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Autore: JeanGenie    24/07/2018    6 recensioni
[Post - TLJ]
"Ci affronteremo là, dove la Luce e l'Oscurità si incontrano"
Genere: Avventura, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Chewbacca, Finn, Kylo Ren, Poe Dameron, Rey
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lindòrea'
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8.

Light a candle
Lay flowers at the door
For those who were left behind
And the ones who've gone before
But here it comes now
Sure as silence follows rain
The taste of you upon my lips
The fingers in my brain
Ever gentle as it kills me where I lay
Who am I to resist?
Who are you to fail?

Got to get you out of my mind
But I can't escape from the feeling
As I try to leave the memory behind
Without you what's left to believe in?

And I could be so sorry
For the way it had to go
But now I feel your presence 
In a way I could not know
And I wonder
Do you ever feel the same
In whispering darkness
Do you ever hear my name?

(Duran Duran, Out of My Mind)

 

Se smettesse di premersi le mani sulla bocca Rey di Jakku è certa che si metterebbe a urlare, quindi soffoca grida e respiro mentre continua a fissarlo con gli occhi spalancati chiedendosi come abbia potuto essere così cieca e folle. I ricordi la invadono come un fiume che scorre contro il flusso della propria corrente.  Il paragone le suona assurdo. Non ha mai visto un fiume in vita sua. E i pensieri, di nuovo, sembrano non essere i suoi. Ma non importa. Perché ricorda benissimo la sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco.

Mamma. Papà.

Loro sarebbero arrivati. Le avrebbero chiesto scusa. Avrebbero detto che si era trattato di uno sbaglio. Non si è mai chiesta cosa sarebbe accaduto dopo. Avrebbero avuto spiegazioni  e motivi plausibili. E sarebbero volati via, lei e i suoi genitori, via da quell’orribile pianeta. Ha aspettato. Ha aspettato loro. Per tutta la vita. Ha aspettato. Ha aspettato e basta. Nessun volto da ricordare,   nessun nome a cui associare se stessa.

Sì, è certa che stesse aspettando loro. E così era, all’inizio. Ma poi non è più stato così. Perché ricorda solo ora?

Maz… Maz ha detto che loro non sarebbero tornati, ma… Qualcun altro...

Ricorda. Ed è terribile e nitido come se lo stesse vivendo in quel momento esatto.

I bambini amplificano il dolore che provano…

Le sembra di aver vissuto la vita di un’altra mentre la sua le è stata portata via. Un inganno, un solo lunghissimo inganno.

No, non è vero. Sono sempre Rey. La mercante di rottami. Rey. Nessuno. Niente. Solo una cosa è  cambiata. Perché mi hai mentito? Perché non hai mantenuto la tua promessa?

Lei ha cinque anni e le mani piagate e non sa quale delle due cose sia la peggiore. Le bolle gonfie d’acqua sui palmi la fanno piangere ogni volta che è costretta ad afferrare l’oggetto più leggero. Vorrebbe tenere le dita tese e le mani sollevate, facendo attenzione a non toccare nulla. Vorrebbe soffiarci sopra, perché così le sembra quasi che il dolore passi.  Ma non può, perché deve lavorare. E ha solo cinque anni, quindi fatica il doppio rispetto agli altri, perché è piccola e non è forte. Lo diventerà, un giorno, se sopravvive, ma intanto vorrebbe solo rintanarsi in un angolo e piangere. Da sei mesi vive in quel posto orrendo. Lo sa perché ha contato i giorni. Almeno, prima, quando c’erano i suoi, si spostavano di villaggio in villaggio. Adesso non può fare altro che tornare all’Avamposto ogni sera, buttarsi a terra e dormire fino al mattino dopo. Ma quella sera lei non riesce a dormire nonostante la stanchezza, quindi strappa con i denti una lunga striscia di stoffa dalla sua casacca e la usa per bendarsi le mani. Vorrebbe poter comprare bende e unguenti ma non ha nulla da barattare.

Nonostante tutto, domani sarà di nuovo nel deserto a cercare rottami. A Unkar Plutt non piace  che si perda tempo. Lui dice che lei è un buon acquisto. Che si infila in pertugi dove gli altri non arrivano.

“Ma non puoi perdere giorni a poltrire solo perché ti fanno male le mani. Se non lavori non mangi.”

E allora lei lavora, perché ha fame. La accompagnano quasi sempre altri scavarifiuti, perché non conosce ancora bene le cose. Una volta è  andata da sola fino al Cimitero delle Astronavi e Unkar le ha detto che la spazzatura che ha riportato non serviva a niente. Ma sta imparando. Piano piano, perché è sveglia. Quando i suoi torneranno a prenderla, gli farà vedere quanto è brava. Perché deve esserci un errore, no? Si sono sbagliati a lasciarla lì.  Anche se dicevano che era inutile e non è che fossero proprio gentili quando la punivano perché si era comportata “da mostriciattolo disgustoso”, come diceva mamma.

Parlavano di debiti. Di tanti debiti. Lei non sapeva che potessero essere pagati vendendo i bambini.  E Unkar Plutt dice sempre che lei vale meno di quanto l’ha pagata. Il che non ha senso perché, magari, il giorno prima le dice che è stata un buon acquisto. Ma Unkar è strano. Le rinfaccia sempre i soldi che ha dovuto dare ai suoi per averla.

“E credi che siano serviti a qualcosa? Sai cos’hanno fatto col ricavato della tua vendita, ragazzina?” Poi solleva il gomito grasso in un gesto che lei non capisce ma che lo fa ridere moltissimo.

A Rey non importa. Perché deve esserci un errore. I figli non si abbandonano. Ci si prende cura di loro anche quando sono strani, fastidiosi e cattivi. Non è così? I figli non si abbandonano.

Ma, man mano che i giorni passano e lei diventa più brava, la faccia di mamma e papà diventa meno chiara. Quando dorme nella tenda, vicino agli altri  operai, a volte li vede ancora in sogno. Ma quando si risveglia sono spariti e le resta solo un pensiero: quello di trovarsi un posto per sé quando sarà più grande. L’ha  già individuato, a dirla tutta. È il rottame di un AT-AT . Non lo conosce nessuno e lei ci va per stare sola appena può e un giorno lo trasformerà nella sua casa. Ed è pieno di cose utili. Ogni tanto ne porta qualcuna a Unkar Plutt ma alcune le lascia dove sono. Le serviranno per quando andrà a viverci. Quel giorno ha portato una turbina ancora lucida e funzionante ed è stata  una faticaccia. Pesava quasi più di lei ma le ha permesso di cenare. Se domani avrà la stessa fortuna chiederà bende pulite al posto delle porzioni.

Per adesso, vorrebbe solo dormire ma qualcosa va storto perché Unkar non vuole lasciarla andare. Dice che c’è lavoro extra. Lavoro da femmine.

“Ho clienti importanti, stasera. Ci farai da sguattera. Porta da bere e da mangiare. Di corsa. E domani forse avrai un paio di porzioni extra.”

Lei è stanca ma non così tanto da rinunciare a del cibo in più. Pensa alle bende e al fatto che potrà comprarle e mangiare lo stesso. E forse riuscirà a rubare qualcosa dai piatti degli ospiti. Quando si avvia verso le cucine per mettersi a disposizione, la stanchezza sembra essere completamente sparita.

 

Quel pianeta è forse il peggiore tra quelli che sono abituati a visitare. Ne ha visti molti nei suoi anni di apprendistato, e ancora prima, quando sua madre lo portava con sé. Jakku è un deserto morente e i suoi centri abitati gli fanno venire voglia di fare l’eremita e rinunciare a vedere gente per il resto dei suoi giorni.

Ogni volta che mettono piede all’Avamposto di Niima, Ben Solo comincia a contare i minuti che mancano alla ripartenza. Ma zio Luke insiste per tornarci almeno una volta l’anno. I pezzi di ricambio sono a buon mercato, la possibilità di trovare reliquie in quel crocevia di reietti è alta  e soprattutto…

“La Chiesa della Forza va custodita e protetta, Ben. Lor San Tekka è un caro amico, un grande saggio e  un aiuto prezioso. È raro trovarlo qui. Sai che è sempre in viaggio. La possibilità di incontrarlo non va trascurata.”

