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Autore: lady igraine    21/07/2018    0 recensioni
Le Terre di Confine, dopo la Caduta del Regno di Neanna, da duecento anni sono governate dal Conclave, una misteriosa congrega di Maghi che stringe nelle proprie mani il destino dei Regni indipendenti.
Ma quando un incubo antico, quello che ormai è solo un racconto per spaventare i bambini, riemerge dall’oscurità, ogni equilibrio è destinato a spezzarsi.
E Sianna, cresciuta nella sicurezza della sua valle isolata, protetta da presenze rassicuranti che la seguono fin dall’infanzia, è l’inizio di quella crepa che incrinerà il suo mondo, e ne ignora la ragione.
Eppure è lei che La Morte sta cercando e, per sopravvivere, Sianna deve presto fare i conti con un passato più complesso di quanto possa anche solo immaginare.
***
«Te l’ho già detto. Le tue linee non sono complete. Non so come spiegarlo… ma il tuo è un futuro che non posso vedere. È come se l’altra metà del tuo destino non fosse incisa sulla tua mano ma da qualche altra parte, come se appartenesse a qualcun altro»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA

 

CAPITOLO OTTAVO



Gli odori di cipolle e aglio che si mischiavano al pizzicore pungente e dolce provocato dall’erba tagliata e dal grano mietuto, le invasero i polmoni in una grande boccata d’aria fresca che Sianna accolse con un sorriso soddisfatto rivolto al sole. I risolini e il vociare allegro le davano il buon umore, o forse era solo tutta quella luce e la brezza fresca a risollevarle l’animo e renderlo leggero. Addobbi vivaci di stoffe e lanterne vivificavano le strade e i banchi dei commercianti, e la musica non era mai cessata da quando si erano levate la mattina presto. Da una composizione naturale di rami e muschio Sianna recuperò una spiga, la rigirò tra le dita lunghe e l’oro dei chicchi pieni baluginò di caldi riflessi. Avevano trascorso gli ultimi giorni a intessere un fantoccio di spighe che quella notte sarebbe stato dato alle fiamme, e ad intrecciare le corone di vischio che le sacerdotesse e i sacerdoti stavano indossando duranti i canti rituali.

Al Cerchio di Pietre i sacerdoti ricevevano gli abitanti per risolvere questioni di ordine giuridico, una tradizione di Lughnasadh, ma non la più interessante. Era nella piazza del mercato che si respirava la vera festa, erano giunte molte persone dai villaggi vicini per rendere grazie alla divinità e celebrare matrimoni e vendere merci, e le vie sembravano incapaci di contenere una tanto trasbordante vita.  

«Questo profumo di dolci mi sta facendo impazzire!» si lagnò prontamente Lisanda, il rumore del suo stomaco borbottante risultava imbarazzante.

«Resisti, stasera ci sarà il banchetto e mangeremo come non facciamo da una vita!» cercò di risollevarla, ottenendo però altre smozzicate lamentele «Non dirmelo, io non lo so come sopravvivono questi sacerdoti, a pesce insipido e brodini. Non è vita, è un incubo»

Iris strabuzzò gli occhi per l’indignazione e la rimbeccò all’istante, così mentre le due battibeccavano su quanto fosse eticamente inappropriato il commento di Lisy, Kea sollevò lo sguardo sulla folla assiepata nella piazza del mercato.

«Qui non ci facciamo molto, andiamo ad assistere alle gare?»

Marion si aggrappò alla manica della sua veste con eccessivo entusiasmo «Sì, vi prego! Tra poco dovrebbe esserci il tiro con l’arco, me lo ha detto Will!»

Le venne da ridere, le sorrise strizzando gli occhi per la troppa luce, un evento più unico che raro nel Regno d’Ombra, e annuì «Non sia mai che ci perdiamo la prova del nostro prode William. Voi due la finite di litigare?»

Iris assottigliò le labbra in una linea ostile «È inadeguata, rifiuto qualunque forma di legame con questa barbara»

Lisanda la seguì a ruota con una smorfia «Non mi risulta che tu sia nata nobile, sai?»

 

Da qualche parte una divinità deve esistere, e deve odiarmi anche molto

 

Le aree destinate alle manifestazioni sportive erano state circoscritte fuori dal centro abitato da uno steccato che già era stato preso d’assalto da numerosi spettatori. Le grida d’incitamento erano assordanti, Sianna e Marion, seguite da Kea, decisero di abbandonare le gemelle alle loro discussioni e si infiltrarono tra le persone. Complice la scarsa massa dei loro corpi sottili, riuscirono a raggiungere la recinzione e ad affacciarsi sul terreno di prova.

Ci sarebbero stati combattimenti di spada e anche scontri corpo a corpo a cui chiunque poteva prendere parte, indipendentemente dall’esperienza ma, come aveva detto Mari, in quel momento erano stati allestiti i primi bersagli. Si ritrovarono compresse nella calca che odorava di birra e sudore, tra le urla d’incoraggiamento lanciate ai parenti o ai conoscenti. La maggior parte dei presenti era già ubriaca, alcuni bambini si erano seduti sulla recinzione, altre testoline spuntavano tra le assi di legno, in basso.

