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Autore: ChiaFreebatch    27/07/2018    10 recensioni
La mia personale interpretazione del genere Soulbond ( O Soulmate).Scritta per l'evento Happy Birthday Ben del gruppo Facebook Johnlock is the way... DUE CAPITOLI CONCLUSA.
L’anima gemella esiste. Ed è il destino ad assegnarla il giorno stesso della nascita di ogni individuo.
Un piccolo nome inciso sul polso, una cicatrice. Questo è ciò che avviene per la maggior parte della popolazione mondiale , i cosiddetti Bond. Vi è poi una parte di questi che nasce senza il suddetto nome, i No Bond. Tra di essi esiste una piccola percentuale di uomini o donne definibili latenti. Potenziali Bond che inconsapevolmente recano sotto la propria pelle il nome della propria anima gemella. In questi casi, il nome del Soulbond resta nascosto sino al momento in cui il soggetto in questione viene sottoposto ad un’esperienza di forte impatto emozionale .
Così forte, sia essa in positivo o in negativo da far esplodere in superficie il nome della propria anima gemella.
Ambientata nel periodo immediatamente successivo al ritorno di Sherlock “dal regno dei morti” ed ovviamente Mary non è mai esistita XD.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Soulbond – Anime Gemelle”

 

Capitolo due.

 

John Watson soffocò uno sbadiglio percorrendo a passo lesto Marylebone Road.

Raggiunse la  fermata della metropolitana di Baker Street  ed aggiustandosi la pesante sciarpa di lana varcò l’edificio.

Serrò un poco le palpebre colpito dalla forte luce al neon dell’ingresso.

Gettò uno sguardo al grande orologio appeso, la lancetta dei minuti si mosse in quell’istante.

Gli sovvenne un ricordo dell’infanzia e sorrise.

Tra i bambini girava voce che portasse fortuna posare lo sguardo sull’orologio nell’esatto momento in cui si muovesse la lancetta.

Sospirò ricordando a sé stesso quanto tutto fosse più semplice in tenera età.

Era una pensiero ovvio, dannatamente banale ma dal quale non poté sottrarsi.

Si infilò nel vagone sovraffollato a quell’ora del mattino trascinando con sé la propria borsa da medico.

Sbuffò infastidito da una gomitata secca sulla colonna vertebrale che lo fece vacillare.

La metropolitana partì e con un gesto lesto dovette posare il palmo della propria mano contro il vetro per evitare una caduta sicuramente comica ed oltremodo fastidiosa.

Il vociare dei londinesi era ininterrotto e Watson si chiese per la milionesima volta in vita propria, che voglia avesse la gente d’esser così tanto ciarliera alle sette del mattino.

Si morse il labbro inferiore ripetutamente riscontrando in sé un notevole peggioramento circa i rapporti con il prossimo.

Si sentì dannatamente simile a Sherlock Holmes e la cosa non seppe se spaventarlo o divertirlo.

Il vagone frenò stridendo fastidioso.

La prima ondata scese lasciando il posto ad un numero forse maggiore di loquaci esseri umani .

John venne pressato nuovamente contro il vetro.

Imprecò a denti stretti e sopportò uno studente con le cuffie alle orecchie tanto vicino alla propria schiena dal poter avvertire il fiato sulle orecchie.

Rap a tutto volume gli giungeva limpido e per un istante non seppe se concentrarsi su quella accozzaglia di rumori che i più giovani definivano musica o sul vociare dei suoi concittadini.

Optò per la seconda, tanto dal farsi incuriosire da un discorso politico portato avanti con piglio deciso da un paio di distinti signori seduti  li dinnanzi.

L’ombrello di uno dei due, sicuramente quello più anziano, colpì Watson sulla caviglia ed il medico si trattenne dall’imprecare solo per rispetto nei confronti di un tizio che a tutti gli effetti avrebbe potuto essere suo nonno.

Il ragazzo della musica rap scese alla fermata successiva.

John gliene fu grato e  non prestò attenzione a chi prese posto nuovamente contro la propria schiena.

La cosa certa fu che il nuovo arrivato possedeva un cellulare dalla suoneria particolarmente irritante. Il passeggero parve ignorare volutamente quei trilli continui ed il dottore fu seriamente tentato dal rispondere al posto suo.

Gonfiò e sgonfiò le guance con disappunto.

Dopo un numero improponibile di squilli,  la persona alle proprie spalle si degnò di far cessare quel suono fastidioso rispondendo alla chiamata.

John origliò non volutamente per l’ennesima volta quel giorno.

Mormorio sommesso, accento irlandese.

L’uomo alle sue spalle tese un braccio aggrappandosi ad un gancio apposito proprio sopra la testa di Watson.

L’ex militare levò il viso verso l’altro constatando quanto fosse alto il proprietario di quella voce.

Scorse la mano guantata di nero ed una porzione di polso oltre la stoffa del cappotto blu.

Acuì la vista cogliendo un bracciale del medesimo colore atto a coprire il nome inciso.

Si incuriosì, aguzzando la vista e notando una porzione rossa apparire oltre il bracciale.

Lo sconosciuto avrebbe dovuto provvedere ad acquistarne uno della propria misura, quello che portava era decisamente troppo sottile per coprire sufficientemente il nome.

Strinse un poco le palpebre assottigliando lo sguardo e scorse quella che a tutti gli effetti avrebbe potuto essere una  J .

Sì, l’arrotondamento alla base ed il proseguo in un’unica direzione non potevano rappresentare nessun’altra lettera concluse.

J.

J di John.

Si sentì un poco stupido ma il destino avrebbe potuto fargli incontrare il suo William in qualsiasi momento ed in quell’istante si disse che era bene tenersi pronti.

Gli occhi limpidi di Sherlock apparvero come un flash nella sua mente.

Inopportuni, come solo Holmes sapeva essere.

Si schiarì la voce e scosse la testa come ulteriore invito ad abbandonare quell’immagine.

Si passò la lingua sulle labbra in un gesto quasi maniacale e volse un poco il viso sbirciando in direzione dell’uomo.

Era biondo e vantava una barba del medesimo colore, piuttosto lunga ma ben curata.

Un paio di occhiali dalla montatura sottile scivolavano sul naso un poco adunco.

Non riuscì a scorgere gli occhi poiché  lo sconosciuto si mosse sbuffando al telefono.

Watson tese le orecchie .

Sì, esatto, gliel’ho già detto prima, prenotazione confermata per due a mio nome… William Walsh…no, Walsh con l’h finale per la miseria! Sì, arrivederci!”

John serrò con forza le dita attorno al manico della valigetta.

William.

La gola secca.

William.

Si voltò definitivamente scorgendo il biondino passarsi con un gesto lento le mani nel lungo ciuffo biondo.

John inspirò ed espirò.

L’uomo ignaro d’essere oggetto di tali attenzioni si avvicinò alla porta con il chiaro intento di scendere alla fermata imminente.

Watson gli fu accanto, si morse con forza il labbro inferiore e levò il viso cercando quello dello sconosciuto.

William avvertì quello sguardo su di sé.

Gli occhi gradi e castani catturarono quelli blu di John.

Un’espressione curiosa apparve su quel volto.

Le porte si aprirono , qualcuno spinse il medico.

Incespicando scese alla fermata sbagliata.

William seguì la fiumana di londinesi su per le scale.

Si volse tuttavia un paio di volte, forse tre, a guardare quell’uomo dall’aspetto ordinario che lo fissava con insistenza.

Non si turbò della cosa ma un senso di curiosità lo pervase.

Uscì all’aperto.

Il vento gelido colpì il suo viso , la barba si mosse un poco.

John poco distante si guardava attorno cercando di capire a che altezza della linea della metropolitana fosse sceso.

William si fermò alla pensilina dell’autobus, le mani nelle tasche del lungo cappotto blu.

Il dottore inspirò a fondo e guardingo si avvicinò fingendo d’interessarsi agli orari dell’autobus appesi.

Lo sconosciuto sorrise divertito e scosse il capo.

John si sentì un idiota.

Immaginò quanto dovesse apparire goffo agli occhi di quel biondino.

Visualizzò sé stesso collocandosi al livello di un impacciato uomo over trenta impegnato nel tentare l’approccio con un ragazzo più giovane facendo la figura dell’imbranato.

Si passò nervosamente una mano sul viso quando una voce squillante lo distrasse dai propri pensieri.

“William!!”

Il medico si voltò , in direzione opposta un ragazzo dai lunghi capelli corvini stretti in una coda correva a perdifiato.

“William!”

Il biondino sorrise, un sorriso ampio e tese le braccia verso quel corpo esile che gli si gettò al collo.

“Ciao James” Rise stringendolo a sé.

John si sedette sulla panchina.

Posò la borsa e si passò nervosamente le mani sul volto.

J di James.

Non di John.

Inspirò a fondo mentre i due si scambiavano un bacio che lasciava poco spazio all’immaginazione.

“Cristo…” Scosse il capo.

Una mano corse al bracciale, lo strinse con forza , lo odiò.

Levò gli occhi verso la coppia. Erano ancora stretti in un abbraccio.

Gli occhi nocciola di William si posarono sul viso stanco di Watson.

Gli sorrise indicando con un cenno del capo il bracciale.

Il dottore sorrise a sua volta intuendo che il biondino avesse capito quel malinteso.

Estrasse il telefono dalla tasca del proprio giaccone con l’intento di chiamare Sarah per avvisarla del ritardo.

La coppietta ormai lontana mano nella mano.

Sbuffò chinando il viso verso il telefono.