Ben concorda con lui, almeno su quello. La Chiesa della Forza è un luogo piacevole, ben celato e sicuro, in quel posto infernale. Se potesse, eviterebbe il resto e si dirigerebbe direttamente a Tuanul. Ma Luke ha il senso pratico che a lui manca. Fare affari con i boss locali è una buona abitudine da mantenere per non avere guai. Ed è sempre meglio che siano loro alleati piuttosto che facciano affari con qualche banda sovversiva che si oppone alla Nuova Repubblica. Nessuno li prende troppo sul serio. I Jedi sono considerati un’eccentricità proveniente da generazioni passate. Ma loro hanno il benestare della Repubblica e il salvacondotto del Senato. In quelle terre senza legge rappresenta una blanda protezione, ma li rende quasi rappresentanti diplomatici, più che semplici viaggiatori a caccia di miti.

Ma, proprio per ciò che riguarda il Senato, sua madre gli manda notizie preoccupanti su come stia prendendo piede l'ideologia centralista. Lei è preoccupata più  di quanto non voglia dare a vedere. Ben ha imparato a non sottovalutare le sue sensazioni. Non si tratta solo di intuito. Sua madre usa la Forza in modo naturale e diretto e la Forza comunica con lei senza filtri. Se Leia Organa ha paura di qualcosa, allora è il caso  di mettersi in allarme.

Ma zio Luke non vuole saperne di tornare e un bravo padawan non contesta mai le decisioni del proprio maestro. Quindi Ben Solo non può fare altro che rimuginare tra sé e prestare scarsa attenzione alle chiacchiere che suo zio scambia con il repellente Crolute di nome Unkar Plutt. Quell’essere rappresenta potere e crimine all’Avamposto e ha fatto imbandire una sorta di banchetto in una delle tende sotto le quali di solito schiavizza i suoi dipendenti. La gentaglia che li circonda non favorisce di certo il suo appetito. Le guardie personali di Unkar non li perdono di vista. L’unico elemento positivo è il freddo notturno che ha spazzato via la calura torrida che domina durante il giorno.

Luke finge una cortesia squisita. Ben sa che sta controllando il disgusto e invidia la sua capacità di simulare. Uno dei suoi peggiori difetti è il modo in cui le proprie emozioni trapelano dall’espressione del suo viso. L’abilità nell’apparire impassibile fa parte della saggezza di un Jedi ma Ben dubita che riuscirà mai ad acquisirla. Tuttavia, ringrazia educatamente le donne che li stanno servendo. Loro non sono altro che servitù sfruttata. La gentilezza nei loro confronti è un dovere. Una di loro è talmente piccola da arrivare a stento al tavolo su cui poggia piatti e bicchieri. Trotterella veloce sulle sue gambette senza fermarsi mai, piena di energia. Deve essere la figlia di una delle sguattere. Non ha più di sei anni. È troppo piccola per essere una degli operai.

Ben tiene per sé la propria curiosità. Unkar è  troppo impegnato a contrattare chissà cosa con suo zio per badare a lui. Il Crolute, per quanto, come tutti, sottostimi il potere dei Jedi, sa che non è  saggio tentare di fregare uno di loro. Ben fissa le proprie dita distese sul tavolo di legno. Detesta provare noia. E ha nostalgia del Tempio Jedi, dei compagni e della serena vita quotidiana dettata dall’addestramento. Ma Luke ci tiene ad averlo come compagno di viaggio quando gli giunge voce che qualche reliquia è stata trovata o che un individuo su qualche pianeta lontano ha mostrato propensione all’uso della Forza. Di tanto in tanto portano qualcuno degli altri padawan ma più spesso viaggiano da soli.  Ma Jakku è una meta che Ben Solo lascerebbe volentieri a qualcun altro.

Un frastuono di piatti rotti attira la sua attenzione. La piccola è ruzzolata sotto il carico eccessivo. Era fin troppo prevedibile. Ben si alza istintivamente per aiutarla ma non ha il tempo di muovere un passo prima che la pesante mano di Unkar cali sul viso della bambina.

Ben sta per scattare. È uno di quei momenti. Uno di quelli in cui la rabbia si impossessa della sua mente e tutto si fa fumoso. Ma la mano di Luke si posa fermamente sul suo braccio e lo blocca.

“Calma, ragazzo. Calma. Non puoi intervenire ogni volta che ciò che vedi non ti piace. Peggioreresti la situazione.”

Lui vorrebbe protestare. Sa che agire d’istinto è contrario ai precetti. Ma quella bambina è così piccola e loro non hanno forse l’obbligo della compassione?

Nessuno la difenderà. Non in questo posto. Perché non possiamo farlo noi?

“Ripagherai quello che hai sprecato con tre ore di lavoro extra!” la rimprovera Unkar ma quel piccolo esserino non batte ciglio e sgattaiola via molto dignitosamente.

“Scusate. È nuova” si giustifica il Crolute. “Mi fa dannare. Ma vale la cifra per cui l’ho comprata . È talmente microscopica che riesce a infilarsi ovunque come una blatta.”

Una blatta… Come può questo ripugnante ammasso di pus parlare in questo modo di un essere umano?

“È microscopica, è vero. Con quello schiaffo potevi staccarle la testa” sottolinea Ben. Non gli interessano le conseguenze. Se suo zio non vuole che lui agisca, di sicuro non può impedirgli di stare zitto.

“Ben!” Luke è infuriato, ma non importa. Non in quel momento.

“Il tuo allievo ha la lingua lunga, Jedi. Non preoccuparti, ragazzo. Non danneggerei mai la mia proprietà.” Unkar ride di nuovo tentando di smorzare la tensione. Ben avrebbe preferito che avesse ordinato alle sue guardie di attaccarlo. Sarebbe stato un buon modo per sfogare la rabbia.

“La tua proprietà…” Sono concetti malati, inconcepibili e gli mandano il sangue alla testa.

“Esatto. Se lavorerà con profitto, tra trent’anni avrà riscattato la mia spesa e potrà andarsene. È un contratto a termine. Non sono uno schiavista.”

“Tra trent’anni, di questo passo sarà morta.” Ben sostiene lo sguardo di Unkar. La voglia di affondare la spada nel suo grasso ventre si sta facendo irresistibile.

“Perdona mio nipote. È convinto che ovunque ci si debba comportare come su Chandrila.” Se quella di Luke voleva essere una battuta, allora l’unico a trovarla divertente è proprio il Crolute. “Vai a farti un giro, Ben” ordina suo zio.

Lui si alza. Meglio così. Rischia di causare qualche grosso danno se resta nei paraggi di quel disgustoso coagulo di grasso. E poi ha qualcosa di più urgente di cui occuparsi. Deve assolutamente assicurarsi che la bambina stia bene. La cerca nei dintorni delle cucine, finché non la trova in un angolo buio intenta a scrostare pentole con un panno abrasivo e della sabbia fina.

“Ehi” le dice tentando di sorriderle in modo incoraggiante. “Stai bene?”

Lei annuisce e solleva verso di lui il visetto gonfio. “Ti ho sentito urlare. Non devi litigare con Unkar. Non mi ha fatto male. È grosso ma ha le mani mollicce. Papà faceva male sul serio. Le sue dita erano piene di ossa.”

Ben avverte una fitta di angoscia nello stomaco. Suo padre non ha mai alzato un dito su di lui. Mai. E quel cucciolo ha davanti a sé altri trent’anni di prigionia che accetta con la rassegnazione di chi ha vissuto in modo peggiore.

“Tu vieni da lontano? È bella casa tua? Quel signore è tuo padre?” Si rimette a strofinare e lo sommerge di domande semplici e innocenti. Ben sorride. È una piccola impicciona ma è davvero  dolce e così seria. Nonostante la sua condizione, Ben non può non notare quanto siano in ordine i suoi capelli raccolti.

Chissà se ci pensi da sola, piccoletta. O se qualcuno, da queste parti, è così gentile da pettinarti. Se mia madre fosse qui ti avrebbe già portata via.

