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Autore: Ksyl    02/08/2018    8 recensioni
3x22 - Los Angeles
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Because of you.
Because of us.
Always.

18 – Castle

"Buongiorno". La voce che amava di più, declinata in un tono più squillante del solito, si annunciò in cima alle scale, dalle quali una Kate in forma smagliante scese con passo sicuro. Non c'era più l'ombra della donna affaticata che aveva varcato la soglia del loft a passi incerti. La vita aveva tentato di metterla al tappeto e lei non si era fatta abbattere. Aveva preso ogni colpo e lo aveva tenacemente trasformato in un piccolo mattone che aveva contribuito alla sua trionfale rinascita. E lui non poteva esserne più orgoglioso. Né amarla più disperatamente.

Si voltò per salutarla, interrompendo la preparazione dell'abbondante colazione a cui si era dedicato con il solito sacro fervore.
La luce del mattino, già brillante e intensa nonostante l'ora, filtrava attraverso le tende, avvolgendo il loft di un'atmosfera dorata pregna di energia.
Si era alzato presto, prima del solito, perché quello era il grande giorno, quello segnato su agende e calendari e, tristemente, nel suo cuore.
Avevano trascorso giorni di perfetta simbiosi, protetti dal perimetro accogliente del loft, una sorta di utero colmo di liquida beatitudine. O forse non era stata perfetta, come non lo sono le cose umane, ma era stata in ogni caso preziosa, qualcosa che avrebbe portato sempre con sé, l'idea che al mondo esistesse qualcosa di armonioso che loro erano riusciti a ricreare insieme e far durare il più a lungo possibile. Ma a tutto c'era una fine. Kate si era ripresa, come era facilmente visibile nelle linee rilassate del suo volto, la figura meno scheletrica e l'aria di chi ha ogni intenzione di uscire a dominare il mondo, invece che aggirarsi come un uccellino spaurito, che era esattamente l'impressione che gli aveva fatto i primi tempi.

Sapeva che ogni fine coincide con un nuovo inizio, proprio come quello che si stava dispiegando davanti ai suoi occhi, ma provava un po' di malinconia all'idea che il formidabile duo, da loro felicemente composto, avrebbe dovuto necessariamente separarsi e lasciare che la realtà tornasse a farsi viva con le sue pretese, obblighi, appuntamenti.
Era stato consapevole – e ne era convinto in senso generale e filosofico – che quell'idillio non sarebbe durato per sempre, perché niente permane e quel tipo di vita lontana dal mondo ancor meno, e perciò stava stoicamente facendo la sua parte. Che comprendeva lasciarla andare, libera di volare, libera di allontanarsi e vivere l'esistenza che preferiva, così come le aveva promesso.
Era così dannatamente difficile mantenere la parola data, che gli pareva di avere della carta vetrata in fondo alla gola. Nondimeno, aveva fatto il possibile per aiutarla a riprendersi nel migliore dei modi e il più in fretta possibile, senza secondi fini e senza badare a quello che avrebbe significato per lui. Sperava solo che l'impegno profuso, la sua totale abnegazione alla causa, e infine i suoi errori, che erano solo stati sbagli fatti in buona fede, e mai cattiverie, mai meschinità, fossero serviti a guarire, a sciogliere qualche rattoppo dell'anima. Lui ci aveva messo tutto il cuore che aveva. Di più non poteva fare nemmeno volendo, se non incoraggiarla un'ultima volta e poi sorriderle e farle cenno con la mano mentre si avviava a compiere i passi successivi della sua guarigione, che non lo comprendevano.

Lui aveva fatto tutto quello che si era ripromesso: l'aveva rimessa in piedi, l'aveva tenuta per mano, l'aveva rimpinzata di cibi genuini, e altri decisamente meno genuini, aveva silenziosamente preso nota di miglioramenti e improvvise regressioni, era stato ad ascoltarla in quei rari momenti di confidenza che assumevano un valore inestimabile. Lei era rinata. E lui doveva ingoiare il suo amore inespresso e portarlo al livello più estremo. Volere il suo bene e non preoccuparsi del proprio, delle grida che partivano dai vuoti del suo cuore, di quel bisogno che aveva di tenerla con sé. Doveva accettare le sue decisioni. Accettare di tornare alla sua vita solitaria, senza la presenza che aveva arricchito le sue giornate di risate, buonumore, affetto e calore.