Prima che potesse effettuare la chiamata, un sms lampeggiò sullo schermo.

“Quando torni? SH”

John rise divertito e scosse il capo rispondendo.

Sono appena uscito di casa, devo lavorare, io. Si chiamano turni di otto ore Sherlock”

Sei acido, di prima mattina, deduco sia successo qualcosa SH”

Non è successo nulla, smetti di giocare alle deduzioni anche al telefono.”

“Io non gioco, ci lavoro con le deduzioni e comunque menti sapendo di mentire, brutta cosa John.SH

Sherlock, devo lavorare, ti saluto”

John si alzò in piedi infilandosi il telefono in tasca e tornò verso l’ingresso della metropolitana.

Un suono metallico lo bloccò sul limitare del marciapiedi.

Retrocedette recuperando nuovamente il telefono.

Mi ha chiamato Lestrade , ha bisogno di noi SH”

Il medico sorrise arricciando il naso e sfiorandolo con l’indice.

Di te semmai

La risposta tardò ad arrivare, tanto che John raggiunse il vagone della metro e miracolosamente trovò un sedile libero.

Vi prese posto, posando la propria valigetta sulle gambe.

E’ lo stesso, lo sai SH”

Watson si morse la lingua e prese a fissare un punto indistinto oltre il finestrino.

Sherlock, il sociopatico iperattivo per eccellenza, colui il quale evitava come la peste qualsiasi rapporto umano, qualsivoglia parola di dolcezza nei confronti di chiunque, gli riserbava talvolta certe repliche che avevano il potere si serragli lo stomaco.

Certo, lui non capiva sicuramente l’importanza di certe piccole frasi.

No.

Non lo capiva.

Come avrebbe potuto comprendere quanto gli si stringesse il cuore per quelle semplici parole.

Sbuffò con forza e si prese del tempo per rispondergli.

Il nome inciso bruciò come se scottasse e John sussultò infastidito.

Imprecò.

Dannato Soulbond.

“ Non posso finire prima delle quattro” Rispose passandosi la lingua sulle labbra.

“ Si ma finendo alle quattro, salteresti la pausa pranzo SH”

“Già, vorrà dire che questa sera non mi farai cucinare e mi offrirai tu il take-away” Sorrise inviando la risposta.

“Ok SH”

“Ok?”

“Ok per il take-away. Ti aspetto in centrale alle 4.30 SH”

“A più tardi”

“Ciao John .SH”

Watson inspirò a fondo, si appoggiò allo schienale e rilassò un poco il proprio corpo teso.

Giocherellò con il cellulare passandolo da una mano all’altra con gesti ripetitivi.

L’ultimo sms ancora aperto.

Gli occhi blu fissavano quel semplice saluto come se fosse scritto in una lingua incomprensibile.

Lo studiò mentre il telefono scivolava  a destra e a manca.

Ciao

John

S

H

Li stava rinchiusa la sua vita.

Nel saluto di Sherlock Holmes.

“Cristo” Imprecò.

Non voleva null’altro.

Solo poter godere della presenza confortante di quel sociopatico in eterno.

Non pretendeva poi molto.

Soffiò dalle narici , le membra nuovamente tese.

Perché doveva lasciare che uno stupido nome condizionasse la sua vita?

Perché non poteva semplicemente correre a casa, prendere Sherlock per il colletto della camicia e baciarlo come se fosse la cosa più naturale del mondo?

La vocina dentro di sé rispose lapidaria.

Perché quando avresti potuto farlo, quando non eri ancora schiavo di un nome inciso sul polso non hai avuto il coraggio di agire.

Chi è causa del suo mal… John Watson.

Il dottore si levò in piedi prossimo alla fermata.

Ragionò su quell’osservazione giunta gelida dalla propria coscienza e si rispose giustificando sé stesso.

Sherlock era nato Bond e nessuno sapeva quale fosse il nome inciso su quel polso pallido.

Per questo non si sarebbe mai permesso di agire nei suoi confronti in quanto No Bond.

Già.

Giustificazione misera.

Molto.

Ridicola azzardò.

Si aggiustò la sciarpa ed uscì raggiungendo lesto la strada.

Il freddo lo colpì e se ne compiacque.

Quella sferzata di gelo sulle guance lo riportò dritto alla realtà levandolo dai propri pensieri .

Accelerò  il passo gettando un’occhiata al proprio orologio.

Un uomo vestito da Babbo Natale lo sfiorò ciondolando lento lungo il marciapiede.

John gli riserbò un’occhiata distratta.

Mancavano pochi giorni a Natale.

Il primo, dal rientro di Sherlock dal mondo dei morti.

Sorrise ripensando al 221b addobbato a festa e si ripromise di parlare con la signora Hudson circa il pranzo del venticinque.

Martha insisteva ormai da parecchi giorni e lui non le aveva prestato l’attenzione che meritava.

Quella sera, o al più tardi l’indomani, si sarebbe preso del tempo da dedicarle per organizzare la cosa.

Attraversò lesto la strada.

La neve iniziò a cadere lenta.

L’ambulatorio lo attendeva già carico di pazienti.

25 dicembre.

Sherlock Holmes chiuse con un gesto secco la porta del salottino al 221b.

Levò le mani al cielo in un gesto di liberazione e sospirò.

“Ed anche quest’anno è fatta! Grazie al cielo per altri dodici mesi siamo esentati da riunioni del genere!”

John apparve sulla soglia della cucina con un sorriso divertito impresso sul volto ed uno strofinaccio tra le mani.

“Non ti sembra di essere un tantino esagerato? Stiamo parlando di un semplice pranzo di Natale…”

“Hai detto bene John, pranzo. Sono le otto della sera! Buon Dio perché la gente ha il brutto vizio di intrattenersi a casa altrui in questo modo?!” Si lasciò scivolare sul divano con movenze teatrali.

Posò il capo sullo schienale ed abbassò le palpebre.

“Capita talmente di rado, non lagnarti troppo…” Si gettò lo strofinaccio su una spalla.

Sherlock aprì un occhio, uno soltanto ed inarcò un sopracciglio.

“Mi lagno eccome e dovresti farlo anche tu! Guarda, non hai ancora finito di rassettare! Alla faccia del giorno di festa” Borbottò incrociando le braccia al petto “ E’ schiavismo!” Sollevò anche l’altra palpebra.

John sorrise e spense la luce della cucina per poi dirigersi a passo lento verso il divano.

“Ho finito proprio adesso Sherlock e smetti di  preoccuparti così per me o potrei farci l’abitudine…” Si sedette con poca grazia accanto all’amico.

Holmes sbuffò e cercò di recuperare nella propria mente una replica quantomeno decente, possibilmente non troppo sdolcinata o equivoca ma non ci riuscì.

Non ci riuscì e la cosa lo irritò perché detestava non portarsi a casa l’ultima parola.

Non che poi fosse una novità con John.

Sbirciò un poco alla propria sinistra osservandolo.

Lo vide sporsi verso il basso tavolino afferrando il telecomando della televisione.

Il basso chiacchiericcio della BBC riempì la stanza.

John prese a fare zapping nella speranza di trovare un qualsiasi programma che potesse interessare al detective.

Sherlock catturò con le proprie iridi cristalline il movimento ipnotico del pollice contro il tasto nero.

Notò un graffio piuttosto evidente sul dorso e si chiese quando e come se lo fosse procurato.

Seguitò la propria analisi furtiva focalizzandosi sul bracciale nero.

Era un modello semplice e di altezza considerevole.

Quel tipico modello indossato da chi, vanta sul proprio polso, un’incisione di dimensioni notevoli.

Si morse il labbro inferiore indispettito.

Voleva sapere le ragioni di quel bracciale e Watson seguitava a non fornirgliele.

Il vociare della tv fece da capro espiatorio alla propria frustrazione.

“Potresti scegliere un solo programma e fermare questo incessante saltellare?” Additò lo schermo” Mi stai facendo venire il mal di testa”

“Scusa tanto se sto cercando qualcosa che tu possa gradire!” Lo ribeccò Watson.

Holmes scrollò le spalle e raccolse le gambe sul divano piegandole alla propria destra.

Le ginocchia spinsero contro la coscia di John.

“A me non piace la tv lo sai” Borbottò.

“E allora guardiamo quello che voglio io!” Stoppò la propria ricerca con cipiglio severo.

Il silenzio avvolse il salottino, la luce dell’abatjour illuminava la stanza in quella sera buia.

“Cos’è?” Domandò dopo un po’Holmes grattandosi un ginocchio con l’indice.

“Il Grinch” Rispose atono a braccia conserte.

“Ah…” Fissò lo schermo.

John storse le labbra in un sorriso sbirciando in direzione dell’amico.

Notò il suo cipiglio turbato, chiaro segno di non comprensione.

Attese senza dire nulla un ulteriore richiesta di chiarimento.

Non dovette aspettare poi molto.

“E cosa sarebbe….” Gesticolò indicando ampiamente la tv.

“Non conosci il Grinch? Sei serio?” Si voltò incrociando lo sguardo del consulente.

“Se lo conoscessi non ti avrei posto questa domanda! Direi che è piuttosto ovvio” Blaterò indispettito.

“Bene, è altrettanto ovvio il fatto che io non intenda spiegarti chi o cosa sia quindi guarda il film…” Si accomodò meglio contro lo schienale, i talloni scivolarono sul tappeto.

“Sei matto? Durerà quanto? Una novantina di minuti?” Rabbrividì.

“Centocinque per la precisione” Annuì senza distogliere lo sguardo dalla schermo.

