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Autore: Spoocky    31/07/2018    1 recensioni
Ambientata durante il blocco navale in "Duello nel Mar Ionio".
L'ammiraglio Harte non prende bene il fatto che la nave di Jack abbandoni lo squadrone per accompagnare Stephen in una missione segreta. A causa della punizione assegnata un membro dell'equipaggio si trova a rischiare la vita.
Partecipa alla 26 prompt challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/?fref=nf ] prompt 13/26 - Febbre
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: no gain, only pain. (Dei personaggi, non mio)

Buona Lettura ^.^


Richiamato sul ponte da una serie di schiamazzi incoerenti Stephen, con Martin al seguito, si precipitò sul cassero, dove nel frattempo si era radunato un nutrito capannello di allievi.  
Il loro arrivo coincise con quello di Jack, che allontanò immediatamente chiunque non fosse indispensabile.
Pullings era steso a terra come morto, la testa puntellata da un ginocchio di Bonden.
Chinandosi su di lui Stephen notò immediatamente che aveva il respiro accelerato, al tatto la pelle era secca, le labbra erano screpolate e sanguinavano dove se le era morse per la tensione, scottava tanto da rendere inutile un termometro.

“Ha la febbre alta.” Annunciò, tentando il più possibile di non lasciar trapelare un’oncia della rabbia che aveva in corpo “Martin, bisogna portarlo subito in infermeria. Una volta di sotto spogliatelo, avvolgetelo con degli asciugamani bagnati e fatelo stendere sotto la manica a vento con le gambe alzate, per sicurezza provategli la febbre. Se si sveglia dategli da bere, acqua. Molta e a piccoli sorsi. Jack, la mia barca prego: devo fare rapporto all’Ammiraglio.”

L’ira funesta che lo permeava cancellò ogni incertezza e, forse per la prima volta nella sua vita, lo si vide trasbordare senza cadere in acqua.
Per sicurezza Jack lo seguì lo stesso con il cannocchiale fino a quando fu a bordo dell’ammiraglia della squadra rossa. Giusto per accertarsi che ci arrivasse vivo.
 


Stephen rimase stupito, una volta a bordo, dal fatto di essere introdotto immediatamente nello studio dell’ammiraglio Harte.  Quasi come se lo stessero aspettando.
Il segretario Wray lo introdusse con un atteggiamento un po’ troppo espansivo per essere spontaneo, che gli lasciò un brutto presentimento.
Una volta entrato si piazzò davanti alla scrivania. Non gli fu offerta una sedia, ma neppure l’avrebbe accettata: era troppo nervoso per stare seduto. Inoltre sapeva che Harte aveva la sgradevole abitudine di sporgersi sulla scrivania per intimidire il suo interlocutore e non voleva dargliene l’opportunità.
In ogni caso, l’ammiraglio si prese tutto il tempo di firmare una serie di carte prima di degnarlo di attenzione.
Per tutto il tempo Stephen non fece che pensare a Pullings che lottava tra la vita e la morte, ansimando e lamentandosi in una branda anonima, in preda alla febbre e forse in delirio.
Non fece che aumentare la sua rabbia.

Quando finalmente si rivolse a lui, Harte aveva un sorriso troppo tirato per essere sincero: “Dottor Maturin, vi aspettavamo. Spero che sappiate spiegarci il motivo per cui il tenente Pullings non si trova sul cassero come da mio ordine.”
Stephen dovette far ricorso ad anni di auto-condizionamento per non dare sfogo alla sua furia omicida, il tono con cui riuscì a rispondere era freddo, quasi metallico, al limite dell’insubordinazione: “Il signor Pullings al momento è ricoverato in infermeria, sotto le mie cure, per un colpo di calore: ha la febbre tanto alta da non poter restare cosciente. E’ anche il motivo per cui sono qui: ho voluto prendermi la responsabilità diretta di fare rapporto sul mio paziente. Il capitano Aubrey non ha nulla a che vedere con questo. Ad ogni modo,” aggiunse dopo una breve pausa “mi è stato chiesto di mostrarvi i nostri ordini, tali e quali li abbiamo ricevuti dall’Ammiragliato e potrete notare come sia richiesto specificatamente” calcò l’ultima parola sillabandola, onde evitare incomprensioni “di fare rapporto solo ed esclusivamente all’ammiraglio Thornton, per ragioni di discrezione e sicurezza che non mi sono state specificate ma credo intenderete benissimo. Se Aubrey non vi ha fatto rapporto prima di partire non è stato per sua volontà ma per un ordine diretto del Primo Lord, come potete vedere.”
 Harte si prese tutto il tempo di esaminare il plico, leggendolo con evidente scetticismo fino ad arrivare all’inconfondibile firma del Primo Lord dell’ammiragliato ed al sigillo, che fugava ogni dubbio sull’autenticità della carta.

