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Autore: persephone_    03/08/2018    0 recensioni
Abditory significa "posto in cui nascondersi". Ed è ciò che trova Yoongi non appena entra in questo albergo.
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Yoongi non ha mai avuto interessi, sfide, grandi storie da raccontare, no. Yoongi si è laureato in economia, un tempo scriveva articoli di giornale, fumava - poi gli è stato offerto di lavorare come direttore di un albergo alla deriva.
Per i prossimi mesi, Yoongi non fa che pentirsi di aver accettato. O forse no. Anzi, assolutamente no. E' che deve ancora capire cosa vuol dire sentirsi parte di qualcosa.
Abditory è una storia un po' strana, con tanto alcool e tanti segreti, ragazzi fragili in un posto fragile, ma con tanta forza di volontà ed un nuovo direttore. Ed alcool.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Perché le entrate sono così basse? Cos’avete che non va?” Sfoglio quelli che dovrebbero essere gli appunti sugli incassi, tutti pari a zero, tutti negativi. Potrebbe sembrare irrecuperabile, ma non voglio tornare a scrivere articoli su attori ridicoli, quindi tenterò di sistemare questo posto. E’ la prima volta che mi impegno in qualcosa, in questi ventitré anni; o forse ventiquattro. Non faccio da comparsa in questo albergo, sono fra i protagonisti: nei titoli di coda, vedrai subito me. E’ la prima volta che vivo, non sono abituato: forse mi insegneranno loro. 


“Non sappiamo organizzarci, anche se ci ho provato. Forse non ho abbastanza autorità.” Namjoon, formato per la maggior parte da gambe e frasi apprensive, scrolla le spalle dietro il suo bancone, come se dicesse: sì, non so arrabbiarmi con loro, pensaci tu. Colgo la sfida. Hoseok non ha ancora lasciato la scopa, che tiene ferma sotto il mento, dondola annoiato da un piede all’altro, “ci sono tanti altri alberghi validi,” lo sento appena; Jimin china lo sguardo tristemente. “Ma noi siamo una famiglia.” Esordisce Seokjin, un barlume di speranza alla fine, lo ripete: “noi siamo una famiglia.


Giusto. Hoseok l’aveva detto, quello non è solo un hotel, è la loro casa. E’ un punto a loro favore, l’essere così ospitali, e strani, ed ognuno con un loro particolare difetto. Come Jungkook che, al posto di ascoltarmi, canta chissà quale nuova hit e -quando si accorge che lo fisso-, sorride. “L’angolo bar non ha problemi, lì non c’è niente da organizzare. Un abile barman lo avete già,” si indica spudoratamente “-mancano solo i clienti. Per quello neanche io posso fare molto.”

“Una volta ti ho ordinato un Orgasmo e stavi per piangere, Jungkook.” Hoseok incrocia le braccia al petto, la scopa salda nella mano destra come se fosse parte di lui, i capelli rossi si abbinano perfettamente al suo sorriso malizioso. Jungkook sobbalza, “non è vero”, mormora. Tutti concordano a suo discapito. 

Cos’è un Orgasmo?” tento di domandare, con l’espressione più seria possibile, ma ovviamente Taehyung ne approfitta per ribattere, un “pensavo lo sapessi ormai” ridacchiato. Hoseok lo segue, convinto io non riesca a vederlo dietro la sua scopa.
Jungkook sospira, lo sento pensare "devo comportarmi da più grande"; eppure sembra così piccolo. "E' un cocktail. E' così buono da chiamarsi così, perché è come-" una piccola pausa "-... un orgasmo." 

Mi astengo dal domandare che sapore abbia, mi limito ad annuire e tentare -di nuovo- di prendere in mano la situazione. Dunque, l'angolo bar non ha problemi, vediamo la cucina.
"Seokjin", lo chiamo, forse troppo direttamente, ma lui sorride quindi non penso gli dia fastidio, "-tu sei il cuoco, giusto?"
Annuisce. Si incammina verso una porta al lato opposto dell'ingresso, probabilmente la cucina, e Taehyung mi poggia una mano sulla spalla.



