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Autore: Ode To Joy    25/07/2018    5 recensioni
ABBANDONATA
[Lotor x Lance]
Post-S3
”I tuoi occhi sono blu…”
Lance avvertì una nota sorpresa nella sua voce. Sorrise.
“Adesso, però, devi dirmi di che colore sono i tuoi.”

Dopo una battaglia finita male, Lance si ritrova solo ed incapace di vedere a causa di un danno irreversibile subito agli occhi.
"Mi permetterai di vedere il tuo viso, prima che tutto questo finisca?"
Viene salvato e fatto prigioniero da un giovane generale Galra senza nome che ha tutte le intenzioni di sfruttare il Paladino a suo vantaggio.
"Hai già visto molto più di quello che avresti dovuto, Paladino Blu."
Ma ogni strategia ha i suoi punti deboli.
[Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!]
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, McClain Lance
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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XVI
Castigo




Lotor prese ad ignorarlo gradualmente.

Lance se ne accorse fin da subito ma non ne parlò immediatamente. Da quando avevano messo piede sulla Nave Madre, la tensione tra loro era divenuta palpabile.

Nei primi tempi, c’era stato ancora qualcosa di buono tra loro, come la volta che erano finiti sotto la doccia insieme; o quando il Principe aveva assistito all’esibizione canore del Paladino Blu. Piccoli dettagli ma indispensabili per mantenere solida la loro alleanza.

Tutto era andato scemando nel giro di poco.

Lotor era passato dal trascorrere con Lance pochi minuti a sparire per giorni.

Il Terrestre non aveva idea di che cosa stesse passando per la testa del Principe. Le sue uniche certezze erano che Lotor si stava tenendo impegnato con qualcosa e che quel qualcosa non lo riguardava.

Erano state sprecate tante parole tra di loro riguardo al gioco di squadra o al fatto che nessuno dei due poteva uscire da quella situazione senza l’altro. Bene, Lotor doveva aver trovato un piano alternativo perchè Lance si sentiva più in prigionia in quella camera da letto reale di quanto ci si fosse sentito nella sua cella sulla nave del Principe, privato della vista.

Al tempo, almeno, le ragazze spendevano parte del loro tempo per parlargli e fargli compagnia. Lo facevano per loro divertimento personale, certo, ma almeno c’era una voce reale a coprire il silenzio e non quella dei pensieri di Lance.

La sola prova che Lotor non lo aveva completamente abbandonato, il Paladino Blu la trovava nella servitù che andava e veniva per servirgli tre pasti al giorno e assicurarsi che la sua camera fosse perfettamente pulita.

Persino le guardie di turno di fronte alla sua porta si preoccupavano di chiedere come stava.

Lance rispondeva con un sorriso che non raggiungeva i suoi occhi.

Non avrebbe avuto alcun senso dire a loro che era sul punto d’impazzire. Quei Galra non erano colpevoli per quello che gli stava succedendo e non erano nella posizione di aiutarlo.

Alla fine, Lance incominciò a spendere il suo tempo guardando le stelle fuori dalle grandi vetrate delle stanze del Principe. Passava la punta dell’indice sul vetro disegnando delle linee invisibili per unirle tra loro. Era un gioco che aveva cominciato a fare al Castello, nelle notti in cui la nostalgia di casa non lo faceva dormire e doveva tenere la mente occupata in qualche modo.

Univa quei puntini luminosi in modo che assumessero una forma più o meno riconoscibile, allora dava un nome a quella nuovo costellazione, frutto nella sua mente annoiata.

Alle volte, Lance studiava quelle stelle con una tiepida speranza a scaldargli il petto. Lui e i suoi compagni avevano viaggiato molto durante le loro missioni e c’erano dei Sistemi che avevano visitato più spesso di altri.

Lance sapeva che se si fosse ritrovato nelle vicinanze di uno di quei luoghi, avrebbe saputo riconoscerne le costellazioni e forse… Solo forse, i suoi compagni sarebbero stati lì, abbastanza vicini da captare la presenza di Red.

Red…

Lance poteva ancora sentirla nei recessi oscuri della sua mente. Alle volte, il suo richiamo era tanto insistente che il Paladino si premeva le mani contro le orecchie in un gesto automatico ma inutile. Red era insistente e caparbia. Era come Keith e non accettava il suo silenzio.

