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Autore: edoardo811    21/07/2018    0 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XXVI

Festeggiamenti

 

 

Una festa fu organizzata al palazzo. Tavole imbandite ci cibo erano state allestite nell’atrio, dove i fongoid e i ragazzi potevano andare a rifornirsi quando volevano. Camerieri e cuochi andavano avanti ed indietro dalle cucine come dei razzi, cercando di tenere il passo con tutto il cibo che stava venendo consumato in quel momento.

Non c’erano più occhiate diffidenti tra gli alieni e il gruppo di giovani supereroi, solamente riconoscenza, gratitudine e rispetto.

BB sembrava aver trovato il suo posto ideale nella stanza, ossia accanto ad un tavolo imbastito di frutta e verdura. Mentre il mutaforma mangiava, fu assalito da Yurik, che gli saltò letteralmente addosso. Beast Boy per poco non perse l’equilibrio e crollò a terra. La piccola peste venne poi rimproverata dai genitori, sopraggiunti per ringraziare il verdolo per aver salvato tutti loro quando Shamus li aveva aggrediti nel villaggio.

Beast Boy, imbarazzato, si mise una mano dietro la testa e biascicò le classiche frasi di rito sul fatto che non dovevano ringraziarlo e così via.

Quando il mutaforma riuscì a liberarsi della famigliola, si lasciò scappare un lungo sospiro dalla bocca. Sospiro che venne interrotto dall’arrivo di Terra, che gli diede un colpetto al braccio. Il ragazzo si voltò, sorpreso, per poi sorridere tenuamente.

«Bel lavoro con la navicella» cominciò la bionda, leggermente imbarazzata.

«Grazie…» rispose lui, incerto su come comportarsi con esattezza.

Terra si prese un braccio, per poi cominciare a massaggiarselo. «Volevo solo… insomma… chiederti scusa per come mi sono comportata con te le ultime settimane. Avrei… avrei dovuto dirtelo subito che… che tra noi…»

BB la fermò sollevando una mano. «La colpa è solo mia, Terra. Non preoccuparti. Tu stessa me l’avevi detto, le cose cambiano. Avrei dovuto ricordarlo, ma non appena ti ho rivista, io… io me ne sono completamente dimenticato. Non avrei dovuto pensare che le cose tra noi fossero rimaste esattamente identiche dopo tutto quel tempo. Insomma…» Il mutaforma si massaggiò di nuovo dietro al collo. «… all’epoca eravamo solo dei ragazzini. Non c’è da stupirsi se per te quello che c’è stato tra noi fosse solamente qualcosa di passeggero.»

La bionda annuì lentamente, scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Sorrise, per poi dare un bacio sulla guancia al compagno. «Grazie, BB. Sono certa che riuscirai a trovare la persona giusta per te, quando saremo di nuovo a casa.»

Beast Boy annuì a sua volta, ricambiando il sorriso. «Spero che anche tu possa trovare qualcuno.»

A quelle parole, Terra parve avvampare leggermente, al che il verdolo sollevò un sopracciglio.

«B-Beh, io…» mugugnò la ragazza, facendo combaciare le punte degli indici, pensierosa. «Ne… ne parliamo un'altra volta, va bene?»

BB aprì bocca per replicare, ma la bionda si era già dileguata in mezzo alla folla. Il mutaforma osservò perplesso il punto in cui lei era scomparsa ancora per poco, per poi ridacchiare flebilmente.

Come se non avesse mai notato, prima di allora, gli sguardi che lei e Corvina si erano scambiate in quelle ultime settimane.

Il verdolo si voltò di nuovo verso il tavolo, sospirando ancora una volta. Afferrò un frutto, rigirandoselo tra le mani. All’inizio aveva pensato che la sua fosse solo paranoia, ma più passava il tempo, più quel pensiero aveva cominciato a solidificarsi nella sua mente. Le due ragazze che aveva amato, si amavano.

Avrebbe mentito dicendo che aveva faticato ad accettare quella cosa, all’inizio. A dire il vero, aveva creduto che avrebbe potuto dare di matto. Col tempo, tuttavia, era riuscito a mandare giù quel boccone, soprattutto grazie al pensiero di sapere che entrambe le ragazze fossero felici. In un certo senso… era proprio stato lui a rendere possibile ciò. Certo, la sua idea di lasciare libera Corvina non si rispecchiava proprio in quello, ma alla fine, forse era meglio che fosse finita così.

Anche se era innegabile il fatto che l’idea di loro due assieme, senza veli, facesse ribollire il sangue di una sua particolare parte del corpo.

«Aaaahh!» BB mugugnò e diede un morso a quella specie di mela, prima che pensieri particolarmente malevoli cominciassero a prendere forma nella sua mente.

 

***

 

«Ho guarito le sue ferite. Presto si rimetterà» annunciò Corvina, alzandosi in piedi, rivolgendosi a Stella.

La rossa, accanto al letto in cui Robin era sdraiato, annuì lentamente, gli occhi incollati sul compagno. Avevano accompagnato nell’infermeria il moro quando la festa era iniziata. Corvina si era offerta di occuparsi delle ferite del leader, e non c’era voluto molto prima che la pelle di lui fosse tornata al suo antico splendore. Robin si era addormentato poco dopo, sicuramente provato dallo scontro con Slag tanto mentalmente quanto fisicamente.

