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Autore: Nina Ninetta    31/07/2018    4 recensioni
Nina Williams è a Volgograd, Russia, per portare a termine l'ennesima missione che Jin Kazama le ha affidato, ossia uccidere Lukin Novikov: uno dei magnati più influenti del mondo che gestisce un traffico illecito di armi con la Corea, facendo concorrenza alla Mishima Zaibatsu. Il compito sembrerebbe portato a termine dalla killer, quando Sergei Dragunov interferisce per difendere il suo cliente e Nina sarà quindi costretta a vedersela con lui, ma qualcosa va storto e un aiuto giungerà inaspettato.
Terza classificata al contest "Test your might" di _Akimi indetto sul forum di EFP.
Seconda classificata al contest La guerra del Raiting indetto da missredlights sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kazuya Mishima, Nina Williams, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3Gloria in excelsis Deo”
 

Richard Williams aveva un desiderio: che le sue figlie studiassero per diventare medici e trovare così una cura alle malattie incurabili. Quando Anna gli fece notare che sono incurabili perché appunto nulla avrebbe potuto guarirle, Richard rispose che questo era il motivo per cui loro sarebbero dovute diventate così brave da farlo, da trovare la giusta medicina. Nina intanto lo guardava con occhi sognanti. Si figurava già a salvare migliaia di vite umane, mentre suo padre le sorrideva con orgoglio. Anna invece aveva mandato in frantumi il sogno di suo padre annunciando che lei voleva diventare una star, come quelle del cinema e sposare un uomo miliardario. Poi Richard era morto ammazzato e la giovane Nina aveva capito che qualunque farmaco avesse brevettato, alla fine le persone sarebbero morte comunque, investite da un’auto in corsa o qualcuno avrebbe sparato loro un colpo di pistola alla testa, davanti alle proprie figlie. Le neve si sarebbe macchiata di sangue – il sangue di Richard – e il cuore avrebbe smesso di battere e gli occhi castani, profondi – gli occhi di Anna – si sarebbero spenti, divenendo vacui come l’abisso più tetro.
 
Nina Williams schiuse le palpebre, inizialmente vide solo immagini sfocate, poi riuscì a mettere a fuoco l’austero ambiente in cui si trovava. L’armadio a due ante vecchio di cent’anni, la scrivania ancor più malandata sopra alla quale stava un’antica televisione a tubo catodico di un arancione spento, con lo schermo quadrato di pochi pollici. Un pigro fuoco ardeva nel camino di marmo, una figura in ginocchio cercava di ravvivarlo aggiungendo altra legna e solo quando le fiamme divennero alte e vivaci, questa si alzò e si voltò indietro, sorridendo quando si accorse che la famigerata killer era finalmente sveglia.
Nina con uno scatto si mise a sedere contro la spalliera del letto scarno sopra il quale era distesa, provando un dolore lancinante e pungente alla spalla sinistra. Strinse i denti e solo allora si accorse che non indossava più l’abito da sera: l’addome era stato fasciato partendo proprio dalla zona ferita. Kazuya Mishima le si avvicinò, tenendo un sorriso beffardo sulle labbra le porse una tazza con del liquido olivastro e fumante. Si sedette sul logoro materasso alla destra della donna.
«Camomilla, biancospino e menta» disse porgendole l’infuso. «Ti aiuterà a tenere a bada il dolore.»
«Per quanto tempo ho dormito?» Chiese lei, notando che fuori era ancora buio, come quando Sergei Dragunov l’aveva raggiunta ai piedi della Madre Patria, così suppose che dovessero essere passate solo poche ore.
«Un giorno circa» a quella risposta Nina spalancò gli occhi. Avrebbe dovuto avvertire Jin o Eddy di aver portato a termine la missione, di sicuro stavano provando a mettersi in contatto con lei. «Bevi» il tono perentorio di Kazuya la ridestò da quei pensieri.
«Perché dovrei fidarmi?»
Kazuya Mishima, padre di Jin Kazama e figlio di Heihachi Mishima. Ovviamente Nina aveva sentito diverse storie sul suo conto, alcune sapevano di leggenda vera e propria, qualcuno addirittura diceva che fosse tornato dal mondo dei morti. Neanche lì lo avevano voluto…
«Perché se ti uccidessi, tua sorella non me lo perdonerebbe» a quel pensiero Kazuja rise, rovesciando un po’ della tisana sul pavimento di parquet. «Ha detto che dovrà essere lei ad ammazzarti, un giorno. Adoro le famiglie unite, come la mia e la tua.»
Dal momento che quella risposta aveva una certa logica, Nina prese dalle sue mani la tazza e subito il suo tepore le sciolse ogni muscolo del corpo. Kazuya la osservò mentre se la portava alle labbra, i capelli lisci e biondi ricaddero in avanti. In un certo senso la trovò anche più bella di Anna, la quale sembrava vivere sempre e comunque all’ombra della sorella, senza mai riuscire a raggiungerla o equipararla in ciò che faceva o in ciò che era. Un’assassina più esperta e temuta, una combattente più abile, una donna più affascinante nonostante non facesse nulla per apparirlo. Sapeva che Nina era solita sfruttare il suo charme solo per lavoro, per sedurre le sue vittime e avvicinarle. Suo padre Heihachi l’aveva ingaggiata svariate volte nel corso degli anni per liberarsi di nemici scomodi o amici insistenti, la ricordava perfettamente nei corridoi della Mishima Zaibatsu Corporation, immune ai complimenti delle guardie e anche ai suoi sguardi dissoluti…
«Ho fatto sapere a Jin che Lukin Novikov è morto» Nina lo osservò, era la fotocopia del suo capo invecchiata di una ventina d’anni. Come l’avrebbe presa Jin se gli avesse detto che era uguale a suo padre? Male, sicuramente.
«Perché?» Gli domandò, mentre sentiva il sonno annebbiarle la mente, il dolore era diventato solo un placido pulsare.
«Perché Lukin era in affari con me e quando ho saputo che lo avevi ammazzato come un cane ho pensato di seguirti e fartela pagare, ma due uomini contro una donna ferita mi sembrava eccessivo anche per me.»
«Anna non te lo avrebbe perdonato.»
«È vero» Kazuya si mise in piedi, aiutando la donna a stendersi sul materasso, il decotto aveva già fatto effetto. «Anna non me lo perdonerebbe.»
 