Lance, però, non aveva molto da offrirle, solo la sua impotenza in una situazione in cui aveva creduto di non essere solo. Lotor, però, aveva deciso altrimenti.

“Sono un sognatore,” diceva a se stesso ma era col suo leone che parlava. “Sono sempre stato un sognatore. Mio padre ha sempre detto che era il mio più grande pregio e il mio peggior difetto.”

Red rimase silenziosa nella sua mente. Lance sorrise amaramente, appoggiando la guancia alla vetrata fredda. “Nemmeno tu puoi negare l’evidenza, eh?” Si passò una mano tra i capelli. “Vorrei che tutto questo sia dovuto solo al fatto che sono nelle mani del nemico senza possibilità di scampo, eppure c’è qualcosa che fa male. Fa dannatamente male, Red.”

Aver creduto in Lotor era solo e unicamente una sua colpa. No, non era del tutto corretto: Lance non aveva mai smesso di guardarsi le spalle.

Era rimasto sotto la pioggia in attesa di un bacio, aveva sognato di fare l’amore con lui e gli aveva dato il permesso di vedere quella fantasia onirica, ma non aveva mai dato a Lotor la sua completa fiducia. Il Principe non si era comportato diversamente.

La loro alleanza era finita ancor prima di cominciare e l’attrazione tra loro non aveva contribuito a migliorare le cose.

Perchè quella c’era. Quella era reale come le stelle che Lance vedeva fuori da quella finestra sull’universo.

Lotor, però, era il Principe dei Galra e lui il Paladino Blu di Voltron.

Dove Lance non aveva temuto le conseguenze, Lotor aveva deciso che anche un semplice bacio sarebbe stato troppo.

“Pensi che sia per il mio ruolo?” Domandò a Red con astio, non verso di lei ma verso il Galra che lo aveva ridotto in quello stato. “Pensi che non si sarebbe fatto scrupoli a usarmi se fossi stato uno qualunque?”

Red rispose a modo suo, nella sua mente. Lance non poteva comprenderla ma si accontentò di sapere che lo stava ascoltando. “Sì, probabilmente sì. Il fatto che sia un Paladino lo inibisce. Se non lo fossi stato, sarebbe stato molto meno restio a lasciarsi andare.”

Sentì le lacrime salirgli agli occhi e chiuse le palpebre. “Allora perchè continuò a essere convinto che ci sia più di questo?” Domandò a se stesso. “Lotor non riesce a comprendere Voltron e il mio ruolo è ridicolo per lui, come lo è il mio legame con te, Red. Come può bloccarlo qualcosa a cui non da valore?”

Si portò una mano alla fronte stringendo i capelli della frangia castana tra le dita. “Perchè una voce continua a sussurrarmi che non mi vuole perchè sarebbe qualcosa più di niente?”

Sentì la presenza di Red farsi più intensa, quasi lo volesse consolare. Era come un abbraccio, seppur non fisico.

Lance si lasciò avvolgere da quella sensazione e cercò di trarne un poco di conforto.

“Perchè stai piangendo?”

Il Paladino sollevò la testa di colpo e il contatto con Red andò in pezzi.

Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che si erano parlati che Lance quasi aveva dimenticato il suono della sua voce. Eccolo lì, con i suoi capelli perfetti ed i suoi occhi meravigliosi. Un bellissimo bastardo.

Lance non sarebbe mai potuto cadere più in basso di così. “Oh…” Mormorò sarcastico. “Sua Altezza Reale si è degnato di ricordarsi della mia esistenza.”

Il viso di Lotor non tradì alcuna emozione. “Perchè stai piangendo?” Domandò di nuovo. “Stai male? Qualcosa non va?”

Lance posò la tempia contro il vetro freddo, gli occhi blu rivolti alle stelle. “Ho perso il conto delle cose che non vanno…” Disse a bassa voce.

Lotor udì poco più di un borbottio e decise di non dargli importanza. “Abbi la decenza di dirmi se stai male. Non mi sei di alcun aiuto se non sei in forze.”

“Ci credi ancora a questa farsa, Lotor?!” Lance non riconobbe il suono della sua stessa voce. Urlare così, dal nulla, non era da lui.

Quella reazione dovette prendere di sorpresa anche il Principe dei Galra, perchè si bloccò e lo fissò con il barlume di qualcosa ad illuminargli gli occhi. “Farsa?” Domandò.