«Ti guardava nello stesso modo quando eri tu quella sdraiata.»

Quelle parole fecero drizzare il capo di Stella. Si voltò verso Corvina, che stava sorridendo debolmente. Un tenue sorriso nacque anche sul volto della tamaraniana. «Ricordo che me l’avevi detto…» Stella accarezzò Robin tra i capelli. «… è rimasto accanto a me per tutto il tempo, quando ero svenuta.»

Corvina annuì, rimanendo in silenzio.

Stella tornò a guardare Robin. Tutto ciò che avevano passato, ancora in quel momento, non le sembrava reale. Non solo nelle ultime settimane, ma praticamente da quando si erano conosciuti la prima volta. Quante avventure avevano vissuto, e quanti nemici avevano affrontato. Alcuni temibili, altri un po’ meno, da chi aspirava a comandare il mondo a chi, invece, voleva direttamente distruggerlo. Chissà quante altre avventure ancora avrebbero atteso tutti loro.

Non lo sapeva, sapeva solamente che sia tra tutte le avventure passate c’era un elemento in comune: Robin era sempre stato con lei. E non riusciva affatto ad immaginarsi un futuro senza di lui.

«Stella» la chiamò Corvina all’improvviso, catturando di nuovo la sua attenzione. La maga pareva pensierosa, incerta. Quando i loro sguardi si incrociarono, la sua amica parve esitare. «Io… vorrei… dirti una cosa…»

«Che cosa?» domandò la tamaraniana.

«Ecco…» Corvina si mordicchiò un labbro. «Comincio col dirlo a te, perché… siamo amiche, e so che tu non mi giudicherai, ma vorrei dirlo a tutti, in futuro, e… vorrei che tu possa aiutarmi.»

«Ma certo, amica Corvina» annuì Stella, sorridendo. «Cosa vorresti dirmi?»

«Beh… io…» La maga sospirò, abbassando il capo. «Vedi, io e… e Terra… sti… stiamo… stiamo insieme.»

Non appena pronunciò quelle parole drizzò di nuovo lo sguardo verso di lei. Stella dischiuse le labbra, mentre la maga sembrava volerle chiedere con lo sguardo di risponderle, di dirle cosa ne pensava di quelle parole. Ma soprattutto, sembrava spaventata da una sua possibile risposta.

Sicuramente, non poteva aspettarsi la reazione che invece Stella le diede. La rossa sorrise quasi maliziosa. «Lo sapevo già, amica Corvina.»

La sorpresa che aveva provato poco prima non era dovuta alla rivelazione in sé, quanto più al fatto che Corvina stessa avesse deciso di aprirsi a lei in quel modo.

«C-Cosa? Come facevi a… a…»

Il sorriso di Stella raddoppiò di misura. «Vi ho viste, quella volta, sulla nave…»

Corvina spalancò la bocca oltre i limiti conosciuti. Fino a quando la sua espressione sorpresa non si tramutò in indignazione. «Lo avevo detto a Terra di non farlo…» mugugnò, infastidita. «Dopo me la paga…»

Stella ridacchiò. «Sono solo felice che anche tu abbia finalmente trovato la tua metà. Mi ha sorpreso sapere che fosse Terra, però… l’importante è che tu sia felice. E poi… siete carine, insieme…»

La maga arrossì. Il che fu tutto dire, visto che Stella mai l’aveva vista con le guance di una tonalità di colore diversa da quel grigio che la caratterizzava. Poi, lentamente, Corvina riuscì a sciogliersi e a sorridere nuovamente. «Grazie, Stella.»

«Non c’è di che.» La tamaraniana congiunse le mani di fronte al ventre. «Grazie a te per aver guarito Robin. Ora però penso che dovresti recuperare un po’ di tempo perso con Terra… insomma, con tutta la storia della Salvatrice… credo che…»

«Ora basta, Stella…» mugugnò Corvina, accigliandosi. «Ho afferrato il concetto…»

Stella ridacchiò nuovamente, e malgrado tutto anche Corvina riuscì a sorridere ancora. La maga si congedò, augurando a Stella che Robin si riprendesse presto, e lasciò la stanza.

La tamaraniana si sedette sul bordo del letto, accanto al compagno, sospirando. Un mugugno proveniente da Robin, tuttavia, la fece girare verso di lui. Lo vide sveglio, con gli occhi aperti, ed un tenue sorriso sul volto. «Corvina… e Terra?» domandò, con la voce leggermente impastata.

L’aliena si chinò su di lui e gli stampò un bacio sulle labbra. «Da quanto eri sveglio?»

«Abbastanza…» mormorò Robin, accarezzandole una guancia. «Quando lo scoprirà, BB darà di matto…»

«Secondo me no» replicò Stella, posando una mano su quella dell’amato. «Secondo me capirà. Però…»

Percorse il petto di Robin con le dita della mano libera, lentamente, per poi mordicchiarsi un labbro. «Non è una cosa che riguarda noi due…»

Robin ridacchiò, poco prima che la tamaraniana gli appioppasse un altro bacio, questo molto più intenso del precedente. Stella lo amava, lo amava per davvero, e mai si sarebbe stancata di ripeterselo. E quando, quello stesso giorno aveva rischiato di perderlo, aveva creduto che sarebbe potuta impazzire. Non poteva immaginare una vita senza di lui. Non voleva una vita senza di lui. Lo amava. E perciò, avrebbe permesso a lui di amarla a sua volta.