“È mio zio” le risponde. “Non so dov’è mio padre in questo momento. E vengo da lontano, come hai detto tu.”

“È bella casa tua?” insiste lei.

“Sì, ma non ci torno da tanto.” Non dovrebbe farsi prendere in quel modo dalla nostalgia. Ma c’è qualcosa di particolare nella sua voce che risveglia in lui ogni ricordo felice della sua infanzia.

La piccola sbadiglia, poi gli porge la mano. “Io sono Rey.”

“Ben. Cosa hai fatto alle mani?” Sono fasciate alla meno peggio. Un lavoro davvero pessimo.

Lei solleva le minuscole spalle con noncuranza. “Niente. Vesciche.”

Ogni parola della piccola è una ferita. Come può essere finita in quella situazione? Non riesce a credere che sia stata venduta.

“Mi fai compagnia, mentre finisco qui? Non parla mai nessuno con me” gli chiede speranzosa.

Ben le accarezza la testolina bruna. “Passami quel panno.”

“Non  posso.” La bambina scuote la testa con decisione. “È compito mio. Se lo scoprono...”

“Non lo diremo a nessuno. Sarà il nostro segreto.” Ben si inginocchia vicino a lei e inizia ad occuparsi delle pentole.

Che situazione assurda...

“Sei stanca. Lascia finire me.”

Se continua a usarle, le sue mani non guariranno.

La bambina non protesta più ma lo osserva pulire stoviglia dopo stoviglia con espressione divertita.  “Domattina devo andare a ovest appena sorge il sole. Quindi grazie. Ho un po’ sonno. Ti dispiace se dormo?” Poi, senza attendere risposta si sdraia in terra lì dove si trova. “Domattina ti va di venire con me? Voglio farti vedere un bel posto.”

Un bel posto su quel pianeta? Non è convinto che possa esistere qualcosa di simile su Jakku. “Certo” le risponde. Se non potrà liberarla, almeno potrà farle compagnia fino a quando lui e Luke non ripartiranno.

“Prometti” ordina la piccola.

Ben le sorride. “Prometto.” Per nulla al mondo vorrebbe deluderla.

Dopo un attimo lei sta già dormendo profondamente. Ben si toglie il mantello marrone e glielo avvolge addosso poi la sistema in modo che sia comoda nei limiti del possibile. Poi si alza per tornare da Luke sperando che quell’orribile cena si sia conclusa.

Luke lo vede per primo e gli fa cenno di avvicinarsi. “Dove eri finito?”

“A fare un giro, come hai ordinato.” Non vorrebbe portargli rancore, tuttavia Ben sa che non gli passerà prima di qualche ora. Ma è anche consapevole che il suo maestro è deluso da lui.

Solo quando sono a pochi metri da Bay Three, dove è ancorata la loro nave, Luke finalmente gli parla.

“Ben, vorrei che tu capissi che non puoi rivoluzionare lo stile di vita dei pianeti che visitiamo. Mi dispiace. Anch’io provo pietà per la manodopera locale, ma non è nostro compito cambiare questo stato di cose...”

“Manodopera…” Ben lo sussurra tra sé e sé. In realtà si tratta di schiavitù. Perché non chiamarla nel modo giusto?

“Jakku non è sotto la giurisdizione della Repubblica e segue altre leggi” gli spiega Luke, come se potesse essere sufficiente a calmarlo.

“Lo so.” Certo che lo sa. È  ovvio, è un’informazione di base. Ma questo fa solo aumentare il suo malumore. Dovrebbero fare ciò che è  giusto, non quello che è politicamente più corretto.

“Domani, ti dispiace se non vengo con te? Devo fare una cosa” chiede.

Lo sguardo di Luke è sospettoso ma Ben sa che non ha veri motivi per negargli il permesso. “A Lor spiacerà non vederti. Non ti caccerai nei guai, vero?”

“No, stai tranquillo.” Vuole solo tenere un po’ di compagnia alla piccola Rey. Almeno  quello gli è concesso.

Appena a bordo, Ben raggiunge la sua cuccetta. Deve sgombrare la mente da ogni pensiero prima che la voce torni. La percepisce. È in agguato in un angolo della sua anima. E arriverà, come accade ogni volta che lui lascia che l’emozione e la rabbia si intrufolino in lui.

Sai che uccidere queste bestie sarebbe la cosa giusta da fare? Quella povera piccola sarebbe libera.

Non dovrebbe ascoltare. Dovrebbe allontanarlo. Non è per quello che lotta da tutta la vita? Scacciare quell’ombra che lo visita ogni volta che è in difficoltà, melliflua e suadente. Che lo invita a uccidere per un fine più alto. È un pensiero inattuabile e lo sa benissimo. Ma immaginare di metterlo in atto lo fa stare meglio.

***

Ci sono solo pochi minuti di tregua su Jakku, quelli che dal gelo della notte portano al caldo soffocante delle ore diurne. Sono preziosi e perfetti perché Jakku non assomiglia più a se stesso.

Rey non ci riflette  poi molto, ogni volta che apre gli occhi. È solo una bambina consapevole che in quegli istanti si sta bene. Non conosce la primavera né  il clima mite di altri mondi. Non ha mai visto altro che Jakku e le piace l’alba.

Quella mattina si sveglia avvolta in un bozzolo caldo e morbido e solo dopo un attimo riconosce il mantello di Ben. Potrebbe venderlo.  Quel tessuto è prezioso. Potrebbe, ma non ha intenzione di farlo. Ha dormito in un angolo anziché nella tenda ma è stata al caldo e questo solo perché il suo nuovo amico, il suo unico amico, si è preoccupato per lei.

Si guarda intorno, preoccupandosi di non essere osservata. All’Avamposto bisogna diventare furbi in fretta per riuscire a cavarsela. C’è un pertugio fra due rocce appena fuori dalla zona dei condensatori. Ed è lì che Rey nasconde le poche cose a cui tiene per evitare che gliele rubino. Piega accuratamente il mantello e lo ripone ben occultato insieme ai pezzi che ha tenuto per quando comincerà a trasformare l’AT nella sua casa. L’idea di restituirlo a Ben non la sfiora neppure. Lui ne avrà di sicuro a dozzine. Sarà abbastanza educata da renderglielo solo se lui glielo chiederà in modo diretto.

Non tenta neppure di avere la colazione. Unkar mantiene sempre le promesse quando si tratta di farla stare a digiuno. Se parte subito eviterà le ore peggiori. Si carica la sua borsa in spalla ed esce dall’abitato. Ben ha promesso di venire ma lei non gli crede. Nessuno fa mai cose carine e tutti mentono  e probabilmente se ne sarà dimenticato. Per qualche ora, comunque, è stato bello avere una persona gentile vicino.

Evita con cura gli altri cercatori di rottami.  Sa già di essere piccola e stupida e quella mattina non vuole sentirselo ripetere. Le mani le fanno ancora male. Deve cambiare le bende ma non ne ha di pulite e non può continuare a strappare pezzi di stoffa dai suoi vestiti. Dovrà semplicemente sopportare sperando che non le venga la febbre per colpa di qualche infezione.

“Rey!” Ben le sta venendo incontro dalla baia di ancoraggio e lei è costretta a stropicciarsi gli occhi per assicurarsi di non stare sognando.

“Sei venuto sul serio!” La sera prima non si era resa conto che fosse così alto, così buffo e così giovane. Ma la cosa più bella è che lui ha mantenuto la parola data.

“Certo. Perché non avrei dovuto?”

Perché non lo fa mai nessuno.

Lei solleva le spalle. Non vuole lamentarsi, adesso. È davvero troppo felice.

“Come stanno le tue mani? Ti ho portato qualcosa per…”

Rey lo blocca mentre comincia a frugare nella borsa che ha con sé. “Non  qui. Vieni con me. Qui ti rubano tutto.”

Gli prende la mano e lo conduce decisa verso le dune. La sua presenza le fa dimenticare perfino che ha fame. Ha un amico. Un amico vero.

“Ce la fai a parlare e camminare? Mi racconti qualcosa di bello? Io non ho mai visto altro che Jakku. È  vero che esistono posti tutti azzurri?” gli chiede. Lui ha un buon passo. Si vede che è allenato. La cosa le fa piacere. Non dovrà rallentare.

