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Autore: CHAOSevangeline    03/08/2018    2 recensioni
[Banana Fish ]Uno spaccato di vita quotidiana di Ash ed Eiji.
« Cosa volevi dirmi? »
Eiji ha poche scelte: mentire o dire la verità. Ed è quest’ultima che sceglie, perché sa che Ash non lo giudicherà. Sa che forse non dirà nulla, ma che capirà.
« Non mi andava di lasciarti solo. »
Gli occhi di Ash si spalancano. Di poco, spontanei, privi del controllo che Ash esercita su di sé e sul proprio corpo in ogni occasione.
« E perché no? »
« Perché non mi piace quello che immagino potresti provare. »
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note doverose di inizio capitolo: questo racconto non contiene spoiler, ma l'ho comunque scritto dopo aver concluso la lettura del manga. Ergo la situazione descritta nel racconto è un missing moments ambientato dopo il punto in cui si è arrivati attualmente con l'anime. Non ci sono anticipazioni sensibili, motivo per cui penso chiunque lo possa leggere.
Vi auguro buona lettura!

 


Aching heart, troubled soul
 

 
Ash Lynx è una belva.
Queste le parole di qualsiasi membro della malavita di New York, dette o solo pensate. Perché non c’è uomo o donna nelle bande, nella mafia, che non conosca questo nome.
Ash Lynx.
Sette lettere incisive, graffianti, capaci di restare marchiate a fuoco nella mente. Sette lettere sinuose ed eleganti come un serpente velenoso.
Un mostro, una creatura paragonabile ad un demone, da cui nascondersi e da evitare. Ecco che cos’è Ash secondo tutti. E nonostante questo l’attrazione da lui esercitata sugli altri è sempre stata magnetica, intensa. Non si evita di parlare di lui per paura, ma lo si nomina perché si sente il bisogno di farlo, per esorcizzarlo, elaborarlo. Nelle strade si parla di Ash come si parlerebbe di mostri, demoni e streghe, per togliere loro potere. Per convincersi che se sai dire il suo nome, se sei abbastanza coraggioso da farlo, allora non potrà toccarti.
Più lo temi e più ti ritrovi attratto nella sua orbita, ma i motivi per cui se ne ha paura sono gli stessi che affascinano, che legano a lui.
Ma meglio essere suo amico, che suo nemico. Meglio paventarlo giorno dopo giorno standogli accanto, che nutrire anche una sola volta il logorante terrore di essere suo avversario.
Per Eiji, Ash non è nulla di tutto ciò.
Non una belva, non un demone.
Non qualcuno da temere.
Solo Ash.
Solo Aslan, avrebbe voluto lui, perché ad Eiji sarebbe piaciuto poterlo chiamare così, quasi il nome Ash fosse un suo falso appellativo, un soprannome illegittimo e abusato.
Anche se quasi nessuno lo conosceva come Aslan e nessuno sapeva che sua madre aveva scelto di donargli come secondo nome Jade, Eiji avrebbe voluto che fosse quello il suo vero nome: Aslan. Cinque lettere di speranza. Perché Eiji temeva che Ash, più che un soprannome, fosse una maledizione; una ferita non cicatrizzata, martoriata e riaperta tutte le volte che qualcuno lo chiama per nome. Ash è il nome che lo tiene legato a doppio filo alle bande e alla mafia, al dolore che gli è stato inflitto, alla vita che fa parte di lui, ma che Eiji vorrebbe vederlo dimenticare. Questo pensava.
Eppure anche lui lo chiama Ash, perché di chiamarlo Aslan ancora non gli ha ancora chiesto il permesso: non gli ha chiesto se potrebbe fargli ancora più male, perché gli ricorda la donna che lo ha abbandonato. Non ha avuto il coraggio di chiederglielo perché poi, Eiji lo sa, gli domanderebbe anche se lo ha mai ferito da quando si sono conosciuti.
Non può frenare la curiosità, ma nemmeno la paura. E la paura di ferire Ash lo logora, lo uccide e lo rende incapace di pensare più di ogni altra cosa; Ash è stato ferito così tanto nella sua vita, continua ad essere ferito e forse non guarirà mai, ed Eiji vorrebbe solo essere il suo balsamo, la luce capace di farlo crescere, il calore in grado di confortarlo.
Ed è forse un comportamento molto giapponese, quello di farsi carico di tante responsabilità così come lo è scusarsi sempre, in continuazione, per ogni piccola cosa, ma Eiji non vuole e non può commettere errori, non con lui: ferire Ash, Eiji lo sa, è una cosa che lo distruggerebbe a sua volta.