Sianna guardò i primi partecipanti dare prova della propria abilità, o inabilità a seconda dei scarsi risultati. Al pubblico importava poco delle capacità dei concorrenti, quell’estasi collettiva trascinava tutti in un entusiasmo appassionato che si scatenava in applausi e fischi.

«Voi vedete Will?» gridò nell’orecchio di Mari per sovrastare i rumori. Kea si trovava in difficoltà, la sua piccola statura la faceva mangiare dalla folla che le toglieva il respiro.

«Guardalo là, il terzo da destra!»

Sianna osservò i concorrenti, una trentina di uomini di dubbia lucidità nonostante l’orario, e quasi soffocò nella propria saliva quando identificò, nella persona accanto a William, la figura slanciata e imprevista di suo fratello.

«C’è anche Ynyr!» batté le mani Marion, come le avesse letto nel pensiero. Non nutriva il medesimo entusiasmo nel vederlo partecipare a quella prova. Non che ci fosse qualcosa di male, ma ignorava quel talento e interesse del fratello.

 La maggior parte dei concorrenti venne eliminata fin dalle prime fasi, erano tutti contadini dalle braccia forti e muscolose, ma inadeguate, accanto a loro Ynyr sembrava eccessivamente magro, quasi mingherlino. Eppure, contro le scommesse che gli uomini si gridavano da un lato all’altro sopra le loro teste, le file si sfoltirono rapidamente, mano a mano che i bersagli venivano allontanati e il livello di difficoltà si alzava, e in quel gruppetto di finalisti figurò proprio il fratello, per il suo sbigottimento. Più di chiunque Sianna pensava di conoscerlo, ma ignorava questo suo talento. Insieme ad un improvviso senso di straniamento, s’insinuò in lei una calda sensazione di rimembranza. Mentre lo osservava, guardava i muscoli della schiena che si tendevano, il profilo corrucciato dalla concentrazione, le sembrò di averlo visto compiere quei gesti mille volte e niente era più elegante ed appropriato per lui.

William venne eliminato poco dopo, ma Sianna non riuscì a prestargli attenzione, invero non sentiva più nulla, seguiva solo Ynyr con un’avidità inedita anche per lei, cercando di ricordare perché tutto questo le fosse così familiare e come mai suo fratello le apparisse se possibile più nobile e bello, ammantato di una luce quasi accecante.

Vennero chiamati altri concorrenti, in un gioco all’esclusione che infine lasciò sul campo proprio Ynyr ed un uomo che non era più giovane ma doveva essere stato un soldato a giudicare dal portamento e dal fisico: le deformità delle dita e il gonfiore dei muscoli delle braccia tradivano una vita spesa da arciere per l’esercito d’Ombra. Il bersaglio era stato spostato e distava dalle postazioni di tiro circa centotrenta piedi, ogni concorrente aveva tre frecce a disposizione. Quando lo vide incoccare l’ultimo e decisivo dardo, d’istinto si sporse e gridò il suo nome sopra tutti, con tutta la voce che aveva. Quell’”Ynyr!” tra i tanti suoni sguaiati lo tradì: il fratello sussultò e la freccia andò a conficcarsi nel secondo anello dipinto sulla paglia, decretando l’altro concorrente come decisivo vincitore. Scoppiò un boato di gioia e applausi a cui Sianna non prese parte. Fissava il fratello incredula che davvero l’avesse udita, ed Ynyr a sua volta, impermeabile alla situazione e indifferente alle persone presenti, ricambiò il suo sguardo per un lungo, pesante istante.

Alla fine le diede la schiena e si allontanò, uccidendo in lei qualunque iniziativa di raggiungerlo per congratularsi e magari parlare, dato che non si erano più visti dopo il casuale incontro nel bosco con Kii.

Marion la riscosse aggrappandosi ancora alla manica della sua tunica «È stato incredibile! Lo hai visto? Poteva vincere!»

«Non sapevo che Ynyr sapesse tirare con l’arco» considerò Kea, con l’espressione serena ed orgogliosa di una sorella maggiore, una sensazione che paradossalmente Sianna non riusciva a condividere. Svicolarono dalla folla per raggiungere William.

Lo trovarono seduto su una roccia a parlare con Henry e Daniel, aveva il volto imperlato di sudore ed i capelli biondo cenere appiccicati alla fronte.

«E bravo il nostro Will» lo canzonò Mari, con un ampio sorriso che metteva in risalto i denti bianchissimi. Il ragazzo finse abbattimento, chinò il capo sconsolato e borbottò «Come sei crudele. Almeno tu, Sianna, sei venuta a consolarmi, vero?»

Presa in contropiede, non le riuscì di camuffare il volto che si arrossava «Non ci penso proprio!»

«A proposito» le si rivolse Daniel con un sorriso indulgente che sapeva di salvezza «Non sapevo che Ynyr fosse tanto bravo!»

 

Come non detto, argomento sbagliato

 

Si morse il labbro inferiore per non mostrare troppo il proprio disappunto «In verità nemmeno io» borbottò.