E  lui è bravo a raccontare. Usa parole bellissime. Le descrive mari, foreste, laghi, montagne coperte di neve. Le parla di città luccicanti con torri d’argento che svettano verso il cielo. Di grandi battaglie contro un impero malvagio. Di eroici cavalieri. E di una cosa chiamata Forza che permette a tutto ciò che è bello e luminoso di esistere.

“E tu hai visto proprio tutto?” gli chiede incantata.

Lui le sorride  “Non tutto, Rey. Non ancora.”

Sono lontani dall’Avamposto. Rey comincia ad avere il fiatone. Di solito, a quel punto, si ferma a riposare. Ma quel giorno c’è Ben e, senza che abbia bisogno di chiederlo, lui se la carica in spalla. E lassù si sta proprio bene.

“Da che parte?” le chiede.

Lei indica un vecchio cargo al confine del Cimitero delle Astronavi. Quando lo raggiungono Rey si fa mettere giù.

“C’è qualcosa di buono, in alto” dice sicura sollevando gli occhi. Le sembra quasi di vederlo. Dovrà arrampicarsi ma non sarà un problema e ne sarà valsa decisamente la pena.

“Come lo sai?” le chiede Ben con un tono di voce che le fa quasi paura.

“Lo so e basta.” Che strana domanda. Come fa a spiegarglielo? Succede.

“E ti capita spesso di sapere le cose e basta?” insiste Ben.

“Sì, perché? Pensi anche tu che sono un mostriciattolo strano?” Non vuole che anche lui si metta a trattarla male. Ci terrebbe a farlo restare suo amico per almeno una giornata intera. Quindi sgattaiola via e inizia ad arrampicarsi. Scappare è sempre un buon modo per evitare scocciature e domande brutte.

Ci impiega più tempo del solito. Quando è costretta a fare leva su qualcosa per tirarsi su, le mani le fanno vedere le stelle. Ma alla fine trova due accumulatori di potenza e un comunicatore in buono stato.

“Tutto bene?” urla il ragazzo dal basso.

“Sì! Ora scendo!”

La via del ritorno  è più facile, nonostante la sua borsa sia  più pesante. È solo l’iniziò della giornata. Se va avanti così avrà di che scambiare per almeno due giorni.

“Fatto” dice  entusiasta raggiungendo Ben e mostrandogli il bottino. “Con questi potrò mangiare di nuovo.”

Ben la guarda in modo strano  poi fruga nella sua sacca e tira fuori talmente tanto cibo che  le sembra che gli occhi le schizzino fuori dalla testa. Ed è tutto così bello. Non ha mai visto nulla di simile. E il profumo le fa borbottare lo stomaco.

“Posso?” chiede pregando perché lui non le dica di no.

“È per te” le risponde Ben.

“Tutto quanto?” Non riesce a crederci. Fra un attimo si sveglierà nella tenda  comune e scoprirà che si è trattato solo di un bellissimo sogno.

Ma lui sembra così vero mentre spalma cose ignote ma appetibili su altre cose ignote ma appetibili.

E quella è frutta. Frutta vera.

Ma il momento migliore arriva quando Ben le porge un otre colmo di acqua fresca.

Va bene. Anche se è un sogno, io ne approfitto lo stesso.

All’ombra del relitto del cargo, Rey mangia come non ha mai fatto. E si sente felice come non lo è mai stata. Di cos’altro potrebbe avere bisogno, ora?

“Piano, o ti verrà il singhiozzo” la rimprovera Ben.  

Lei beve  un piccolo sorso d’acqua preziosa. Se riesce a dosarla le basterà per un mese.

“Fammi vedere le mani” le chiede Ben e lei gliele porge con fiducia. È bello avere qualcuno che si prenda cura di lei. Dovrebbe succedere a ogni bambino. Si sente davvero molto fortunata mentre Ben le spalma un unguento fresco sui palmi piagati. E le bende che usa sono bianche e pulite. È davvero bellissimo. Per un attimo si chiede come sarebbe stato avere un fratello maggiore così. Di sicuro la sua vita sarebbe stata migliore.

Ma lui non è  suo fratello e Rey non vuole avere brutte sorprese. “Io non posso pagarti, però.”

Il sorriso di Ben la tranquillizza. “Cosa dici, sciocchina? Io e te siamo amici.”

Amici. Siamo davvero amici, allora.

Rey si sente di nuovo piena di energia. È arrivato il momento di fargli vedere il suo tesoro più grande.  Si rimettono in marcia e procedono fino alla zona più remota del Cimitero. L’AT-AT, o quel che ne resta, quasi completamente coperto dalla sabbia, appare davanti a loro, apparentemente inutile e abbandonato.  

“Eccolo! Vieni!” grida entusiasta allungando il passo e trascinando Ben.

Lo conduce al portellone d’ingresso e si sente davvero fiera di se stessa mentre lo guida all’interno del mezzo da battaglia a riposo. L’AT non si muoverà più da lì, ma riserva delle sorprese meravigliose. Perfino Ben ne sembra stupito.

“Non è bellissimo? Non lo conosce nessuno. L’ho trovato tre giorni dopo che i miei mi hanno dimenticata qui. Ci verrò a vivere quando sarò più grande. Questa è  casa mia. Vedrai quanto diventerà bella… perché tornerai a trovarmi, vero, Ben?” Non riesce a trattenere la gioia. Quello è il suo rifugio. Vuole mostrargli tutto, dal simulatore di volo al decodificatore del linguaggio binario.

“Rey… tu sei nata su Jakku o sei stata portata qui? Parlami di nuovo di come trovi gli oggetti” le chiede di nuovo  Ben.

Lei si sente leggermente offesa. Perché insiste invece di farle i complimenti per la sua casa? E cosa ne sa, lei, se è nata su Jakku oppure no? Si ricorda qualcosa di diverso, ma potrebbe averlo sognato. Quanto al resto, continua a trovarla una domanda stupida. “Come li trovo? Li trovo. So dove stanno. E basta.”

“E dimmi, Rey, quando trovi le cose senti come un pizzicorino alla base del collo?”

Come fai a saperlo?

Lei si tocca istintivamente la nuca, poi annuisce. Non le piace la sua faccia seria. Forse ha fatto qualcosa che lo ha fatto arrabbiare.

“Rey... Ti piacerebbe andartene da qui? Devo parlarne al mio maestro, prima, ma non credo di sbagliarmi. Tu sei…”

“Mi porti via con te? Per favore!” Adesso sta gridando. È troppo bello per essere vero. Davvero troppo bello.

Ti prego, dimmi di sì. Ti prego.

“Non posso promettertelo, Rey. Non dipende da me. Ma farò il possibile per convincere mio zio che ne vale la pena.”

Ne vale la pena? Io ne valgo la pena? Sarò buonissima, te lo giuro. Non darò fastidio.

Lo abbraccia forte, come non ha mai fatto con nessuno, aggrappandosi ai suoi vestiti quasi come se temesse di vederlo sparire. Ma non succederà, perché Ben ci tiene. Finalmente qualcuno tiene a lei.  

 

 

Non si sa da dove venga. Non si sa perché si trovi lì. Forse è  solo un caso. Forse lui ha preso un abbaglio. Ma quella minuscola creatura assomiglia a una gemma imprigionata nella pietra grezza. Deve parlarne a suo zio. Se davvero Rey è destinata a imparare le vie della Forza lui lo capirà.

Alla baia non trova nessuno. Probabilmente Luke è ancora a Tuanul. Sta scendendo la notte ma Ben è troppo impaziente per aspettare. Attiva il suo speeder, uno dei regali di suo padre che gli sono più cari, e decide di andare incontro al suo maestro.  

Solo dopo aver percorso una decina di miglia riconosce la sua figura scura contro le dune che iniziano a colorarsi di viola.

Luke agita una mano nella sua direzione. Non sembra sorpreso di trovarlo lì. Ben lo raggiunge e lo invita a salire dietro di lui. Per una volta il suo maestro non insiste per guidare e neppure inizia a raccontargli dei bei tempi in cui aveva la sua età e sfrecciava tra i canyon di Tatooine.