Man mano che il bacio proseguiva, Stella allontanò la coperta da sopra il corpo di Robin, infilandosi lentamente nel lettino assieme a lui. La mano della rossa si avviò lentamente verso la vita del moro, che parve rendersi conto di quello che stava accadendo. Si separò dal bacio, sorpreso. «Stella…» mormorò.

La ragazza allargò il suo sorriso dolce. «Sì?»

I loro sguardi si incrociarono, e ciò permise a Robin di capire davvero le sue intenzioni. «Vuoi… vuoi farlo davvero?»

In un istante, le loro labbra si ritrovarono a pochi millimetri di distanza le une dalle altre. «Sì» sussurrò Stella, tutto d’un fiato.

Robin la studiò ancora per un istante, poi sorrise, e le loro labbra poterono unirsi nuovamente.

 

***

 

«Non posso credere che Galvor sia riuscito a svignarsela per davvero…» mugugnò Rosso, seduto su una sedia in disparte, accanto ad Amalia.

La coppietta si era appartata in un angolo dell’atrio, ed aveva partecipato alla festa più da spettatrice che altro. Rosso non era mai stato particolarmente in vena di festeggiamenti, ancora di meno in quel momento, consapevole del fatto che il verme che li aveva quasi fatti ammazzare tutti era a piede libero chissà dove.

«Su, su, coraggio, mio bel tenebroso…» lo consolò la tamaraniana, dandogli qualche pacca sulla schiena, sghignazzando. «Lo sai che mi fai impazzire quando sei così cupo, vero?»

Red X abbozzò un sorrisetto, dopodiché diede un bacio alla futura madre di suo figlio. Se non altro, tra lui e Amalia era di nuovo tutto come prima, il che era meglio di qualsiasi altra cosa. Accarezzò il ventre della ragazza, che era caldo e morbido come sempre.

Corvina e alcune fongoid avevano controllato anche la sua pancia, prima di occuparsi di Robin, e la maga le aveva assicurato che il feto era ancora perfettamente in buona salute, malgrado i graffietti di Shyltia. Pensare al loro bambino, non fece che ricordargli ciò che sempre Galvor aveva detto per provocarlo, e la cosa non aiutò per nulla a tranquillizzarlo.

«Non sai cosa diceva di te alle tue spalle…» sbottò ancora Rosso, tornando serio. «… se ci ripenso, giuro che…»

«Lucas» lo chiamò lei con il suo nome vero, facendolo sussultare. Prese il suo volto tra le mani, cercando di sorridere in maniera più dolce e comprensiva. «Che cosa abbiamo imparato sulle vendette inutili, io e te?»

Red X storse la bocca, per poi sospirare. Lo diceva la parola stessa. «Che… sono inutili.»

«Esatto. Se Galvor è scappato nella foresta non andrà molto lontano in ogni caso. Probabilmente i Basilischi se lo mangeranno, se gli va bene. Se gli va male, sarà costretto a tornare al villaggio, dove troverà ad attenderlo una mandria di fongoid incazzati neri per quello che ha fatto. Direi che non dobbiamo più preoccuparci di lui.»

«E se causasse altri problemi? E se…»

«Santo cielo, Rosso…» Amalia roteò gli occhi. «Sembri Robin…»

Non appena pronunciò quelle parole, Red X rimase a bocca semiaperta. No, non poteva averlo detto davvero. «Che… che cosa?»

Amalia ridacchiò, strofinando il pollice lungo il suo zigomo. «Niente, niente…»

«Davvero? Perché a me è sembrato proprio di sentire…»

La tamaraniana lo zittì stampandogli un altro bacio. Rosso abbozzò un sorriso, mentre lasciava che la compagna lo trasportasse assieme a lei in quel mondo magico che erano le loro effusioni.

Aveva ragione Amalia, Galvor non sarebbe più stato un problema. Non con la Reliquia e gli Zoni di nuovo in giro. E, soprattutto, non lo sarebbe stato per loro, visto che l’indomani sarebbero partiti.

L’indomani si sarebbero trovati a casa loro, sdraiati nel materasso pulcioso, di nuovo in compagnia dei loro coinquilini scarafaggi e con le sirene delle auto della polizia a svegliarli nel cuore della notte.

Non vedeva l’ora. Anche se forse quello non era l’ambiente ideale in cui crescere il loro futuro figlio, ma qualcosa si sarebbero inventati. L’unica cosa che contava davvero in quel momento era che potessero, finalmente, lasciare quel pianeta e, soprattutto, il maledetto spazio per potersene tornare nella sua amata Terra.

«Ti amo» sussurrò Lucas, quando si separarono.

Amalia lo accarezzò. «Anch’io. Che ne dici di… trovare un posto più appartato?» mormorò, strofinando l’indice sul suo petto.

Rosso sorrise. «Penso che sia un’ottima idea.»

 

***

 

Cyborg si chinò sopra il corpo di uno dei pirati distrutti nel villaggio e chiuse le mani attorno al cranio. Grugnì per lo sforzo, poi lo staccò dal resto del corpo, lasciando scoperti alcuni cavi e circuiti bruciacchiati. Il ragazzo esaminò con attenzione il contenuto della testa, valutando se poteva riutilizzare qualcuno di quei pezzi, uno in particolare.

