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Autore: Shireith    29/07/2018    1 recensioni
(Zuko/Katara – ergo non del tutto fedele al canon // raccolta che partecipa alla Zutara Week 2018 indetta dai fan su Tumblr)
#01 e #03. Primo bacio + tè — Il loro primo bacio assunse dapprima un andamento incerto, entrambi i ragazzi che si prendevano il loro tempo per studiare le peculiarità di quelle labbra che ora stavano come accarezzando con le proprie.
#02. Lettere — Lei e Zuko si scambiavano lettere da un po’, ormai.
#04. Anatre-tartaruga — Allo stagno, Zuko non ripensava più con sofferenza ai momenti che lui e sua madre non avrebbero mai più condiviso, ma immaginava con gioia quelli che lui e Katara avrebbero vissuto nel loro futuro insieme.
#05. Cristalli — Gli abbracci di Katara erano qualcosa di davvero speciale, per lui.
#06. Dominio del sangue — Il suo sorriso era talmente luminoso e raggiante che non scorgerlo sulle sue labbra gli sembrava semplicemente sbagliato, come se l’ordine naturale delle cose si fosse sbilanciato e andasse ristabilito.
#07. Scambio di dominio — «Rispondi seriamente, questa volta: che cosa faresti se, un giorno, i nostri domini venissero scambiati?»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katara, Zuko
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Un imbranato di nome Zuko
 
 
 Benché sapesse dei suoi trascorsi, Katara non aveva mai visto Zuko all’opera con relazioni amorose di alcun tipo. Certo immaginava che fosse imbranato, perché era pur sempre Zuko; eppure, aveva ingenuamente pensato, doveva pur esserci un limite che una singola persona non poteva superare.
 Ebbene, Zuko quel limite l’aveva superato – oh, eccome se l’aveva superato. Zuko, senza saperlo, aveva vinto il premio di ragazzo più imbranato di sempre.
 Katara credeva – ergo ne era convintissima – di avergli inviato dei segnali talmente inequivocabili che persino Appa li avrebbe colti. Ma Zuko, evidentemente, no.
 La ragazza aveva ormai capito di provare qualcosa per Zuko; una parte di lei l’aveva sempre saputo, e ora più che mai sentiva che non poteva più negarlo a se stessa.
 Benché la prima impressione suggerisse tutto il contrario, da quando Zuko aveva lasciato andare tutta la sua rabbia si era rivelato per quello che era davvero: un ragazzo timido dal cuore grande e l’animo gentile. Katara adorava questo lato di lui, perché era quello ad aver permesso al ragazzo di starle accanto nel momento in cui avevano ritrovato l’assassino di sua madre, facendole capire che i suoi sentimenti d’odio nei confronti di quell’uomo non erano sbagliati.
 Katara voleva bene ad Aang, davvero – anzi, era più giusto dire che lo adorasse –, ma lui certe cose semplicemente non le capiva.
 Come poteva perdonare l’assassino di sua madre, Katara? Non aveva mai davvero bramato vendetta, ma non poteva neanche perdonarlo. Aang era fantastico, ma la sua visione ottimista gli impediva di capire che al mondo non esistevano solo il male o il bene, il bianco e il nero, ma tante sfumature diverse.
 Aang non aveva forse provato odio nei confronti di quelle persone che avevano rapito Appa? Non era stato così accecato dai suoi sentimenti negativi da perdere per un attimo la ragione? Neanche lui avrebbe mai potuto perdonare quelle persone se avessero ucciso Appa.
 Certe cose Aang sembrava non capirle, ma Zuko sì. Invero, Zuko la capiva davvero, e l’ascoltava quando era arrabbiata, triste o confusa, senza mai farla sentire sbagliata per i suoi sentimenti. Katara faceva lo stesso con Zuko. Erano uno il confidente dell’altra. Erano ottimi amici.
 Tuttavia, Katara poteva ormai sentire che c’era qualcosa di più della semplice amicizia. Per quanto forte potesse diventare quell’amicizia, Katara avvertiva il desiderio di andare oltre – di condividere se stessa con Zuko a un livello superiore, sia con la mente che con il corpo.
 Era ormai una giovane donna, Katara, non più una bambina. La semplice visione di Zuko le faceva sentire le farfalle nello stomaco e la testa vorticare. Non c’era vergogna nell’ammettere che sentiva il bisogno di toccarlo e di essere a sua volta toccata, mentre le loro menti condividevano pensieri ed emozioni mai condivise con nessun altro.