“Com’è  andata la tua giornata, ragazzo?” gli chiede invece e Ben decide di approfittare immediatamente dell’occasione.

“Devo parlarti. Quella bambina…”

“Quale bambina?” lo interrompe. Luke  evidentemente non è stato colpito da Rey quanto lui.

“Quella che ci ha serviti ieri sera” gli spiega Ben mentre il deserto di Jakku sfreccia intorno a loro. “L’ho accompagnata a cercare rottami oggi. Credo che sia sensibile alla Forza.”

Gli sembra quasi di sentire i pensieri di Luke in movimento, e non sono tranquilli.

“Non dire certe cose con leggerezza, figliolo.”

Ben non protesta. Sa che suo zio ha ragione ma lui non si è mai sentito tanto sicuro delle proprie affermazioni. “Osservala e giudicala tu stesso. Puoi farlo?”

“Molte persone sono sensibili alla Forza. Ma riuscire a padroneggiarla è tutt’altra faccenda” insiste Luke.   “Vorresti che la addestrassi?”

“Prima dammi una tua opinione.” Ben non ha intenzione di forzare le tappe. Il rischio di una delusione per se stesso ma soprattutto per Rey è troppo alto.

“Lo farò.” La risposta positiva di Luke per Ben rappresenta un sollievo. “Ma tu sai che appartiene a Unkar Plutt, vero?”

Ben ingoia il disgusto che sente e preferisce tacere mentre la baia diventa visibile nell’Avamposto addormentato. Solo quando sono a bordo della loro nave Ben torna sull’argomento che gli sta a cuore.

“Quanto pensi che possa sopravvivere se la lasciamo qui?”

Luke gli lancia una lunga occhiata di rimprovero. “È questo il punto, Ben. La richiesta che mi hai fatto è dettata da una tua riflessione o semplicemente quella piccola creatura ti porta a provare pietà?”

Ben non risponde sentendosi colto in fallo.

“Ti stai affezionando a lei? Sai che è un sentiero pericoloso?” insiste Luke.

“Hai sempre detto che la negazione dell’affetto è stato uno degli errori del vecchio Ordine.” Vorrebbe ricordargli che il più grande Jedi mai esistito, suo nonno Anakin Skywalker, il padre di Luke, ha violato il Codice, ha amato e provato attaccamento, e questo non lo ha fermato dal diventare un eroe. Ma tace per non sembrare superbo. Lui non raggiungerà mai tali livelli di conoscenza, abilità e coraggio.

“L’ho detto” conferma Luke.

“E allora perché ora pensi che sia sbagliato?” Ha bisogno di una risposta chiara. Quale può essere l’errore nell’aiutare qualcuno in difficoltà?

“Perché l’affetto che ho per te, per tua madre e per le persone a cui tengo non annebbia la mia mente.”

“E credi che a me stia succedendo?” Forse Luke ha ragione. Forse non sta pensando lucidamente.

“Sei poco più di un bambino, Ben. Ora so come ti vedi. Un salvatore di orfani. Pensi che proteggere quella piccola ti renderà migliore. Questo fino a quando ne troverai un altro, un altro e un altro ancora e capirai di non poterli salvare tutti e allora sarà solo sofferenza.” Luke gli ha parlato con dolcezza come quando era molto piccolo e arrivava su Chandrila carico di regali e storie fantastiche.

Suo zio ha ragione. Ma lui sa solo che l’idea di abbandonare Rey gli spezza il cuore.

“La osserverai? Puoi farlo?” chiede di nuovo e Luke annuisce.

Mente. Tu sai che mente, mormora l’ombra nella sua testa.

Ben la scaccia come è ormai costretto a fare fin troppo spesso. Si fida di Luke. Non potrebbe essere altrimenti. Lui non è solo il suo maestro ma è anche sangue del suo sangue. Non c’è alcun motivo per cui lui debba mentirgli.

 

Con le mani perfettamente guarite e lo stomaco pieno, la vita le appare decisamente più bella. Mentre si avvia verso le dune, Rey sorride e continua pensare a quella cosa chiamata gioia, che conosce troppo poco. Sa che non deve esagerare. Ben non le ha promesso nulla. Ma intanto sta bene così, senza morsi della fame e senza piaghe.

“Rey, aspetta!”

Ben e il signore con la barba stanno arrivando dalla zona dei moli. Allungano il passo e dopo un attimo le sono vicini.

“Possiamo parlare?” le chiede lo zio di Ben. La mette tremendamente in soggezione. All’improvviso le è venuta voglia di scappare.

“No. Io devo andare. Altrimenti finisco nei pasticci.” È la verità. A Unkar non piace che perda tempo. Ma togliersi da davanti quegli occhi chiari e severi è la cosa che vuole di più.

Il signore le porge una bellissima trasmittente nuova. “Con questa come bottino puoi dedicarmi un po’ di tempo, vero?”

Rey si rigira il bellissimo oggetto fra le mani. Deve restare? Se dicesse di no, Ben ne sarebbe deluso? E poi, che motivo c’è di avere paura?

“Ben, puoi lasciarci soli?”

No, per favore...

Ma il suo amico obbedisce senza esitare un istante. È davvero ubbidiente. Se lo fosse stata anche lei, forse i suoi non l’avrebbero lasciata lì.

“Ma poi torna, vero?” chiede ma il signore burbero non si degna di risponderle.

“Dimmi, Rey, ti capita mai di sentire cose che gli altri non sentono?”

Ancora quella storia. Non le piace parlarne. Perché insistono tutti? “Ben ti ha detto che trovo le cose? Io le trovo e basta, capito?”

Lo zio di Ben la studia in un modo che la fa sentire ancora più piccola. Le è tornata improvvisamente la voglia di scavare un tunnel nella sabbia, proprio lì dove si trova ora, e di infilarcisi dentro.

“Posso andare, ora?” chiede tenendo gli occhi bassi.

Il signore  serio continua a guardarla fisso, poi le dice “Vai pure.”

Rey non se lo fa ripetere due volte. Ha solo voglia di raggiungere Ben e chiedergli di farle ancora compagnia. È sicura di avere combinato un disastro e che non la porteranno via con loro. Ma pensarci non cambia le cose. Tanto vale passare un’altra giornata incredibilmente bella.

 

 

Rey è stranamente silenziosa e neppure lui ha troppa voglia di parlare. Ha sentito qualcosa di strano e indefinibile correre tra Luke e la bambina mentre parlavano. Qualcosa che non riesce a mettere a fuoco. Non riesce a pensare ad altro e neppure a staccarsi dalla mente del suo maestro. Non l’ha mai sentito tanto confuso. In quel momento sta parlando con Unkar Plutt ma Ben non è  in grado di ascoltare le loro parole. La Forza vibra intorno a lui in modo bizzarro.

Qualcosa non va. Ma Rey non verrà con noi. È l’unica cosa di cui sono certo.

Non sa come dirglielo. Lei si sentirà tradita. La guarda mangiare con gusto con la coda dell’occhio. Perché spetta a lui renderla di nuovo infelice? Non può credere che quell’AT-AT crollato su un fianco sarà tutto ciò che lei potrà chiamare “casa”.

“Tu non puoi restare qui per sempre, vero?” È lei a spezzare quel bizzarro silenzio. Ed è come se sapesse.

“No, piccola” le risponde mentre la gola gli si stringe.

“Ma tornerai?” Speranza, paura. Ben le accarezza i capelli. “Devi tornare tu. Io non piaccio a tuo zio. Non mi porterà via con voi.”

“Perché dici così?” Vorrebbe spiegarle che le cose non stanno in quel modo. Che Luke ha percepito qualcosa di strano quando l’ha sondata. Ma lei non capirebbe. È troppo piccola.

“Lo so e basta.” È la risposta che Rey preferisce. Ormai Ben ha capito che è una scappatoia che lei usa quando si chiude in se stessa.

“Io non ti lascio qui.” Lo ha detto senza pensarci. È una pazzia. Eppure non può fare a meno di dirlo.

“Adesso stai promettendo?” domanda Rey mentre nella sua voce si riaccende un barlume di speranza.