“Buon Dio, centocinque minuti del mio tempo sprecati  per vedere cosa? Un tizio pitturato di verde con delle orrende  canzoncine natalizie di sottofondo ed una bambina dalla voce petulante al seguito?” Si agitò sul divano, le ginocchia premettero ulteriormente contro la coscia di John.

Il dottore si grattò con l’indice un sopracciglio inspirando profondamente.

“Jim Carrey non è pitturato… Gesù questo film ha vinto l’Oscar come miglior trucco!” Gesticolò vistosamente.

“L’Oscar è un premio totalmente sopravvalutato” Si stiracchiò.

“Vabbè… Al di là di questo, è incredibile che tu non conosca il personaggio del Grinch!! Andiamo Sherlock, tutti conoscono il libro del Dottor Seuss! Ne sono state tratte diverse pellicole!”

“Ti sembra plausibile che io intasi il mio palazzo mentale con del materiale tanto poco utile?” Si voltò verso l’amico col busto e le braccia conserte.

John corrugò le sopracciglia e lo fissò voltandosi nella medesima maniera.

“Bè non ti farebbe certo male alleggerire le tue…Stanze con delle cose un poco più … Leggere!”

“Quel tizio verde non è una cosa leggera, è una cosa priva di utilità” Seguitò caparbio.

Il dottore scosse il capo e decise di rinunciare com’era solito fare quando Holmes ergeva dinnanzi a sé un muro di ostinazione così alto e spesso.

“Come vuoi…” Sospirò riportando lo sguardo sullo schermo.

Il consulente borbottò qualcosa di non meglio identificato prima di afferrare la coperta posata sul bracciolo e stendersela sulle gambe.

La accomodò attorno al proprio corpo e si coprì sino alle spalle.

Posò il capo sulla spalliera del divano, il busto scivolò un poco e gettò occhiate distratte a quel film che seguitava a ritenere la fiera dell’inutilità.

Stette in silenzio per parecchio tempo, troppo per i gusti di Watson.

Il dottore si volse per osservarlo quando avvertì un peso eccessivo contro il proprio braccio.

 Lo trovò assopito, il capo reclinato verso sinistra.

Nel girarsi il ciuffo ciondolante di Sherlock sfiorò la sua guancia.

Watson trattenne il respiro e si prese il permesso di osservare quel volto splendido a pochi centimetri dal proprio.

C’era un che di dolce nel viso di Sherlock durante il sonno.

Un’espressione distesa che non mostrava mai da sveglio e che trasmetteva un senso di tenerezza infinita.

John rise di sé stesso consapevole di quanto potesse risultare sdolcinata quella considerazione.

Ebbe l’istinto di baciargli le palpebre ma si trattenne.

Si perse a studiare quella pelle perfetta, quelle labbra tentatrici.

Holmes mosse nuovamente il capo in maniera naturale. Dondolava instabile alla ricerca di un appoggio.

Il dottore sorrise e sollevò una mano sfiorandogli il capo.

Fece pressione sui ricci corvini invitandolo a cedere definitivamente e prendere posto sulla propria spalla.

Il consulente si mosse docile, la tempia contro la spalla destra del medico.

Il naso sfiorò la lana soffice del maglione natalizio, lo arricciò mugugnando un poco e si accoccolò meglio contro l’amico.

John inspirò a fondo ed espirò.

Batté le palpebre fissando lo schermo senza vederlo realmente.

Si beò di quel contatto inaspettato e non fece movimento alcuno, timoroso di spezzare quella magia.

Sherlock si mosse dopo un tempo indefinito, tastò la coperta quasi si trovasse nel proprio letto e la tirò un poco nella direzione di John con l’intento inconscio di coprirlo.

Il dottore sussultò appena e sorrise.

Le mani, sino ad allora serrate in grembo si ritrovarono così nascoste sotto il pile scarlatto.

Il fuoco nel camino avrebbe necessitato di una piccola smossa. John gli dette uno sguardo dalla propria posizione e si ripromise di non alzarsi nemmeno se si fosse spento totalmente.

Sbadigliò inclinando il capo a sua volta.

La tempia contro i ricci soffici.

Chiuse gli occhi, non seppe dire per quanto , si appisolò. Quando li riaprì le sue certezze a quel punto si rivelarono essere un paio : il film era finito lasciando il posto ad una televendita  e la mano di Sherlock era stretta alla sua.

Il palmo di quella del consulente , posato in una presa sicura sul dorso della propria.

Avvertì le lunghe dita di Sherlock muoversi lente.

Piccoli tocchi, disegni invisibili sulla propria pelle.

Si mosse appena sbirciando il volto dell’altro.

Trovò le palpebre ancora serrate ma l’indice curioso del consulente  salì sfiorando più volte l’osso del polso per poi indugiare sul bracciale.

John si mordicchiò il labbro inferiore e non seppe proprio come interpretare quei gesti di Holmes.

Inspirò a fondo ed  il profumo dello shampoo dell’amico colpì i propri sensi.

Affondò meglio il naso nei ricci corvini, poi la voce profonda di Sherlock vibrò nella quiete della stanza.

Watson sussultò.

“Pensi di tenermi nascosto ancora per molto il motivo di questo?” Sussurrò .

Il dottore non ebbe bisogno di sentirsi specificare il soggetto in questione.

Avvertì la mano dell’amico serrarsi con forza al polso e quello gli bastò.

“Non te lo tengo nascosto” Deglutì.

Nessuno dei due si mosse.

John parlò piano, la bocca sfiorò i capelli soffici  mentre Sherlock con la tempia ancora posata sulla spalla dell’altro fissava la coperta nel punto preciso sotto la quale le loro mani erano in contatto.

“Ah no? “ Una punta ironica colpì il dottore.

“No, solo che non mi va ancora di parlarne” Sospirò.

Holmes allentò la presa, abbandonò il bracciale ma non la mano di John.

Il palmo grande scese nuovamente sul dorso più piccino in un gesto coraggioso.

Lì si fermò ed entrambi poterono avvertire il cuore accelerare il battito ed il nome inciso sulla pelle bruciare con decisione.

Tremarono appena.

“Non vuoi parlarne… Questa tua affermazione mi porta ad escludere una delle due ipotesi che avevo formulato” Si morse la lingua.

John non replicò subito, pensò a cosa potesse comportare una risposta interrogativa e non seppe fino in fondo se sarebbe stato pronto ad una spiegazione dettagliata in pieno stile Sherlock.

Sbuffò ed un paio di ricci scuri si mossero aggraziati.

“Muori dalla voglia di espormi la tua deduzione immagino…”

Sherlock storse le labbra e non ripose.

John mosse il proprio mignolo , sfiorò quello lungo ed affusolato.

Lo strinse al proprio come faceva da piccino, quando per promettere un qualcosa, promettere davvero,  bastava quel semplice gesto.

Holmes replicò la stretta. Il mignolo uncinò quello del dottore.

“Coraggio dimmelo…” Watson seguitò con un sospiro rassegnato.

L’altro si morse il labbro inferiore e si promise di essere semplice e coinciso, non voleva far sfoggio della propria capacità deduttiva.

Non questa volta.

Non con John.

“Quando ti ho conosciuto mi hai detto espressamente di esserti tolto il bracciale dopo quella ferita in Afghanistan, hai detto di essere stato stanco di fingere di essere ciò che non sei e che la tua condizione di No Bond da quel momento sarebbe stata chiara a tutti…”

“Sì” Annuì e sfiorò il proprio labbro inferiore con la lingua , gli occhi blu fissi sul capo corvino.

“Bè trovavo piuttosto strano che un uomo di parola quale tu sei si rimangiasse un pensiero simile, non trovavo necessità alcuna da parte tua di dover tornare a fingere di essere un Bond, non dopo quelle tue considerazioni… ” Sospirò prima di riprendere parola “ Tuttavia non avevo la certezza di potere escludere completamente questa ipotesi “

“A no?” Sorrise.

“No, perché l’alternativa ha una così bassa percentuale di possibilità dal dovermi per forza aggrappare a questa più semplice…”

“Tu non ti aggrappi mai alle cose semplici” Constatò John.

“No… Direi proprio di no” Sussurrò.

Le sue labbra sfiorarono il maglione scuro.

Si morse quello inferiore e si incupì appena.

I mignoli ancora legati.

“E la mia risposta di oggi quale ipotesi ti ha fatto escludere? Questa o l’opzione più complicata?” Sospirò.

“Questa ovviamente. Se l’indossare un bracciale fosse semplicemente un tentativo di simulare una condizione di Bond non mi avresti detto di non essere ancora pronto a parlarne… Non può trattarsi di una cosa così banale, me lo avresti confessato ed avresti sopportato il mio disappunto per esserti rimangiato le tue stesse parole e la questione sarebbe finita lì”

Watson annuì e prese tempo consapevole ormai di quanto la seconda ipotesi di Sherlock corrispondesse alla realtà.

“Quindi…” Tentennò “ Quando parli di alternativa con bassa percentuale di possibilità…” Attaccò lento.

“Mi riferisco al fatto che tu possa essere un Bond latente… Bè che tu lo sia stato e a questo punto tu sia un Bond a tutti gli effetti”

John non rispose e Sherlock attese sin troppo per i propri standard prima di sollevare il viso e cercare gli occhi blu dell’amico.

“Ho ragione?” Chiese senza spostare la tempia da quella spalla confortevole.

Watson chinò il capo e vide il naso dell’amico all’insù, terribilmente vicino al proprio mento e quegli occhi felini fissi nei propri.

Si morse la lingua e si perse in quelle iridi trasparenti.

“Hai ragione” Sussurrò.

Cristo.