«È un peccato che non sia riuscito a vincere, se la stava cavando davvero bene» ponderò Kea, rivolgendosi a Daniel, gli occhi neri accesi di entusiasmo. Era tanto impacciata con il sacerdote che quando l’occasione di parlargli le si presentava in maniera naturale diventava felice come una bambina.

«Già, ma non poteva mica sperare in due premi» intervenne William, ancora risentito dalla pesante sconfitta «Onestamente, pensavo di batterlo facilmente, il ragazzino» e sotto il tono scherzoso, Sianna lesse una nota di amarezza che non la stupì. Da che ricordava, i ragazzi si erano sempre posti in modo competitivo verso suo fratello, per motivi differenti Ynyr aveva capacità di un altro livello e per questo aveva finito con il restare più isolato e in disparte. Era infastidita nel rintracciare quella sfumatura in Will, l’avvertiva come una minaccia latente verso il suo fratellino.

La sua aria sconsolata però fece ridere Mari, che gli concesse pacche poco leggere sulla spalla in segno di conforto «Sarà per il prossimo anno!»

«Due premi?» apostrofò invece Iris, a fronte aggrottata, non lasciando cadere l’unica cosa che aveva attirato anche la sua, di attenzione, guardandola poi di sottecchi a tastare la sua reazione. Sianna si sforzò di non emettere un suono e nemmeno di muovere un muscolo facciale, anche solo uno spasmo, per non tradire il nervoso.

Henry confermò «Sì, parteciperà alla sfida tra Bardi, stasera» Daniel gli gettò un braccio al collo, in un abituale gesto di confidenza che li caratterizzava: da che li conosceva, erano inseparabili in tutto e ritrovavano l’uno nella presenza dell’altro una certezza e un conforto, per questo anche mentre parlavano tendevano sempre a cercarsi «Da quello che ho sentito, è proprio dotato» specificò con un grande sorriso.

Sianna si ritrovò ad aggredire l’unghia già provata del pollice in un moto d’innegabile collera ormai non proprio latente.

«Lo sentiremo stasera» rincarò Will e Lisanda rispose con un gridolino eccitato «Non vedo l’ora!»

«Io invece proprio per nulla» mugugnò, a voce sufficientemente bassa perché l’acidità passasse inosservata. I ragazzi si lanciarono in un dibattito sulle prossime prove, sul brutto vizio di Henry di piazzare scommesse perdenti in partenza e Sianna ne approfittò per defilarsi dal gruppetto con una scusa personale sulla quale nessuno sollevò quesiti.

Mentre si allontanava a falcate iraconde, sentiva lo stomaco rimestarsi e pensò che si stesse mangiando da solo e si sarebbe ritrovata con una nocciolina minuscola al posto dell’organo. In quel frangente, l’unica cosa che gli veniva in mente era recuperare la piccola kitsune che con il fratello doveva aver trascorso gli ultimi giorni, e farle un terzo grado sufficientemente aggressivo da spingerla a parlare senza rimostranze.

A fermare il non troppo brillante piano che la faceva avanzare tra i campi come uno spirito posseduto dal demonio ci pensò Henry, che doveva aver deciso di seguirla.

«Sianna? Ti fermi?»

«Quale parte di “devo fare una cosa privata” ti sfugge?»

Henry tossicchiò, forse per una volta nella vita le era riuscito di metterlo a disagio.

«Non sembrava volessi davvero fare qualcosa di privato» borbottò indisponendola ancora di più. Furente e inacidita, sfoderò il peggior repertorio da contadina iraconda e rozza che le riuscì «Benissimo, solleverò la gonna e piscerò gioiosamente davanti a te per toglierti ogni dubbio»

Sperò di umiliarlo e umiliarsi abbastanza da spingerlo ad andare via, perché con lui nei dintorni Kii sarebbe rimasto ben nascosto, ma sortì l’effetto opposto, il suo migliore amico, altrettanto irritato, l’afferrò improvvisamente per il polso costringendola ad una brutta battuta d’arresto che la fece incespicare.

 

Come ha fatto a sembrarmi una buona giornata?

Maledizione a te Ynyr

 

«Si può sapere che cos’hai? È tutto a posto?»

«No!»

Agitò goffamente il braccio per liberarsi, senza successo, di lui. Alzò gli occhi ed incontrò lo sguardo confuso e colpevole di Henry. Si pentì di aver alzato la voce, ma la frustrazione inspiegata che la rimestava non accennava ad affievolirsi.

«Se ci penso mi viene una rabbia! Se lo avessi davanti io… gli farei sicuramente qualcosa!»

Le sopracciglia del ragazzo s’inarcarono sotto la montatura degli occhiali «Non sono un indovino, ma suppongo tu stia parlando di tuo fratello»

Sianna sbuffò, scacciando la ciocca di capelli che a causa di una rosa sulla fronte tendeva a ricadergli sul volto «E di chi altri?»

Henry si lasciò sfuggire una leggera risata, un misto di esasperazione e disagio «Cosa esattamente ha messo a dura prova i tuoi nervi?»