“Adesso sto promettendo. Sai tornare da sola, vero?” È una domanda stupida. Quello è il suo mondo. Ma non deve restarlo per sempre.

Lei annuisce. “Certo. Ma tu non devi preoccuparti. Non importa. Non ce l’ho con te. Va bene se resto qui. Mi troverai qui la prossima volta che torni. Però torna, per favore.”

No, non deve andare così.

Deve parlare con Luke. Deve capire cosa è andato storto. Lui non riesce a vedere altro che luce in Rey. Quando arriva al molo si rende conto che la loro nave è pronta a partire. Luke sta caricando a bordo le ultime provviste.

“Vai a salutare Tekka prima che ci rimettiamo in viaggio” gli ordina non appena si accorge di lui.

Solo questo? Non hai altro da dirmi?

“E cosa hai deciso per lei?” Lo chiede bruscamente. Il tempo gli rema contro. Deve sapere cosa è successo di sbagliato.

“Appartiene a Unkar Plutt. E non vuole venderla. Almeno non finché sarà più grande e ‘inutile’, per usare le sue stesse parole.” Nessun accenno alla Forza. Nessun commento su di lei. Luke la sta trattando come una faccenda seccante da liquidare in fretta.

No, non puoi mettermi a tacere così.

“Ma possiamo riscattarla” insiste. Unkar è avido, come tutti, su quell’orribile pianeta.

“Non la lascerà andare. Non ora. Dice che è troppo utile” lo frena Luke.

“Hai visto qualcosa in lei, vero?”

Qualcosa di cui non vuoi parlarmi.

“Ho visto qualcosa in te, Ben. Lei… Non mi è chiaro cosa sia. Ma non è il momento di portarla con noi.” La voce di Luke si è fatta più gentile ma la vena di inspiegabile paura non è  scomparsa.

“Perché  no?” Ben detesta i segreti, i sussurri, le cose non dette.

“Non discutere le mie decisioni, ragazzo.” Il suo maestro gli poggia una mano sulla spalla, un gesto che di solito è sufficiente a calmarlo.  “Questa rabbia... La sento crescere in te. Ricorda cosa ti ho detto sul controllo.”

“Scusami.” Ben respira profondamente, imponendosi la calma. Deve ricordare chi è e qual è la sua situazione.

“Facciamo un patto, Ben. Completa in fretta il tuo apprendistato e potrai tornare qui e prenderla come tuo padawan.” La proposta di Luke è generosa e propositiva. L’idea di diventare un Jedi non gli è mai sembrata tanto allettante. Ma c’è un dettaglio che non può trascurare.

“Ci vorranno anni.” E lei potrebbe morire domani. Come puoi chiedermi di aspettare tanto?

“Coltiva la pazienza, Ben.” La risposta di Luke è quella che si aspettava.

Sta violando i precetti di base e ne è consapevole. Non può ribattere, solo accettare la sua decisione. Ma c’è ancora una possibilità. Una sola.

Ben non insiste ulteriormente. Non servirebbe a niente. Sale a bordo e  attiva il comunicatore. Chandrila è distante ma con un po’ di fortuna riuscirà a mettersi in contatto con sua madre.

L’immagine  olografica di lei appare immediatamente e Ben lo considera un buon segno. Una dolorosa fitta di nostalgia lo coglie. La senatrice Leia Organa Naberrie Skywalker Solo per lui è semplicemente la persona che ama di più al mondo.

“Tesoro, tutto bene? Dove siete?” L’immagine tremolante e instabile di sua madre sorride, ma il suo viso è stanco e non basta la scarsissima definizione a nasconderlo.

“Sul peggior pianeta della galassia. Tu come stai? Papà come se la passa?” Per un attimo dimentica il motivo per cui si è messo in contatto con lei. C’è  solo quell’immenso desiderio di tornare a casa.

“Oh, vorrei saperlo. Non lo sento da tre mesi” risponde lei con una risata gentile. “Lando l’ha trascinato in un’altra delle sue folli avventure. Tuo padre non vuole proprio capire che non ha più l’età per certe cose. E tu? Cos’è quel faccino triste e quell’espressione da tragedia in atto?”

“Non prendermi in giro, ti prego.” Detesta essere trattato come un bambino anche se è consapevole che lei non la smetterà mai.

“Cosa c’è che non va? Ti sento turbato.”

Come ci riesci? Come puoi sentire attraverso la Forza senza neppure esserne consapevole? Se solo ti fossi lasciata addestrare oggi saresti più potente di Luke.

Ha sempre rispettato la scelta fatta da sua madre di non seguire le vie della Forza. E non le ha mai detto che, se avesse potuto, avrebbe desiderato fare lo stesso. Lei sembrava certa che quella fosse la scelta migliore per lui.

E pendere dalle tue labbra, obbedirti e cercare il tuo consenso è l’unica cosa che voglio. Avrei obbedito anche se mi avessi chiesto di gettarmi nel fuoco. Ma adesso devo pensare a Rey.   

“Ho incontrato una persona che ha bisogno di aiuto” le spiega. “È sensibile alla Forza. Ma appartiene a un capo locale e lui non vuole cederla. Luke pensa che dovremmo lasciar perdere.”

“Luke non fa mai nulla senza motivo. Dovresti imparare a fidarti delle decisioni che prende.”

Anche questa è una risposta che si aspettava. Tuttavia non può fare a meno di sentirsi deluso. “Nemmeno tu sei dalla mia parte?”

“Non ne so abbastanza, Ben” gli fa notare lei.

“È solo una bambina.” Deve parlarle di Rey. Raccontarle della sua dolcezza e dello stato miserevole in cui vive. Sua madre non potrà restare  indifferente. “Non avrà più di cinque anni. I suoi l’hanno venduta e condannata a una vita atroce. Cosa può esserci di sbagliato nel volerla salvare?”

Sua madre resta in silenzio con la testa leggermente inclinata, come fa sempre quando sta riflettendo. “Quanto chiede il suo padrone per il riscatto, Ben?”

“Non vuole cederla. Ma potrei offrirgli una cifra spropositata.” Aggrapparsi a quella speranza è tutto quello che gli resta. Ma non agirà senza il consenso di sua madre. Sperperare i beni di famiglia senza averne prima discusso non è nella sua natura. “E dopo potrei mandarla da te.”

“C’è qualche motivo particolare per cui tuo zio non la vuole come allieva?”

Quella domanda lo spiazza. La verità è che suo zio non parla. Ha visto qualcosa, ma non vuole confidarsi con lui.

“Non lo so” le risponde. “Mi ha detto di aspettare. E  di prenderla come padawan fra qualche anno.” Ripeterlo ad alta voce fa sembrare quella proposta sempre più sensata. Forse sta sbagliando tutto,  forse dovrebbe davvero coltivare la pazienza e attendere.

“Ben, il tuo segnale mi arriva da Jakku.” Sua madre si è fatta più seria del solito. “Dare troppo nell’occhio mette a rischio la Chiesa della Forza, ne sei consapevole?”

“Quindi?” C’è sempre qualche altra priorità, rispetto a lui. Il Senato, la Repubblica, perfino Lor San Tekka e la sua tribù di eremiti.

“Quindi non puoi rischiare la loro sicurezza solo per liberare una piccola schiava. Luke ti ha detto che ti permetterà di tornare una volta completato l’apprendistato, no?” Leia Organa, sempre così saggia. Cosa conta la sorte di una bambina se la posta in gioco è più alta?

Eppure ha ragione. Ben sta peccando di egoismo. Non sta vedendo oltre il proprio interesse. Non si tratta solo di Rey. Si tratta di averla vinta. E non succederà. Gli sono tutti contro.

Dov’è la novità?

L’immagine di sua madre trema. Il segnale si fa disturbato. È già tanto che siano riusciti a parlare fino a quel momento.

Lei pronuncia un’ultima frase che suona più o meno come “Non puoi salvarli tutti, Ben” poi la sua immagine scompare.

Se non ho altra scelta, allora farò in modo di completare il mio addestramento in fretta. Pazienza? No, non ne ho e non voglio averne.

Lo spiegherà a Rey. Le chiederà di essere prudente fino al suo ritorno. E di avere fiducia in lui.