Lo aveva detto? Lo aveva detto sul serio a Sherlock o se lo era solo immaginato?

Sì, lo aveva detto ad alta voce , a giudicare dallo scatto a sedere di Holmes e dalla sua espressione.

“Tu…Cioè…Sei…T…Tu…” Serrò con forza una mano a pugno sulla coscia, l’altra piantata nel cuscino.

“Stai balbettando Holmes, non è nel tuo stile” Si schiarì la voce cercando di non mostrare quanto fosse in realtà turbato.

Il consulente inspirò a fondo e si impose contegno.

Scostò la coperta e ostentando sicurezza si alzò in piedi.

Prese a camminare innanzi ed indietro nel salottino. Le mani giunte sotto il mento.

Lo sguardo pensieroso.

“Potresti smetterla di muoverti così rapidamente mi stai…Innervosendo!” Sbottò Watson.

Sherlock interruppe il proprio andirivieni.

Si volse verso l’amico e lo fissò silente per svariati secondi.

Watson si innervosì ulteriormente, si morse il labbro inferiore e si alzò in piedi a sua volta.

Lo fissò di rimando ponendosi le mani sui fianchi.

“Sei un Bond” La voce profonda vibrò nel salottino.

John annuì con un gesto secco , la lingua lambì le labbra lesta e non emise fiato.

“Sei un Bond…Da…Da quando?” Domandò incerto e timoroso di conoscere già la risposta.

Un sorriso amaro si dipinse sul volto del dottore.

“Lo sai” Inclinò il capo.

“No, non lo so”

“Sì che lo sai, tu sai…Sempre tutto” Gracchiò additandolo.

“Io non so le cose io le deduco, io…”

“Falla finita con ste stronzate” Gesticolò quasi volesse scacciare una mosca.

Sherlock si passò entrambe le mani sulla nuca.

Si morse le labbra piene e con un tono di voce più dolce di quanto volesse realmente replicò.

“Dopo la mia caduta al Bart’s”

Quella frase cadde pesante come un macigno al centro della stanza.

Le immagini di quella giornata infernale scorsero dinnanzi agli occhi di entrambi alla velocità della luce.

John inspirò a fondo e strinse con forza il proprio polso.

“Hai ragione, di nuovo” Rispose sprezzante.

“Bè, i Bond latenti possono essere stimolati da azioni causanti forti impatti emozionali e…”

“Chiudi il becco cazzo” Lo superò raggiungendo il camino.

Sherlock si ammutolì passandosi una mano sul viso in un gesto nervoso.

Il dottore si inginocchiò posizionando un nuovo ciocco di legno.

Si rialzò con gesti lenti e con un attizzatoio smosse le braci residue.

Il consulente lo fissava a debita distanza, le braccia conserte, le dita artigliate alla vestaglia blu.

“John…” Lo chiamò piano.

“Buffo vero?” La voce dell’altro giunse cupa.

Le spalle un poco ricurve, il capo chino.

Lo sguardo perso nelle fiamme calde.

Non attese una risposta di Sherlock, proseguì.

“Buffo quanto tu riesca in un modo o nell’altro a condizionare la mia vita”

“John…” Tentò di nuovo.

Il medico si volse con uno scatto che fece sussultare l’altro.

“Pensa, se non ti fossi buttato da quel cazzo di tetto questo maledetto nome” Levò il braccio “ Non sarebbe mai apparso” Inspirò a fondo “ Mai!” Ringhiò.

“Io…”

“Zitto, se tu non ti fossi buttato, io non avrei avuto qui il nome di un maledetto sconosciuto che mi avrebbe condizionato il resto della vita!” Lo additò.

Sherlock a quel punto si incupì, perse quel fare colpevole e remissivo e si prese il diritto di replicare a dovere.

“Se io non mi fossi buttato , tu una maledetta vita non ce l’avresti avuta! Volevano ammazzarti! Quante altre volte te lo devo dire?? Eh? John?! Quante prima che tu possa apprezzare il mio gesto e smettere di farmene una colpa!” Spalancò le braccia , le grida riempirono il salotto.

John vacillò, dinnanzi a quelle parole gridate in maniera così insolita.

Retrocedette di un passo e si sfregò nervosamente le mani sul viso.

“Ok senti, non torniamo sull’argomento va bene?”

“Sei tu che ci sei tornato” Borbottò Holmes dandogli le spalle.

Le lunghe mani si posarono sul tavolo insolitamente sgombro grazie a quella giornata di festa.

Fissò la superficie lignea concentrandosi sulle venature più scure.

“Ci sono tornato grazie a te! Tu e le tue deduzioni! Tieni tanto a farti i fatti degli altri senza mai svelare i tuoi!” Seguitò caparbio John.

Avrebbe dovuto cedere.

Cedere come al solito, lasciare Sherlock a sbollire e andarsene in camera propria.

Tuttavia una vena isterica si era impossessata di lui e si sentiva particolarmente propenso alla litigata.

Si dette dello stupido ma solo per un istante.

Sherlock si voltò con una lentezza tale d’apparire irreale.

Un sguardo tagliente sul viso perfetto.

Watson rabbrividì, preferì non comprenderne il motivo.

“Svelare i fatti miei” Scandì gelido.

“Esatto!” Annuì serrando i pugni lungo i fianchi.

“A cosa ti riferisci nello specifico Watson?” Si mosse elegante verso l’amico.

IL dottore si ritrovò a deglutire con forza tuttavia resistette all’impulso di retrocedere.

“In generale…” Rispose , poi ci ripensò ed aggiunse “ E anche nello specifico”

Gli occhi blu corsero al polso pallido dell’uomo che gli stava ormai a mezzo metro di distanza.

“Vuoi sapere cosa sono John? Perché non spremi le meningi e provi tu a dedurmi una volta tanto” Inclinò il capo.

Watson lo trovò irritante e sexy al tempo stesso e la cosa lo turbò.

Si morse la lingua e serrò maggiormente i propri pugni, le unghie conficcate nei palmi.

William bruciava sulla sua pelle, bruciava parecchio ed apparentemente senza motivo.

“Non c’è molto da dedurre, saresti un coglione se fossi un No Bond ed indossassi un bracciale, non rientra nel tuo modo di essere, tu sei un sociopatico e saresti stato ben felice di essere un No Bond, odi i rapporti umani quindi non lo indosseresti mai per conformarti alla massa, non fingeresti di essere ciò che odi”

Holmes piegò le labbra in un mezzo sorriso “ Quindi?”

“Quindi posso dire che sei quasi certamente un Bond che però come dicevo prima odia i rapporti umani di qualsiasi genere e quindi aborra l’idea di trovare la propria anima gemella, tanto dal non rivelare quel dannato nome nemmeno al suo migliore amico” Ne uscì una nota acida, sin troppo.

Il consulente infilò le mani nella tasca della vestaglia e si guardò attorno quasi si trovasse in un posto sconosciuto.

Si allontanò dal corpo dell’altro per poi varcare la soglia della cucina.

Aprì il frigorifero e si versò silenzioso un bicchiere d’acqua.

John seguì quei gesti con un sopracciglio inarcato e le braccia conserte.

Sembrava che Sherlock volesse temporeggiare, che cercasse una risposta da fornirgli ma che faticava a trovarne una adeguata.

Trangugiò avido il liquido gelido e posò il bicchiere con poca grazia nel lavello.

Watson si appoggiò allo stipite e non disse una sola parola.

Attese.

“Ebbene, vuoi che ti dica bravo?”

“Cinque minuti di riflessione per rifilarmi questa risposta?” Rise.

Sherlock inarcò un sopracciglio corvino e sbuffò distogliendo lo sguardo.

“Non mi va di parlarne” Lo superò tornando in salotto.

“Lo vedi che ho ragione io? Che quando si tratta di te, tu non ti sbottoni mai!” Lo additò.

Sherlock sussultò arrossendo un poco sulle gote e solo allora John si rese conto di quanto potesse essere equivoca la propria frase.

Serrò le labbra in una linea dura prima di scuotere il capo.

“Vabbè hai capito dai!”

“Certo che ho capito, lungi da me pensare che l’eterosessuale per eccellenza John Watson desiderasse vedermi sbottonare i pantaloni” Levò i palmi al cielo.

 “Cosa diavolo c’entra adesso l’eterosessualità??!”

“Non lo so, ma non avevi ancora trattato l’argomento nell’ultima ora sai com’è” Inarcò nuovamente un sopracciglio.

John aprì e chiuse la bocca senza emettere fiato.

Sherlock arricciò le labbra divertito allontanandosi verso la propria stanza.

“E con il tuo silenzio direi che abbiamo chiuso l’argomento”

Il dottore si riebbe imprecando a denti serrati.

“Sherlock!” Urlò.

Il consulente si fermò sulla soglia della propria stanza, una mano sullo stipite, il viso si volse di tre quarti.

Gli occhi cristallini resi scuri dalla scarsa luce del piccolo corridoio.

“Sì?”

“E’ un uomo” Deglutì “ Il mio Soulbond è un uomo” Ne uscì un sussurro.

Holmes sorrise.

Un sorriso piccino e scosse il capo.

“Anche il mio” Replicò. “Buona notte John”

Watson lo vide sparire in camera.

Il suono secco della porta chiusa.

Sbuffò con forza gonfiando le guance in maniera innaturale.

Levò gli occhi al cielo in cerca di una risposta che non gli sarebbe arrivata.

Si volse lentamente e spense l’interruttore dell’abatjour.

Il buio lo avvolse.

Con passo strisciato raggiunse le scale e si diresse verso la propria camera da letto.