Sianna riuscì finalmente a liberarsi e si sedette a terra, imbronciata e capricciosa in maniera terribilmente infantile, ne era conscia, eppure al di là dell’imbarazzo non poteva impedirselo.

«Che vuoi che ne sappia? Non lo so nemmeno io, so solo che è colpa sua. Come può sparire così? A malapena mi guarda se ci incrociamo, l’unica volta che mi ha parlato quasi mi inceneriva… e adesso questo!»

Il sacerdote esitò, ma alla fine si sedette accanto a lei, tra le stoppie, e si grattò il collo a disagio «Questo significa quello che sta facendo?»

Annuì, assorta, e dopo qualche minuto di ponderato silenzio gli chiese «Non ti sembra naturale?»

«Non ti seguo»

Sianna scacciò i capelli con astio «Nemmeno sapevo che sapesse tirare con l’arco, non lo aveva mai fatto. Mi sembra di trovarmi di fronte uno sconosciuto all’improvviso. Ma non è questo che mi fa arrabbiare» si morse il labbro inferiore, cercò le parole per esprimere quell’insensata sensazione «Non l’ho trovato strano, solo irritante. Come se fosse naturale che sia in grado di farlo, ma farlo fosse una provocazione rivolta a me»

Henry si accigliò, si sistemò meglio gli occhiali sulla punta del naso, la fronte si arricciò ulteriormente in rughe di confusione.

«Non ha molto senso» optò infine, abbozzando un sorriso di scusa, come se non poterla assecondare fosse una colpa. A volte Sianna non riusciva a capire quel ragazzo, anche se si conoscevano fin da bambini.

«Lo so, però non so spiegarlo diversamente. È un’impressione di già visto. Io l’ho già visto fare questa cosa, ma in realtà non l’ho mai visto farla. Mi sembra quasi di dover ricordare qualcosa, ma è solo una sensazione neanche troppo distinta e mi dà rabbia perché è come se Ynyr mi stesse pungolando, mi stesse dicendo che c’è qualcosa di lui che non ricordo e devo ricordare»

L’amico sbuffò e si mise a ridere, stemperando un po’ il suo umore tetro e dando un leggero colpo di spugna a quei pensieri contorti e pesanti «Voi due siete sempre troppo strani, lo sapete? Volete sempre leggere nei gesti dell’altro più di quanto non ci sia»

Sianna sorrise debolmente, non lo corresse. Non gli disse che, in realtà, di solito i loro gesti sottintendevano l’uno verso l’altro realtà e verità comprensibili solo a loro che escludevano veramente tutti gli altri. Non lo fece, perché sapeva bene quanto fosse malsano il rapporto esclusivo che li legava. Il sacerdote si alzò, le porse una mano senza cancellare quell’accenno all’insù delle labbra, non un vero e proprio sorriso; Henry era un malinconico e anche quando si sentiva di buon umore restava comunque sospeso su di lui un alone di rassegnazione e sconforto.

«Vieni con me, testa dura»

Sianna gonfiò una guancia d’indignazione, accettò il suo aiuto e tenne stretta la mano dell’amico mentre questo la guidava.  Non troppo lontano si era alzata una melodia, un misto di strumenti a fiato e percussioni, e nei prati uomini e donne si raccoglievano in cerchi festanti e iniziavano a danzare. Si perse con lo sguardo a contemplare quelle figure non del tutto nitide e le parve di riconoscere Kea insieme a Daniel.

«Dove mi stai portando?» chiese quando si accorse che anche Henry puntava al bosco, la linea degli alberi sempre più nitida e vicina. Erano nei pressi del Cromlech ora, la folla assiepata di fronte ai Brithen nascondeva parte di quell’affascinante struttura in pietra. Tanet le aveva spiegato la valenza magica del cerchio come simbolo, le aveva detto che il Cromlech era costituito da due cerchi di pietra concentrici e che l’ingresso era rivolto ad est, incorniciato da due alti menhir che fungevano da sentinelle protettrici. C’era un piccolo fossato che seguiva il contorno della circonferenza e gli altri punti cardinali erano segnati da altrettanti menhir solitari.

Sapeva tutto questo, ma il Maestro non le aveva concesso di avvicinarsi per poter toccare con mano quelle pietre antiche, le aveva detto che i loro luoghi sacri non erano un suo gioco e doveva portare rispetto per le antiche credenze. Così, lo contemplò da lontano finché non sparì dalla sua vista.

Henry imboccò uno dei numerosi sentieri che s’inoltravano nel bosco d’Ishitar, una stradina di terra battuta come un’altra, eppure l’amico sembrava avere un’idea molto precisa di dove la stesse portando. Il mistero si svelò prima che potesse tornare alla carica con qualche domanda: gli alberi si dipanarono per mostrare una piccola radura. Al centro sorgeva una casetta di pietra di forma circolare con il tetto in paglia, sopraelevata dal terreno, sostenuta da grossi piloni di legno. Una scaletta conduceva alla porta d’ingresso, accanto era stato costruito un pozzo con un secchio di legno dimenticato sul bordo dell’anello di pietra. Una musica leggera copriva i rumori di uccelli ed animali, il suono di un’arpa tra le mani di un ragazzo seduto sui gradini d’ingresso.