Lance sentiva il petto pesante e respirare era difficile, ma trovò comunque la forza di reggere il suo sguardo. “Vuoi davvero andartene, Lotor?” Una domanda semplice. La risposta non gli sembrava più così scontata.

“Che sciocchezze stai dicendo?” Domandò il Principe, annoiato.

“Non lo so,” ammise Lance con un sorriso isterico. “Intrattieni lunghe conversazioni con tuo padre quando non sei qui? Perchè a me non sembra che tu stia facendo qualcosa per migliorare la situazione.”

“Sei ancora vivo,” gli ricordò Lotor. “Fattelo bastare.”

“Bastare?” Lance si alzò in piedi, sorreggendosi alla vetrata. “Non sono dove dormi. Non so dove mangi. Mi hai lasciato qui ad aspettare non so nemmeno io cosa. Ci sono giorni in cui mi aspetto che le guardie entrino da quella porta per portarmi via e giustiziarmi.”

“Non accadrà,” disse Lotor con voce ferma, incolore.

“Ho solo la tua parola, te ne rendi conto?”

“E che altro vorresti, Paladino?”

Lance si sentiva patetico a elemosinare attenzioni in quel modo. Che cosa voleva? Un po’ del suo tempo, ecco cosa voleva. Gli serviva la prova che erano ancora insieme e non ognuno per sè.

Non c’erano parole per farlo capire al Principe che potessero suonare dignitose. Lance resse il suo sguardo fino alla fine, ma non rispose alla sua domanda. “Una volta mi hai detto che non avresti esitato a uccidermi, se questo ti avrebbe garantito la libertà da questo luogo,” disse. “Io non sono come te, Lotor. La guerra non si è ancora presa tutta la mia umanità, ma sappi che se dovessi trovare il modo di arrivare a Red, non mi volterei indietro per te.”

Lotor serrò la mascella e accettò quell’avvertimento come se non avesse alcun peso. “Molto bene, Paladino,” concluse, voltandosi.

Nessuno si era mai voltato per lui.


***


Il dispositivo d’interfaccia neurale era freddo contro la sua fronte.

“Sei silenzioso.”

L’illusionegiaceva sul lato della vasca, distesa sull’addome. Lotor sapeva che l’aveva fatto per farsi guardare. Lance non era affatto un timido, era solo la mancanza di esperienza a iniziarlo. Quella proiezione della sua essenza ne era la prova.

Gli piaceva essere guardato. In particolare, Lotor sapeva che adorava avere i suoi occhi addosso, ma per orgoglio non l’avrebbe mai ammesso.

“Il vero te è di cattivo umore,” disse il Principe. L’acqua calda della vasca era un abbraccio confortevole, rilassante ma la sua pelle desiderava altro.

“Vieni qui,” ordinò con un gesto della mano.

L’illusione sorrise. “Sono di cattivo umore perchè mi lasci da solo,” disse. “Il silenzio non mi piace e la solitudine mi fa male. Non ci sono abituato.”

Lotor assottigliò gli occhi. “Ho sempre avuto un’impressione diversa,” ammise. “Ho la netta sensazione che Lance si sia sentito da solo per gran parte della sua vita.”

“Sentirsi da solo ed esserlo non sono la stessa cosa.”

“Tutto sta quale delle due si considera peggiore.”

“Nessuna delle due,” disse l’illusione, ondeggiando appena i fianchi, costringendo gli occhi indaco del Galra a tracciare la curva di quel sedere perfettamente disegnato. “Si può smettere di sentirsi soli trovando qualcuno in grado di ascoltarci. Si può cessare di esserlo aprendosi agli altri.”

Lotor storse la bocca in una smorfia. “Tipico di te,” commentò.

“Ascoltami,” disse l’illusione, scivolando nell’acqua che riempiva la vasca. “Fai in modo che la mia voce abbia valore per te ed io resterò al tuo fianco per tutta la vita.” Si mise a cavalcioni sul Principe. Non emetteva alcun calore e la sua consistenza era reale solo nella testa di Lotor.

“Io non sono solo,” replicò il Galra freddamente, afferrando i polsi dell’ombra di Lance e allontanando le sue mani da sè.

Gli occhi blu lo guardarono tristemente. “Lo sei più di quanto immagini,” disse. “Tuttavia, puoi ancora salvarti.”

Lotor inarcò un sopracciglio. “Come si può salvare qualcuno che non ha bisogno di essere salvato.”