Quel giorno Kate avrebbe iniziato le sedute di fisioterapia e, più tardi, ci sarebbe stato il primo incontro con lo psichiatra. Era sicuro che al termine di quelle attività nuove, impegnative da un lato ma entusiasmanti dall'altro, perché significavano che il recupero definitivo era vicino, gli avrebbe comunicato che se ne sarebbe andata dal loft. Non aveva motivo di rimanere, del resto. Nei suoi panni avrebbe iniziato a ribollire dalla brama di tornare a quell'indipendenza che era sempre stata il suo vessillo o, in un'altra prospettiva non meno valida e ragionevole, forse iniziava a porsi il problema di abusare della sua ospitalità. Era sicuro che fosse un argomento al quale tornava spesso nella sua mente, lo aveva capito da alcune mezze frasi lasciate cadere forse per sondare il terreno, ma senza mai parlarne apertamente. Se lo avesse fatto, lui le avrebbe giurato che sarebbe potuta rimanere fino a quando avesse voluto, per sempre magari? D'altro canto lui non intendeva intavolare il discorso perché non voleva che lei cogliesse la palla al balzo per ringraziarlo e salutarlo. Avrebbe fatto troppo male.
Non era un uomo coraggioso, quando si trattava di correre il rischio di essere cacciato di nuovo in quella landa infelice che era la vita senza di lei. Non era tanto il peso della sofferenza a spaventarlo maggiormente, quanto l'idea di non averla più con sé. E quindi stava zitto, covava al suo interno malumori e desideri inespressi e li nascondeva dietro la solita facciata impassibile e bonaria. Come se non avesse un problema al mondo. Che invece aveva.
Un tempo si sarebbe mosso con meno cautela, avrebbe voluto sapere la verità a tutti i costi, qualsiasi essa fosse. Il tempo e la saggezza gli consigliavano di avere prudenza e di godersi quello che aveva, con la tagliente e amara consapevolezza che tutto ciò che aveva sarebbe potuto finire di punto in bianco e non necessariamente nel migliore dei modi per lui.
Si poteva amare tanto qualcuno e al contempo avvertire incessantemente l'acuto pericolo che quell'amore così puro e inviolato avrebbe potuto portarlo a schiantarsi contro un muro da un momento all'altro? Sì, si poteva. E saperlo non avrebbe reso meno doloroso l'impatto. Non riusciva a smettere di amarla, nonostante i rischi che vedeva chiaramente, non ultimo il fatto che avevano al loro attivo un primo disastro dal quale si erano ripresi a fatica. Non poteva rinunciare a quel sentimento, non poteva addomesticarlo, e non poteva imporle di amarlo, se non era quello che provava spontaneamente.

Kate si sedette, come ogni mattina, davanti a lui. Le porse una tazza di caffè, colma fino all'orlo, che lei accettò sorridendogli luminosa, come sempre. La osservò scrupolosamente, era diventato così esperto che per farlo, per capire come stesse sul serio, gli bastavano un paio di occhiate. Il volto splendeva, le ombre scure erano sparite e aveva perso quel pallore spettrale che aveva temuto sarebbe rimasto a imperitura memoria di quello che era accaduto.
"Pronta per la tua gloriosa giornata?". Lo sforzo di nascondere la tristezza lo rese eccessivo e altisonante.
Kate non rispose, limitandosi a sorseggiare il suo caffè e mordicchiare i pezzi di frutta che preferiva, tra quelli che lui le aveva messo a disposizione. Era stato sempre qualcosa che aveva generato battibecchi divertiti tra loro, lui insisteva perché mangiasse tutto quello che aveva nel piatto e lei aveva imparato presto a far scomparire quello che non le piaceva in posti improbabili, che lui puntualmente ritrovava. Non gli importava davvero che mangiasse fino all'ultimo boccone, le porzioni che le preparava erano sempre abbondanti proprio per quel motivo. Ma gli piaceva iniziare la giornata in un clima rilassato e allegro, che ora gli sarebbe impietosamente mancato.
Doveva smettere di essere tanto pessimista. Doveva festeggiare i progressi che quella giornata simboleggiava, invece di comportarsi come se lei lo stesse salutando per andare al fronte sventolando un fazzoletto bianco di batista colmo di lacrime.