“Molto bene. Vi concedo che l’ordine del Primo Lord non vi permettesse di fare altro ma io non sono stato avvisato della vostra partenza. Quindi la punizione rimane: gli uomini della Worcester devono imparare che la disciplina e l’obbedienza ai superiori...”
Un colpo di tosse, discreto ma percettibilissimo, da parte di Wray interruppe quella che si sarebbe prospettata una lunga tiritera.
“Che c’è?! Che c’è adesso?!”
“Veramente, signore” spiegò il segretario, estraendo da una tasca del panciotto un foglio spiegazzato “qualche giorno prima della partenza della Worcester è arrivata una nota dell’ammiraglio Thornton. Con tutti questi incartamenti devo essermi dimenticato di farvela avere. Vi porgo le mie scuse, signore.”
“Sì, sì: datela qua!”

La nota constava di tre righe, in cui si spiegava che la Worcester avrebbe potuto abbandonare lo squadrone da un momento all’altro, che l’ammiraglio Thornton era perfettamente al corrente della cosa e che non si sarebbe dovuto chiederne conto agli ufficiali né al comandante, perché non potevano risponderne che a lui, cordiali saluti.
Questa volta toccò ad Harte trattenere la furia omicida: “Appena tornate a bordo informate il tenente Pullings che la sua punizione è revocata. Buona giornata.”

Wray lo accompagnò alla porta e, per tutto il viaggio di ritorno, Stephen non fece che lambiccarsi il cervello su quanto accaduto. Possibile che fosse un teatrino orchestrato ad arte? O Wray aveva davvero dimenticato il biglietto? Sir Joseph lo aveva informato della presenza di alcune mele marce nel Mediterraneo, che fossero più vicine del previsto? Certo: l’atteggiamento del segretario era stato quantomeno ambiguo, ma era anche vero che finora non aveva fatto nulla per destare sospetti.
Per quanto si sforzasse, non gli riuscì di trovare alcuna risposta.
 


Nella penombra dell’infermeria, in un angolo tranquillo e rinfrescato dalla manica a vento, Martin sedeva accanto all’unico paziente, e lo accudiva sia come infermiere che come cappellano.
Stephen lo trovò intento a fare spugnature sulla fronte del malato, compito che svolgeva con estrema cura e determinazione ma che non gli impedì di notare l’arrivo del medico.

“Oh, Maturin! Bentornato! Vorrei potervi dire che il vostro paziente mostra segni di miglioramento ma, ahimè, non ve n’è stato alcuno. Non ha neppure ripreso conoscenza.”
 “Vi è sembrato che dicesse qualcosa?”
“Nulla. Solo qualche gemito inarticolato e sporadico. Come avevate chiesto, gli ho provato la febbre. Mi sono permesso di usare il vostro termometro Fahrenheit.”
“Avete fatto bene. Il responso?”
“103,1°[1]
Stephen annuì, a occhio la temperatura gli era sembrata quella: “Non gli avete somministrato nulla?”
“Assolutamente no: non saprei davvero dove mettere le mani. A dire il vero, avrei voluto dargli da bere ma non mi sono fidato, con lui incosciente: avrei rischiato di soffocarlo.”
“Se non vi siete sentito sicuro, avete fatto la scelta giusta.”
“Pensate che sopravvivrà?”
“Mio caro Martin, in casi come questo è sempre il cuore a destare maggiore preoccupazione e quello del nostro amico è giovane e forte. Tuttavia, bisogna ammettere che non sono situazioni da sottovalutare, in particolar modo poiché lo stato d’incoscienza risulta prolungato. Se dovesse riprendere i sensi nelle prossime ore vorrebbe dire che, per quanto la febbre sia alta, gli umori celebrali non sono stati danneggiati gravemente. Ma se è sopraggiunto il coma, e questo non c’è modo di stabilirlo con certezza allora non c’è davvero più nulla che possiamo fare.”
“Sarebbe una tragedia. Un così bravo giovane!”
“Non fasciamoci la testa prima di cadere, Martin. Il polso è stabile e respira bene: le nostre speranze sembrano avere un solido fondamento, almeno per ora.”
 


Con il volto segnato dalla preoccupazione, Stephen ripescò una boccetta di vetro dalla sua valigetta e la aprì: un gradevole odore di lavanda si sparse nella stanza. Intinse un dito nell’olio e lo spalmò sulle labbra spaccate di Pullings, per lenire il dolore di quelle piccole ferite.
Una volta finito gli appoggiò la mano sulla fronte: ancora scottava. Se la febbre si era abbassata, lo aveva fatto davvero di poco.
Sentendo il contatto della pelle fredda del medico, l’ufficiale emise un lamento appena udibile. Come aveva detto Martin, lo aveva già fatto diverse volte, ma questa tentò di aprire gli occhi.