Aveva di che riflettere.

Molto.

Sherlock dal canto proprio raggiunse il comodo letto e vi si lasciò cadere sopra.

Fissò il soffitto e sorrise.

Un sorriso ampio.

Il sorriso divenne poi una risata.

Forte, felice.

John era un Bond.

Un Bond con il nome di un uomo impresso sul polso.

Si levò il bracciale e baciò in maniera infantile la pelle arrossata.

C’era dunque una possibilità.

….

Il nuovo anno giunse senza che nessuno dei due facesse più cenno a quella spinosa questione. 

Sherlock troppo timoroso del nome inciso sul polso dell’altro e John sempre più turbato dai propri sentimenti nei confronti dell’amico.

Viveva un eterno conflitto  tra cuore e coscienza.

Ogni notte prima di coricarsi, posizionava metaforicamente parlando i due nomi su una bilancia nella propria mente e con regolare puntualità, il piatto pesava sempre e comunque verso  quella scelta poco saggia dettata dal cuore.

Sbuffava, si rigirava dozzine di volte nelle coperte imprecando verso sé stesso ma soprattutto verso William.

Forse, se questo fantomatico Soulbond si fosse palesato, avrebbe almeno avuto la possibilità di allontanare Sherlock dalla propria mente.

Avrebbe potuto prender in considerazione l’ipotesi di conoscerlo, di frequentarlo.

Nel caldo del proprio letto storceva poi le labbra, poco propenso a credere a quelle convinzioni con cui cercava di farsi forza.

Due occhi cristallini giungevano puntualmente molesti minando quei tentativi di riflessione.

Fu grazie ad una di quelle nottate moleste che la mattina del sei gennaio John si svegliò con un grande mal di testa.

Si portò le mani alle tempie serrando gli occhi.

Il polso gli bruciava, tanto che dovette spalmarvi della crema lenitiva prima di scendere al piano inferiore.

Faceva freddo in casa e si pentì a metà scala di non avere indossato un maglione sopra il pigiama.

Sbadigliò platealmente entrando in cucina in quella gelida domenica mattina.

Sherlock levò lo sguardo dal proprio microscopio e sorrise.

Un sorriso dolce alla vista dell’amico infreddolito e con i capelli arruffati in maniera assurda.

Lo trovò adorabile e la consapevolezza di aver utilizzato quell’aggettivo nei confronti di John Watson lo fece arrossire e vergognare di sé.

Si schiarì la voce tornando a concentrare la propria attenzione su un campione di sangue .

Watson si chiuse malamente la porta alle spalle e biascicò un Buongiorno che di buono aveva poco nulla.

Holmes rispose cercando di trovare minimamente interessante le analisi ma con scarsi risultati.

Sbirciò nuovamente in direzione di John.

Gli ampi pantaloni blu del pigiama scivolavano sin troppo grandi.

La mano del medico scese  con un gesto distratto verso il sedere, serrò l’elastico tra le dita e li aggiustò prima che potessero cascare a terra.

Il consulente si voltò e si impose calma.

“Non hai fatto colazione immagino…”

La voce di John gli giunse particolarmente bassa, particolare che lo contraddistingueva per una mezzora buona dopo il risveglio.

Sherlock rabbrividì un poco “Certo che no” Replicò scribacchiando un appunto sulla propria agenda consunta.

Watson aprì il frigorifero ed estrasse una confezione di uova e del bacon.

“Ok, preparo per due…” Mormorò.

“Non ho fame John…”

Il dottore di voltò un poco, un sopracciglio biondo inarcato, le labbra arricciate in un mezzo sorriso.

“Qual è la novità? E in ogni caso non mi interessa, devi mangiare….” Fece spallucce tornando ai fornelli.

“Mangiare quella roba al mattino è noioso…” Borbottò chiudendo con un gesto secco l’agenda.

“Lo dici a qualsiasi ora del giorno… E comunque oggi è necessario che tu sia in forze!” Gettò le uova in pentola.

“Perché?” Si raddrizzò meglio sulla sedia incrociando le braccia al petto.

“Perché oggi dobbiamo festeggiare!” Sorrise rigirando il bacon , il malumore dettato dal mal di testa improvvisamente scemò.

Holmes sussultò vistosamente e fortunatamente il medico si perse la scena troppo occupato con le padelle.

Sussultò perché temette che John avesse scoperto che il sei gennaio fosse il giorno del suo compleanno.

Non glielo aveva mai rivelato, era stato spesso evasivo portando l’altro a rinunciare a quella curiosità.

Detestava festeggiare il giorno della sua nascita.

Regali candeline e altre stupidaggini del genere.

“Festeggiare?” Domandò quindi guardingo.

Watson sospirò in maniera sin troppo teatrale.

“Sì Sherlock, in caso tu non lo abbia notato oggi è il sei gennaio! La dodicesima notte! E casca persino in domenica quest’anno!”

Holmes tirò un sospiro di sollievo e si dipinse in volto un’espressione perplessa.

“Ecco, questa cosa è ancora più inutile del pupazzo verde di Natale…” Si alzò in piedi mettendosi le mani in tasca”

“A parte il fatto che il Grinch non è un pupazzo ma vabbè…” Abbassò la fiamma “…Come diavolo puoi ritenerti un inglese se non festeggi la dodicesima notte?! Non hai mai visto lo spettacolo davanti al Globe Theatre??”  Gettò malamente la paletta in acciaio sul ripiano.

“No, vuoi uccidermi per questo?” Cantilenò ironico allontanandosi verso il salottino.

“Eddai…E’ uno spettacolo folkloristico bellissimo! L’arrivo sul Tamigi del Green man , che sbarca proprio davanti al Globe con la banda e tutto il resto!” Lo seguì concitato “ C’è anche la battaglia di San Giorgio, quella è imperdibile!”

“Oh mio Dio che cosa meravigliosa!” Portò una mano al viso fingendosi estasiato.

“Non prendermi in giro idiota” Scosse il capo.

Sherlock sbuffò ed additò la cucina “ Brucia il bacon”

John arricciò il naso e con uno scatto si voltò correndo ai fornelli.

L’amico rise prendendo posto al tavolo in salotto.

Un’imprecazione del medico gli giunse limpida.

Gettò uno sguardo oltre il vetro.

La neve si era quasi completamente sciolta e delle nuvole minacciose cariche di pioggia coprivano il cielo.

Il rumore secco di un piatto posato dinnanzi a sé lo fece sussultare.

“E’ mezzo bruciato ma te lo mangi così…” Borbottò allontanandosi.

Ritornò pochi istanti dopo con un vassoio.

Due bicchieri di spremuta d’arancia svettavano traballanti accanto a delle posate e del pane tostato.

Sherlock silenzioso lo aiutò a posare il tutto sul tavolo.

“E se dovesse piovere? Che faranno?” Cercò di porsi in maniera un po’ più morbida.

“Aspetteranno che smetta” Replicò addentando una fetta di pane.

“E se non smette?” Seguitò il consulente torturando le uova con i rebbi della forchetta.

John deglutì con forza, bevve un sorso generoso di spremuta e si pulì le labbra con il tovagliolo.

“Sai che facciamo?” Sospirò.

“Cosa?” Si portò il bacon alle labbra.

“Facciamo che tu te ne stai a casa mentre io ci vado con qualcun altro ok?”

Holmes masticò svogliatamente e deglutì a fatica.

“Tipo?”

“Tipo cosa?” Il dottore tornò a concentrarsi sulle uova.

“Con…Con chi ci vai?” Replicò sbirciando verso l’altro.

Watson si passò la lingua sulle labbra e serrò un poco le palpebre.

Studiò incuriosito il volto di Sherlock speranzoso di leggervi tracce di gelosia.

“Non ti riguarda”

Holmes spalancò la bocca ostentando un’espressione offesa.

Non rispose, si limitò ad ingurgitare una forchettata di uova e deglutire il tutto aiutato da un sorso di spremuta.

John ridacchiò tra sé e sé soddisfatto e non replicò, si limitò a terminare silente la propria colazione.

Sherlock lo studiò di sottecchi.

La sua mente in fermento, la punta delle orecchie un poco rossa quando prese parola qualche minuto dopo.

“Che poi, sei il solito esagerato, non ti ho detto che non sarei venuto con te! La mia era semplice curiosità, su  cosa avessero in programma se si fosse messo a piovere” Borbottò abbandonando  forchetta e coltello sul piatto mezzo vuoto.

Il dottore si passò la lingua sulle labbra tamburellando ritmicamente sul tavolo.

Il capo un poco inclinato, gli occhi blu divertiti piantati sul volto dell’amico.

“Stai dicendo che vuoi venire con me?” Ghignò.

Sherlock fece spallucce e prese a giocherellare con un pezzo di pane.

Torturò insistentemente la mollica creando una pallina.

“Se ti va” Mugugnò.

John si alzò in piedi e prese a sparecchiare.

Sherlock levò il viso in direzione dell’amico incrociando finalmente gli occhi acquamarina in quelli più scuri.

Un ampio sorriso illuminava il volto del medico.

“E’ logico che mi va, l’ho proposto io a te Sherlock….”

Il consulente annuì pigiando con forza l’indice sulla mollica.

“A che ora?”

“Alle 3,00” John si allontanò verso la cucina con le stoviglie traballanti.

Holmes ai alzò arruffandosi i capelli sulla nuca , il nome sotto il bracciale bruciava ed egli dovette inspirare a fondo strizzando gli occhi in preda ad una fitta particolarmente forte.

Watson se ne accorse per caso, voltandosi verso il salotto dopo aver deposto i piatti nel lavello.