Quando Nina sollevò nuovamente le palpebre fuori era ancora buio, ma questa volta non poteva aver dormito per 24 ore filate, al massimo per due, eppure si sentiva più riposata di pocanzi. Kazuya Mishima era davanti al camino, le gambe incrociate e le mani giunte davanti al viso, poi lo vide chiudere la destra in un pugno e sferrarlo in direzione del fuoco, la cui fiamma ebbe un sussulto, sembrò volersi spegnere, invece tornò ad ardere allegramente. Lei si alzò, avvolgendosi nel lenzuolo e sedendo al suo fianco. Kazuya era tornato con le mani giunte e gli occhi chiusi, scagliò un nuovo colpo verso il camino, ma di nuovo il fuoco non resse l’impatto, riprendendosi da quel repentino sbuffo d’aria.
«Dove siamo?» Gli chiese la donna.
«Dovresti mangiare. C’è qualcosa in cucina» rispose lui, indicando con il pollice oltre le sue spalle una porta di legno mangiucchiato dalle tarme.
«Dove siamo?» Tornò a domandare ancora una volta Nina.
«A cinque chilometri fuori da Volgograd.»
«Come…?»
«C’è una furgonetta nel giardino. Non ti tratterrò.»
Nina Williams lo osservò di sbieco, era riuscito a intuire ciò che stava per chiedergli prima che lo facesse. Ridacchiò e scosse il capo, allungando un palmo verso il fuoco per bearsi di quel calore. Kazuya la guardò con un cipiglio in mezzo alla fronte, questa volta non riusciva a capire cosa le passasse per la testa.
«Siamo simili, io e te» disse la donna a mo’ di spiegazione per il suo riso improvviso. «Studiamo ogni particolare nei minimi dettagli; ci piace stare da soli e isolati dal resto del mondo e…» Nina si trattenne, soppesando quello che stava per affermare.
«E…?» Le fece eco lui, mettendo nel camino un altro ceppo di legna.
«E siamo dei pessimi genitori.» Ecco, lo aveva detto. Kazuya abbozzò un sorrisetto, annuendo.
«Ho sentito del pugile. È davvero tuo figlio?»
«Sembrerebbe di sì. Ammesso che possa essere definito figlio un macabro esperimento.»
«Lo senti come tale?»
«Come figlio intendi?» Nina si strinse le ginocchia al petto, una ciocca di capelli le coprì la parte del viso rivolta a Kazuya. «Certo che no! D’altra parte credo che non avrei mai avuto un figlio. Non mi sono mai piaciuti i bambini.»
«Jun sarebbe potuta essere la donna perfetta per me, se Heihachi non si fosse intromesso nella mia vita, cercando di sbarazzarsi del sottoscritto.»
«Riesci a gestire il tuo demone?» Gli chiese Nina, pensando inevitabilmente a Jin Kazama e alle urla disumane che talvolta sentiva provenire dalla sua stanza, durante la notte.
Kazuya Mishima si girò per guardarla negli occhi, ma la trovò con lo sguardo perso oltre le fiamme.
«Tutti dobbiamo imparare a gestire il proprio demone» fu la risposta dell’uomo che attirò l’attenzione di lei su di sé.
Aveva ragione, pensò Nina. Aveva tremendamente ragione.
Lo studiò come non aveva ancora fatto. I lineamenti forti e la pelle olivastra, gli occhi neri come la pece, dal taglio leggermente allungato; una profonda cicatrice attraversava lo zigomo sinistro, altre invece erano ben visibili su braccia e schiena, messe in risalto dalla canotta bianca che indossava. La parte inferiore era invece coperta da un pantalone di tuta felpato, una cintura dello stesso tessuto lo teneva fermo dalla vita in giù. Senza neanche sapere bene cosa stesse facendo, Nina sfiorò con la punta delle dita alcune cicatrici che correvano sul braccio terminando oltre la spalla.