L’aliena misteriosa lo raggiunse in quel momento, mostrandogli una manciata di componenti elettronici che aveva raccolto. Cyborg li esaminò e, con un sorriso, constatò che erano quasi tutti in condizioni piuttosto buone. «Quelli vanno bene. Bel colpo!»

La ragazza ricambiò il sorriso, arrossendo leggermente, e consegnò ciò che aveva trovato al titan.

«Grazie ancora per aver deciso di accompagnarmi» proseguì il cyborg, alzandosi in piedi. «A proposito… come dovrei chiamarti? Insomma, per quanto "ragazza" possa essere accurato, non mi sembra proprio un granché…»

L’aliena si prese il mento, pensierosa, per poi sollevare un indice, come se avesse avuto un’idea. Si accovacciò a terra e cominciò a tracciare alcuni segni con il dito su del terriccio accanto alla strada, tuttavia la sua buona volontà non bastò a rendere quel gesto utile, in quanto scrisse quello che doveva essere il proprio nome tuttavia in una lingua aliena al robot totalmente sconosciuta.

«Mi dispiace, ma non capisco cosa ci sia scritto…» mormorò Cyborg.

«Mh.» L’aliena mugugnò, picchiettandosi la guancia per un breve istante, fino a quando non sembrò avere un’altra idea. Si alzò in piedi e gli fece cenno di seguirlo, poi cominciò a correre. Incuriosito, Cyborg la seguì.

Raggiunsero la nave che avevano sequestrato ai pirati, ancora parcheggiata nel cortile del palazzo, e vi salirono sopra. La ragazza corse fino alla sala comandi, dove si chinò su una consolle. Accanto a lei, Cyborg la osservò assorto mentre digitava alcune parole, sempre a lui incomprensibili, sullo schermo, fino a quando l’aliena non schiacciò qualcos’altro, facendo apparire una specie di elenco sul monitor. Navigò tra le diverse opzioni, fino a quando non sembrò trovare quella che stava cercando. Premette un altro tasto e la parola sullo schermo, dapprima costituita da lettere in quella strana lingua aliena, si tramutò in una molto più semplice da comprendere.

Non appena lesse quel nome sullo schermò, tuttavia, Cyborg rimase esterrefatto.

«K… Kelwa?» domandò, incerto. La ragazza annuì con un sorriso entusiasta.

Il robot schiuse le labbra, reazione che parve stupire la ragazza. Kelwa si rimise a scrivere sullo schermo, ora formulando una domanda:

"Che succede?"

Cyborg la osservò perplesso, spiazzato anche dal metodo di comunicazione che avevano appena trovato, e rispose: «Per caso… conosci un certo Dewys? È un alieno che…» Se solo avesse ancora avuto l’occhio, Cyborg lo avrebbe spalancato. Ma come aveva fatto a non accorgersene prima? Dewys, l’alieno ribelle che aveva visto al Parco Marktar… era praticamente identico alla ragazza che aveva di fronte.

Non appena fece quel nome, infatti, anche Kelwa rimase esterrefatta. Si affrettò a scrivere di nuovo sulla tastiera.

"Lo conosco… è mio fratello. Tu come sai di lui?"

Il robot si passò una mano sopra la testa. Mai in tutta la vita avrebbe pensato di trovarsi in una situazione del genere. L’alieno che aveva messo a ferro e fuoco e distrutto il Parco Marktar assieme ad un esercito di altri alieni infuriati come tori era il fratello della ragazza di fronte a lui. E non solo, si poteva dire che era proprio Kelwa la causa di tutto, visto che lo stesso Dewys aveva parlato di lei, dicendo di volerla vendicare per ciò che le era successo a causa degli schiavisti. Suo fratello aveva creduto che fosse morta, ma, in quel momento, sembrava più viva che mai.

«È una storia lunga…» mugugnò il titan bionico, mentre ripensava a tutto quello che era successo. «Per tagliare corto, diciamo che io e i miei amici ci siamo ritrovati nel Parco Marktar, per salvare la nostra amica e sua sorella, le due tamaraniane. Uno schiavista di nome Metalhead le aveva rapite per venderle.»

Kelwa rimase a bocca aperta.

"METALHEAD IL JUGGERNAUT?!"

«Sì. Sono stati lui e il suo amico a… a farmi questo…» Cyborg si indicò la cicatrice sull’occhio, con un groppo amaro in gola. Quella notte, sembrava fosse arrivata la fine sia per lui che Beast Boy. Se ci ripensava, per certi versi ancora non riusciva a credere di essere ancora vivo.

Sussultò quando Kelwa mise una mano sul suo volto, sfiorando appena la cicatrice. Cyborg provò uno strano brivido lungo il corpo, il poco che ancora poteva percepire simili sensazioni. La piccola mano dell’aliena era molto più calda e soffice di quanto avrebbe mai potuto credere.

Kelwa terminò quel piccolo contatto, poi tornò a scrivere:

"Mi dispiace per quello che ti è successo. Deve essere stato terribile."

