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Autore: Iperuranioemo    23/07/2018    2 recensioni
Parigi, 1912.
Dominique Giraud fu, per molti anni, uno scrittore molto acclamato dalla critica francese per la sua raccolta di poesie "Exubérance et Pensée"; ma le sue opere successive non diedero il successo desiderato, rendendolo sempre di più uno sconosciuto agli occhi di tutti, arrivando a ventotto anni sulla soglia della povertà. La sua vita cambierà quando conoscerà un pianista emergente viennese, Niklas Lang, che gli fa una proposta insolita: abbandonare tutto e iniziare un viaggio sulle rive del Danubio.
Il 1912, anno in cui gli equilibri stabiliti dalla Belle Époque iniziano a frantumarsi, é anche l'inizio di un viaggio. Un viaggio che porterà i protagonisti alla scoperta non solo dell'altro, ma soprattutto di loro stessi.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
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Anastasie stava spezzettando una pagnotta di pane in tanti piccoli pezzetti, mentre Maxime si stava versando il suo terzo bicchiere di un vino rosso, prodotto dalle vigne di un suo amico in Borgogna. Il pranzo ormai si stava per concludere. Il piatto principale era costituito da tre filetti di carne d'anatra con contorno delle verdure. I padroni di casa mangiarono con gusto il pranzo preparato dalla domestica, la quale riceveva continui complimenti per le sue doti culinarie. Dominique, però, non ebbe lo stesso appetito dei Lafebvre: mangiò metà del suo piatto e rimase per tutto il tempo del pranzo a giocherellare con quello che aveva lasciato, come un bambino che aveva davanti un piatto che odiava. In sé la carne gli piaceva, ma era da un po' di tempo che aveva perso completamente l'appetito. Il cibo è fonte di sussistenza dell'uomo e, per molti, uno dei principali godimento terreni, ma lui non avvertiva né l'istinto di sopravvivenza né il piacere. Ogni sensazione era ormai svanita nel momento in cui aveva capito di non essere più vivo, con l’anima che si era definitivamente staccata dal corpo. Quando arrivò la cameriera per sparecchiare, dovette sforzarsi di sorridere e di biascicare un complimento, seguito da una giustifica per il fatto di aver mangiato poco.

“Come hai passato questa settimana Dominique? Sei uscito a prendere almeno una boccata d'aria?” domandò Anastasie, per poi mangiare l'ultimo pezzetto di pane.

“Lunedì sera sono andato alla cattedrale della Santa Trinità e mi sono seduto su una panchina. Sono rimasto lì per circa un'ora”.

“E il resto della settimana sei rimasto a casa?”

“Sì, ho una nuova idea per un possibile romanzo, questa volta d'amore. Magari così ho un pubblico più ampio”.

La signora Lafebvre era preoccupata della situazione in cui versava il fratello. Era da gennaio che aveva iniziato a chiudersi sempre di più in se stesso e a rifiutare il più possibile i contatti con altre persone. Rimaneva nella sua camera, seduto sul letto a rimuginare su una possibile idea per riemergere. Più passava il tempo e più aveva perso il piacere di scrivere qualsiasi cosa: la sua demotivazione lo aveva portato dallo scrivere per diletto allo scrivere per avere una rivincita sulla società. Non cercava una strategia per guadagnare, poteva abbandonare in ogni momento la sua carriera per iniziarne una nuova, ma voleva sentirsi di nuovo vivo. E l'unico modo sembrava quello di venire apprezzato e accettato una seconda volta, anche solo per poco. Anastasie cercava in tutti i modi di far uscire Dominique di casa. Agli inizi quasi tutti i giorni andava a casa sua e lo invitava a qualche evento mondano, ma dopo un mese smise. Il fratello, ad ogni richiesta, si infuriava e si barricava ancora di più nella sua solitudine; essendo una persona testarda, però, era riuscita a convincerlo a venire a casa sua una volta alla settimana, il mercoledì.

“Come fai a pretendere di voler parlare d'amore, se non l'hai mai provato? Inoltre si dovrebbe parlare di questo sentimento tanto caro agli uomini non per un misero motivo come il tuo, ma per esaltarlo”.

Il signor Lafebvre si intromise nella conversazione, alterato per l'affermazione di Dominique.

“Oh caro perché devi essere sempre così duro con gli altri?” intervenne la moglie per difendere il fratello “Ognuno di noi non sempre compie delle azioni perché vuole farle, ma perché le circostanze lo obbligano. Per esempio tu hai dovuto studiare per essere un banchiere, ma da quel che mi hai detto so che non è un lavoro che ti è mai interessato, dal momento che sei stato obbligato dalla tua famiglia.”

“Hai ragione Anastasie, non volevo assolutamente dedicarmi agli studi economici, per poi diventare banchiere. Volevo fare il pittore ed essere un po' come il registra della vita di ogni persona: avrei voluto viaggiare, sedermi e analizzare i passanti, per poi dipingere i loro pensieri e le loro abitudini. I miei genitori, però, volevano che facessi un lavoro che mi desse la possibilità di occupare una posizione discreta all'interno della società, quindi decisi di abbandonare la pittura e mi dedicai all'economia. Basandomi sulla mia esperienza dico solo che, dal momento che lui ha le possibilità, di non dedicarsi ad un romanzo puramente per il successo, ma perché nel cuor suo c'è una forza maggiore che lo spinge a prendere una penna”.

Maxime disse tutto d'un fiato e con tanta foga che si sentiva esausto, tanto da versarsi il suo quarto bicchiere di vino.