Kate sembrò soppesare con cura la risposta da dargli e lui provò un moto di impazienza nei confronti di se stesso. Odiava, più di tutto, quando la innervosiva e la rendeva incerta su come rapportarsi con lui. Si trattava di una delle conseguenze meno onorevoli del comportamento avventato e impulsivo che aveva tenuto in ospedale e poi al parco. Aveva prodotto una perdita di spontaneità inusuale tra loro. E gli pareva uno spreco che adesso ci fossero aree comunicative da trattare con circospezione.
Era indubbiamente un segno che anche lei teneva al loro rapporto al punto da non volere che si autodistruggesse per una deflagrazione improvvisa dovuta alle sue reazioni poco pacate, di cui aveva avuto una prova consistente nel periodo peggiore della sua vita, ma non era giusto. Lei non lo meritava.

"Sono un po' nervosa, a dirla tutta", ammise. Sapeva benissimo che per lei non era semplice confessare di essere meno che padrona della situazione. Più lei si sforzava di aprirsi, e più lui malediva se stesso perché non riusciva a scrollarsi di dosso quella tendenza alla cautela che non lo faceva comportare con il suo connaturato ottimismo e fiducia nell'esistenza. Non voleva accettare che il rifiuto di lei lo avesse colpito così tanto da essere costretto a proteggersi, invece che andarle incontro con il cuore e le braccia aperti. Eppure, più si sforzava di tornare a quella vecchia versione di Castle, e meno ci riusciva.
C'era troppo non detto tra loro, ancora, nonostante tutto. Lei era così coraggiosa nel riprendere in mano la sua vita, nonostante il trauma che avrebbe paralizzato chiunque e lui non riusciva a strapparsi di dosso il timore di bruciarsi di nuovo. Il timore di non essere amato o, forse, quello di esserlo. Forse anche lui avrebbe avuto bisogno di qualche consiglio che lo rimettesse in carreggiata, se non voleva perdersi il meglio della vita, i suoi sorrisi, la meravigliosa aura con la quale avvolgeva tutto quello che le stava intorno, in cui anche lui era rinato. Aveva sempre saputo, naturalmente, quale ricchezza nascondessero le sue corazze, ma vederla splendere ogni giorno di più lo abbagliava.

"Andrai alla grande". E via così, una banalità dopo l'altra.
"Castle, va tutto bene?", gli domandò impensierita. Vivere a stretto contatto significava comprendere, per osmosi, quello che l'altro provava. E lei, già dotata di una mente investigativa, ci aveva messo pochissimo a imparare a leggere tra le sfumature minime dei suoi umori. Anche quella era una novità. Era andata a finire che nel cercare di abbattere quei muri che la tenevano prigioniera, si era scoperto che era lui quello a disagio con la propria trasparenza emotiva, quello con le resistenze più grandi.
"Sì, perché?", le chiese fingendo di essere l'uomo più rilassato al mondo.
"È che mi sembri... strano", continuò dubbiosa.
"Stai per iniziare una nuova fase che ti porterà più vicina alla guarigione, come potrei essere strano? Sono molto, molto felice per te".
Rispondere con un interrogativo non era stata una bella mossa. Anche esagerare con tutti quei proclami di felicità.
"Anche tu mi hai aiutato a guarire", sottolineò come se fosse un punto importante e lui gliene fu grato.
"E ora stai così bene da non avere più bisogno della mia dieta ipercalorica e tutto il resto. Come vedi alla fine non ti ho trasformata in un tacchino".
La battuta risultò fiacca, e lui petulante, infatti nessuno rise. Si vergognò di se stesso. Non amava autocommiserarsi e non era da lui. Ma quell'anno aveva imparato parecchio su di sé e c'erano state sorprese non esattamente piacevoli.
Kate appoggiò una mano sulla sua. "Mi è piaciuto sgranocchiare sul divano tutti quei dolci fatti in casa che non potrò mai più permettermi, soprattutto di notte. E spero che... continuerai a escogitare in segreto altri modi di farmi diventare un tacchino, anche se faremo finta di non aver avuto questa conversazione".