Cyborg sospirò. «È la vita che ho deciso di fare, questa. Conoscevo i rischi a cui sarei andato incontro quando ho deciso di affrontare criminali e assassini. Mentirei se dicessi che non ho mai temuto che situazioni del genere avessero potuto verificarsi. Avrò anche perso una delle poche cose che ancora mi rendevano umano…» Cyborg si sfiorò l’occhio chiuso. «… ma non ha importanza. Non conta come siamo fuori, ma come siamo dentro. Sono le azioni che compiamo che ci definiscono, e le emozioni che proviamo a renderci "umani". Sarò anche simile a loro, ma io non ho nulla in comune con i robot spietati che abbiamo incontrato.»

A quelle parole, Kelwa riuscì a sorridere e ad annuire timidamente. Strofinò di nuovo il pollice sul volto di Cyborg, gesto dal quale lui non si oppose, fino a quando l’aliena non decise di separarsi nuovamente per tornare a scrivere.

"E che cosa è successo al Parco Marktar? Ho sentito che è stato distrutto… è vero?"

«Sì» annuì il robot. «Da tuo fratello.»

Ancora una volta, Kelwa parve sconvolta.

«Lui e un gruppo di schiavi si sono ribellati alle guardie. Da come erano organizzati, sembrava quasi che stessero pianificando quel giorno da mesi. Si sono mischiati in mezzo ai prigionieri che sarebbero stati venduti all’asta, e hanno messo a ferro e fuoco il posto. Mentre la battaglia infuriava, Dewys e salito sul palco e ha espresso tutto il suo odio verso lo schiavismo. Infine… ha anche parlato di te.»

"Di me?"

«Ha detto che lo stava facendo per vendicare la… la tua morte.»

Kelwa si coprì la bocca, gli occhi strabuzzati. Osservò per un momento il pavimento, chiaramente pensierosa e combattuta, fino a quando non si morse un labbro e tornò a scrivere:

"Io e lui siamo stati costretti a lavorare in un campo di prigionia per quasi un anno… ci occupavamo di curare una piantagione, assieme ad un gruppo di altri schiavi. Non è stato semplice per noi, ma siamo riusciti a resistere, perché sapevamo che potevamo contare l’uno sull’altra. Un giorno, però, c’è stato un incidente: è scoppiato un incendio, che ha divorato l’intera piantagione e distrutto il campo. Approfittando del caos alcuni schiavi si sono ribellati. Mentre io e Dewys cercavamo di scappare, però, alcune guardie ci hanno braccato, intrappolandoci in mezzo all’incendio. L’unica cosa che ricordo di quel momento, è il muro di fuoco alto due metri che ci divideva. Lui mi ha urlato di scappare, e io l’ho ascoltato. Alcune guardie hanno sparato, ma non sono stata colpita. Sono riuscita a uscire da quell’inferno e a scappare con alcuni schiavi su una navicella rubata, ma di mio fratello non c’era traccia. Per tutto questo tempo… ho temuto che avessero sparato proprio a lui."

Cyborg lesse quelle righe con un misto di emozioni contrastanti dentro di sé. La cosa che più lo sorprendeva, era la tempra che Kelwa aveva dimostrato riuscendo a scrivere così tanto su quell’episodio così spiacevole senza mai fermarsi. Non sapeva cosa pensare del fatto che proprio in quel momento stesse parlando con una persona che aveva vissuto lo schiavismo sulla propria pelle.

L’aliena si sollevò una manica dell’uniforme verde, mostrando un segno sul proprio braccio al ragazzo. Dapprima Cyborg lo scambiò per una cicatrice, ma quando lo vide meglio, realizzò che era molto peggio: era un marchio. Non aveva idea di che simbolo fosse quello impresso sulla sua pelle, ma non ci voleva una mente particolarmente brillante per intuirlo. Kelwa sistemò di nuovo la manica, tornando ad osservare il pavimento con lo sguardo smorto.

«Ehi.» Cyborg la strinse al braccio, riuscendo ad incrociare di nuovo il suo sguardo. «So che per te deve essere stato terribile. Ma ora… è passato. Il Parco Martkar è stato distrutto, e Metalhead e un sacco di quei vermi come lui sono stati uccisi. Il messaggio che tuo fratello ha lanciato è più potente di qualsiasi esercito di mercenari. L’universo intero comincerà a ribellarsi al Dominio. Lo schiavismo non avrà ancora vita lunga, credimi.»

Kelwa rimase ad osservarlo per un breve istante, mordendosi un labbro. Lo abbracciò di getto, singhiozzando sommessamente. Cyborg fece un verso sorpreso, ma non passò molto prima che un tenue sorriso nascesse sul suo volto. Ricambiò la stretta, avvolgendo l’esile corpo di Kelwa tra le sue braccia. Avvertì il calore provenire dal suo corpo, e il suo lieve tremolio. Gli sembrò così fragile, così delicata, non sembrava vero che fosse riuscita a resistere a mesi e mesi di schiavitù. Era molto più tosta di quello che sembrava.

L’aliena affondò il volto nel suo petto e così vi rimase per diversi minuti. Quando infine si separarono, Kelwa si strofinò una mano sotto l’occhio, per poi tornare ad osservarlo. Parve concentrarsi particolarmente sulla cicatrice del robot. L’aliena la studiò brevemente, poi tornò a scrivere:

"Aspetta qui."