“Non mi tocchi,” l’illusione sorrise. “Mi guardi. Mi baci solo alle volte, ma non mi tocchi. Non lo stai sostituendo con me. Sai perfettamente che non puoi.”

Si guardarono per un lungo momento di silenzio, Lotor gli afferrò i fianchi. “Non c’è molto piacere nello scopare qualcosa che non esiste,” quasi sibilò. Lance poteva essere la più grande tentazione della sua vita e la sola a cui non poteva cedere, ma preferiva la compagnia della sua mano a quello che quell’illusione stava suggerendo.

“Eppure, hai provato piacere con me nel sogno.” L’ombra di Lance si chinò su di lui, le loro labbra a pochi millimetri di distanza.

“Era un sogno,” si giustificò Lotor. “La ragione per cui sei qui è un’altra.”

“La ragione per cui sono qui è perché io sono la proiezione di quella parte di lui che ti ama.” Il modo in cui quella creatura passava a parlare dalla prima alla terza persona era inquietante.

Lotor non fu preso di sorpresa da quelle parole. “Lance non mi ama. Lo crede perchè è un ragazzino.”

“Il tuo cuore è giovane quanto il suo,” replicò l’illusione. “Conosce il dolore, la rabbia, il tradimento, l’abbandono… Ma cosa può sapere più di questo? Con l’amore, il tuo cuore è come un uccellino che non ha mai aperto le ali.”

Lotor chiuse gli occhi stancamente, appoggiando la nuca al bordo della vasca, “Smettila…”

“L’amore appartiene alle stelle, Lotor,” rispose l’illusione. “Solo che ancora non riesci a comprenderlo…” Si chinò di nuovo sul Principe, provò a baciare le sue labbra.

Prima che ci riuscisse, Lotor si liberò del dispositivo d’interfaccia neurale e l’ombra di Lance si dissolse nel nulla.

“Amore…” Ripetè, quasi ringhiando. “Pensi che non sappia nulla dell’amore?”

Si sollevò dall’acqua.

“So che ha il potere di distruggere i mondi,” disse alla stanza vuota. “Non mi serve sapere altro.”



***


Lance si svegliò in un campo di fiori.

Il cielo sopra di lui era nero, dalle sfumature violacee. Milioni di stelle lo trapuntavano e il sorriso inquietante di una luna crescente non era abbastanza luminoso per coprire la loro luce. Lance si mise a sedere: all’orizzonte vi erano alte montagno, tutt’intorno a lui vi erano fiori dal colore scuro.

Lance credeva di averli già visti nel giardino nei sotterranei del Castello dei Leoni, quello in cui Allura andava a rinchiudersi quando la nostalgia di casa e il dolore per la perdita di suo padre erano troppo da sopportare.

Non sapeva se i suoi compagni si erano mai resi conto di quei suoi momenti di fragilità. Lance lo faceva, sempre. Non diceva niente per rispetto, ma non c’era nulla dello stato emotivo dei suoi compagni di cui lui non si accorgesse.

Che qualcuno si notasse il suo era un’altra storia. Andava bene così, aveva un addestramento di diciassette anni da figlio più piccolo in una famiglia numerosa.

Il primo istinto fu di raccogliere uno dei fiori per sentirne il profumo, ma dopo lo avrebbe condannato ad appassire prematuramente e sarebbe stato un peccato.

Troppe cose belle avevano vita breve in quell’universo in continua evoluzione… Sempre ammesso che il buio non l’avesse vinta e ingoiasse tutto, anche le stelle più lontane.

Lance si distese su un fianco e lasciò che i petali dei fiori gli solleticassero il naso. Ridacchiò tra sé e sé a quella sensazione: un sollievo puerile alle emozioni negative che gli attanagliavano il cuore.

Non si domandò come era finito in quel luogo. Era in pace con se stesso e tanto bastava. Era una novità piacevole dopo tutto il metallo freddo e le vetrate della Nave Madre.

Le uniche cose ad essere rimaste erano le stelle ma di quelle non si sarebbe mai stancato.

“Vorresti rimanere qui per sempre?”

La voce che interruppe il silenzio lo prese di sorpresa ma non lo spaventò. Conosceva il suo proprietario, lo conosceva molto bene.

Sollevò la testa e i suoi stessi occhi blu risposero al suo sguardo.

“È bello qui, non è vero?” L’altro Lance era identico a lui nell’aspetto e anche il tono della voce era lo stesso, ma le sue labbra erano piegate in un sorriso che il Paladino Blu non si sarebbe mai creduto in grado di fare.