Dominique, anche questa volta, ascoltava in silenzio. Nella sua mente rimbombava il discorso del cognato, gli ricordava lui stesso di sei anni prima. Nel 1906 aveva iniziato a pubblicare dei racconti su vari giornali, in cui narrava scene di vita quotidiana che apparivano felici, ma che facevano intravedere l'alienazione dell'uomo contemporaneo, sempre di più accecato dall'industrializzazione e dal consumismo. Nel giro di un anno aveva iniziato a fare parte della vita mondana di Parigi. Veniva spesso invitato nei salotti per leggere dei suoi racconti e, soprattutto, delle sue poesie. È da questi incontri che nacque "Exubérance et Pensée", una raccolta di poesie che raccontavano l’amarezza della vita e la fuggevolezza dei piaceri. La sua fama aumentò e la sua acutezza nell'individuare le varie sfaccettature dell'esistenza divenne uno degli emblemi della società parigina. Motivato dal successo, continuò la sua carriera con serenità, ma ben presto si rese conto che stava riscontrando delle difficoltà, aveva esaurito le idee. Ormai la sua anima era stata svuotata interamente: gli sembrava di aver già viaggiato abbastanza nella sua interiorità da conoscerla a memoria, senza dubitare delle direzioni che prendeva per esplorare delle aree che sembravano sconosciute. La sua scrittura era diventata forzata e le tematiche, oltre ad essere le stesse, venivano affrontate nello stesso modo. Quindi le sue opere piacquero sempre di meno alla critica, che notava sempre di più questo suo cambiamento; anche i salotti smisero di invitarlo e i giornali si rifiutarono di fargli pubblicare qualsiasi cosa lui proponesse. Era diventato completamente un estraneo dalla società, la stessa che poco tempo prima lo acclamava. Di conseguenza smise di guadagnare e dovette vendere la sua casa sul finire del 1911, per poi prendere in affitto una stanza. Sua sorella cercò di convincerlo a venire da vivere da lei e da suo marito, ma Dominique rifiutò. Si vedeva un peso per la sua condizione sociale, non sopportava diventarlo anche a livello economico. Anastasie, però, gli dava spesso un paio di franchi, così era sicura che avesse sempre dei soldi a portata di mano, anche se non sempre il fratello li accettava.


Dominique era talmente immerso nei suoi pensieri che non si rese conto di essere nel salotto, seduto sul divano con sua sorella a destra e Maxime sulla poltrona.

“Senti Dominique, tu sai quanto io ci tenga a te e quanto desideri vederti felice. Non ti ho mai detto di abbandonare la scrittura e di trovarti un altro lavoro, anche se umile come quello dell'operaio. Penso che ognuno di noi, se ha il destino a proprio favore, deve fare ciò che desidera. Questo discorso vale anche per il tempo libero”.

Anastasie fece una pausa e si inumidì le labbra. Le sue mani tremavano e il suo corpo iniziava a sudare freddo. Sapeva che suo fratello non avrebbe gradito il suo gesto, ma lei era decisa a raggiungere il suo obbiettivo. Fece un gran respiro e riprese a parlare.

“Venerdì a teatro ci sarà un concerto di pianoforte, dove suonerà Niklas Lang. Non so se lo conosci, ma è un pianista viennese emergente, ne ho sentito parlare bene. Suonerà Beethoven. Dal momento che a tutti noi piace il pianoforte e che tu apprezzi Beethoven come compositore, ho preso tre biglietti per questo spettacolo”.

“Sarà un'esperienza molto piacevole” s'intromise Maxime “oltre ad ascoltare buona musica, pensavo sarebbe stato piacevole mangiare in un ristorante italiano a due passi dal teatro”.

Come i Lafebvre smisero di parlare, nella stanza calò il silenzio. L'aria divenne irrespirabile e l'agitazione aumentava sempre di più. I padroni di casa si aspettavano una scena esagerata, tipica del loro ospite, ogni volta che gli veniva proposto una qualsiasi uscita. Di solito tendeva ad alzare la voce e a dire che dovevano smetterla di invitarlo, che lui preferiva rimanere solo con i propri pensieri e che, se avessero continuato, avrebbe troncato i rapporti con entrambi. La reazione era dettata soprattutto dall'imbarazzo nel recarsi in luoghi in cui sicuramente avrebbe trovato delle persone, che un tempo lo acclamavano, ridere al suo passaggio, per poi raccontarlo a tutti i conoscenti del loro incontro insolito. Dal momento che la sua reputazione non era di certo delle migliori in un ambiente mondano, anche solo per il vestiario a poco prezzo, non poteva neanche rispondere alle critiche, sarebbe stato sia scortese che ridicolo, e la sua posizione sociale si sarebbe aggravata ancora di più.

Dominique, però, rimase immobile. Aveva appoggiato i gomiti sulle cosce e teneva la testa con le mani. I suoi occhi osservavano il tappeto, in prossimità delle gambe del tavolino, con uno sguardo perso nel vuoto. Maxime guardava il cognato con la fronte corrugata, innervosito dal suo comportamento indifferente. Anastasie lo guardava con sguardo dolce ma preoccupato, non riusciva a capire se fosse tranquillo e stesse semplicemente pensando sull'accettare l'invito o se si stesse preparando ad un eccesso di rabbia. Rimase in quella posizione per un minuto, che per i Lafebvre sembrava un'ora. Quando Maxime stava per alzarsi dalla poltrona per andarsene e Anastasie stava per chiedergli se avesse detto qualcosa di sbagliato, Dominique si alzò per avviarsi verso l'uscita. Prese la giacca, che si trovava sull'appendiabiti dell'ingresso, e indossò con cura il cappello e la sciarpa. Appoggiò la mano sul pomello della porta, per poi girare la testa sui Lafebvre, che in quel momento lo guardavano incuriosito.

“Per questa volta posso provare”.

Ed uscì di casa, lasciando pietrificati marito e moglie.

   
 
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