Corrugò le sopracciglia e lo fissò.

“Stai bene?”

Sherlock sussultò voltandosi in un gesto rapido.

“Io… Devo andare al Bart’s, ma per le 2,30 sarò di ritorno…”

“Non mi interessa Sherlock, so che tornerai in tempo, ti ho chiesto se stai bene”

Il consulente si morse con forza il labbro inferiore ed annuì.

“Sì, sto bene” La mano serrata al bracciale “ E’ solo che… Oggi fa male, parecchio, ed è insolito perché non mi succedeva da anni, solo nelle ultime settimane mi si è ripresentato il problema.”

Il dottore si sfiorò il proprio in un gesto automatico.

Con la punta delle dita tastò il bracciale senza distogliere lo sguardo da quello cristallino.

“Anche a me oggi fa male, prima di scendere, ci ho passato la crema, ma a me succede spesso ”

Il silenzio calò sul salottino.

Un ciocco particolarmente secco nel camino scoppiettò con decisione facendo sussultare entrambi.

“Devo andare!” Sherlock si mosse agile raggiungendo l’attaccapanni.

John silenzioso lo osservò infilarsi il Belstaff ed aggiustarsi la sciarpa con quella grazia infinita che tanto bene lo contraddistingueva.

“Non vuoi metterci della crema?” Riprese parola sfiorando con la mano lo stipite della porta.

Holmes con un piede già sulle scale si voltò.

Sorrise all’amico serrando le labbra e scuotendo piano il capo.

“No John, non credo possa essermi d’aiuto”

Il dottore annuì “ Come vuoi” Espirò.

“Ma grazie…” Concluse l’altro infilandosi i guanti.

“Ci vediamo dopo…”

“Sì certo, a più tardi.”

Watson rientrò in cucina chiudendo con lentezza la porta.

Raggiunse il lavello fissando i piatti senza in realtà vederli.

L’ennesima fitta della giornata lo fece imprecare.

Si tolse il bracciale e guardò con cipiglio severo quelle sette lettere.

Le vene sotto di esse piuttosto gonfie.

Le punte della W particolarmente infiammate.

Ne tracciò i contorni con l’indice dell’altra mano.

La pelle scottava.

Girò la manopola dell’acqua fredda.

Un sospiro di sollievo abbandonò le labbra al contatto lenitivo.

Serrò gli occhi ed inspirò a fondo.

Un tuono squarciò il cielo ed una risata divertita gli uscì spontanea dalle labbra.

Le previsioni di Sherlock si stavano forse avverando?

Quella dannata pioggia avrebbe rovinato i festeggiamenti della dodicesima notte?

Si augurò che smettesse entro mezzogiorno.

Chiuse il rubinetto e si volse verso la finestra del salotto.

Il lampo anticipò un altro tuono.

Si chiese se Sherlock avesse un ombrello con sé…

Alle 2,30 la porta del salottino di Baker Street si spalancò con un gesto irruento.

Il vetro tremò.

John Watson sobbalzò sulla propria poltrona, il romanzo che teneva posato sulle gambe scivolò a terra.

L’impatto attutito dal tappeto, il tonfo dai tuoni su Londra.

Si voltò con un gesto istintivo e colse la figura del proprio miglior amico bagnata fradicia sulla soglia.

“Sherlock??”

“Sì, John…” Si mise le mani sui fianchi.

“Sei….”Tentennò alzandosi in piedi.

“Zuppo?” Suggerì.

“Sì, direi di sì” Arricciò le labbra in un sorriso divertito.

“Quell’idiota del tassista non voleva farmi salire!” Si scrollò il capo.

John sparì per pochi istanti per poi tornare con un asciugamano.

“Tieni asciugati almeno un po’ i capelli….”

“Ti rendi con John?! Capisco quella volta in cui cercai di salire con l’arpione insanguinato, ma buon Dio è solo acqua!!” Si frizionò il capo.

“E dimmi, quanti tassisti ti hanno scartato? Perché a giudicare da quanto sei fradicio direi che hai camminato sotto l’acqua per parecchio…”

“Stai diventando bravo con le deduzioni dottore” Sorrise sbirciando oltre l’asciugamano.

Watson si beò di quel sorriso oltre la bianca spugna e si perse nei ciuffi corvini che scendevano impertinenti su quella pelle pallida.

“Beh è una considerazione piuttosto elementare” Borbottò.

“Già, in effetti ho mentito parlando al singolare… I tassisti che mi hanno ignorato sono stati tre… “

“Che stronzi” Scosse il capo raccogliendo il romanzo ancora a terra.

Sherlock annuì vigorosamente prima di togliersi l’asciugamano e serrarlo nella mano destra.

Gli occhi limpidi fissi sulla finestra.

“Non volevo portare sfortuna questa mattina…” Indicò con un cenno del capo la pioggia battente.

John si infilò le mani in tasca e raggiunse il camino.

Il tepore delle fiamme riscaldò la schiena un poco infreddolita.

“Non è colpa tua, molto probabilmente rimanderanno alla prossima domenica”

Holmes annuì mordendosi le labbra pensieroso.

“E noi ci saremo” Sussurrò.

Il dottore sorrise “Sì ci saremo, ma tu adesso vai a farti una doccia, non vorrei ti ammalassi”

“Ti preoccupi per me John?” Inarcò un sopracciglio avvicinandosi un poco.

“Sono il tuo dottore” Replicò levando il capo verso l’altro.

Un luccichio attraversò le iridi cristalline ed un sorrisetto increspò le belle labbra piene.

“Vai “ Seguitò Watson.

“Sissignore” Rise allontanandosi verso il corridoio.

John lo osservò dileguarsi in bagno.

Sospirò e con passo lento raggiunse la finestra.

Uno sbuffo abbandonò le sue labbra, gli occhi blu fissi sul cielo grigio.

Restò diversi istanti a rimuginare dinnanzi al volere di madre natura.

Si dispiacque della sicuramente mancata esibizione di quel pomeriggio.

Storse le labbra e si diresse in cucina con il chiaro intento di preparare due  tazze di tè.

Mise a bollire l’acqua e accese la radio a basso volume in attesa di Sherlock.

Il vassoio disposto al centro del tavolo, le tazze ordinate in maniera maniacale ed il barattolo di biscotti allo zenzero.

Sorrise addentandone uno quando il telefono squillò.

Raggiunse curioso il salottino, non erano molti ad effettuare chiamate sul fisso e suppose potesse essere un cliente.

La voce che rispose al suo saluto era quella di una donna.

Anziana suppose.

Il sopracciglio del dottore si inarcò perplesso alla richiesta di quell’interlocutrice dal tono fermo e deciso.

-Guardi signora qui non abita nessun William- Fu la replica.

Il suo cuore vacillò nel pronunciare quel nome, ormai non vi badava nemmeno più, era consuetudine reagire così.

Un riflesso involontario si diceva.

La donna non parve perdersi d’animo ed insistette un paio di volte pretendendo di parlare con il figlio che pareva quel giorno compisse gli anni.

-Signora non glielo ripeterò una quarta volta, ha sbagliato numero!- Si alterò.

Lo sbattere deciso della porta del bagno lo fece voltare con la cornetta tra le mani.

Sherlock avanzò scalzo ed in accappatoio additando l’amico e l’apparecchio telefonico.

“Problemi  John? Un cliente?”

“No, ma c’è questa tizia che non si rassegna al fatto che qui non abiti nessun William che compie gli anni oggi” Scosse il capo.

Holmes sbuffò levando teatralmente gli occhi al cielo.

Tese un braccio verso Watson e mosse la mano in un gesto indicativo.

“Dammi, è sicuramente mia madre”

John batté ritmicamente le palpebre.

Le ciglia bionde sfarfallarono rapidamente.

“Non ho capito”

Non riconobbe la propria voce.

Ne uscì un sussurro.

Quasi un pigolio.

“William Sherlock Scott” Sciolinò afferrando la cornetta “ E’ il mio nome completo” Fece spallucce.

Il dottore non mosse un muscolo, tanto che il consulente dovette scansarlo per poter raggiungere l’apparecchio.

Solo al tocco dell’amico John si riebbe e retrocedette sino a raggiungere la propria poltrona.

Vi prese posto.

Il fiato corto.

Gli occhi spalancati fissi sulla finestra del salottino.

La pioggia batteva implacabile contro i vetri.

I tuoni seguitavano a squarciare il cielo.

Watson serrò le mani alle ginocchia.

Le dita si fecero artigli.

Il denim spesso sotto i polpastrelli gelati.

Aprì la bocca incamerando aria.

Quanta più aria possibile, mentre Sherlock chiacchierava svogliatamente al telefono con la madre.

Non riuscì a formulare un singolo pensiero.

Nemmeno uno.

Si passò la lingua sulle labbra fattesi secche e si volse verso l’altro.

Lo osservò poggiare un piede nudo sul divano e grattarsi distrattamente la caviglia.

L’asciugamano che teneva posato attorno al collo cadde a terra.

Si chinò a raccoglierlo.

La cintura dell’accappatoio ciondolò minacciando di sciogliersi.

Holmes sbuffò con la cornetta posata tra guancia e spalla, gettò la spugna sul divano e fece un nodo bello stretto in vita.

La telefonata terminò in un minuto e mezzo al massimo.

Sherlock posò con sin troppa forza il ricevitore borbottando circa  l’inutilità degli auguri aggiungendo poi una serie di parole mezze sussurrate e ben poco identificabili.

Quando vide John rigido sulla poltrona corrugò le sopracciglia.