"Credi in Dio?", mi domanda. Rimango sbigottito. Una domanda del genere è difficile da rispondere, soprattutto se l'interlocutore non ti conosce, non conosce le tue ideologie; è così difficile spiegare l'esistenza di un'entità superiore, così all'improvviso. Non ho mai creduto, la mia famiglia venerava il culto del silenzio e basta, quindi non avrei problemi a dirgli un secco "no", ma il perché mi abbia fatto una domanda del genere mi incuriosisce. Dunque glielo chiedo, secco, perché. 
"Dopo aver mangiato qualcosa cucinato da Jin, crederai in Dio.", e ride. Ah, quindi intendeva questo. Niente conversazione filosofica alle undici del mattino, davanti al bancone disordinato di Namjoon, sorseggiando un Orgasmo.

Magari la prossima volta. 




Mi incammino verso la cucina, con tutto il seguito impaziente di assistere al mio primo assaggio; quando apro la porta, vengo automaticamente invaso da un profumo dalle varie spezie, così diverse ma perfettamente armonizzate, un po' come loro. Seokjin mi porge un piatto, anzi, una specie di ciotola con una sostanza indefinita al suo interno: ha un buon profumo, ma non riesco a definirlo. Sembra dolce. 
"Cos'è?", rigiro la ciotola fra le mani, osservandola.
"Crema alla vaniglia con ingredienti segreti." 

Ingredienti segreti. L'ha detto come se dentro ci fossero piume di pegaso e squame di sirena e, visto in che razza di hotel mi trovo, non mi stupirei se fosse vero. Forse è tutto nascosto dietro al bancone di Namjoon, nella stanza dove Jimin balla, nel letto dove dormono in cinque. Quasi sorrido, poi scuoto la testa di colpo. Yoongi, non puoi sentirti a casa in un posto che conosci da appena due ore. Non hai mai avuto una casa, tu, non hai mai trovato altro posto se non il monolocale che puzza di fumo. Non puoi già affezionarti a questo hotel ed ai suoi profumi. Non sei fatto per le case, non sei fatto per le persone: è solo un lavoro. E' solo vaniglia, non lacrime di unicorno. Torna in te, Yoongi, torna in te.

Annuisco a me stesso, tornando con i piedi per terra. Assaggio questa fatidica pietanza.

Oh. "Dio," mormoro. Lo segue anche un "Gesù." Taehyung sorride, te l'avevo detto, dice. Me l'aveva detto. Hoseok incrocia le braccia, fiero, i suoi occhi brillano come al solito: "abbiamo un asso nella manica", sembrano dire. Mi trattengo dal non sorridergli. Abbiamo un asso nella manica - cioè, hanno un asso nella manica. 


"Il cuoco c'è, il barista c'è. Ma allora qual è il vostro problema?" so di aver già posto questa domanda, ma ora è con intonazione diversa: sì, ci sono altri alberghi, ma perché non riuscite a superarli, se le basi le avete?
Jimin si poggia una mano sulla guancia destra, le dita -pari a quelle di un bambino- affonando come in un cuscino, il suo sguardo malinconico lo fa apparire come uno di quei cherubini dipinti nel rinascimento, da proteggere. Chissà chi l'ha fatto piangere in passato, chissà chi ha reso il suo sguardo così, chissà cosa pensa. Dovrei tentare di non preoccuparmene, ora si parla dell'hotel.
"Forse," lo mormora a labbra appena schiuse, come se avesse paura di sbagliare, e chissà sbagliare cosa, "-non ci pubblicizziamo abbastanza? O forse per l'aspetto dell'albergo? E' abbastanza malandato, dopotutto." 
"Come noi." Hoseok sorride in un'amara ironia e mi guarda, mi guarda come per dire che non potranno mai cambiare, che quel posto non potrà mai cambiare, perché è malconcio dentro. Tento di non ascoltare quelle parole, quei pensieri come treni in corsa. Devo fare il mio lavoro. 
"Possiamo sistemare tutto." le parole che pronuncio stupiscono me stesso, stupiscono il mondo, avrebbero stupito mia madre se mi avesse visto. Anche quella cugina che studia letteratura, sorriderebbe, e direbbe che sono una persona fiduciosa. Io, fiducioso. Non l'avrei mai immaginato. Alle elementari non mi presentavo alle recite, al liceo rifiutavo le ragazze perché sapevo che prima o poi mi avrebbero lasciato loro, ho accettato di scrivere articoli di giornale perché non avevo altro da fare, altra ambizione. Aspettavo di andarmene da questo mondo, piano, come il mio gatto. Come tutte le persone che ho conosciuto. Eppure questo albergo ha l'odore di qualcosa che non se ne andrà, ha quel profumo sconosciuto di casa che non avevo mai provato.
"Possiamo sistemare tutto." ripeto, ripeto ad Hoseok, ripeto a me stesso. Sistemeremo questo posto. Vedo un sorriso, poi due, poi tre. Li sto spronando io. Non mi riconosco. 




