindi era scappato via e s’era rifugiato allo Chapeau, perché era notte ed era solo e non aveva nessuno da amare.
 
“Non mi hai ancora detto il tuo nome.” Sussurrò Newt, il suo respiro caldo solleticava il collo di Thomas e gli provocava brividi, la mano si muoveva tra i suoi capelli, grattando la pelle.
“Thomas.” Bisbigliò con voce roca d’eccitazione, cosa che non sfuggì all’altro il quale gli regalò, non appena si voltò, un ghigno soddisfatto e divertito.
Thomas lo osservò. Era bello, minuto, dai tratti femminei e quasi eterei, con gli occhi enormi e scuri ed i capelli biondi. Emanava grazia da ogni parte del corpo, il suo profumo sapeva di muschio e fumo e Thomas sentiva lo strano bisogno di immergere la testa lì, tra il suo collo e la sua spalla, ed annegare in quel profumo.
 La mano del ragazzo si era spostata nel fra tempo, era scesa fino all’orlo della maglietta e aveva preso ad armeggiare, in un gioco di carezze e strattoni, con i suoi pantaloni, infine era scesa lì, dove un urgente bisogno s’era fatto visibile senza che Thomas se ne rendesse neppure conto. Quando carezzò la sua erezione, gli si spezzò il fiato e Newt rise.
“Ho così tanto potere su di te Tommy?”
Thomas riuscì a farfugliare qualcosa di poco comprensibile, per l’alcol e tutta la situazione, ma doveva somigliare tanto ad un:
“Giochi sporco.”
E Newt pensò che non aveva ancora visto niente su quanto sporco potesse giocare.
 
“Che ne dici andiamo a casa mia?” Gli chiese, posando un bacio bagnato sulla sua mascella e succhiando lentamente.
Thomas non poté far altro che annuire.
 
Il viaggio verso casa non fu dei migliori, con Thomas che continuava ad inciampare nei suoi stessi piedi e chiedeva continuamente di fermarsi e “Facciamolo qua.” Diceva.
Ma lo Chapeau non era lontano da casa e Newt odiava le sveltine in strada, così scuoteva il capo e lo trascinava via.
“Ma come fai a sapere dove abito?” Chiese Thomas guardando il suo palazzo svettare sopra le loro teste. Newt lo scrutò con confusione.
“Io abito qua.” Rispose, indicando il palazzo di fronte.
Allora Thomas sgranò gli occhi e Newt fece lo stesso.
 
Biondo, esile, probabilmente carino.
Allora era lui, il ragazzo della finestra accanto che aveva visto la mattina prima.
“Quindicesimo piano.” Sussurrò il biondo, Thomas annuì.
“Ecco dove ti ho visto, sei il vicino spione.” Continuò Newt. L’altro scosse il capo mentre le sue guance si coloravano di rosa. “Non ti stavo spiando.”
“Che peccato.”
Newt sorrise malizioso, si avvicinò a lui e lo afferrò per il colletto della maglietta.
“Perché io non vedevo l’ora di spiare te.”
Poi lo attirò a se, prese a baciargli il collo mentre lo schiacciava contro il muro e Thomas mugugnava, cercando di afferrare le sue labbra in un bacio passionale.
Newt però si scansava, senza dire nulla.
Il sesso con lui non implicava baci. Mai.
Neppure se ti chiamavi Thomas ed eri il vicino spione.
 
Riuscirono ad entrare in casa con non poche difficoltà, senza staccarsi l’uno dal corpo dell’altro per tutto il tragitto e rischiando di svegliare l’intero palazzo con i gemiti di piacere che Newt si divertiva a distorcere, anche piuttosto facilmente, a Thomas.
“Cazzo” Mormorò contro il collo dell’altro, armeggiando con disperata fretta con la cinta nel tentativo di liberare entrambi da quell’inutile ingombro. Il moro, per tutta risposta, s’era già levato la maglietta e si stava occupando della sua camicia, fermandosi a contemplare, carezzare, baciare ogni centimetro di pelle scoperta.
“Muoviti.” Ordinò il biondo, spingendolo verso il letto.
“Fermati, fermati, fermati.” Disse improvvisamente Thomas, staccandosi da un Newt alquanto stupito.
Non fece neppure in tempo a domandare cosa stesse succedendo che il moro s’accasciò a terra e, tra un colpo di tosse ed un singhiozzo, vomitò proprio ai suoi piedi.
  Gran bella serata.
 