Non ti capiranno mai, Ben. Se dovesse morire, di chi sarebbe la colpa. Loro? O tua? Perché non reagisci?

La voce nella sua testa ha il calore di un tizzone. Una volta pensava che fossero i suoi pensieri. Ora non ne è più sicuro. Quasi rimpiange i tempi in cui credeva di stare impazzendo. Quando ne ha parlato a Luke, lui gli ha insegnato degli esercizi per concentrarsi e respingere quello che lui ha sempre chiamato “Snoke”, fin da quando ha imparato a parlare. Ma Ben è certo che Luke sappia più di quel che dice. Forse conosce la natura dell’essere che infesta i suoi pensieri, ma anche su quello preferisce tacere.

Non è il momento di pensare a questo. Non devo ascoltare. Devo mantenere il mio personale equilibrio.

Scende a terra senza avvisare Luke. C’è qualcosa che deve fare. E in fondo è stato proprio il maestro a dirgli di andare a Tuanul prima della partenza.

Cammina fino al precipizio di Kelvin, nel buio fitto della notte di Jakku senza neppure badare a dove  mette i piedi e senza quasi avvertire la fatica. Quando arriva alla Chiesa della Forza l’alba è ancora lontana e i fuochi accesi per uno dei tanti cerimoniali brillano nel buio.

Tekka lo vede immediatamente e gli fa un cenno di saluto. Ben non ha alcun  desiderio di interrompere le loro preghiere alla Forza. Sa che stanno replicando rituali antichi per poterli studiare meglio e quello è il loro modo per custodire la filosofia e le conoscenze dei Jedi. Lor San Tekka non è cambiato dalla sua ultima visita, un vecchio curato e gentile, dai modi raffinati che non sfigurerebbero in un palazzo di Chandrila. Invece ha scelto di rintanarsi su Jakku ogni volta che decide di fermarsi per un po' di tempo. Forse sarà li che si stabilirà quando deciderà di essere definitivamente stanco. Quando la cerimonia si conclude, San Tekka gli fa un gesto per invitarlo a raggiungerlo nella sua casupola d’argilla e sabbia. Ben l’ha già visitata in precedenza. È un’abitazione scarna ma curata.  

“Sono felice di poterti vedere, Ben. Credevo che ti fossi dato definitivamente alla macchia. Accomodati pure.” Il vecchio mette a bollire un bricco pieno d’acqua. Su Jakku è un trattamento riservato agli ospiti di riguardo.

“Mi dispiace. Sarei dovuto venire prima.” Ben si siede in terra su una stuoia e attende che San Tekka gli serva l’infuso che sta preparando. È amaro ma non sgradevole e cancella immediatamente il freddo della notte.

“Luke sa che sei qui?” San Tekka glielo chiede come se volesse rimproverarlo. Non gli piace. Non gli piace affatto.

“Non lo so, ma suppongo di sì. Luke sa sempre tutto.” È stato il maestro a dirgli di fare quella visita. Che lui abbia obbedito per fini personali non cambia le cose.

San Tekka ride, più rilassato. “E sa perché sei qui?”

Ben tace. Il vecchio non è sensibile alla Forza, ma è intuitivo come poche altre persone. E Luke deve avergli parlato dopo avere analizzato Rey.

“Luke non è onnisciente. Ma ti conosce bene. Tu devi fidarti di lui, Ben. Sai che hai ancora bisogno di una guida.”

Prediche. Non sta ottenendo altro che prediche e silenzi. Avrebbe preferito una menzogna chiara. Se Luke gli avesse detto che in Rey non c’è alcun potenziale non si sentirebbe tanto confuso. “Sarebbe più semplice se qualcuno mi spiegasse cosa sta succedendo.”

“Tu hai poteri straordinari, Ben. E il fascino del Lato Oscuro…”

No, non vuole ascoltarlo. È tutta la vita che se lo sente ripetere. “Perché mai dovrei aprirmi al Lato Oscuro? I Sith erano tutti pazzi assassini.”

“I Sith erano più di questo.” San Tekka sorseggia la sua bevanda lanciandogli un lungo sguardo di riprovazione.

“Perché stiamo parlando di loro, adesso?” La sola  idea che i Sith siano esistiti gli fa venire i brividi. La loro estinzione è la cosa migliore che potesse accadere. Un Sith rappresenta il male assoluto. Le leggende che ha ascoltato da quando ha lasciato Chandrila, dicono che Luke sia riuscito a sconfiggere l’Imperatore grazie all’aiuto di Darth Vader dopo averlo convertito al Bene. Lui non sa quanto  ci sia di vero in quella storia. Suo zio non ne parla volentieri.

E perché mai Vader avrebbe dovuto abbandonare la via intrapresa solo perché zio Luke gliel’ha chiesto? Zio Luke non riesce a convincere nemmeno me a dormire di più.

“Hai ragione.” San Tekka decide finalmente di cambiare argomento. “Dovevi dirmi qualcosa, vero? Ha a che fare con la bambina a cui ti sei affezionato, giusto?”

“Luke non vuole che venga con noi.” Ripeterlo gli fa ancora male, ma deve abituarsi all’idea. Ora è tutto nelle sue mani e deve fare in fretta. “Capisco. No, non capisco ma ribellarmi è l’ultima cosa che voglio. Dice che potrò averla come allieva, quando sarò un Jedi. Fino a quel giorno… potete tenerla d’occhio per me?”

San Tekka sorride e poi annuisce. “Tu hai buon cuore, Ben. È la dote più importante per un Jedi. Ma devi imparare a controllare ciò che senti. Non temere per questa specie di sorellina che ti sei trovato qui. La Chiesa della Forza la proteggerà e quella bestia di Unkar Plutt non se ne accorgerà neppure.”

All’improvviso è come se gli avessero tolto un enorme peso dalle spalle. Tornerà presto. Ma intanto Rey avrà qualcuno su cui contare in caso di bisogno. Quando si congeda, Ben abbraccia il vecchio provando una gratitudine infinita. “Grazie. Mi sdebiterò, un giorno, vedrai.”

La risata di San Tekka è roca e profonda. “Non dire sciocchezze, ragazzo. Tu sei uno Skywalker. Gli Skywalker sono miei cari amici. E tra amici non esistono debiti.”

 

Quella mattina, quando Ben è venuto a cercarla per dirle che sarebbe partito, Rey gli ha detto solo “Grazie per le medicine, per il cibo e  per il mantello. Sei stato davvero gentile.”

Non è  arrabbiata con lui. Non è nemmeno delusa. Se lo aspettava. Nessuno mantiene mai le promesse. Nessuno.

Rey ha segnato un altro giorno sull’AT che in futuro sarà casa sua.  Perché mamma e papà torneranno. Loro sì. Non vuole vedere Ben. Perché Ben le ha fatto sognare di andare via con lui. Sarebbe stato bellissimo. Avrebbe visto mondi azzurri. Avrebbe visto la pioggia, la neve, gli alberi.  Invece c’è ancora Jakku. E lui se ne sta andando.

Non gli sta tenendo il muso. Non vuole vederlo e basta. Sa che si metterebbe a piangere. Per questo pulisce i pezzi che ha trovato strofinando con più forza del solito e non le importa neppure quando una delle guardie di Unkar la pungola con il suo bastone e le dice “Datti una mossa, mocciosa.”

Unkar la sorveglia. Non è mai stato così attento. Forse ha paura che lei possa scappare.

Scappare...

Le sue mani rallentano. Perché Ben se ne va. Ben sta per partire. E non lo vedrà più.

Mai più, vero?

E, all’improvviso, vorrebbe tanto che lui venisse a salutarla. Non lo farà, perché lei, da quando gli ha detto che non potrà portarla via, è stata cattiva e, dopo averlo ringraziato per i suoi regali, non gli ha più parlato. Però conterà anche i giorni da quando lui è partito da domani  anche se lui di sicuro non le vuole più bene. Lui non verrà. E allora Rey scivola sotto il tavolo da lavoro e sgattaiola via verso Bay Three. Non importa se Unkar la farà riempire di lividi. Non dovrebbe ma lo fa lo stesso. Perché Ben è il fratello maggiore che sognava di avere. E quando la vede lascia stare qualunque cosa stia facendo e arriva da lei e le si inginocchia davanti e la abbraccia  forte ed è bellissimo.