Kelwa corse via. Cyborg la seguì con lo sguardo, confuso, ma decise di obbedire. Si appoggiò alla consolle, sospirando. Si guardò attorno, ringraziando di essere riuscito a recuperare quella nave: non solo grazie ad essa sarebbero potuti tornare a casa, ma era anche riuscito ad usarla per ricaricare la propria energia prima che fosse troppo tardi. E poi era riuscito anche, finalmente, a comunicare con Kelwa. Malgrado non potessero parlare alla vecchia maniera, era comunque gradevole per lui riuscire finalmente a comprenderla. Stare con lei, parlarci, lo faceva stare bene. E anche l’abbraccio che si erano scambiati, raramente aveva sentito quel calore provenire dal corpo di qualcuno, e soprattutto quella sensazione di benessere che era nata dentro di lui. L’idea di Kelwa che soffriva lo aveva infastidito terribilmente, ed era stato bellissimo riuscire a farla stare meglio. Dopotutto, era suo compito aiutare il prossimo.

L’aliena tornò in quel momento, stringendo qualcosa tra le mani. Gli sorrise e gli consegnò l’oggetto: una piccola scatola di vetro, contenente un bizzarro gas azzurro.

"Credo che questa sia la scorta di Shyltia, o di Caruso. Si chiama Nanotech" spiegò Kelwa. "Viene utilizzato da militari e forze speciali, ma non è raro trovarlo da contrabbandieri o mercati neri. È in grado di guarire qualsiasi ferita."

Cyborg schiuse le labbra. «Qualsiasi?»

L’aliena annuì. "È un gas composto da miliardi di nanobot. Se inalati, i nanobot raggiungeranno la ferita da sistemare e si comporteranno come cellule organiche, ricostruendo il tessuto danneggiato fino a quando le cellule vere non si rigenereranno e potranno tornare ad occupare il loro posto. Possono aggiustare qualsiasi cosa. Anche un occhio."

Il titan quasi non credeva a ciò che stava leggendo. Osservò attentamente il Nanotech, ammaliato. Quel gas blu… in realtà erano miliardi di creaturine artificiali. Ma non era quella la parte più sorprendente: potevano restituirgli il suo occhio. E forse… non solo quello. Cyborg si strofinò una mano sul petto, osservandolo mesto. Il suo intero corpo… sarebbe potuto tornare quello di un tempo. Sarebbe potuto tornare ad essere un umano a tutti gli effetti. Avrebbero perfino potuto restituire il braccio a Rosso. Era… incredibile. Un motivo per cui si era messo ad esaminare i corpi dei pirati caduti era anche per cercare un nuovo occhio biotico, ma ora… ora non ne aveva più bisogno. Osservò Kelwa, la quale doveva essere completamente ignara di quanto, effettivamente, quel gesto fosse stato importante. Ora fu lui ad abbracciarla per primo. La ragazza avvolse le braccia attorno al suo collo, sospirando compiaciuta.

«Ti ringrazio, Kelwa» affermò il robot.

Kelwa separò lentamente il capo da lui, facendo sì che si trovassero faccia a faccia. Sorrise dolcemente, tornando ad accarezzargli la guancia. I loro sguardi si incrociarono, ed il sorriso svanì lentamente dal volto dell’aliena, lasciando posto ad un’espressione molto diversa. Espressione che Cyborg ricambiò. Un istante dopo, le loro labbra si incontrarono, e i due cominciarono a baciarsi teneramente.

Era da tanto tempo che Cyborg non si sentiva così. Quel bacio, il respiro di Kelwa sul suo volto, i suoi versi bramosi… riuscirono a farlo sentire vivo, in tutti i sensi della parola. Per una volta, Cyborg non si sentì più l’ibrido meccanico che aveva sempre creduto di essere, ma un uomo a tutti gli effetti, e senza Nanotech. Aveva baciato diverse ragazze nel tempo, ma solamente Kelwa riuscì a trasmettere quella sensazione in lui.

Quando si separarono, entrambi sorrisero. Kelwa rimase tra le sue braccia ancora per poco, fino a quando non si sciolse dalla sua stretta.

"Ti farà un po’ male per qualche minuto, ma non appena sarai guarito, non sentirai più nulla."

Cyborg annuì, tornando ad osservare il Nanotech. Non lo avrebbe assunto subito, tuttavia. Lo avrebbe portato a casa con sé e lo avrebbe studiato con più attenzione. «Lo terrò a mente. A proposito… non potresti usarlo anche tu per la tua voce?»

Kelwa scosse la testa. "Io sono nata con questa malformazione. Il Nanotech non può riparare qualcosa che non è rotto. Per parlare ho sempre utilizzato un modulatore di voce artificiale, ma me l’hanno sottratto quando ero una schiava, così ho sempre utilizzato il linguaggio dei segni."

«Capisco… e… cosa è successo dopo la tua fuga? Come sei finita sulla nave di Slag?»

"Io e il resto degli schiavi abbiamo chiesto aiuto ai Ranger Galattici. Loro ci hanno ospitati in uno dei loro rifugi, e con il tempo hanno aiutato gli schiavi che ancora avevano casa e famiglie a raggiungerle. Io però ero orfana, e la mia unica famiglia era Dewys. Non avendo un posto dove andare, mi hanno trovato una sistemazione in un pianeta ai confini della Galassia, una specie di grossa stazione di servizio per le navi di passaggio. Ho lavorato in un locale per diversi mesi, non era un granché, ma se non altro ero libera. Qualche giorno dopo la presunta distruzione del Parco Marktar, però, i pirati di Slag si sono fermati al locale per una sosta, e non appena Caruso mi ha vista ha iniziato a comportarsi in maniera strana… ma non avrei mai pensato che mi avrebbero rapita. Adesso che so che è stato Dewys a distruggere il Parco Marktar, posso intuire perché lo abbiano fatto. Il Dominio pagherebbe miliardi per avere la sua testa. I pirati volevano arrivare a lui tramite me."