In qualsiasi altro momento, con qualsiasi altra persona Newt avrebbe provveduto a fargli pulire quello schifo per poi cacciarlo via a calci nel sedere nel giro di un nanosecondo, ma c’era qualcosa di diverso nell’aria, qualcosa che il ragazzo non avrebbe compreso per lungo tempo, qualcosa che lo spinse ad ignorare il cattivo odore e la nausea che stava piano piano contagiando anche lui e lo portò ad accucciarsi accanto all’altro, accarezzargli la schiena ed i capelli.
“Va tutto bene, tranquillo. Vedrai che ora starai meglio.” Sussurrò, per rassicurarlo, nel notare che stava piangendo.
 “Grazie.” Rispose lui, tra un singhiozzo e l’altro, continuando però a scuotere il capo.
Si voltò verso di lui e lo fissò dritto negli occhi, con le lacrime che ancora scendevano copiose lungo le sue guance. “Io non starò mai meglio.”
Newt sentì qualcosa di strano proprio all’altezza del petto, ma decise di ignorare la strana sensazione e, asciugandogli le lacrime con le proprie mani, gli sorrise.
“Ci penso io a te.”

Lo aiutò ad alzarsi e a pulirsi in bagno, mentre Thomas continuava a piangere disperato e a ripetere un nome, come fosse una preghiera.
“Jason”
E ancora una vola Newt  non capì se stesso, perché provò lo strano, inspiegabile impulso di trovare questo dannatissimo Jason ed assestargli un bel destro sulla faccia e lo odiò, senza sapere chi fosse, cosa avesse fatto ed in realtà senza neppure conoscere davvero il ragazzo che disperato nel suo bagno.
Ma lo odiò perché era colpa sua se Thomas aveva deciso di ubriacarsi, se aveva vomitato sul pavimento di casa sua, se ora piangeva e non era assolutamente in condizione di riprendere l’interessante discorso che avevano iniziato prima del disastro.
E sopratutto non gli piaceva il volto di Thomas distorto dal pianto e dal dolore.
 
“Che ti ha fatto questo Jason?” Domandò il biondo, mentre Thomas si sedeva sul suo letto con lentezza, come fosse un automa, un corpo senz’anima.
“Con un altro.” Mugugnò.
“Ah, quindi è il tuo ragazzo e lo hai trovato con un altro? Potremmo fargliela pagare se vuoi Tommy, il mio corpo è disponibile per te.” Replicò Newt ridacchiando mentre passava lo straccio a terra.
 Dio, era un vero schifo.
“Ex, è il mio ex.” Lo corresse Thomas, continuando fissare il vuoto con un’intensità tale che quasi spaventò Newt.
“Bhe, direi che ti ha distrutto.”
Thomas annuì e non aggiunse altro, non ne aveva davvero la forza.  
 
Newt non saprebbe dire come in una sera si fosse ritrovato ad infrangere tutte le sue regole, come mai ci fosse questo ragazzo appena conosciuto -che per qualche coincidenza abitava proprio di fronte a lui- addormentato sul suo petto, come mai gli stesse accarezzando le labbra e poi la fronte, come mai gli interessasse tanto che fosse comodo, come mai non lo avesse già cacciato.
Non saprebbe dire neppure come, esattamente, si fosse ritrovato in quella posizione.
Sapeva solo che lo guardava dormire e non aveva il coraggio di svegliarlo e Tommy era bello, bellissimo e spezzato, rotto, con il cuore infranto in mille pezzi, innocente e fragile proprio di fronte a lui e non aveva paura di esserlo ed era esattamente il tipo di persona da cui doveva stare lontano, ma non voleva.
Il suo corpo protestava al pensiero di sentirlo lontano.
 Lo guardò ancora, per ore che parvero istanti, memorizzando i disegni che i nei creavano sul suo volto, la forma del naso, l’espressione serena e poi, senza nessuna logica  o spiegazione, posò un bacio tra i suoi capelli, sugli occhi ed infine, senza esitazione alcuna, lo baciò sulle labbra.
Come scottato, si allontanò e Thomas, grazie al cielo, non si svegliò.
Cosa diamine stava succedendo? Che ne era delle sue convinzioni e dei suoi obiettivi?
Possibile che fosse così debole da farsi incantare da un paio di occhioni lucidi?
C’erano quattro, semplicissime regole fondamentali nella sua vita e lui, in poche ore, lo aveva infrante tutte.
 
Numero 1: Non chiedere il nome, tanto non lo rivedrai mai più.
Numero 2: Niente baci, solo sesso.
Numero 3: Mai, mai, mai lasciar dormire un ragazzo con te.
Numero 4: Non provare niente, per nessuna ragione.
 
Era davvero in un bel guaio.
 