Non era sicuro di aver capito bene e decise che avrebbe scelto la via meno rischiosa. Perché non era coraggioso e aborriva l'idea di illudersi più di ogni altra cosa.
"Quando vorrai tornare ad assaggiare una delle mie ricette, sarò felice di preparatela". Per assurdo, gli sembrava di essere davvero su quel maledetto binario a dirle addio per sempre.
"Io pensavo più a continuare come abbiamo sempre fatto".
Lo sbigottimento rischiò di togliergli la parola. La ragionevolezza, invece, se ne era già andata da un pezzo.
"Vuoi dire che non torni nel tuo appartamento?", esclamò senza rifletterci meglio.
La vide ritrarsi, come se fosse stata colpita.
"Vuoi che me ne vada?". Era incredula e ferita. Che cosa aveva combinato? "So di aver scombussolato la tua vita, e mi dispiace, ma non avevo idea... non avevamo stabilito una data... Scusami, non avevo capito. Preparo subito le mie cose".

Si accinse a scendere dallo sgabello mentre lui sceglieva, dal tagliere alle sue spalle, il coltello più adatto allo scopo di finire se stesso e la sua incapacità di comunicare con il prossimo come un essere umano dotato di senno. Come poteva essere stato tanto maldestro da lasciarle credere, esprimendosi come un troglodita, che voleva che se ne andasse? Se ne era uscito in modo tanto diretto e sgarbato solo perché tutto si aspettava, tranne che lei scegliesse di rimanere. Le aveva fatto credere che la sua presenza fosse un peso, doveva essersi sentita messa alla porta. Come poteva sbagliare sempre, costantemente, qualsiasi approccio da tenere con lei, che contava per lui più di qualsiasi altra cosa al mondo? Qualcuno doveva avere pietà di lui e della sua goffaggine estrema, per non dire di peggio.

Le corse dietro e l'afferrò per un braccio.
"Scusami. Sono un idiota. Pensavo che fosse scontato che, arrivati a questo punto, avresti voluto andartene tu per prima e ne ero dispiaciuto. È per questo che ti sono sembrato strano, perché immaginavo il loft senza di te e...", non riuscì a continuare, anche se era felice di aver parlato, per una volta, dritto dal cuore, senza nessuna remora. "È un'immagine talmente triste e insopportabile da farmi venire voglia di mettermi un paio di baffi finti e seguirti di nascosto".
Kate lo ascoltò con attenzione, fino a sciogliersi in una risata.
"Confesso che l'ipotesi dei baffi finti l'avevo già presa in considerazione", scherzò, dando prova di conoscerlo molto bene. "Ma non hai bisogno di seguirmi. Perché non ci vediamo quando avrò finito? Devo passare da casa a recuperare alcune cose e poi possiamo pranzare insieme. O fare qualsiasi altra cosa".
Niente gli avrebbe fatto altrettanto piacere del fatto di scoprire che i suoi progetti futuri, per quanto a brevissimo termine, includevano anche lui.
"E poi avevo pensato che saremmo tornati qui", aggiunse titubante. "Ma forse ne hai abbastanza di avermi intorno".
Sembrava non aver nemmeno preso in considerazione l'idea di andarsene, mentre lui si era arrovellato senza sosta. Quando avrebbe finalmente compreso che per intendersi, tra esseri umani, serviva parlarsi?