--






Il primo passo è, ovviamente, la pulizia. Il mio monolocale puzza di fumo, non ha spazio per un tavolo, ma è così pulito da poter mangiare -dato che appunto non ho un tavolo- sul pavimento. Su questo sono irrimovibile. E penso lo sia anche Hoseok, dato che vive con quella scopa fra le dita. 

"Hoseok," lo chiamo; sorride, "chiamami Hobi", mi risponde.
"Hobi." lo pronuncio una volta, come per provare, "-sei tu ad occuparti delle pulizie, giusto?" e scosto un po' lo sguardo dal suo sorriso, come si fa col sole, come si fa con qualcosa che brilla troppo.
"Sì! Siamo io, Jimin e le nostre scope. Siamo bravi."
Non ne dubito, il pavimento brilla, neanche un acaro sopravvissuto. Tento di spiegargli in modo elementare che le pulizie non si fermano lì, ma anche ai vetri, le camere, i lampadari.
"Oh," guarda il soffitto, come se non ci avesse mai pensato a pulire anche quello, "è ovvio che puliamo tutto. E' solo il lampadario, ci ho appena pensato. Come si pulisce un lampadario?"
E ride. Si passa una mano fra i capelli rosso fuoco, mormora cose che non sento, distratto da quel colore brillante, probabilmente mi saluta, si incammina in una stanza, continuo a non sentirlo. Svegliati, Yoongi. 

"Uh," lascio un sospiro al lampadario, unica cosa rimasta con me, dopo aver realizzato la situazione appena successa. Probabilmente dovrà cambiare tinta, o non ascolterò neanche una parola. O forse cambiare sorriso. E' la cosa più reale io abbia mai visto, non so come reagire. Questo albergo ospita troppi colori, troppa luce, forse stavo meglio con il ramen istantaneo, il fumo, nel mio appartamento. Non so rispondere ad un sorriso, non l'ho studiato, non è il mio lavoro. Il mio lavoro è fare il direttore, non sorridere. Devo tornare nelle vesti di direttore.


Indosso di nuovo l'espressione di lavoro, quella freddamente cordiale, lascio la luce andare via con Hoseok e mi incammino al piano di sotto, nella sala, dal personaggio Kim Taehyung. 




"Taehyung," entro nella sala, cercandolo.
E' una sala relativamente grande, ci sono una decina di tavoli ed in fondo un lungo bancone bianco, probabilmente per il buffet della colazione. La carta da parati sul beige chiaro è un po' antica, ma è adatta al resto dell'albergo; potrebbe davvero essere un bel posto. Taehyung è posto in un angolo, dinanzi all'enorme finestra che ricopre tutta la parete opposta, la luce si posa su di lui con precisione, come se fosse su un set fotografico. Come se fosse tutto regolato, una posa, come se Taehyung potesse controllare il mondo a suo piacimento. Direttore di sala, ma anche del mondo. Sarebbe perfetto su una rivista.
Alza lo sguardo verso di me: un perfetto sguardo da modello. Continuo a fissarlo, non intimidito; lui può anche essere il modello che controlla il mondo, ma io sono colui che controlla il modello. 