Tra sapere e non sapere, Eiji ha scelto la via più sicura.
Ma solo fino a quando non sarà pronto.
 
Ash è immerso nella vasca da bagno dell’appartamento, la porta socchiusa.
Non ha dimenticato nulla: ha gli asciugamani e il sapone, ed Eiji non ha motivo di irrompere lì. Ash non ha lasciato la porta semiaperta per questo, perché sta aspettando qualcosa: lo ha fatto perché sente il bisogno di essere in contatto con lui, con Eiji, anche se in stanze separate. Sente il bisogno di non chiudere il loro collegamento nemmeno durante quello che dovrebbe essere un momento intimo e da tenere privato, solo per sé.
Non ha mai avuto una vera intimità, lui, non ha mai potuto decidere di averla. Buffo che una delle sue scelte, da uomo libero seppur bracciato, sia di negarsi ancora una volta qualcosa che per tanto tempo gli è stato sottratto.
Ma la verità è che Ash non sente il bisogno di tenersi nascosto ad Eiji. O forse ne sente la necessità, per forza dell’abitudine, e poi alla fine non ci riesce; perché finisce sempre con il parlare, con l’aprirsi. Finisce per rivelare parti di sé che non ha mai raccontato a nessuno.
« Mia madre mi ha chiamato Aslan », gli aveva detto un giorno, fulmine a ciel sereno.
Mai lo aveva rivelato prima e se non ci fosse stato Eiji avrebbe continuato a non farlo. Non ne avrebbe sentito il bisogno, avrebbe continuato a non sentirlo.
È stato Eiji a risvegliare in lui delle necessità che Ash prima nemmeno immaginava di avere.
È tutto grazie ad Eiji.
Tutto, non esagera.
Ash ha lasciato la porta aperta perché sa di poter sentire Eiji. Lo sente muoversi sul letto mentre sfoglia la sua rivista, alla ricerca di una posizione più comoda. Lo sente schiarirsi la voce di tanto in tanto.
Ha lasciato la porta aperta perché, per soddisfare un capriccio potrebbe chiamarlo con la consapevolezza che Eiji correrebbe lì, per lui. Ma esita.
Ed anche Eiji, nella stanza accanto, lo sa. Sa che potrebbe chiamarlo e che Ash risponderebbe. O forse no, forse resterebbe in silenzio per costringerlo a raggiungerlo, calcolatore come sempre. E mentre Eiji lo fissa confuso, chiedendosi perché non gli abbia detto nulla, Ash gli rivolgerebbe una di quelle occhiate di giada, calorose solo per lui. Lo guarderebbe dritto negli occhi come a dirgli « beh, che cosa c’è, Eiji? »
Perché Ash lo fa impazzire, ma Eiji ama quando succede perché Ash è così solo con lui, per lui.
Quello che Ash non sa è che Eiji ha perso l’interesse per la rivista – una di quelle che l’americano prende tanto in giro – che stava leggendo da diversi minuti e non sa nemmeno che ha teso l’orecchio per carpire ogni suono proveniente dal bagno, il rumore dell’acqua che si increspa intorno al suo corpo…
Non sa che anche lui lo sta pensando, che vuole davvero chiamarlo, che non vuole lasciare che la porta aperta rimanga solo una possibilità non colta.
Eiji ne è esausto, delle possibilità mancate.
È esausto di gettare la propria vita alle ortiche, di essere codardo anche nelle piccole cose.
Se hai bisogno di lui, chiamalo, si dice. Se vuoi stare al suo fianco, va da lui.
« Ash? »
Solo allora Eiji se ne rende conto: quando Ash risponderà, non ha idea di cosa dirgli. Non sa cosa chiedergli, non sa quale scusa usare per giustificare l’averlo chiamato.
La cena? L’hanno già organizzata. Qualche faccenda domestica? Non ne parlano quasi mai.
Ma meglio fare la figura dell’idiota, meglio suscitare le risate divertite di Ash – e Dio, Eiji ama quella risata – che rimanere lì, immobile, con il nodo che gli attanaglia lo stomaco.
Quando Eiji è solo – quando Eiji è senza Ash, sarebbe meglio dire – non sa che cosa fare. Pensa, rimugina, macina e il suo corpo viene schiacciato da un macigno di ansia, di preoccupazione. Non può fingere che vada tutto bene nemmeno davanti a sé stesso, nemmeno se Ash è nella stanza accanto.
Perché Ash è solo lì, immerso nella vasca, come sarebbe solo per le strade, la pistola di qualche sgherro di Golzine puntata contro di lui. Nella mente di Eiji i fantasmi che lo perseguitano fanno paura quanto un proiettile piantato nel suo corpo.