"No, nel modo più assoluto. No. Non desidero altro che averti intorno. Credevo che fossi tu a non sopportarmi più e non vedere l'ora di tornare nel tuo appartamento, alla tua vita visto che non più bisogno di me".
"Forse non ne avrò bisogno, ma non significa che non voglia. Mi piace stare qui. Stranamente...". Gli lanciò un'occhiata ironica. "Molto stranamente, non ci siamo fatti fuori a vicenda, lo considero un enorme successo. E mi piace la nostra routine. Mi piace stare con te". Al prossimo mi piace, snocciolato con tanta naturalezza, lui si sarebbe accasciato sul divano, doveva avvertirla. "A meno che non sia tu a rivolere indietro la tua vita". Certo, e gli asini volavano e gli unicorni intonavano canti nei cieli mentre lui moriva felice.

Le sorrise più gioioso di quanto non ricordasse di essere mai stato in questa vita e in quelle passate e future e perfino parallele.
"Io sigillerei la porta per non farti uscire nemmeno per i bisogni di prima necessità, ma so che non è ben visto in seno alla legge".
La risata non si fece attendere, scintillante e cristallina.
"Allora siamo d'accordo".
Non era sicuro che fosse la cosa giusta da fare, ma ne aveva abbastanza di tenersi al riparo dietro la siepe, per non essere ferito. D'improvviso aveva capito, capito sul serio e non per sentito dire o averlo letto in un giornale, che se avesse continuato a proteggersi, avrebbe impedito all'universo di recapitargli quello che desiderava di più. Che sarebbe stato necessario rischiare e forse farsi ancora male, ma non c'era nessun altro modo di vivere che non questo.

Si chinò a baciarla, qualcosa che non si era permesso di fare quando lei era fragile, quando lui era vittima di ogni paura conosciuta e sconosciuta che lo aveva paralizzato nel timore di essere nuovamente colpito. La sofferenza continuava ad atterrirlo e albergava in lui ancora la paura di perderla, un terrore capace di chiudergli il respiro e farlo vacillare. Ma quella era la vita, una vita che, in quel momento, davanti a lui, gli stava benevolmente offrendo la realizzazione dei suoi sogni più ferventi. Kate si lasciò andare contro il suo corpo, morbida e abbandonata tra le sue braccia. E felice proprio come lui, scoprì. Promise a se stesso che non avrebbe mai e poi mai rifiutato i doni della vita, solo perché aveva paura di vivere. Se aveva imparato qualcosa, era quello di dover accettare i due lati della medaglia ed essere pronto ad affrontarli entrambi, perché lei li valeva tutti. Anche Kate Beckett l'aveva guarito, dopotutto.

The end.

Il finale di questa storia è sopraggiunto a sorpresa anche per me, perché avevo in mente almeno un altro capito, ma quando ho scritto questo ho capito che "This is it" (cit.), eravamo arrivati alla fine. In questo spezzone ho sempre fortemente voluto scendere a fondo di due emozioni primarie, la rabbia e il dolore, e il percorso è stato compiuto. Ho la sensazione che i miei Castkett siano tornati a una sorta di "clean slate" da cui ripartire per provare a far funzionare un rapporto che è prima esploso – perché non poteva fare altrimenti - e poi li ha costretti a raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, cosa che ha comportato notevole impegno, coraggio e scoperte da parte di entrambi.

Vi ringrazio per avermi seguito in una storia per me non facile, grazie per il sostengo di cui questa volta ho avuto più bisogno, grazie - più di quanto io possa dire e voi possiate comprendere - per la preziosità della vostra presenza. Ho preso quello che avevo e gli ho dato l'happy ending che avrei voluto, senza perdite, sbagli e lontananze. Un saluto e un abbraccio a chi sta male, a chi non ha paura di tendere mani, rimettersi in gioco, andare controcorrente. A chi non lascia mai da solo nessuno con delicatezza e discrezione. Scrivere le fanfiction, da tre anni a questa parte, è sempre stata per me una forma di catarsi dalla quale riemergo sempre più arricchita, e spero migliore

Buone vacanze a tutti. Silvia

   
 
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