“Tom? Riuscite a sentirmi?”
“Coraggio, figliolo: aprite gli occhi.”
Con un gemito, l’ufficiale obbedì ma sembrava avere difficoltà a mettere a fuoco i volti degli uomini accanto alla sua branda, per quanto fossero chini su di lui: “Dottore?”
“Sono qui, Tom. E questo è il reverendo Martin. Avete perso conoscenza per un colpo di calore e vi abbiamo portato in infermeria. Come vi sentite?”
“Ho bisogno... acqua... per favore... acqua...”
Era troppo debole per tenere su la testa e Martin gliela resse mentre Stephen gli accostava la tazza alle labbra: “Fate piano, mi raccomando. Piccoli sorsi. Così: piano. Piano.”
Pullings riuscì a finire due tazze d’acqua prima di crollare di nuovo sul cuscino.

Mentre era incosciente, qualche buon’anima gli aveva intrecciato i capelli perché non gli tenessero caldo alla testa e Stephen gli spostò il codino di lato perché stesse più comodo.  Poi gli passò di nuovo l’olio di lavanda sulle labbra mentre Martin gli premeva uno straccio umido sulla fronte. Sebbene cosciente, respirava ancora a fatica e aveva gli occhi lucidi per la febbre, non sembrava del tutto consapevole di quanto gli stava accadendo.
Infatti, di lì a poco tentò di alzarsi.
Stephen lo afferrò per un braccio e Martin per l’altro, insieme tentarono di riadagiarlo nella branda. Non si aspettavano che ponesse resistenza. Cosa che non accadeva da quando il tifo gli aveva causato una febbre anche peggiore di quella, ma che si ripeté inaspettatamente anche in quella circostanza.
“Tom, state giù! Dovete riposare!”
“Suvvia, figliolo, siate ragionevole...”
“Gesù, Giuseppe e Maria! Non costringetemi a legarvi alla branda!
”Sono di guardia.”
“Non se ne parla!”
“Maturin, non lo tengo più!”
Finalmente Stephen trovò le parole giuste: “L’ammiraglio ha revocato la punizione! Mi sentite, Tom? La punizione è stata revocata!”
Dovette urlargli in faccia, producendo il suo caratteristico strillo dissonante, ma riuscì a farsi capire. Pullings crollò improvvisamente tra le braccia sue e di Martin, che lo aiutò a distenderlo di nuovo sui cuscini.
Di nuovo lo riaccomodarono e gli aggiustarono addosso gli asciugamani, il reverendo si curò di sostituire quello sulla fronte, che nella concitazione era caduto a terra.

Ancora ansimando per lo sforzo, il tenente si voltò nella direzione generale del medico: “E’ vero?”
“Cosa?” Stephen gli porse un’altra tazza d’acqua e lo aiutò a finirla prima di lasciarlo continuare.
“Harte ha davvero ritirato la punizione?” aveva una voce talmente sottile che Stephen dovette praticamente accostargli l’orecchio alle labbra per sentire.
“Sì. Gli ho spiegato la situazione e gli ho dimostrato come non potessimo fare diversamente. Ha revocato la punizione immediatamente. Vorrei potervi dire che vi manda le sue scuse ma sapete com’è.”
Sentendo la parola ‘scuse’ Pullings avvampò di nuovo, questa volta di vergogna: “Dottore...”
“Sì?”
“Mi dispiace.”
“Per cosa?”
“Per prima...”
“Shh. State tranquillo: non è successo niente. Vero, Martin?”
Martin, a dir la verità, era ancora decisamente scosso. Traumatizzato, addirittura.
Però sapeva bene che il poveretto non agiva lucidamente e non poteva essere considerato responsabile per quanto accaduto: “Ma sì. Non preoccupatevi, figliolo: è tutto a posto.”
“Sentito, Tom? Adesso però cercate di riposare: sono stati giorni molto duri e dovete recuperare le forze.”
Gli stesero addosso una coperta leggera e lo guardarono addormentarsi.
Di nuovo, Stephen gli appoggiò una mano sulla fronte.

“Ha ancora la febbre?”
Il medico fece cenno di sì con la testa: “Ci vorrà qualche ora, prima che scenda.”
“Volete che vi faccia compagnia durante la veglia?”
“Se non avete di meglio da fare. Non voglio rubarvi altro tempo.”
“Oh, quanto a quello! E’ un piacere farvi compagnia. E assistere gli infermi resta uno dei precetti anche quando si è in mare, presumo. Per cui è mio dovere essere qui.”
“Vi ringrazio davvero, è molto gentile da parte vostra. Non posso però garantire che quanto accaduto poco fa non si ripeta.”
“Me ne farò una ragione. Ora, tornando a quell’interessantissimo esemplare di pulcinella di mare...”

Nel discutere con Martin di uccelli, tra una spugnatura e l’altra, Stephen ricominciò a tormentarsi con il quesito di prima, che continuava a tornare quasi fosse lui stesso vittima di un delirio febbrile:  possibile che lui e Sir Joseph avessero sottovalutato la presenza di doppiogiochisti nel Servizio Informazioni?

Possibile che Andrew Wray avesse agito consapevolmente contro di lui?
 
- The End -

Note:
[1] 39,5° C
  
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