Dal bagno ancora non arriva nessuna risposta. In qualche modo il timore subdolo di Eiji sembra acquistare forza, dimensione. Non è più una sensazione, ma un corpo scuro accanto a lui, una presenza fisica e inquietante. Di colpo sembra dirgli « lo sapevo, te l’avevo detto che c’era un motivo per preoccuparsi, ma non mi hai dato ascolto ».
Si sente proprio come quando aspetta il suo rientro, spaventato. Ma in quel momento non è impotente, non lo è mai davvero.
È con troppa forza che Eiji si alza, getta la rivista sul materasso e raggiunge il corridoio.
« Ash? » ripete.
Ancora nessuna risposta. La superficie di legno della porta del bagno si fa sempre più vicina.
Eiji ci arriva di fronte e riesce a vedere la vasca. Vede i capelli biondi di Ash galleggiare in superficie e si accorge che si è immerso, lasciando sbucare solo i pomoli pallidi che sono le ginocchia.
Cosa sta facendo?
Una falcata ed Eiji è nella stanza. Senza l’intenzione di afferrare Ash e strapparlo al momento di calma placida che si sta concedendo, ma solo per controllare se stesse bene.
Il cuore gli batte nel petto esageratamente veloce, martellante. Le mani gli dicono di afferrare Ash da sotto le braccia e di tirarlo fuori, il cervello gli suggerisce di rimanere immobile. Per non contrariarlo, per non farlo arrabbiare.
Pochi istanti e Ash riemerge, le gocce d’acqua impigliate fra le ciglia bionde. Le sbatte e i suoi occhi verdi sono ancora una volta per Eiji.
Lo ha visto attraverso il velo d’acqua; ha riconosciuto l’increspata sagoma di capelli scuri ed è subito emerso per vederla bene, nitida.
« Non sapevo fossi solito irrompere nei bagni quando sono occupati. »
E Ash sapeva, sapeva che Eiji gli avrebbe potuto dire che in fin dei conti era colpa sua perché aveva lasciato la porta aperta, pur non sapendo che lo aveva fatto per lui – o forse Eiji, inconsciamente, ha intuito anche questo?
« Ti ho chiamato, ma non mi hai risposto », ribatte Eiji, il tono di voce più animato del solito.
È sempre così, Eiji: dapprima pacato e docile, lascia poi emergere la propria vera indole. Quella che lotta, che non risparmia nulla. Che dice tutto e libera il fiume in piena nascosto dietro scuse e gentilezza. È come un braciere che arde coperto; si soffoca da solo, ma quando riesce a bruciare l’ostacolo che lo ferma e gli nega la libertà, divampa.
Ad Ash piace quel fuoco, sente tutto il suo calore. Lo rassicura. Sa che può domarlo e che non si brucerà, avvicinando le dita per seguire quella danza ipnotica. Che fra tutti, Eiji non sceglierebbe mai lui come vittima.
Ed è buffo perché Eiji, di Ash, pensa quasi le stesse cose.
« E poi hai lasciato la porta aperta », si affretta ad aggiungere Eiji per togliere potere alla battuta di Ash.
Lo prevede, ma si sorprende sempre. Forse dell’accuratezza dei propri calcoli, perché con Eiji nulla va mai dato per scontato. Forse della sintonia che c’è tra di loro; una sintonia così intensa da far paura, ma che lo riscalda.
Sorride, Ash, perché è una delle cose di cui non può fare a meno quando Eiji è con lui. Un inguaribile sorriso, ecco cosa gli è mancato per tutta la vita. In poco tempo sta rimediando per tutti gli anni in cui il suo volto è stato una maschera di ghiaccio. Nemmeno lui sa raccogliere le parole giuste per dire quanto gli stia facendo bene.
« Cosa volevi dirmi? »
Ah, la fatidica domanda.
Il susseguirsi degli eventi ha impedito a Eiji di trovare una risposta. Gli ha impedito di ricordarsi la domanda stessa, addirittura.
Osserva ancora il viso di Ash imperlato d’acqua, i capelli che gocciolano schiacciati sulla testa. Non uno sguardo indugia sul corpo glabro ed esile del ragazzo e non un velo d’imbarazzo copre le sue guance; è perfettamente a suo agio, Eiji, e nemmeno comprende come sia possibile.
« Uh… » geme, preso in contro piede.
Eiji ha poche scelte: mentire o dire la verità. Ed è quest’ultima che sceglie, perché sa che Ash non lo giudicherà. Sa che forse non dirà nulla, ma che capirà.