 Non era del tutto sicura, tuttavia, che Zuko provasse lo stesso. Era certa che tenesse alla loro amicizia allo stesso modo in cui ci teneva lei, ma non poteva sapere se anche lui volesse le stesse cose che voleva lei. E se poi si fosse sbagliata e lui l’avesse rifiutata? E se rivelargli la vera natura dei suoi sentimenti avesse reso le cose imbarazzanti? Katara non voleva questo, ci teneva troppo alla sua amicizia con Zuko. Così aveva ideato un piano.
 Aveva pensato che, se Zuko l’amava, una volta capito che lei provava lo stesso avrebbe trovato il coraggio di dichiararsi. Dunque Katara aveva cominciato a inviargli dei segnali – il che era stato molto più facile del previsto, poiché era come un istinto naturale. Anzi, inconsciamente lo faceva già da prima che prendesse tale decisione, sebbene in quantità minore.
 Tuttavia aveva sottovalutato un aspetto chiave del suo piano: l’imbranataggine di Zuko. E mentre questo aveva impedito al diretto interessato di capirci qualcosa, Suki non aveva avuto di questi problemi.
 Katara aveva scoperto che Suki sapeva già da un po’. Lei e anche Toph, in realtà. Alla domanda di Katara su come l’avessero capito, Suki aveva fatto un faccia come per dire: «Davvero me lo stai chiedendo?» Poi aveva elencato i diversi punti che l’avevano portata a trarre le sue conclusioni, tipo Katara che spiava Zuko esercitarsi nel dominio del fuoco a torso nudo, o Katara che rideva alle sue barzellette assolutamente non divertenti, o Katara che…
 «Ho capito, Suki, grazie!»
 Suki aveva anche confessato che ogni tanto lei e Toph avevano spettegolato alle loro spalle, scommettendo su quanto ci avrebbero messo a chiarire le cose. A questo proposito, Suki le aveva chiesto se potessero affrettarsi, poiché il limite sul quale lei aveva scommesso stava per scadere e non voleva che Toph vincesse.
 Suki era stata finalmente d’aiuto quando le aveva fatto notare che Zuko era semplicemente Zuko, e che se Katara fosse andata avanti così non avrebbe mai risolto niente. Zuko avrebbe interpretato i suoi segnali come qualcosa di strano e avrebbe continuato a chiederle se non si sentisse bene fino alla fine dei loro giorni. Katara doveva semplicemente essere diretta, tutto qui.
 
 Quella stessa notte, Katara non riusciva a prendere sonno. Con la luna piena a farla sentire più in forze che mai e i pensieri sull’attuale situazione con Zuko a vorticarle nella mente, semplicemente non riusciva a trovare un po’ di tranquillità.
 Si girò e rigirò nel letto per più di un’ora, finché non decise che forse una tazza di tè era quello che le serviva. Raggiunse la cucina senza fare rumore, volendo evitare di svegliare tutti gli altri. Una volta lì, con sua grande sorpresa trovò Zuko.
 Il giovane notò la sua presenza circa nello stesso instante, e sorridendole la salutò con un cenno della mano.
 Katara ricambiò il gesto. Era felice di trovarlo lì. Da quando era diventato Signore del Fuoco, Zuko era così indaffarato che era raro riuscire a parlargli come una volta. Ma non voleva che quei momenti svanissero, perché ritrovarsi insieme la sera e confidarsi l’uno con l’altra era liberatorio, rinfrescante. Era un modo per svuotare le loro menti, per condividere con qualcun altro gli aspetti piacevoli e non della giornata che si erano appena lasciati alle spalle.
 A fare da compagnia a quelle chiacchierate notturne erano due semplici tazze di tè.
 Iroh amava il tè, e questa sua ossessione, alla fine, aveva finito per contagiare anche Zuko. Anche a Katara piaceva molto il tè, e così lei e Zuko, senza neanche volerlo, si erano ritrovati a sorseggiarlo assieme la sera mentre condividevano i loro pensieri in una specie di bolla all'interno della quale esistevano solo loro due. 
 Mentre erano nel bel mezzo di una delle loro tante conversazioni, Zuko fece notare a Katara la sua “stranezza” degli ultimi giorni.
 Katara annuì. La sua carnagione scura a nascondere quel lieve rossore che colorò per un attimo le sue guance, la giovane pensò che quello fosse il momento giusto per mettere Zuko a conoscenza dei suoi sentimenti. Ma poiché Zuko era Zuko, trovò il modo di rovinare tutto.
 «Sai,» iniziò, incerto, «Sokka ha una teoria a riguardo.»