Lance si mise a sedere e solo allora si accorse di avere addosso la sua armatura. Il suo riflesso era inginocchiato al suo fianco e indossava colori che Lance aveva visto solo addosso a Lotor.

Lance gli rivolse un sorriso incerto. “C’è pace qui,” disse.

L’altro scosse la testa “C’è pace perché è un luogo che non esiste.”

Lance storse le labbra in una smorfia. “È un sogno,” disse stizzito. “Potrò pur aver la libertà di fare un bel sogno!”

Non gli rimaneva molto altro nella prigione principesca in cui Lotor lo aveva rinchiuso, a parte le stelle.

“Hai i suoi colori addosso nei tuoi sogni,” gli fece notare l’altro Lance.

Il Paladino si guardò addosso. “Tu li indossi. Non io.”

“Ma io sono te.”

“Sei solo il mio riflesso in un sogno, tutto qui.”

“Non hai ancora imparato a non sottovalutare il potere dei sogni?” Domandò l’altro Lance con un sorriso sarcastico. “Alla strega è bastato farti sognare per averti in pugno. Che cos’altro potrebbe rivelare la tua mente? Quali desideri scomodi si nascondono nel tuo cuore?”

Il riflesso gli sfiorò le labbra e Lance si fece indietro. “Un bacio,” disse maligno. “Tu aneli ancora quel bacio. Lo vuoi più di qualunque cosa al mondo. Un bacio dato col cuore dal tuo Principe e Sir Lancillotto sarebbe anche disposto a prendere in considerazione il tradimento, vero?”

Lance si alzò in piedi, i pugni serrati. “Mai! Non tradirò mai i miei compagni!”

“I Paladini, intendi?” Domandò il suo riflesso, sollevandosi a sua volta. “Quelli che ti hanno abbandonato.”

Lance strinse le labbra e incassò il colpo. “È un gioco che hanno già provato su di me e non ha funzionato.”

L’ombra di se stesso sorrise. “Sei così romantico, Lance,” disse con voce derisoria, “così affamato d’amore. Sei come il tuo Principe, ma lui disprezza questo desiderio almeno quanto tu lo metti al centro di tutto. È il motore di ogni tua azione, la ragione dietro ogni tua parola. Hai il disperato bisogno di sentirti amato.”

Lance si voltò. Non sapeva dove nascondersi  in quella realtà illusoria. Era nella sua mente, non sarebbe mai riuscito ad arrivare troppo lontano. “Sono un Paladino di Voltron!” Affermò alle stelle lontane.

La sua ombra rise. “Come sei un figlio della Terra.”

“Indossare i colori che hai addosso non mi riporterebbe a casa,” replicò Lance.

Il suo riflesso fece scivolare un braccio sulla sua spalla e posò la fronte contro la sua nuca. “No,” concordò. “Potrebbe aiutarti a dimenticarla.”



“Lance…”



Il Paladino Blu si voltò. Non era più nel campo di fiori e non c’era nessun cielo stellato sopra di lui.

Alle sue spalle, il secondo Lance era sparito. C’era solo Lotor.

Lance era di nuovo all’interno della Nave Madre ma non nella sua camera da letto. I piedi scalzi poggiavano sul terreno polveroso di un campo circolare. Alte mura lo circondavano e sopra di esse vi erano gli spalti.

Se fosse stato sulla Terra, Lance avrebbe pensato di essere al centro di uno stadio ricoperto di sabbia. Nel mondo dei Galra, quel luogo aveva un nome ben preciso.

“Come ci sei arrivato qui all’Arena?” Domandò Lotor, confuso quanto lo era il Paladino.

Lance si guardò intorno. Non indossava più la sua armatura ma solo i vecchi vestiti che il Principe gli aveva dato per dormire.

“Io…” Rammentava di essersi coricato ma non di essersi svegliato, né di essere uscito dagli appartamenti che gli era proibito abbandonare. “Non lo so…” Disse il Paladino con un nodo alla gola. “Non me lo ricordo.”

Lotor annuì sommessamente.

“Attendiamo ordini, Altezza.”

Il Paladino Blu si rese conto solo allora che non erano soli, che una squadra di guardie era alle spalle di Lotor, armata di blaster.

Gli occhi blu di Lance si fecero enormi, spaventati. L’istinto lo portò a sollevare il pugno, pronto a evocare il bayard.