 
Quando Minho tornò Thomas ancora dormiva come un sasso e l’asiatico strabuzzò gli occhi nel vedere Newt mezzo addormentato avvinghiato con fare protettivo –e soprattutto ancora vestito-  al corpo di uno sconosciuto.
Nel sentire i passi dell’amico, il biondo si destò immediatamente, regalandogli uno sguardo che sembrava implorarlo di non fare domande e Minho non gliele avrebbe fatte certamente in quel momento, troppo impegnato a scattare compromettenti foto con cui lo avrebbe ricattato per i prossimi vent’anni.
Aveva un intera giornata per interrogarlo dopotutto.
“Molto carino.” Mimò con le labbra, mentre Newt alzava gli occhi al cielo e gli indicava il corpo di Thomas.
“Dobbiamo portarlo via, non voglio di svegli qui.” Spiegò, cercando di allontanarsi da lui il più lentamente possibile mentre l’altro, per tutta risposta, stringeva sempre di più la presa.
“Abbandoneresti questa dolce fanciulla? Che essere immondo.”  Ridacchiò Minho, continuando a scattare foto.
“Smettila con quelle foto e aiutami qua con Tommy” Lo rimproverò il biondo, esasperato.
“Oh”
“Cosa?”
“Siamo già nella fase dei soprannomi.” Commentò Minho con un sorriso  furbo e per niente rassicurante.
Newt decise di ignorarlo. “Abita al palazzo di fronte, lo lasceremo sulla panchina qua sotto e lo controlleremo finché non si sveglierà.”
E Minho rimase ancora stupito, non solo perché il ragazzo era praticamente il loro vicino di casa, non solo perché aveva dormito con Newt, ma soprattutto perché quest’ultimo sembrava persino umano, si preoccupava per lui ed era addirittura disposto a controllare che nessuno di avvicinasse.
Voleva proteggerlo.
“Amico mio, credo davvero che il destino ti abbia fatto un bel regalo.”
Ma Newt fece finta di non sentire perché il destino, come l’amore, non era altro che una grande, immensa, bugia.
 
Ed una perdita di tempo, soprattutto.
 
 
 
Come abbiamo detto, Newt, brillante studente di giornalismo non credeva nell’amore e neppure nel destino eppure Thomas era lì, di fronte a lui, nella pizzeria dove lavorava.
Lo stesso Thomas che abitava nel palazzo di fronte al suo e che, da due settimane, si divertiva a spiare, in un gioco di sguardi e sorrisi che non sapeva neppure dove dovesse portare.
Lo stesso che, ora, gli stava dicendo di frequentare la sue stessa Università e, anche se questo Newt lo sapeva già, si finse comunque sorpreso.
Ogni parola che usciva dalla bocca di Thomas non era un novità per lui, un po’ per via del loro primo ed ultimo incontro, un po’ per le ricerche che Minho, testardo e fastidioso come sempre, aveva portato avanti sul suo conto, nonostante le continue proteste di Newt ed i suoi rimproveri.
Era stato tutto inutile, quando Minho si metteva in testa qualcosa era praticamente impossibile fargli cambiare idea, soprattutto se si trattava di idee stupide ed assolutamente sbagliate come quella.
 
“La smetti di dirmi cose su di lui. Non mi interessa della sua famiglia, delle sue abitudini, dei suoi gusti, della sua media. Non mi interessa, chiaro?” Aveva risposto Newt, all’ennesimo resoconto di Minho, il quale questa volta era riuscito a sapere dal cugino di un amico del loro amico Aris, una versione dei fatti probabilmente distorta della storia tra Thomas e Jason.
Quello stronzo di Jason che aveva fatto piangere Thomas e che gli aveva rovinato la serata, anche.
“Certo Newtie, non ti interessa così tanto che ti svegli la mattina presto solo perché forse  potresti vederlo.” Aveva replicato Minho, inchiodandolo con uno sguardo duro.
Odiava che il suo amico continuasse a negare a se stesso ciò che era evidente ai suoi occhi: a Newt, quel ragazzo, piaceva.
Tanto.
“Non ho sonno semplicemente, smettila di parlare di lui. È stata solo una…”
“Cosa?” Aveva quindi incalzato Minho, con le braccia aperte ed un espressione ebete in volto.
Voleva solo che fosse felice e avrebbe fatto qualsiasi per aiutarlo, anche quando lui, cocciuto e cinico come sempre, non voleva essere aiutato.
 “Non avete neppure fatto sesso . E poi? Vuoi dirmi che è un caso che tu passi le tue giornate a guardare fuori da quella maledetta finestra e hai smesso di andare allo Chapeau? Newt devi parlare con lui.”
Il biondo aveva scosso il capo, contrariato, portando le mani sulle orecchie per cancellare le parole dell’altro.
 “Non so di cosa parli e poi smettila di indagare su di lui, sei inquietante.”
“Quando tu la smetterai di negare l’evidenza.”
Newt a quel punto s’era alzato di scatto, gettando all’aria i libri che aveva davanti e lasciando cadere a terra la sedia con un sonoro botto. 
 “Lui non si ricorda neppure di me Minho.” Aveva gridato, con il volto rosso per la frustrazione.
Thomas era un tipo incasinato e Newt con i sentimenti non ci sapeva fare,  non li voleva eppure Minho aveva ragione, erano lì, forti ed inaspettati.
E ne era spaventato a morte.
 