« Non mi andava di lasciarti solo. »
Gli occhi di Ash si spalancano. Di poco, spontanei, privi del controllo che Ash esercita su di sé e sul proprio corpo in ogni occasione.
« E perché no? »
Perché non so cosa ti passa per la testa. Perché sento che quando sei solo ti allontani un po’ di più, mi sfuggi dalle dita. E io non voglio trattenerti, imprigionarti, perché non lo farei mai, non ti farei mai qualcosa di simile, ma vorrei stringerti un poco, solo finché va anche a te.
Perché forse sono presuntuoso, ma spero che rimanendo al tuo fianco vedrai solo me e non il tuo passato. So che non posso cancellarlo, Ash. Avrei voluto esserci prima. Ma almeno dammi il modo di aiutarti adesso.
« Perché non mi piace quello che immagino potresti provare. »
Ash resta in silenzio, perché Eiji ha ragione anche se forse non lo sa. Ha questo dono, lui, per cui riesce a fare e dire la cosa giusta senza rendersene conto.
Eiji teme qualcosa che Ash prova sempre: la solitudine, il dolore. Ogni volta che non ha qualcuno intorno la sua mente cede e vaga per lande di dolore, abitate da pensieri con cui si tortura. Potrebbe semplicemente smettere di riflettere, ma non ci riesce, non è così semplice. Non quando la paura ti striscia dentro, avvolge le tue vertebre come edera e ti blocca i movimenti, il respiro.
Non quando ormai tutto, anche tenere insieme te stesso, ti sembra tanto difficile.
« Puoi restare qui se vuoi. »
Nemmeno Ash è a disagio, anche se la sua pelle chiara è nuda sotto la coltre d’acqua. È Eiji quello accanto a lui e mai potrebbe provare qualcosa di simile a paura o vergogna nei suoi confronti; hanno condiviso e condividono anche in quel momento così tanto, che la sua carne è un nonnulla a confronto.
Eiji avvicina alla vasca lo sgabello che tengono nel bagno e si siede. Ash ha appoggiato un braccio sul bordo bianco; è così vicino a lui che Eiji potrebbe quasi prenderlo, quel braccio, accarezzarlo, stringere la sua mano.
Osserva sempre Ash, è così bello che non potrebbe farne a meno. Ash lo sa, è consapevole degli sguardi di Eiji, ma non gli dispiacciono. Sono i primi al mondo che lo fanno sentire davvero bello e non un oggetto; si accorge di quando i suoi occhi delicati indugiano su di lui più volte, sfuggendo con il timore di pesargli troppo addosso, ma tornando poi ad incantarsi su di lui ancora una volta. Lo venera, ma vede lui, non solo il suo corpo o la sua bellezza.
E di quel peccato, di guardare qualcuno, è colpevole anche Ash: perché guarda sempre Eiji, i suoi gesti, il chicco di riso di cui non si accorge all’angolo delle sue labbra mentre cenano insieme. Ash glielo fa lasciare lì, quel chicco, per avere una scusa per continuare ad osservarlo. Poi Eiji se ne accorge, gli chiede perché non gliel’abbia detto, e allora Ash guarda la sua espressione imbronciata, le sopracciglia sottili aggrottate, la fossetta accanto alle labbra piegate verso il basso.
Il chicco ancora lì.
E poi ridono, perché entrambi continuano a fissarsi, perché quel chicco di riso fa il solletico ad Eiji. Perché sono soltanto due ragazzi.
Ash si accorge di tutto, ma non lo dice mai. Vede il sorriso dolce che Eiji non rivolge a nessuno e ne tenta uno a propria volta, solo per lui. Ogni volta, per imparare piano.
« Hai già lavato i capelli? »
Eiji parla di punto in bianco, senza ragione apparente e riscuote Ash e lo sorprende; credeva sarebbe rimasto in silenzio per la maggior parte del tempo.
« No », gli risponde. « Vuoi farlo tu? »
Lo chiede perché pensa che sia ciò che vuole fare Eiji e quando lo vede annuire, piano, ne ha la conferma. Doveva aver temuto che quell’innocente proposta gli sembrasse la più indecente delle richieste.
Ash gli ha tolto per una volta il peso di dire la cosa giusta al momento giusto. Lo ha preceduto.
Eiji sposta lo sgabello dietro di lui e prende il sapone.