“John?”

Il dottore non rispose nell’immediato.

Il consulente dovette richiamarlo un paio di volte prima di poterlo vedere scattare in piedi ed allontanarsi verso la cucina.

“Il tè” Borbottò.

Sherlock inarcò un sopracciglio e lo seguì fermandosi sulla soglia.

Lo studiò attentamente e poté scorgere con chiarezza le mani tremare mentre versava il liquido ambrato nelle tazze.

“Tutto bene?” Domandò appoggiandosi allo stipite.

Watson sollevò i propri occhi blu intercettando quelli acquamarina.

Il vassoio appena preso tra le mani vacillò.

“Vai di là che ti porto il tè” Distolse lo sguardo.

Holmes si voltò e con grazia prese posto sul divano.

L’amico evitò accuratamente di guardarlo in viso.

Posò il vassoio miracolosamente senza versare una goccia della bevanda senza però passargli la tazza.

Retrocedette mettendosi le mani sui fianchi ed inspirando a fondo.

Sherlock non riuscì a comprendere quell’atteggiamento a suo dire bislacco e la cosa lo irritò non poco.

Afferrò un biscotto e prese a masticarlo nervosamente.

Il silenzio calò nel salottino interrotto unicamente dal crepitio delle fiamme e  dall’incessante scrociare della pioggia.

John inspirò ed espirò uno svariato numero di volte.

Troppe a gusto del consulente, tanto che si ritrovò a deglutire forzatamente il biscotto ed ammonire l’amico.

“Potresti smetterla di iperventilare come una partoriente?” Afferrò con stizza la tazza.

Watson fulminò l’altro con un’occhiata  prima di additarlo sporgendosi un poco oltre il tavolino.

“Tu…Tu…”

“Io?” Bevve un sorso di tè.

“Tu…io…”

“Sì John, conosci i pronomi personali, molto interessante, vorresti procedere e magari sederti? Mi stai innervosendo!” Posò la tazza sul piattino con sin troppa forza.

Il dottore deglutì passandosi nervosamente una mano sugli occhi per poi stringere tra pollice ed indice la radice nasale.

“Molto bene” Sospirò “ Ti faccio una domanda”

“Attendo” Incrociò le braccia al petto.

“Ti chiami davvero William?”

“Perché fai domande stupide? Non è da te… Non sempre almeno”

“Rispondi” Ringhiò.

Sherlock sussultò sotto quella replica e quello sguardo severo.

“Sì mi chiamo William” Gli riserbò un’occhiata risentita.

“E dimmi, nella tua quantomeno assurda esistenza, non hai mai pensato che al mondo ci potesse essere uno stronzo alla ricerca del suo William e che non lo abbia mai trovato perché tu…Tu hai deciso di farti chiamare Sherlock??!” John strinse i pugni lungo i fianchi.

Le ossa delle dita emisero un suono simile ad uno scrocchio, particolare che fece rabbrividire  Holmes.

“Non ho mai dato particolarmente importanza alla cosa” Distolse lo sguardo .

“Ma non mi dire!!! Ovviamente non lo hai fatto, sei un cazzo di sociopatico iperattivo, refrattario ai sentimenti, convinto che la faccenda dei Soulbond sia tutta una buffonata vero?” Urlò.

Sherlock sospirò e si alzò in piedi.

John retrocedette istintivamente e gli dette poi le spalle fissando le fiamme del camino.

“Non è totalmente esatto quello che hai detto” Sussurrò il consulente.

La voce vibrò grave nella stanza.

John si passò la lingua sulle labbra e chiuse gli occhi cercando di ritrovare quella calma che riteneva d’aver ormai perso.

Non rispose, attese che l’altro proseguisse di propria iniziativa.

“Non ho mai pensato che la faccenda dell’anima gemella fosse una buffonata”

Watson trattenne una risata amara e scosse il capo.

“Ma il fatto d’aver nascosto ai più il mio vero nome è effettivamente legato a questo motivo. Non ho mai avuto l’intenzione di prendere in giro chicchessia … Ho solo voluto tutelarmi” Si morse il labbro inferiore.

John incrociò le braccia al petto e replicò senza voltarsi.

“Tutelarti?”

“Sì, il nome del mio Soulbond è estremamente comune ed ho preferito analizzare personalmente chiunque capitasse sul mio cammino con questo nome senza mai rivelare il mio…”

Un nome comune.

Il cuore di John vacillò.

“Perché?” Sospirò.

Holmes serrò le labbra e sorrise per metà “ Perché non volevo che l’altro potesse essere in qualche modo influenzato, potesse giudicarmi in altro modo solo perché aveva quel William inciso sul braccio”

“Hai preferito continuare a comportarti come uno stronzetto e fare scappare tutti” Replicò il dottore.

Il silenzio calò per pochi istanti.

Sherlock poi riprese parola.

“Tu non sei scappato”

Quelle quattro parole appena sussurrate giunsero a John come se fossero state urlate.

Il suo cuore prese a battere furiosamente.

Il polso a bruciare.

Il volto scottare.

Avvertì il suono metallico del bracciale di Sherlock aprirsi.

Il tonfo leggero dell’impatto col tappeto.

Chinò lo sguardo e lo vide rimbalzare tra i suoi piedi.

Chiuse gli occhi.

Le mani grandi dell’amico scivolarono sulla sua vita.

Le avvertì tremare.

Il torace asciutto contro la propria schiena.

John ansimò.

Colse quegli zigomi perfetti ed accaldati premere contro il proprio collo.

Il ciuffo umido corvino sulla guancia.

Si morse la lingua e pregò con tutto sé stesso che quello non fosse un sogno.

Tenne gli occhi bassi, fissi su quelle belle mani che lentamente sfiorarono le proprie.

Le dita agili armeggiarono con il proprio bracciale nero.

Lasciò che Sherlock glielo togliesse.

Cadde a terra accanto a quello del consulente.

Un silenzio irreale riempì la stanza.

Il respiro pesante di entrambi unico suono percepibile.

Holmes gli strinse delicatamente il polso.

Avvertì il suo viso sporgersi oltre la spalla.

Gli occhi limpidi sbirciarono verso il basso.

Le belle labbra piene si piegarono in un sorriso dolcissimo.

Sospirò.

Un sospiro liberatorio.

John avvertì su di sé le dita dell’altro così calde contro la propria mano gelida.

Tremò visibilmente e trovò il coraggio di afferrare il polso di Sherlock.

Chiuse gli occhi con forza ed inspirò a fondo prima di aprirli.

“Cristo” Sussurrò “Oh Cristo”

Holmes strinse maggiormente la vita di Watson con la mano libera.

Il torace premette con decisione contro la schiena.

Avvertì un tremore debole ma costante nel corpo del dottore.

Quattro lettere.

Quattro lettere di dimensioni considerevoli incise sulla pelle lattea dell’unico consulente investigativo al mondo.

Quattro lettere ad indicare che il portatore di quel nome fosse il Soulbond della persona più assurda e meravigliosa al tempo stesso che il mondo potesse vantare.

John.

Il dottore portò il polso dell’altro all’altezza del proprio viso.

Le iridi blu fissavano incredule ciò che aveva dinnanzi agli occhi.

Sorrise e posò esitante le labbra su quella pelle che vibrò al suo tocco.

Sherlock arrossì in maniera deliziosa sulla punta delle orecchie e nascose il volto contro la nuca dell’amico.

“E’ tutto vero?” Mormorò John.

L’altro annuì senza emettere fiato.

“Sei sicuro che non mi sia addormentato sulla poltrona e questo sia un sogno?”

La risata bassa dell’altro vibrò contro la schiena del medico.

“No John, sei sveglio, siamo svegli entrambi”

Watson annuì piano intrecciando le dita a quelle di Holmes.

Il silenzio tornò ad impossessarsi di quelle mura.

La pioggia cessò d’intensità.

“John…”

“Sì?” Posò la mano libera contro il dorso di quella di Sherlock ancora ben salda alla vita.

“Mi spiace che sia successo quel giorno…” Sussurrò contro il suo orecchio.

“Anche a me” Sospirò voltandosi in quell’abbraccio.

Holmes sussultò nell’intercettare le iridi blu dell’altro.

Avvertì le mani ormai calde di John contro il proprio viso.

Chiazze rosse apparvero dispettose sul proprio collo pallido e sulle gote.

Chiuse la palpebre non sentendosi in grado di reggere lo sguardo di quello che ormai era a tutti gli effetti il proprio Soulbond.

Non in quel momento.

Non mentre aleggiò tra di loro lo spettro del proprio finto suicidio.

“Ma ci ha portati a questo….” Mormorò Watson.

La voce pacata e dolce gli fece battere furiosamente il cuore.

Avvertì le mani dell’altro abbandonare il viso per poi scivolare sulla nuca ed invitarlo ad abbassarsi un poco.

Holmes seguì docile quell’invito senza tuttavia aprire gli occhi.

Avvertì la fronte di John contro la propria.

Strinse le mani alle spalle e sospirò.

“Esperienza di forte impatto emozionale” Citò Watson.

“Legata al proprio Soulbond…” Concluse Holmes.

“Già, evidentemente non avevo mai considerato che per noi Bond latenti potesse esistere un collegamento tra l’azione scatenante  e l’anima gemella”

“Non per tutti è così” Levò lentamente le palpebre.

John scosse piano il capo e sorrise, un sorriso ampio.

Strinse con maggior intensità le mani sulla nuca di Sherlock.

“Ti chiami William”

“Sì” Rise.