“Non fate fuoco!” Ordinò Lotor con rabbia, la mano destra tesa nella direzione del giovane Terrestre. “Lance…” Chiamò con voce pacata, quasi gentile. “Prendi la mia mano e non ti accadrà niente.”

“Come ho fatto ad arrivare qui?” Domandò il Paladino tremando da capo a piedi. “La Nave Madre è piena di guardie. Come sono riuscito a…?”

“Ne parliamo dopo,” disse Lotor, facendo un passo in avanti con cautela. “Ora ho bisogno che tu abbassi quel braccio e non fai nulla per compromettere ulteriormente la tua situazione.”

Ulteriormente?” Domandò Lance. “Io non ho fatto niente, Lotor!”

Il Principe gli credeva. Lance poteva leggerlo nei suoi occhi che era così, ma la squadra di guardie alle sue spalle era di tutt’altro avviso.

“Per arrivare qui ha fatto fuori decine di noi!” Esclamò uno dei Galra armati di blaster.

Lance guardò il Principe con orrore. “Che cosa ho fatto?”

Lotor strinse le labbra e prese un respiro profondo. “Non è morto nessuno,” lo rassicurò. “Il prossimo che parla senza permesso assaggerà la lama della mia spada!” Aggiunse, rivolgendosi ai soldati dietro di lui. “Lance, vieni qui.”

Lotor gli porgeva la mano ma non sembrava volersi avvicinare in alcun modo. Era come se stesse parlando con un pazzo con un detonatore in mano. “Perchè hai paura?” Domandò Lance.

Lotor scosse la testa. “Non ho paura. Voglio che tu venga qui da me di tua spontanea volontà, senza provare altri colpi di testa.”

“Hai paura che ti faccia del male?”

Lotor esitò. “Lance, vieni qui,” ordinò con tono ancora pacato ma fermo.

Lance scosse la testa. “Non lo faccio se non mi dici che cosa c’è che non va.”

“Se ti fidi di me, andrà tutto bene.”

“Io mi fido di te.” Lance non sapeva quando aveva cominciato a piangere. “Non ho altra scelta che fidarmi di te e tu… Tu…”

“Non è questo il momento,” sibilò il Principe. “Non siamo soli e ci stanno osservando. Lo capisci, vero?”

Lance si guardò intorno: gli spalti erano completamente vuoti e nessuna delle guardie presenti sulla scena avrebbe detto una parola su qualunque fosse accaduta in quell’Arena. Lotor non lo avrebbe mai permesso.

“È nella mia testa, vero?” Domandò Lance, atterrito. “C’è qualcosa nella mia testa.”

Lotor fece un passo ancora. “Se ti fidi di me, possiamo scoprirlo.”

“È lei?” Urlò Lance. “Maledizione, Lotor, è di nuovo lei?”

“No,” il Principe scosse la testa. “Se lo fosse, lo saprei.”

“Allora che cos’è?” Lance singhiozzava, una mano tra i capelli. “Che diavolo c’è nella mia testa?”

Lotor stava perdendo la pazienza ma si costrinse a rimanere calmo. “Lance, devi venire con me di tua spontanea volontà, riesci a capirlo?”

“No!” Urlò il Paladino Blu in lacrime. “Perchè hai paura di me? Perchè ti comporti come se fossi una bomba sul punto di esplodere?”

Lotor pensò velocemente a qualcosa che lo potesse calmare e lo aiutasse a ragionare. Non ci riuscì: la terra cominciò a tremare sotto i suoi piedi. Le guardie alle sue spalle si agitarono immediatamente.

“Un demone!” Esclamò qualcuno. “È come uno dei mostri della strega! Ci ucciderà tutti! Abbattiamolo!”

Accecato dal panico, uno di loro sparò un colpo di blaster a caso e mancò di poco la testa del Terrestre. Lance gli fece gli pietra, gli occhi sbarrati e il respiro bloccato in gola.

“Vi ho ordinato di non sparare!” Sbottò Lotor voltandosi verso i soldati.

Era troppo tardi. La situazione era già precipitata.

Ora non era più solo il terreno a tremare ma l’intera struttura e Lance sapeva di esserne la causa. Non poteva spiegarlo razionalmente ma più il caos dentro di sè aumentava, più quella rabbia si riversava all’esterno sottoforma di un’invisibile forza distruttrice.