 Katara arcuò un sopracciglio, scettica: se suo fratello aveva una teoria riguardante le donne, quella teoria non poteva essere che completamente errata.
 Quando lei lo invitò a proseguire, Zuko, ancora incerto, spiegò che secondo la teoria di Sokka, Katara era nel suo momento.
 Non periodo del mese.
Momento.  
 A Katara ci vollero un paio di secondi per capire che il suo momento significava che era sotto ciclo.
 Oh, Sokka.
 Oh, Zuko.
 Oh, l'intero genere maschile.
 Davvero era innamorata di un ragazzo disposto a credere alle teorie di Sokka sulle donne?
 «Perché per voi ragazzi è sempre il ciclo?»
 «Be’, Sokka dice ch—»
 «Sokka dice qualcosa e tu semplicemente gli credi?»
 Zuko non rispose, ma il silenzio che seguì parlò per lui.
 «Zuko, andiamo! È… Sokka!»
 «È solo che—»
 Prima che Zuko potesse prendere nuovamente le difese di Sokka e delle sue assurde teorie irrimediabilmente errate sul genere femminile, Katara ricorse al suo dominio per schizzare dell’acqua in faccia a Zuko.
 «Per aiutarti a rinfrescarti la mente» disse, entrambe le mani posizionate sulle anche.
 In un primo momento il ragazzo parve confuso, ma poi il suo sguardo mutò in un ghignò. Non potendo spruzzare Katara con del fuoco, Zuko raggiunse il lavello della cucina e decise di rispondere all’acqua con l’acqua.
 Ancor prima che potesse rendersene conto, Katara si ritrovò con la faccia, i capelli e il busto bagnati.
 «Oh, te ne pentirai amaramente.»
 «Lo vedremo.»
 Zuko sapeva di non poterla battere, ma pensò che in un modo o nell’altro sarebbe riuscito a tenerle testa.
 Ma aveva pensato male.
 All’inizio non fu che una cosa innocente, solo due amici – o quasi – che si divertivano a spruzzarsi con dell’acqua come se il loro animo fosse ancora quello di due bambini innocenti. Ma Zuko e Katara non erano due bambini, né tantomeno innocenti.
 Katara approfittò di un momento di debolezza di Zuko per mettergli lo sgambetto e farlo cadere a terra di schiena, sedendosi su di lui prima che quello potesse rialzarsi. «Hai perso, Zuko.»
 E all’inizio doveva essere quello il suo unico scopo, fargli ammettere la sconfitta. Ma poi Katara si rese conto della realtà della situazione, di lei premuta contro il corpo di Zuko mentre entrambi avevano il fiato corto.
 Anche Zuko se ne accorse, non potendo semplicemente ignorare la vista di Katara seduta su di lui e con il fiato corto. Sentì bruciare in lui un irrefrenabile istinto che non aveva mai provato prima, e per un attimo accarezzò l’idea di soddisfarlo. Poi però pensò alla ragazza che aveva di fronte, al rispetto che provava per lei: non poteva baciarla, non senza il suo consenso. Non sarebbe stato giusto. Dunque esitò.
 Katara parve delusa. Tuttavia, il fatto che ci avesse provato era segno che anche lui provava quei sentimenti che ora lei stava cercando di reprimere.
 Ancora con il fiato corto, Katara disse: «Lo… Lo voglio anch’io, Zuko.»
 Zuko non avrebbe mai pensato di poter sentire quelle parole scivolar via dalle labbra di Katara – labbra che ora sembravano più invitanti che mai. Ma era indubbio che era appena successo. Non stava sognando, era perfettamente lucido.
 Katara lo voleva e lo voleva anche lui.
 Zuko si protese verso di lei come la sua posizione meglio permetteva e in quel momento si sentì più sicuro che mai: accolse il viso di Katara tra le sue mani pallide e lo avvicinò a sé, facendo poi incontrare le loro labbra senza che l’altra opponesse la minima resistenza.
 Il loro primo bacio assunse dapprima un andamento incerto, entrambi i ragazzi che si prendevano il loro tempo per studiare le peculiarità di quelle labbra che ora stavano come accarezzando con le proprie. Poi, quand’ebbero finito di studiarsi, il contatto divenne più sicuro e passionale, quasi famelico.
 Perché nonostante le perdite subite, nonostante la guerra, nonostante tutto, rimanevano pur sempre due ragazzi che sperimentavano per la prima volta un tipo d’amore così intenso e vero che li spingeva a reclamare ogni singolo granello dell’essenza dell’altro.  



   
 
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