"Taehyung, dobbiamo sistemare questa sala." 
"Se solo avessimo dei fondi, volentieri." Mi parla sfacciatamente, pulendo un tavolino col suo bel fazzoletto rosso, la luce lo accompagna in ogni movimento. "Siamo riusciti a comprare solo un cactus, una volta, ma Namjoon l'ha rotto. Si chiamava Lucy."

Beh, povera Lucy. Incrocio le braccia al petto, mi accomodo piano sul tavolino che lucida ininterrottamente, per portare il suo sguardo a me. "Hai idea di come trovare questi fondi?" 
Taehyung mi presenta di nuovo il suo sorriso, quel sorriso, quel sorriso così diverso da quello di Hoseok, così provocatorio: da persona che è consapevole di avere il mondo in mano. Il mondo in quel sorriso.

"Secondo te se lo sapessi, quest'hotel sarebbe così?" e ride. Ride. "Yoongi, qui c'era un'unica chance. E quella era Jungkook- ma non ne vuole sapere."
Jungkook?

Non riesco a domandargli cosa intende, va via col suo fazzoletto rosso, i suoi movimenti da modello. La sala perde la luce. Io rimango immobile a fissarlo, come la Luna, confusa spettatrice del cielo, silenziosa. E d'improvviso è notte. Chissà dov'è Jungkook, in che fascia oraria. 










Quando arrivo da lui, nel minuscolo angolo bar, c'è l'aria della sera. Penso siano le undici del mattino ormai, ma in quell'angolo regna la lieve tensione della sera, in quell'angolo che sembra ritagliato da una rivista per adolescenti ed incollato a malomodo in un albergo troppo vecchio. 
Jungkook sorride. A differenza di Taehyung, Jungkook ha quel sorriso da compagno di classe, ha quel sorriso da buone notizie, ha il sorriso da barista che offre bevande calde alle ragazze che sono state appena lasciate. Quel tipo di barista che si nasconde dietro i bicchieri per leggere nelle persone e nei loro drink. 
Sono fiducioso mentre mi incammino verso di lui, poi esclama una frase.

"Yoongi, hai proprio la faccia di un Red Headed Slut."

Mi fermo a pochi passi dal bancone, sbigottito. Forse non ho capito bene. "Come, scusa?" 
Jungkook si affretta a scuotere una mano verso di me, visibilmente imbarazzato, dice che è un drink. "E' il nome di un cocktail che penso ti possa piacere", continua a ripetere. Ah, un drink. Mi ero illuso di essere stato chiamato "puttana rossa" da Jungkook, ma forse sarebbe stato un po' frettoloso al primo giorno di lavoro.

Già, il primo giorno di lavoro. 
Solo il primo giorno di lavoro.


E Jungkook già mi ha associato un cocktail. Un cocktail che si chiama Red Headed Slut. Gli chiedo se posso assaggiarlo; ma è ancora presto, risponde lui. In effetti ha ragione. 
Nel mio monolocale non riuscivo a distinguere il giorno dalla notte, quella sottospecie di birra mi faceva compagnia ad ogni ora, mentre scrivevo di cose che non mi importavano, mentre in questo albergo c'era vita. Anche senza clienti. Qui c'era vita. Mentre io guadagnavo soldi mai spesi, loro dormivano in cinque in una stanza. 
Io ho una casa, se così si può chiamare, dove tornare; loro hanno solo questo albergo. Hanno loro stessi, un lampadario polveroso, crema alla vaniglia ed Hoseok che sorride. Questo è il loro mondo. Non lo vogliono abbandonare. Iniziamo a pulire, pulire davvero, maniche alzate e sapone ovunque: è solo il primo passo. 



  
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