Lance si portò le mani al petto e artigliò la stoffa scura della tunica. “Che cos’è?” Il terrore lo paralizzava. “Non so che cos’è!”

Lotor riusciva a stento a restare in piedi. “Viene da dentro di te, Lance!” Esclamò. “Devi calmarti! Calmati e tutto finirà!”

“Non ci riesco!” Urlò il Paladino portandosi le mani davanti agli occhi. Le guardò come se non gli appartenessero. Nemmeno la forza che sentiva dentro era sua, eppure era il suo cuore a sprigionarla.

Lance si sentì afferrare e fu costretto a sollevare la sguardo. Lotor lo aveva raggiunto e lo guardava dritto negli occhi. Non c’era rabbia nelle sue iridi color indaco ma solo fermezza.

“Guarda me.” Il Principe dei Galra posò una mano sulla sua guancia per addolcire quell’ordine. “Guarda me... Guarda solo me, Lance.”

Gli occhi blu non si allontanarono da quelli del Galra.

Lance si aggrappò all’armatura di Lotor, cercò il battito del suo cuore come un naufrago in mezzo alla tempesta e grazie a quelle vibrazioni, riuscì a rendere il ritmo del suo respiro più regolare.

“Così,” Lotor annuì, infilò una mano tra i suoi capelli e appoggiò la fronte alla sua. “Così, Lance…”

Il Paladino Blu chiuse gli occhi e due ultime lacrime gli bagnarono le guance, aggiungendosi a quelle che aveva già versato. Il caos nella sua testa era scomparso e così il nodo intorno alla gola.

La terra aveva smesso di tremare da un po’ quando si rese conto che era tutto finito.

Alle loro spalle, nessuna delle guardie era rimasta in piedi.

“Siamo ancora vivi?” Chiese uno di loro, guardandosi intorno.

Nessuno gli rispose.

Nessuno diede ordini.

Lotor non si allontanò da Lance e il giovane Paladino rimase aggrappato a lui, le loro fronti l’una premuta sull’altra.

“Che cos’era?” Domandò Lance con un filo di voce. Si sentiva stanco, molto stanco. Se le braccia di Lotor non lo avessero sorretto, non era certo che le gambe lo avrebbero retto.

“Penso che il tuo leone sia entrato dentro di te,” disse Lotor a voce altrettanto bassa.

Lance era stravolto al punto da non riuscire ad aprire gli occhi e mostrargli la sua sorpresa.

“Penso che abbia smesso di fidarsi di me,” aggiunse il Principe dei Galra. “Ha sentito che non ti stavo più proteggendo e ha reagito al tuo dolore. Ti ha dato la forza per farti uscire di qui.”

Lance ingoiò a vuoto: sentiva la gola secca. “Non è mai successo a nessuno di noi.”

Il Principe dei Galra sospirò. “Immagino tu non riesca a fare normalmente nemmeno il Paladino.”

Suo malgrado, le labbra di Lance si sollevarono un poco: quella era la leggerezza che gli era mancata. No, gli era mancato Lotor, personalità da stronzo compresa.

Se non avesse tenuto particolarmente alla sua dignità, Lance si sarebbe fatto portare in braccio dal Principe dei Galra fino alla sua camera da letto. Sarebbe stato un po’ come in quelle fiabe che gli piacevano tanto da bambino, anche se non era servito nessun bacio per salvarlo.

Già… Ancora una volta, non aveva ricevuto il suo bacio.

Lance non seppe per quanto tempo lui e Lotor rimasero così, ma furono fredde le mani che li divisero con la forza.

Spalancò gli occhi e trovò sul viso di Lotor un’ombra di timore che non gli piacque affatto.

“Che state facendo?” Sbraitò il Principe. “Lasciatemi! Ve lo ordino!”

Quelli che li circondavano non erano soldati Galra ma alte figure incappucciate. A vederle, non potevano essere più forti dei soldati dell’Impero, ma Lance non riusciva a ribellarsi alla loro presa e anche Lotor faceva fatica.

“Lotor…” Chiamò, mentre li allontanavano l’uno dall’altro.

“Lasciateci, maledetti!” Urlò il Principe dei Galra.

I loro occhi s’incontrarono un’ultima volta, prima che le figure incappucciate li trascinassero in direzioni opposte.

Lance tese la mano nel vuoto. Il Principe dei Galra non l’afferrò per trarlo in salvo ancora una volta.

“Lotor!”
 
   
 
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