Ynyr era concentrato, tanto concentrato che forse davvero non l’aveva sentita arrivare, per quanto assurdo le potesse sembrare. Ynyr l’aveva sempre percepita con largo anticipo, in modo del tutto inspiegato. D’istinto, Sianna acchiappò Henry e lo costrinse a nascondersi dietro un albero. Lei stessa vi si appiattì, facendo aderire la schiena alla superficie ruvida.

«Quindi è qui che è sempre stato. Che posto è questo?»

Henry si sporse come lei per spiare il ragazzo «È un nemeton, un luogo di ritiro dei sacerdoti, per isolarsi. Negli ultimi anni ci vive il nostro più anziano File. È un Cruitire, un arpista»

Sianna inarcò scettica un sopracciglio e lo fissò con la sua più minacciosa espressione, per invitarlo neanche troppo gentilmente a chiarire perché Ynyr si trovasse lì. Henry alzò le mani in segno di resa «Non prendertela con me. È tuo fratello che quando è stato meglio ha chiesto di essere condotto qui. È stato affidato ad Armogen, e lui è un asceta, non rientra praticamente mai al monastero, anche se è qui vicino. Per questo non lo vedi mai»

Riflettendo su quella scelta, quell’esilio praticamente, Sianna si oscurò. Fu istintivo pensare a se stessa e a come in qualche modo, quella comunità di sacerdoti Drui l’avesse confinata nelle mani di Tanet perché non entrasse in contatto con gli altri. Ora, la situazione di Ynyr pareva specchio della sua.

«Henry, c’è un qualche collegamento?»

Ancora una volta, il ragazzo non la capì, né poté biasimarlo «C’è un collegamento nel fatto che sia io che mio fratello siamo stati separati completamente ed esclusi dal resto di voi?»

L’amico si affrettò a negare, con troppa veemenza per quello che la riguardava. Era sbiancato all’improvviso, come se tutto il sangue fosse fluito via dal suo volto, e trasmetteva una profonda inquietudine, un disagio indefinito. Non era semplice interpretarlo, Henry e Daniel erano diversi dalle persone normali, erano più schermati dalle sue sensazioni rispetto a chiunque altro, per questo non riusciva a leggere le sfumature del suo imbarazzo. Perciò si sporse nuovamente, per guardare suo fratello.

Era seduto in maniera scomposta, l’arpa tra le sue gambe sembrava un veliero pronto a salpare, con la vela gonfia di vento ed elegante come il collo di un cigno. Le dita lunghe e sbiancate, delicate come rami morti esposti all’acqua e al sole, sfioravano appena le corde, le pizzicavano indolenti, eppure il suono che nasceva da quei movimenti delicati era dolce e pieno, commovente.

«Il sussurro del dolce albero delle mele» ricordò, ma non sapeva che ricordo fosse. Da quando aveva incrociato gli occhi di Ynyr durante la gara, non aveva smesso un solo istante di provare quella sensazione di già visto. Henry non era nuovo a quei suoi sprazzi di straniamento e non le fece domande. Piuttosto, disse «Credo che vi dovreste parlare»

«Forse dovremmo» confermò Sianna, sfiorando con le dita la corteccia dell’albero, a seguire linee di incisioni a cui non aveva prestato troppa attenzione. L’occhio le cadde sopra quei solchi e si accorse che erano rune. Sospirò per scacciare il panico.

«Ma tu non vuoi» constatò l’amico, ripetendo ancora quel suo abituale gesto di risistemarsi gli occhiali. Scrollò le spalle, si concentrò sui capelli bruniti d’Ynyr, un biondo rosso che portava in sé il fulvo materno, sul modo in cui gli coprivano parte del viso, gli occhi socchiusi.

«Penso che potrebbe farvi bene. Penso che dovreste restare insieme in un momento come questo»

«Momento come questo?» lo apostrofò accusatoria, ed Henry fu attraversato da un moto di vergogna che travolse anche lei.

«Intendo solo che questo silenzio fa male a entrambi» svicolò.

Sianna accolse la stoccata in silenzio, colpita in pieno.

Fin da bambina, sua madre le aveva ripetuto sempre un’unica, lapidaria raccomandazione: prenditi cura di tuo fratello. Non era mai stato un rapporto a senso unico, troppe erano state le volte in cui era stato Ynyr il pilastro di entrambi, il porto sicuro. Eppure quel mantra riecheggiava nella sua memoria e la faceva sentire in colpa. Davanti alla sua indecisione, Henry fece un passo indietro e le diede la schiena.

«Mi lasci sola?» lo richiamò con il tono da bambina lamentosa più efficace del suo repertorio. Non funzionò, il sacerdote abbozzò un gesto di commiato con la mano e imboccò il sentiero del ritorno. Si alzò una brezza leggera che cambiò la disposizione dei cirri nell’unico sprazzo di celeste visibile dal cerchio di alberi, le fronde frusciarono tra loro e questi suoni si unirono in maniera armoniosa alla melodia solo accennata che suonava Ynyr.

Il fratello alzò il capo, si voltò nella sua direzione e sorrise «Pensi di uscire di lì ora che Henry se ne è andato?»