“Per favore. Portami con te. Per favore.” Non dovrebbe farlo ma glielo chiede lo stesso. Farà la brava se le dice di sì.

Ben la stringe più forte e lei non vorrebbe piangere. Però non ce la fa perché, in fondo, è solo una bambina triste.

“Rey, sei forte, vero?” Ben la lascia andare ma le appoggia le mani sulle spalle guardandola dritta negli occhi.

Sì, è  forte. Sì. Tanto forte. Annuisce e gli occhi le pizzicano tanto. Ma piangere vuol dire sprecare acqua. E non deve farlo.

“Ascoltami. Ci vorrà del tempo, ma ti giuro che tornerò qui e ti porterò via. Fidati di me. Tornerò da te e saremo una famiglia e ti insegnerò tutto quello che ho imparato. Ti fidi di me, Rey?”

Vorrebbe dirgli di no. Che non si fida di nessuno. Ma gli risponde di sì, perché altrimenti si sentirà  peggio.

“Resta qui.” È una richiesta stupida e lo sa. Chi vorrebbe restare su Jakku? Da Jakku si scappa, non è vero?

“Non posso, Rey. Ma tu continua a guardare il cielo. Mi vedrai tornare, fosse l’ultima cosa che faccio.” Perché ha l’impressione che anche lui stia per piangere? I ragazzi più grandi non piangono mai.

Annuisce ancora. Ma cosa farà domani, quando tutto sarà di nuovo orribile?

“Non andartene” insiste sentendosi davvero stupida.

“Tornerò, tesoro. Te lo prometto.” Ben si alza e le accarezza la testa un’ultima volta. Rey odia la sua schiena che si allontana. Odia vederlo sparire a bordo della sua nave. Odia il suono dei motori che si accendono. Odia Unkar che la riacchiappa e la trascina via dicendole che sta perdendo troppo tempo. Odia la sua voce che grida. Odia quel pianto che non riesce a controllare e odia pure se stessa.

Perché è colpa sua. Se non fosse così inutile e cattiva non se ne andrebbero tutti. Non la lascerebbero sola. È  colpa sua. Solo e soltanto colpa sua.

“Tornerò, tesoro  te lo prometto.”

Si aggrappa a quelle parole per continuare a respirare. Tornerà. Lo ha promesso. Tornerà e lei vuole credergli.

 

 

“So che sei furioso con me adesso.” Jakku diventa una biglia bianca che scivola via mentre Luke gli parla. Sembra mortificato. Stranamente, Ben non lo ritiene necessario.

“No. Suppongo che tutto questo abbia un senso. Ma la sento ancora gridare nella mia testa. Potrà farcela?” Rey piangeva. L’ha sentita come se fosse stata vicinissima a lui. Ha gridato “Torna indietro!” con tutta la disperazione che la sua piccola gola è riuscita a produrre.

“Sì. Resterà viva. E anche tu. Quella ragazzina è una sorta di enigma.” Non ha mai creduto che Luke potesse essere insicuro e dubbioso. Eppure ora il suo maestro sembra stanco e confuso. Ben lo guarda perplesso mentre  finalmente si apre con lui. “È come se mi stesse respingendo, è come se la Forza stessa sussurrasse che prenderla con noi ora è sbagliato. Non riesco a mettere a fuoco il suo spirito. Yoda ci riuscirebbe, ma io non sono Yoda. Perdonami se non ho potuto prendermi questo rischio.”

Si sta scusando? Il maestro si sta scusando davvero? “Unkar non l’avrebbe lasciata andare” gli ricorda Ben come a voler alleggerire l’atmosfera di disagio che riempie il ponte. Sa che è solo una scusa. Che, se avessero voluto, avrebbero potuto strappare Rey da Jakku senza troppi problemi. Disinserisce il pilota automatico e afferra i comandi. Ha voglia di pilotare per un po’. È l’unica cosa che riesce a calmarlo.

“Hai provato il desiderio di ucciderli, vero?” chiede Luke mentre lui prepara l’iperguida.

Ben si rende conto che è così. Ha provato odio. Desiderio di fare del male. Credeva di avere ormai  messo a tacere quel genere di emozioni ma non è così.

Forse ha ragione la voce che sussurra...

“Starai meglio quando saremo a casa” gli dice Luke aiutandolo con le coordinate. Non gli piace il ruolo del copilota e Ben lo sa. Ma quel giorno sta lasciando la nave nelle sue mani senza protestare.

“Non riesco a capire.” Ben ha bisogno di parlarne con qualcuno e Luke è l’unica opzione disponibile. Non importa se gli dirà che la sua immaginazione gli sta giocando strani scherzi. “Abbiamo visto il dolore in tutte le sue forme. Perché stavolta è diverso? Quella ragazzina è  come…”

Come una parte di me che ho perduto. Irrazionale. Ma fondamentale.

Tace perché sa che il suo maestro non capirebbe. Forse ne parlerà a Rey, un giorno. Quando tornerà a prenderla per portarla via e lei sarà abbastanza grande da comprendere. Ma, per il momento, Jakku scompare quando lui attiva la velocità della luce. E gli resta solo l’immagine di due occhi in lacrime.

 

 

Il giorno dopo il volto di Rey svanisce. Ben Solo ricorda unicamente  che, su Jakku, una bambina gentile gli ha servito la cena, la sera del loro arrivo. Quello dopo Ben Solo non ricorda più di avere parlato con lei. Un mese dopo Jakku è solo un pianeta orribile e la sola idea di tornarci gli fa venire la nausea. Ben Solo non ci  mette più piede per anni, fino alla sera in cui uccide Lor San Tekka e il suo nome è ormai Kylo Ren.

Nei suoi sogni vede una ragazza. Sa che esiste, da qualche parte, e che è destinato a incontrarla.  Ma è solo un’immagine evanescente. Non ricorda la bambina di Jakku. La bambina è andata. Nei suoi pensieri, non è mai esistita. È la ragazza a contare. Importante. Sconosciuta. Fondamentale. Non ha un volto. Non l’ha avuto fino a quel giorno,  su Takodana, in cui l’ha catturata, interrogata, torturata.

E adesso è li. Davanti a lui. Con le mani sulle bocca e il dolore negli occhi. E gli dice “Eri tu.”

E allora Kylo Ren ricorda. Ricorda una promessa infranta da Ben Solo e tutto assume un senso.

Mi vedrai tornare, fosse l’ultima cosa che faccio.”

“Perché? Ti ho aspettato,  ti ho aspettato per tutta la vita… Ho aspettato te. E nemmeno lo sapevo.” La voce di Rey si è fatta sottile e spezzata come quella della bambina che era e che è stata dimenticata.

Qualcosa è intervenuto. Qualcosa ha agito perché mi scordassi di lei. Deve essere così. Snoke? O la Forza? E perché?

Rey gli si butta addosso e lo colpisce con i pugni sul petto. Sono i colpi di una bambina arrabbiata. La stringe per tenerla ferma, anche se non gli sta facendo male. Sembra che la sua rabbia e la sua forza se ne siano andate. La bambina di Jakku lo sta punendo per averle mentito. Non  è tornato. Non l’ha portata via. Non le ha fatto da maestro. Non è diventato la sua famiglia.

La abbraccia e la lascia fare. Lascia che pianga e si disperi. Glielo aveva promesso. E l’ha dimenticata. Per quanto sembri assurdo, per quanto stia cercando una spiegazione a quel semplice fatto, l’ha dimenticata. A come e perché penserà dopo. Adesso può solo stringere quella bambina in lacrime che è venuta a cercarlo.

Kylo Ren ha ucciso. Kylo Ren 9ha torturato. Kylo Ren ha distrutto. E non si è  mai sentito in colpa come in quel momento.

“Perdonami…”

“No.” Lei si divincola, ferita e spezzata. “Adesso no. Dopo, forse. Lasciami in pace. Lasciami in…”

Non riesce a guardarlo. Si volta e si allontana. E lui la lascia andare. Perché non c’è modo di rimediare.

   
 
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