Cyborg annuì, chinando leggermente il capo. «Cosa farai ora?» Una parte di lui avrebbe voluto chiederle di venire sulla Terra con loro, ma dubitava che sarebbe successo davvero. A dimostrazione di quel pensiero, Kelwa scrisse:

"Devo cercare Dewys. Deve sapere che in realtà sto bene. E voglio aiutarlo nella sua battaglia."

Lo sguardo determinato dell’aliena fece ben intendere che le sue intenzioni erano proprio quelle. Non era affatto intenzionata a lasciarsi scivolare addosso tutto quello che le era successo. Anche lei voleva vendicarsi del Dominio, era palese. E se quello era il suo desiderio, allora Cyborg avrebbe quantomeno cercato di rendersi utile.

«Beh… se vuoi possiamo accompagnarti in un luogo sicuro, dove potrai mandare un messaggio ai ribelli. Quando verranno a prenderti… potremo salutarci.»

Kelwa annuì, sorridendo lievemente.

"Non mi dimenticherò di te."

«Neanch’io» rispose Cyborg, tuttavia con un groppo alla gola.

Kelwa distese il sorriso, dopodiché si rimise in punta di piedi, per cercare ancora una volta le sue labbra. Cyborg la strinse per i fianchi, sollevandola, portandola alla sua altezza, e si assicurò che quel bacio rimanesse per lungo tempo ben impresso nella sua mente.

 

***

 

«L'hai... l'hai detto a Stella, allora?» mormorò Terra, sedendosi accanto a Corvina.

La maga annuì. «Sì. Ha detto che era felice per noi... e anche che ci aveva viste, quella volta, sulla nave...»

«Oh...» Terra avvampò. «Ehm... b-beh...» La bionda si interruppe, quando la maga afferrò la sua mano.

Terra schiuse le labbra, ma accorgendosi dell'espressione tranquilla della maga, sorrise. Sapere che Stella approvava il loro rapporto riusciva a rincuorarla... doveva solo sperare che fosse lo stesso anche per tutti gli altri. Fece vagare lo sguardo lungo l'atrio, dove solamente pochi fongoid intenti a dare una ripulita erano rimasti. La festa era finita, ormai, e tutti i loro amici si erano ritirati nelle loro stanze. La sera stava calando, quella sarebbe stata la loro ultima notte al palazzo.

«Dovremmo… tornare in camera anche noi… magari puoi fermarti a dormire nella mia... che ne pensi?»

Corvina si voltò verso la geomante, sollevando un sopracciglio. Terra sentì le guance bruciare, ma tenne lo sguardo saldo su di lei.

«Cosa vorresti insinuare, scusa?» sbottò la maga. «Con chi credi di parlare? Io sono la Salvatrice. Sono una figura di rilievo, qui. Secondo te posso abbassarmi a certe volgarità?»

Terra la osservò basita. Tuttavia, intuendo la natura scherzosa delle parole della maga, decise di stare al gioco. Squittì indignata, facendo sventolare i capelli biondi. «Come ti pare. Sei tu quella che ci rimette, qui. Di certo non io.»

La maga ridacchiò sommessamente, scoccandole un bacio sulla guancia, gesto che sorprese non poco Terra. Non c’era praticamente nessuno in vista, ma comunque vedere Corvina compiere quel gesto così all’aperto fu piuttosto sorprendente.

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo, ridacchiando entrambe sommessamente. Terra avrebbe voluto baciarla, ma una terza voce fece sobbalzare tutte e due: «Signorine.»

Corvina e Terra si voltarono, trovandosi di fronte Canoo, in compagnia di una fongoid. Lo sciamano sorrise, mentre le due compagne divennero una più rossa dell’altra.

«Non mi avevi detto che la Salvatrice aveva questo tipo di preferenze» mormorò la fongoid, afferrando il braccio di Canoo.

«Non ne ero proprio certo…» ribatté quest’ultimo, per poi chinare il capo, in segno di scuse. «Mi spiace di avervi importunate, ma la mia compagna era ansiosa di conoscerti di persona, Corvina.»

Terra osservò la fongoid, sorpresa. Quindi anche Canoo aveva la sua dolce compagnia. Fino a quel momento la geomante aveva creduto che questo fosse sposato con il proprio credo, o che addirittura avesse una relazione con Alpheus stesso. Quei due erano sempre insieme, del resto…

La fongoid nel frattempo porse la mano verso Corvina, che la strinse. «Lieta di fare la tua conoscenza. Grazie per aver riportato la Reliquia, almeno ora questo zuccone la smetterà di trascurarmi…»

Canoo roteò gli occhi. «Jensa, ti prego…»

La fongoid ridacchiò, e malgrado tutto, anche Corvina sorrise. «È stato un piacere.»