«Alcune non sembrano dovute ai combattimenti» osservò. Kazuya tirò via la maglietta, mostrando una schiena muscolosa ma percorsa da così tante cicatrici che sembrava una cartina geografica.
«Neanche io ho avuto un buon padre.»
«Io sì» sospirò Nina, tornando a guardare davanti a sé. «Io ho avuto un ottimo padre.»
«Lo so» continuò Kazuya Mishima. «Anna me ne ha parlato e mi ha anche detto che tra le due tu eri la sua preferita.» Aspettò che Nina lo guardasse e quando non lo fece aggiunse «credo sia questo il motivo per cui lei è sempre in competizione con te.»
Nina Williams abbozzò un sorrisetto dai mille significati, scuotendo appena il capo, i capelli biondi e setosi ondeggiarono, quindi si sporse verso lui e lo baciò, sfiorandogli le labbra con le sue.
«E se il suo amante scoprisse che sono più brava di lei anche a fare l’amore?»
Kazuya rispose al suo tocco leggero con uno decisamente più veemente, passandole una mano dietro la nuca e l’altra alla base della schiena, spingendola sempre più giù, fino a farle toccare pavimento, fino a distenderla completamente sul lenzuolo che prima la copriva e adesso era steso sotto di lei. La sentì gemere appena per via della spalla dolorante, per questo si puntellò con entrambi gli avambracci sul parquet, mentre le baciava il collo fino a scendere sul ventre e poi di nuovo su, a morderle le labbra. Avrebbe voluto sciogliere la fasciatura che egli stesso aveva applicato alla spalla, facendola passare per il seno, ma sapeva che il dolore sarebbe tornato immediatamente, costringendoli a fermarsi, per questo preferì farne a meno.
Nina dal canto suo gli carezzò l’addome scolpito, i muscoli delle braccia tesi nell’atto di reggerne il peso del possente fisico, quelli della schiena che si muovevano seguendo il resto del corpo. Quando le entrò dentro lo fece con una calma e un tatto che di sicuro la donna non si aspettava, come se entrambi attendessero quel momento da tanto e ora volessero godersi ogni istante, prolungando il piacere il più possibile. Nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso, ma la loro attrazione nasceva anni fa, quando lei si recava da Heihachi Mishima e lo vedeva intendo ad allenarsi nel giardino, appena fuori il dojo della sede centrale del suo impero e lui la osservava da lontano, con la sua tuta così attillata da fargli immaginare tutto e accrescere il desiderio di lei e di fare suo quel corpo perfetto.
Un desiderio durato una vita e che, sapevano, non si sarebbe più consumato.
In quella baita sperduta e circondata dalla neve, dimenticata da tutti, erano diventati un uomo e una donna e nulla più.
 
Kazuya Mishima tirò un altro tiro dalla sigaretta e lasciò che le nuvolette di fumo salissero fino al soffitto. Il braccio sinistro piegato ad angolo sotto il collo, il torace nudo sopra al quale se ne stava sdraiata Nina, anch’essa rivolta verso le travi di legno del soffitto. Oltre la finestra sprangata il sole stava iniziando a sorgere sopra un’immensa distesa di neve bianca e candida. Aveva ormai smesso di nevicare da qualche ora.
«Che cosa farai da domani?» Chiese lui, guardandole la sommità della testa, dove una cascata di capelli biondi cadeva fino a ricoprirgli l’addome.
«Quello che so fare meglio.»
 


fine

 
  
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