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Autore: Robigna88    25/07/2018    1 recensioni
Steve Rogers lavora per lo S.H.I.E.L.D. oramai da un po', ma non si fida completamente dell'organizzazione per cui svolge le più svariate missioni. All'interno, a parte i suoi compagni Avengers, si fida di una sola persona. Il suo nome è Lidya ed è la donna che lo ha aiutato a integrarsi nel nuovo mondo dopo il suo risveglio.
Lidya è anche un'agente molto capace e proprio quelle sue capacità rischieranno di metterla in pericolo. Cosa sarà disposto a fare Steve per tenerla al sicuro?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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PROLOGO

 

 

 

 

 

Steve si svegliò in una stanza dalle pareti bianche e pulite, alla finestra un leggero venticello agitava una tenda grigio chiaro, una radio stava trasmettendo i commenti ad una partita che credeva di aver già visto... forse. Doveva ammettere di essere un po’ confuso; il suo ultimo ricordo era di se stesso su un aereo, la foto di Peggy dentro il suo ciondolo poggiata sul posto di comando, come promemoria che aveva tanto, troppo, da perdere. Ricordava che c’era un gigantesco e terrificante ghiacciaio davanti a sé e ricordava che lui e Peggy stavano parlando di un ballo che lei gli avrebbe insegnato. Dopo di quello solo buio, fino a quel momento.

Tirandosi su si mise a sedere sul letto su cui era sdraiato, girò il capo per guardare fuori dalla finestra ma non vide nulla, solo lo sfondo sbiadito di una città, o almeno credeva fosse una città. Diede un’occhiata sospetta alla radio, ascoltò dubbioso la radiocronaca di quella partita che era sicuro fosse già stata giocata. Ne era certo perché lui ricordava di essere andato a vederla.

Il suo sguardo si spostò sulla porta quando questa si aprì e una bella e giovane donna dai capelli rosso scuro; indossava una divisa, gli fece tornare in mente Peggy per un istante.

“Buongiorno” gli disse con un sorriso avvicinandosi piano al letto. “O forse dovrei dire buon pomeriggio” specificò dando un’occhiata all’orologio.

Steve la guardò confuso; quel senso di smarrimento che aveva provato appena aperti gli occhi cresceva di minuto in minuto, insieme a un sottile panico. “Dove mi trovo?” domandò.

“Nella stanza di un ospedale di New York.”

Gli occhi azzurri del Capitano vagarono per la stanza, si fissò le mani, poi guardò di nuovo l’agente. “Dove sono veramente?”

“Non capisco” scosse il capo lei, ma si era innervosita, era chiaro dal modo in cui aveva steso le braccia lungo i fianchi.

Lui si alzò per avvicinarsi a lei. “Ho chiesto dove mi trovo veramente” ripeté. “La partita alla radio... ero lì in persona il giorno che è stata giocata.”

La donna premette qualcosa su un aggeggio che aveva in mano, ci fu un leggero suono e la porta si aprì di nuovo. Due uomini vestiti di nero entrarono, stringevano in mano delle armi e i loro occhi erano minacciosi. Steve scattò sulla difensiva e si disse che, dovunque fosse, sarebbe scappato. Sperava di non dover fare del male a nessuno per farlo, ci avrebbe provato.

“Capitano Rogers” gli disse uno degli uomini. “Stia calmo.”

“E’ un po’ difficile se mi puntate contro tutte quelle armi. Ditemi dove sono!” chiese duramente avanzando verso di loro, fermandosi sui suoi passi quando una donna entrò nella stanza e prese la parola.

“Mettete giù le armi” disse a quei due. “Il Capitano non è una minaccia. Giusto?” chiese proprio a lui.

“Posso esserlo se necessario.”

La donna accennò un sorriso. “Sì, ci credo” fece cenno ai due uomini e alla donna che era entrata per prima, e quelli se ne andarono lasciandoli soli.

“Dove sono? Non lo chiederò di nuovo” tuonò Steve guardandola.

“E’ davvero a New York, ma questa non è una stanza d’ospedale. Posso chiamarti Steve?” gli chiese sistemandosi il tutore che le teneva fermo il braccio sinistro. Chissà come si era ferita.

“No!” esclamò lui. “Sono il Capitano Rogers.”

Lei annuì avvicinandosi alla radio per spegnerla. “Io sono Lidya. Ma può chiamarmi agente Abel” gli sorrise appena ma più che un sorriso sembrava un ghigno. “Mi dispiace per questa pagliacciata” disse guardandosi intorno. “Avevo detto che era una stupidaggine e che l’avrebbe infastidita, ma le persone per cui lavoro hanno detto che era meglio così. Che l’avrebbe aiutata a non sentirsi smarrito, non subito almeno.”

“Le persone per cui lavora?”

“Sì. Lei si trova in una stanza al quartier generale dello S.H.I.E.L.D.”

“Che cos’è lo S.H.I.E.L.D.?”

“E’ una organizzazione governativa che si occupa delle minacce globali che sono fuori dalla portata dei... comuni mortali, per così dire. E’ stata fondata da Howard Stark, dal Colonnello Chester Phillipse e dall’agente Peggy Carter” Lidya notò che gli occhi di Steve si erano addolciti quando aveva sentito dell’agente Carter. Non ne era sorpresa, considerando il ciondolo che avevano ripescato insieme al suo corpo ghiacciato.

“Loro sono...” sussurrò.

“Il Colonnello è morto, Stark anche. Lui è sua moglie sono morti in un incidente stradale. Hanno lasciato un figlio. Si chiama Tony, ed è molto... beh diciamo che è proprio figlio di suo padre. Probabilmente lo incontrerà presto o tardi.”

“E l’agente Carter?”

“L’agente Carter è ancora viva.”

“Dove si trova? Voglio vederla.”

“E’ un po’ più complicato di così. Sicuramente potrà vederla, solo non adesso.”

“Perché no?” l’uomo le si piazzò davanti con fare minaccioso, Lidya sapeva che era solo spaventato.

“Perché ci sono parecchie cose che deve sapere prima.”

“Del tipo?”

La donna si avvicinò ad una cassapanca sistemata accanto alla porta e la aprì. “Le dispiacerebbe darmi una mano?” chiese all’uomo quando si rese conto che con una sola mano era complicato.

Lui gliela diede, tenne la cassapanca aperta mentre lei recuperava alcuni vestiti dentro. Un paio di pantaloni color beige, una camicia a quadri, una giacca di pelle marrone. “Indossi questi, andiamo a fare una passeggiata. Sarà più facile capire così.”

“Capire cosa?”

“Ogni cosa. La aspetto qui fuori.”

Steve guardò la porta richiudersi, si chiese se era il caso di trovare una via di fuga. Forse sì, ma l’agente Abel sembrava sincera, sembrava qualcuno di cui potersi fidare. Decise di seguire il suo istinto e dopo essersi cambiato raggiunse con lei l’esterno. Sgranò gli occhi mentre un migliaio di suoni e colori diversi gli riempivano occhi e orecchi. Quella non era New York, non era così che la ricordava.

“Credevo che avesse detto che siamo a New York, ma questa non è la New York che ricordo.”

Lidya mise la mano nella tasca del suo impermeabile. “Non è più il 1940, Capitano. Lei ha dormito per quasi settant’anni... benvenuto nella New York del 2011.”

   
 
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