«A proposito… dov’è la regina?» domandò Terra, intromettendosi, mentre pensava proprio allo stesso Alpheus.

Jensa, la fongoid, si incupì a quella domanda, e lo stesso fece Canoo. «La regina Katara è mancata durante il periodo delle carestie» mormorò lo sciamano. «Era gravemente malata, e il duro periodo a cui siamo andati incontro dopo l’arrivo dei predoni non fece altro che peggiorare le sue condizioni.»

«Oh…» mormorò Terra, sorpresa.

«Era nostra amica» fece eco Jensa, chinando il capo. «Era un modello da seguire per tutte noi fongoid. Ma il dolore che il popolo ha provato per la sua scomparsa non deve essere stato nemmeno un decimo di quello che deve aver provato Alpheus.»

Anche Terra abbassò lo sguardo. Ora capiva perché Alpheus era sempre apparso così serio, malgrado la presenza del ben più vivace Canoo.

«Ci dispiace» mormorò Corvina, al che lo sciamano sorrise di nuovo.

«Non dovete dispiacervi di nulla. Ciò che avete fatto non ci avrà restituito i nostri cari caduti, ma ha comunque fatto molto più di quanto pensiate: ci ha donato una speranza. Io ed Alpheus temevamo che saremmo stati gli ultimi sciamani e re della nostra stirpe, ma voi avete impedito che questo si verificasse. Se i fongoid continueranno a prosperare, è solo merito vostro… anche se l’appellativo "ultimo sciamano" non suona poi così male…»

«Certo, peccato che nessuno sarebbe rimasto in vita per poterne narrare la storia» lo rimproverò Jensa. Canoo ridacchiò. «Sì, giusto. Beh…» Chinò ancora il capo, questa volta in segno di rispetto verso Corvina e Terra. «Direi che abbiamo rubato abbastanza del vostro tempo. Ci rivedremo domattina, dove potrò darvi gli ultimi saluti. Per il momento posso solo augurarvi buona notte.»

Jensa annuì. «Buona notte, ragazze.»

«Altrettanto» sorrise Corvina, scambiandosi un altro sguardo con Terra. La geomante sorrise, posando una mano sopra la sua. La maga gemette sorpresa, ma non si sciolse da quel contatto.

«Divertitevi» salutò anche la bionda, spostando un’ultima volta lo sguardo verso i fongoid.

Canoo e Jensa si congedarono, con quest’ultima che, prima di allontanarsi del tutto, borbottò ancora al compagno, strappandogli un risolino: «Che strani i terrestri…»

«Tu vuoi morire prematuramente…» mugugnò la maga, una volta che i due furono sufficientemente distanti.

«Beh, considerando che sono già morta due volte… direi che sono a posto così.»

L’espressione contrariata di Corvina divenne mortificata all’improvviso, quando si rese conto di ciò che aveva appena detto. «S-Scusa… non… non volevo…»

Terra la zittì premendo le labbra sulle sue. Corvina arrossì nuovamente, per quanto possibile. Era inutile, la geomante non si sarebbe mai stancata di provocare la maga, le sue reazioni erano troppo divertenti, e sicuramente non si sarebbe mai stancata dei loro baci. Quando si separarono, Terra sorrise, accarezzandola dolcemente.

«Non sai quanto ti ami, Corvy…»

Corvina abbozzò un sorriso, appoggiando la mano su quella della bionda. «Se mi ami almeno la metà di quanto ti ami io, allora penso di saperlo eccome.»

«Ew. Troppo miele» mugugnò Terra, strappando un risolino alla maga.

«Smettila» sbottò Corvina, cercando nuovamente le sue labbra.

Anche la geomante ridacchiò. Era tutto finito, ed erano di nuovo assieme. Mentre la baciava nuovamente, Terra si fece una promessa: questa volta, non avrebbe permesso più a nulla e nessuno di separarle ancora.

 

 

 

 

 

 

 

 

Beh, che dire ragazzi. Ci sono voluti anni, ma alla fine, eccoci qui. Mi dispiace per tutti gli alti e bassi che vi ho costretti a sopportare, voglio solo che sappiate che sono assolutamente grato a chiunque stia leggendo questa storia. Non posso sapere se siete lettori veterani o meno, ma vi ringrazio in ogni caso. Vi ringrazio per aver avuto pazienza e avermi seguito fino ad oggi, se siete veterani, vi ringrazio invece di avermi dato una possibilità, se siete nuovi. In ogni caso, grazie.

Questo non è l’ultimo capitolo, il prossimo sarà l’ultimo, e a quel punto potremo salutarci come si deve. Grazie, davvero, grazie. Alla prossima!

 

p.s Chiedo scusa per il macello che ho fatto nello scorso capitolo, con quelle ripetizioni assurde all'inizio dei paragrafi e l'errore nel numero del capitolo, durante la scrittura ero un po' incerto e alla fine ho fatto un po' di bricolage fatto male, tra copia, taglia ed incolla vari. Spero possiate perdonarmi... non che a me cambi la vita, tanto so già che mi odiate comunque per avervi fatto aspettare così tanto per far uscire questi capitoli. 



P.p.s Questa è Kelwa. Non mi pare di averla già mostrata in passato. Ringrazio Talwyn Apogee per avermi prestato il suo volto. Grazie Talwyn. So che non esisiti davvero, ma non importa. 

   
 
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