Sussultò, ma non fu troppo sorpresa di essere stata scoperta. Ynyr la percepiva, aveva probabilmente finto di non accorgersi di loro per darle la possibilità di andarsene non vista, però doveva averla tenuta d’occhio da quando si era avvicinata alla radura. A passi strascicati uscì dal nascondiglio e s’incamminò pigramente verso di lui.

«Ciao, Ynyr»

«Ciao, Sianna»

 

 

 

Sianna imbronciata era sempre spassosa, sarebbe valsa la pena farla arrabbiare fino allo sfinimento, se quell’espressione era ciò che ne guadagnava. La squadrò discretamente mentre la sorella si trascinava verso di lui con la stessa gioia di vivere di un sasso, cercando di mettere a fuoco i dettagli che gli erano sfuggiti nel loro ultimo incontro. Aveva sempre cercato di non prestarle troppa attenzione, per ovvie ragioni, ma da quando Marilien era morta si era reso conto di come qualcosa si fosse rotto senza speranze di poter essere riparato, e così ora non c’era più il freno, la ragione umana che lo bloccava, e porsi un limite spontaneamente diventava più difficile.

Ovviamente, quella tonta di sua sorella non se ne era resa conto, per lei che non ricordava nulla era tutto più semplice, le invidiava l’innocenza ritrovata, allo stesso tempo la odiava, perché in qualche modo riusciva a renderla più adorabile e lo costringeva all’indulgenza. Non era trascorso troppo tempo senza che parlassero, eppure era stato sufficiente ed ora la ritrovava diversa, più bella, più eterea. E ancora altrettanto ignara.

Tornò alla sua musica, ben sapendo che questo l’avrebbe solo fatta arrabbiare.

E infatti, precisa e capricciosa, la sentì sbuffare e pestare un piede

«Hai un attimo?»

Sorrise ferino e le fece cenno di parlare, senza però guardarla. Se fosse stato più intelligente, più razionale, le avrebbe detto di no, non le avrebbe concesso nemmeno un istante. Ma era semplice ammorbidirsi, quando riscopriva nei suoi gesti la bambina con cui era cresciuto, movimenti come il piede che grattava il terreno in imbarazzo, i versi e i rumori delle sue guance che si sgonfiavano e gonfiavano per prendere tempo e contenere la stizza.

 

Se tu avessi imparato qualcosa in tutto questo tempo, ti alzeresti e te ne andresti, non commetteresti ancora e ancora lo stesso errore.

Ma è evidente che né tu né lei siete particolarmente intelligenti.

Tu però hai meno attenuanti, ricordatelo!

 

Poteva fare il duro con se stesso quanto voleva, ma alla fine non sarebbe cambiato nulla. Non erano mai stati tanto uniti, era difficile anche solo contemplare di rinunciare a quel legame. Paradossalmente, ora a legarlo a lei c’era un sentimento ibrido, di desiderio e repulsione, che lo bloccava e lo lasciava a ristagnare nelle proprie reminiscenze.

«Da quando tiri con l’arco?» lo accusò subito, la voce aspra e ruvida come un limone. Accennò l’ennesimo, provocatorio sorriso, alzò il volto ad incrociare gli occhi di sua sorella, così azzurri da dargli le vertigini.

«Non lo ricordi?»

Sianna si fece seria «Non è divertente»

Cancellò ogni espressione dal proprio viso «Non volevo esserlo» rispose lapidario. Troppo freddo, forse, perché la vide vacillare, presa in contropiede. Non si spazientiva mai con lei, non davvero, ma negli ultimi tempi stava sfiorando un proprio limite personale, si era imbattuto in debolezze che ignorava di avere e gestirsi ora era più complesso.

«Perché mi sembra così spontaneo, eppure mi sento tradita? Non capisco Ynyr» gli occhi grandi si colmarono di una confusione spaventata. Si costrinse a non farsi imbrogliare da quella sua bellezza angelica, ma era difficile per lui, una delle cose più difficili.

«Non sono tenuto a dirti tutto»

La fissò dritta negli occhi, in quelle iridi che ricordavano petali di fiordaliso ricoperti dalla brina dell’inverno, e si pentì di quel suo gesto di sfida: le pupille nere, minuscoli puntini in quel cielo terso, erano abissi che stordivano, uno stralcio d’infinito e perfezione in cui smarrirsi era facile, quasi impossibile da reggere per qualunque essere umano. Lui però non era come gli altri, perciò si costrinse a non cedere e le sorrise.

Sianna si morse le labbra e alla fine desistette, chinando la testa, sconfitta.

«Non ti capisco. Ho l’impressione che tu stia cercando di provocarmi e non so il perché o che senso possa avere. Sento che mi rimproveri qualcosa, però poi non mi parli. Ynyr, lo sai che se non mi parli io non posso capirti. Quindi perché stai complicando tutto? Se hai qualcosa da dirmi, dimmelo»

 

Non posso.

Ho aspettato fino ad ora e adesso capisco di aver aspettato troppo. So che non posso farti questo, eppure il peso di non poterlo fare mi opprime.