“Ti chiami William cazzo”

“Sì John, direi che mia madre te ne ha dato conferma poco fa”

Watson rise “ Ed è il tuo compleanno”

“Una croce che tocca portare anche a me” Sospirò teatrale.

Il dottore sfiorò il naso del consulente con il proprio.

“Buon compleanno William” Sussurrò a fior di labbra.

“No” Rispose abbracciandolo con decisione.

“No?”

“Chiamami Sherlock”

Watson rise, una risata aperta, quella preferita da Holmes.

Scosse il capo ed annuì.

Il ciuffo corvino ancora un poco umido sfiorò quello biondo.

“Bene, buon compleanno Sherlock” Posò delicatamente le labbra su quelle soffici.

Holmes sussultò a quel contatto.

Inspirò con forza avvertendo la bocca di John scostarsi più volte per poi tornare delicata contro la propria.

Piccoli baci, quasi infantili.

Sherlock li trovò adorabili.

Adorabili perché percepì chiaramente la volontà di John di non volerlo turbare.

Era cosa risaputa quanto poco fosse avvezzo al contatto fisico.

Avvertì le mani di Watson scivolare lente lungo le braccia per poi stringersi alle proprie.

Lo tirò a sé.

Holmes gemette nell’impatto del proprio torace con quello del dottore.

Aprì un poco le labbra e John ne approfittò per lambirle con la punta della lingua.

Sherlock emise un suono così basso  che vibrò nella mente e nel corpo del dottore.

Ringhiò, afferrandolo con decisione per i lembi dell’accappatoio lasciando scivolare la lingua nella bocca del consulente.

Sherlock spalancò gli occhi emettendo un pigolio che colpì il dottore ancor più del gemito roco precedente.

 Morse piano quelle labbra piene e si perse nel percepirne quel sapore così nuovo mischiato alla dolcezza dei biscotti allo zenzero.

Holmes replicò un poco maldestro ma desideroso di voler imparare.

John sorrise di questo contro le labbra piene lasciando che la lingua timida del suo Soulbond scivolasse curiosa sfiorando i propri denti.

Si separarono dopo un tempo indefinito.

John prese quella decisione sofferta ma necessaria.

Ansimò posando le mani sulle spalle nude del consulente.

L’accappatoio scomposto.

“Ok , ok…Time out” Ansimò sorridendo.

Sherlock lo fissò con gli occhi lucidi e le labbra gonfie.

Watson fece violenza su sé stesso ma si staccò da quella visione.

“Vai ad asciugarti e… A rivestirti…” Si passò una mano sul viso.

“Sul…Serio?” Tentennò aggiustandosi l’accappatoio.

“Sì” Annuì con le mani piantate sui fianchi e lo sguardo sfuggente.

Un velo di tristezza attraversò quelle iridi cristalline, un’espressione turbata si dipinse su quel volto accaldato.

“Non… Non andava bene?” Avvampò formulando quella domanda mentre con nervosismo si grattò la nuca.

Watson aprì e richiuse la bocca incredulo.

Scosse il capo e capì.

Capì d’aver agito in modo avventato instillando nel consulente il dubbio che non stesse agendo come sperato.

“Cos…No! No Sherlock!” Gli si avvicinò nuovamente prendendogli il volto tra le mani.

In risposta ricevette uno sguardo corrucciato.

“Andava bene, troppo bene ed io…Non sono molto bravo a gestire…” Si morse il labbro inferiore cercando le parole maggiormente adatte.

“A gestire cosa John?” Sospirò appoggiando le proprie mani su quelle dell’altro ancora posate sul suo viso.

“L’eccitazione Sherlock. Non sono in grado di fermarmi tanto facilmente e… Gesù non voglio metterti fretta…”

La punta delle orecchie di Holmes si fece scarlatta.

Watson lo notò e ne fu deliziato.

“Oh… Capisco” Sussurrò.

“Quindi, vai a finire di sistemarti così ho il tempo di darmi una calmata” Rise “ E poi potremmo uscire a festeggiare il tuo compleanno…Guarda ha anche smesso di piovere”  Lo abbracciò per la vita voltandosi verso la finestra.”

Holmes scosse il capo.

“Non voglio uscire a festeggiare il mio compleanno” Borbottò “ Lo detesto”

John inarcò un sopracciglio alzando un poco il viso verso quello dell’altro “ Non vuoi?”

“No” Scosse il capo.

“Allora facciamo così, usciamo a festeggiare questo”

Sollevò la propria mano e quella del consulente avvicinando i due polsi.

Sherlock trattenne il fiato osservando quei due nomi così vicini.

“Se non vuoi uscire adesso, ti porto da Angelo questa sera, sii buono fatti portare a cena” Sussurrò.

Holmes sfiorò con indice tremante il proprio nome inciso sul polso di John.

Ne percepì la consistenza.

Le vene in rilievo sotto di esso.

“Facciamolo John!” Sollevò il viso di scatto.

Il cipiglio deciso.

Le iridi impossibili legate a quelle blu.

Watson si schiarì la voce cercando di rammentare a sé stesso di non leggervi nulla di equivoco in quelle parole.

“Cosa esattamente?” Chiese “ La…Cena?” Suppose visualizzando tuttavia nella propria mente ben altro.

“No!” Scattò un passo indietro scandalizzato “ Il legame!”

“Oh…” Innalzò le sopracciglia con stupore “Vuoi già provare?” Si morse il labbro inferiore.

“Tu no?” Si incupì.

“Sì ma… Se non dovesse funzionare?” Si sfiorò nervosamente un sopracciglio.

Sherlock scosse il capo con forza.

I capelli ormai quasi asciutti oscillarono vigorosamente.

“No no no! Deve funzionare, sei tu il mio John!” Spalancò le braccia.

Il cuore del dottore perse un battito.

Il mio John.

Con un movimento lesto lo abbracciò.

Lo strinse con forza.

Forse troppa.

Avvertì il profilo perfetto di Sherlock premuto contro il proprio collo.

“Ok Holmes, facciamolo” Sussurrò baciandogli una tempia.

Sherlock si scostò un poco sorridendo.

Tese il polso.

Watson gli scostò la manica in spugna arrotolandola con cura.

Cercò poi di fare lo stesso con la manica del proprio maglione ma il consulente lo interruppe, prendendosi il diritto di replicare quel gesto.

Quando entrambi gli avambracci furono scoperti, i due presero un profondo respiro.

“Pronto?”

“Sono sempre pronto John!” Inarcò un sopracciglio.

“Sbruffone” Rise.

“Un po’” Fece spallucce con un ghigno.

Il dottore tornò serio e con lentezza posò il proprio polso contro quello di Holmes.

Nome contro nome.

Cicatrice contro cicatrice.

John e Sherlock.

Sussultarono entrambi a quel contatto.

Il bruciore fu così intenso che entrambi gemettero piegandosi un poco in avanti.

Serrarono gli occhi.

John imprecò.

Sherlock si morse con forza il labbro inferiore.

Il dolore come giunto se ne andò.

Il bruciore attenuato.

Il calore sfumato.

 Entrambi regolarizzarono il respiro aprendo lentamente gli occhi.

Tremanti si allontanarono un poco.

Occhi negli occhi.

Annuirono decisi primi di abbassare lo sguardo.

Un ampio sorriso illuminò il volto di entrambi.

Le due incisioni mutate in una sola ed identica.

Una J ed una W legate dal simbolo dell’infinito.

“Cristo….” Un sussurro.

“Te l’avevo detto che sei tu il mio John” Sussurrò Holmes.

Il dottore rise, rise baciandolo poi con foga mentre un bel sole fece capolino nel cielo di Londra.

“E tu sei il mio Sherlock” Gli sussurrò all’orecchio.

Il consulente annuì baciandogli una guancia “Vedo che ci siamo capiti”

“Allora…Posso portarti a cena questa sera?”

“ E va bene portami a cena” Finse fastidio levando gli occhi al cielo.

“E adesso vai a cambiarti”

Il consulente annuì posando un bacio leggero sulle labbra dell’altro.

“Vado” Sussurrò allontanandosi con un sorriso.

“Sherlock” Lo richiamò.

Holmes si voltò posando una mano sullo stipite della porta della propria camera.

“Sì?”

“Buon compleanno” Si sfiorò la parte sinistra del petto.

“Grazie John” Sorrise replicando quel gesto.

Watson raccolse i due bracciali ancora a terra e si sedette incredulo alla propria poltrona.

Fissò quel nuovo simbolo sulla propria pelle.

Lo sfiorò ripetutamente e sorrise.

Scosse il capo.

“William… Sherlock è il mio William….”

Rise.

Rise forte, tanto che Holmes lo richiamò perplesso dalla camera.

“E’ tutto ok Sherlock…” Si appoggiò allo schienale.

Le mani sui braccioli.

“E’ tutto meravigliosamente ok…”

Le nuvole abbandonarono definitivamente il cielo di Londra.

Il sole illuminò la citta.

I ragazzi del Globe Theatre decisero di non rinunciare allo spettacolo…

La dodicesima notte stava per andare in scena.

 

Fine.

 

Eccomi alla fine. So quanto questo argomento sia spinoso , molti lettori sono restii a riguardo ed io spero con la mia interpretazione di aver reso giustizia al concetto di Soulbond. Mi auguro con tutto il cuore che la storia vi sia piaciuta.

Un abbraccio Chia.

P.s.  Per chi stesse seguendo la mia “Punk Mood…Again” non l’ho abbandonata, abbiate fede che a breve posterò il capitolo, ho dovuto momentaneamente sospenderla per terminare questa in tempo per l’evento <3

 

 

 

 

   
 
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