“Devo rientrare, grazie della chiacchierata Tommy.” Disse Newt, senza neppure rendersi conto di aver lasciato scivolare dalle sue labbra il soprannome che gli aveva affibbiato dal primo momento.
Ma per quanto ne sapeva l’altro loro due non erano altro che sconosciuti.
Sconosciuti che si guardano dalla finestra e non dovrebbero sapere l’uno il nome dell’altro.
 
Si diede dell’idiota, era stato preso dall’euforia di vedere che Thomas aveva seguito lui piuttosto che rimanere con quella là, la sua coinquilina, la stessa di cui si era sentito inspiegabilmente geloso.
Thomas era gay, Newt lo sapeva eppure…eppure aveva odiato vederlo così complice con lei, avrebbe voluto avere lui la libertà di portarlo a cena fuori, di stringergli la mano, di osservarlo imbrattarsi il volto di sugo come fosse un bambino e ridere delle sue battute, ma non poteva, colpa della paura, dell’orgoglio e del suo pessimo carattere.
Codardo, gli sussurrò una vocina nella sua testa.
Aveva combinato un casino.  
Thomas spalancò gli occhi e la bocca per la sorpresa ed iniziò a balbettare parole casuali e senza senso. Newt temette stesse per avere un infarto o qualcosa di simile, e si sentì sconvolto esattamente quanto l’altro, eppure qualcosa in lui si mosse e, preso dal nervoso e dalla paura, scoppiò a ridere tenendosi la pancia.
Ma non c’era davvero nulla da ridere.
Thomas sembrò arrabbiarsi, smise di balbettare ed incurvò le sopracciglia, stringendo i pugni.
“Perché cazzo ridi?” Domandò. 


Newt vide davanti a se un ragazzo che lo guardava dalla finestra alle quattro del mattino e poi lo vide spogliarsi e piangere, dormire sul suo petto, ubriaco e poi stanco,di nuovo davanti alla finestra, poi con gli occhiali intento a studiare in Università e depresso e stressato ed abbracciato a Teresa ed ora, di fronte a lui, confuso e forse spaventato.
E decise che ne valeva la pena e lo aveva saputo dal primo momento.
Non credeva nel destino e neppure nell’amore,  ma credeva negli occhi scuri di Thomas che lo guardavano accusatori, indagatori e forse delusi.
Credeva nel caffè alle quattro del mattino, nei sorrisi timidi e nelle regole che aveva infranto, perchè quando il destino chiama anche uno studente di giornalismo della Metropolitan di Denver, uno con una borsa di studio, pochi soldi ed un pessimo lavoro, anche uno disilluso come lui, deve rispondere.
 
“Newt. Io sono Newt” Iniziò lui. “E tu hai dormito a casa mia una notte, qualche settimana fa Tommy. Ma forse eri troppo ubriaco per ricordarlo.”
 
E lo vide dal volto improvvisamente rosso di Thomas e dallo scintillare dei suoi occhi, quello era solo l’inizio.
 
***
“Abbiamo fatto un grande lavoro, socia.”
Minho si avvicinò a lei lentamente, osservando dalla vetrata della pizzeria Thomas e Newt che parlavano. Erano carini, insieme, e Minho già si vedeva accanto al suo migliore amico, pronto a fargli da testimone qualche anno dopo, perché era un inguaribile romantico ed un gran sognatore.
Teresa sorrideva, accanto a lui, intenerita nel vedere Thomas così impacciato accanto ad un ragazzo. Non succedeva da anni, non succedeva da Jason, non succedeva da quando Thomas aveva alzato un muro con il mondo intero per non essere ferito eppure era lì, con un biondino troppo magro e dall’aspetto malaticcio, un tipo strano che a Teresa neppure piaceva tanto, felice ed impacciato per la prima volta dopo tanto tempo.
“Promettimi che non lo farà soffrire.” Disse, voltandosi verso Minho. Lui le passò un braccio attorno alle spalle.
“Non ti preoccupare, non ti avrei mai cercata se non fossi stato assolutamente certo.”
Teresa annuì. “Hai fatto bene, il destino a volte va aiutato.”
“Oh lo penso anche io.” Confermò l’asiatico, stringendola di più contro il suo corpo. Teresa arricciò il naso in un espressione stupita e vagamente infastidita, ma non si spostò.
“Potrei aiutarlo ancora chiedendo il tuo numero?”
Sussurrò al suo orecchio.
Teresa rise e scosse il capo, perché quando quel ragazzo buffo si era presentato alla sua porta per “fare che il vero amore trionfi”, tanto per citarlo, avrebbe dovuto saperlo che da qualche parte doveva esserci una fregatura.
 

 
   
 
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