 

Scrollò il capo e non rispose, sarebbe stato troppo complesso e ingiusto, ma soprattutto Sianna non lo avrebbe accettato in quel momento, non se prima non avesse risvegliato in lei delle reminiscenze. Doveva esserle costato molto, riuscire a dimenticare, e ancora non si sentiva tanto egoista da rigettarla in quel baratro di malessere per una propria soddisfazione personale.

Sua sorella si arrese e si sedette accanto a lui, su un gradino più basso, con le braccia e la testa appoggiate alle ginocchia raccolte al petto.

«Come stai?»

Le sorrise storto «Bene»

«Mi ha detto Henry che gareggerai con i bardi, stasera»

«Infatti»

Gli sfuggì un sospiro nel vederla non solo arrabbiata, ma anche terribilmente sconfortata. Il piacere di vederla sofferente, come una ripicca, era sempre mitigato da un terribile senso di colpa.

«Non lo sapevo» mentì, per darle un sollievo che avrebbe cancellato ogni suo tentativo di risvegliare qualcosa che forse, a quel punto, nemmeno esisteva più.

«Cosa?» Sianna si raddrizzò all’istante e lo studiò con una serietà stonata sul suo viso da ragazzina.

«Non sapevo di saper tirare con l’arco. Ti giuro che era la prima volta. Volevo solo provare»

Il sollievo che le si dipinse in volto sarebbe potuto apparire insensato, non fosse che Ynyr ne conosceva la ragione più profonda.

 

Perfetto, ora sono io lo sconfortato!

 

«Non ne so il motivo, ma davvero mi è sembrato naturale che tu lo sapessi fare» osservò lei, poi scrollò le spalle per togliere importanza ad una questione che per lui invece risultava fin troppo fondamentale.

«Già, ho provato una sensazione simile» mentì ancora, e sentì la schiena cedere ed accartocciarsi sotto l’ennesima sconfitta. In realtà, si sentiva patetico, per quei vani tentativi troppo deboli per poter davvero funzionare. Lui stesso non sapeva tutto, aveva consapevolezze a sprazzi, ricordi che erano fulmini a ciel sereno nella sua memoria. Il quadro della situazione gli sfuggiva e Sianna era l’unica certezza, forse proprio per questo tentava senza tentare sul serio: quello stato d’incertezza e confusione era troppo frustrante, non voleva coinvolgerla, non ancora.

«Hai ancora il nastro»

Sianna passò le dita tra i capelli, a sfiorare il fiocco rosso, insensatamente legato ad una ciocca, per abitudine.

«Lo sai che ci credo a queste cose. Korakas non mi avrebbe mai detto di indossarlo se non avesse senso»

Ynyr accarezzò le corde in un’unica, angelica scala di note «Già, ma non basta a tenerti lontano inutili spiriti pelosi»

«Parli di Kii?» si accigliò, scavando un solco tra le sopracciglia.

«Chi altri?»

Sua sorella sbuffò esasperata «Non hai motivo di avercela con lui, non ti ha mai fatto nulla»

 

Cerca di riportarti indietro e nemmeno te ne accorgi, non è un motivo sufficiente odiarla perché vuole allontanarti da me?

 

La Kitsune, con ogni probabilità, ci sarebbe anche riuscita, non trovava alcun modo per fermare la ruota che aveva ricominciato a girare, quel destino era un ingranaggio di una realtà molto più grande e incomprensibile di quella loro banale esistenza. Distrattamente, aveva ricominciato a suonare.

«Ti ha insegnato Armogen?»

Fece spallucce «Qualcosa, quando ne ha voglia. Non parla molto, sta nel suo»

Sianna si mise a ridere.

Per un attimo, Ynyr si ritrovò a trattenere il respiro. Certe verità non potevano cambiare, né una piccola distanza moderare l’affetto che nutriva per lei, o l’effetto che riusciva ad esercitare su di lui con la semplicità della sua ilarità.

«Ti piace. Non sono abituata a vedere persone che ti piacciono!»

«Infatti le persone non mi piacciono. Le piante, le piante mi piacciono» la guardò di sottecchi mentre ridacchiava scuotendo la testa, con quella sua indomita chioma che la rivestiva come una criniera scompigliata «E i sassi, Ynyr. Non dimenticare il tuo amore per i sassi»

Le sorrise «Personalmente, mi basta che la cosa non respiri»

«Se cercherai di soffocarmi nel sonno, saprò il motivo» considerò sua sorella, mordendosi le labbra. Spirò una lieve brezza, gradevole, in controluce le ciglia di Sianna sembravano lunghissime, socchiuse gettavano ombra sulle guance. Si riscosse, riprese lo strumento e vi dedicò tutta la sua attenzione, per non osare troppo. Pizzicò le corde, sorrise

«Come accade al caprifoglio

Che al nocciolo s’attacca

Quando vi si è intrecciato e avvolto

E tutt’attorno al tronco s’è messo,

assieme possono vivere a lungo;

ma poi, quando si tenti di separarli,

subito muore il nocciolo

e insieme il caprifoglio.

“Amica, così ne è di noi:

non te senza me, non io senza te”»

La osservò ancora, dal basso in alto, con il sorriso più candido e scavezzacollo che avesse, per deridere il rossore innocente che già si era diffuso sulle guance di Sianna, una candida fanciulla sorpresa da troppo ardore. Non era quella, l’immagine dei suoi ricordi, come sua sorella riuscisse a differire da se stessa senza mai allontanarsi dalla propria essenza, era il più grande mistero della sua vita. Sianna si passò le dita tra i capelli, pettinando la rosa che le sollevava il ciuffo in uno sbuffo irriverente.

«Sei bravo. È questa che hai scelto?»

Il sorriso provocatore morì un poco «Oh, no. Questa non è mia. È molto più antica, parla di un amore indissolubile che può portare solo alla morte. La mia ballata sarà una sorpresa» gli sfuggì un sospiro pesante «Promettimi di ascoltare»

Sianna si addolcì, gli occhioni azzurri scivolarono in un languore nostalgico «Io ti ascolto sempre» disse.

Lo disse con una convinzione diversa, una certezza assoluta che non si riferiva alle sciocchezze di tutti i giorni, ma aveva radici più profonde. Ecco, quando la vedeva così, profonda e lontana, gli sembrava assurdo pensare che davvero Sianna non si rendesse conto di star ricordando qualcosa. Era terribile e implacabile la verità poi, quando si abbatteva su di lui e lo costringeva a realizzare che per lei erano solo minuscoli, impercettibili frammenti, pulviscoli di memorie senza valore o senso.

«Lo sai che mi sei mancato, vero?» sorrise laconica e Ynyr si ritrovò a ricambiare mestamente quell’aria remissiva da condannato.

«È mai successo che non ci mancassimo?»

Sianna sbuffò, indicò con le dita affusolate la sua casacca, all’altezza del cuore «È diverso, tu mi senti. Hai quest’assurda fortuna che ti tiene tranquillo. Io sono sempre in ansia, se si tratta di te»  

Avrebbe voluto abbracciarla, ma si sentiva a disagio nel farlo. Avrebbe voluto dirle che quel sigillo sul suo cuore non era la sua fortuna, era la sua più grande condanna. Se solo avesse voluto ascoltarsi, Sianna avrebbe potuto avvertire le medesime sensazioni, in fondo anche lei era marchiata, sul suo braccio. Appoggiò l’arpa e le porse la mano, con l’aria malandrina che la faceva tanto ridere «Vieni con me!»

Quasi prevedibile, Sianna si lasciò andare all’allegria e ricambiò la stretta. Ynyr la condusse dentro la capanna, raggiunse il giaciglio di Armogen e trafficò con un tappeto ruvido e consunto. Sotto, un asse mobile rivelò una fiasca di liquido dorato.

«Che roba sarebbe?»

«Uisce beatha» mormorò lui, facendo oscillare la bevanda all’interno del vetro «Armogen la chiama “acqua della vita”» sghignazzò «Puoi immaginarne il motivo! Prendi due tazze»

La sorella annuì e recuperò da una piccola credenza, fin troppo sporca e usurata, due tazze di legno. Il suo impaccio la rendeva tragicamente comica, Ynyr le riempì e gliene restituì una.

«Intreccia il braccio al mio, così» le mostrò, portandosi il bordo di legno levigato alle labbra. Sianna lo imitò, senza abbandonare l’aria confusa di un cucciolo innocente.

«Questo che sarebbe?»

«Un brindisi, scema. Voglio vederti ubriaca prima di sera»

Sianna si accigliò, annusò cauta il contenuto del bicchiere e storse la bocca «Per quale motivo?»

«Beh, diciamo che gli uomini risolvono tutto con una sana bevuta»

«Io non sono un uomo» puntualizzò lei, indignata come ogni volta che metteva in dubbio la sua femminilità. Se solo avesse avuto percezione di se stessa, pensò Ynyr, non avrebbe dubitato nemmeno un istante della propria avvenenza, avrebbe scorto senza difficoltà la scintilla di divino che la rendeva radiosa per esistenza. Un ego luminoso e splendente, era quell’essenza pura nascosta sotto una spoglia mortale a renderla irraggiungibile per chiunque.

Sorrise ancora, sbilenco e provocatore «Non è che io possa festeggiare con te come farei con una ragazza qualunque, ti pare?»

Il pudore virginale che le imporporò le guance valse più di qualunque protesta.

ANGOLO AUTRICE

NOTE: il  brano citato da Ynyr fa parte di un passo tratto da un'opera di Maria di Champagne su Tristano e Isotta... non ho resistito!

Per il resto, in realtà questo capitolo è una parte di un capitolo più lungo, inframmezzato da "Ricordi: parte due". Per lo stile di EFP ho preferito dividerlo, perciò potrebbe sembrarvi inconcludente, proprio perchè mancante della seconda parte. Diciamo che qui almeno posso porre l'accento sul primo punto di vista di Ynyr, il protagonista secondario, personaggio chiave anche in futuro per leggere le situazioni che dal punto di vista di Sianna sembreranno... insensate!

Alla prossima!

 


  
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