Ash sente i suoi movimenti, il fruscio della stoffa dei vestiti mentre si sporge oltre il suo busto per prendere lo shampoo. I suoi sensi sono abituati ad acuirsi quando uno dei fratelli è ostacolato; l’udito si aguzza sempre quando la vista lo tradisce, quando il nemico è alle sue spalle. Eppure i suoi muscoli sono rilassati, le sue spalle sono basse e i nervi stesi. Non teme un attacco, Ash, non teme nulla. Non teme che Eiji possa toccarlo nel modo sbagliato.
Ash odia essere toccato e Eiji lo sa, ma quando le dita del giapponese indugiano fra le sue ciocche bionde, massaggiando il cuoio capelluto e accarezzandolo come non ha mai avuto occasione di fare prima, entrambi capiscono che odia essere toccato, sì, ma non da lui.
Le ciglia bionde calano come un sipario sulle iridi verdi, danno riposo a quegli occhi felini e un sospiro sfugge alle labbra di Ash mentre la schiena incontra la ceramica bianca.
È in pace, si sente in pace.
Eiji lo accarezza come se potesse spezzarsi o, ancora peggio, come se potesse ritrarsi da lui, rifugiandosi infastidito nell’angolo opposto della vasca.
Non ha mai toccato nessuno così.
Non ne ha mai avuto l’occasione, è vero, ma sa che con qualcuno diverso da Ash non ne avrebbe sentito la necessità, il bisogno. Con lui è diverso: è la cosa più preziosa che ha e vuole che Ash lo senta, che lo sappia e che lo ricordi sempre.
Eiji pettina le sue ciocche, le insapona, le accarezza piano.
Entrambi sono calmi, è la naturale influenza che hanno uno sull’altro. Eppure i polpastrelli di Eiji sembrano frizzare attraversati da scosse elettriche, così come la pelle di Ash. Caos calmo.
Dei riccioli di schiuma cadono sulle spalle di Ash e quando Eiji ha finito di insaponargli i capelli le dita esili scivolano sulle scapole candide e umide del giovane per ripulirle. Non un’imperfezione su quel corpo.
Eiji nemmeno ha riflettuto su quel gesto e quando sente Ash prendere fiato per parlare è sul punto di allontanare le mani.
Gli ho dato fastidio, pensa subito.
Ma non è questo che è passato per la mente di Ash.
« Quando sei arrivato, prima, stavo cercando di coprire il rumore dei miei pensieri con l’acqua. Speravo che lì sotto si facessero un po’ più sopportabili », spiega Ash, l’attenzione rivolta ad un’imprecisata piastrella incastonata nella parete. È vulnerabile, sta mettendo a nudo la sua anima, ma non teme Eiji, il suo giudizio. « Ma poi mi sono reso conto che nulla mi avrebbe aiutato come quello che stavo facendo prima. »
Eiji sente il cuore pesante. Vorrebbe chiedere ad Ash che cosa stava pensando, quale fantasma avesse scelto di fargli visita quella particolare sera, durante uno dei pochi momenti in cui avrebbe potuto davvero riposarsi. Se Eiji potesse starebbe al fianco di Ash in ogni momento, per sempre, una spada sguainata in mano per abbattere qualsiasi demone lo voglia perseguitare prima che possa anche solo sfiorarlo. E, torreggiando sulle loro carcasse, lo stringerebbe fra le braccia sussurrandogli all’orecchio che finalmente è tutto finito.
Ash però non sembra voler parlare di questo ed Eiji decide di farsi rivelare solo ciò che ha scelto di dirgli, perché il suo sesto senso gli dice che non è il momento di spargere sale sulle ferite, che non è la cosa migliore. E lui vuole solo il meglio per Ash.
« E cosa stavi facendo, prima? »
« Ascoltavo. Ascoltavo te », risponde Ash. « Ti sentivo mentre sfogliavi la rivista, nella stanza accanto. Ti sentivo che ti muovevi. Ed è bello, sai? Sfruttare i propri sensi per godersi qualcuno, una persona vicina a te, e non per precedere i suoi movimenti, perché sai che non ti farà del male e che puoi fidarti. »
Quella ad Eiji sembra la confessione di un bambino. Gli sembra che Ash si sia appena staccato un pezzo di cuore per consegnarlo a lui. Nella sua mente gli porge quella parte di sé con entrambe le mani, come se finalmente si rendesse conto di quanto siano importanti i suoi stessi sentimenti.
Sono le parole più belle che Ash avrebbe mai potuto rivolgergli.
Eiji esita, perché non sa se sia la scelta giusta. Non sa se sia la scelta giusta, ma sa che vuole prenderla, almeno provarci.
Non servono parole in quel momento, sono superflue.
I polpastrelli indugiano sul petto di Ash, tracciano un esitante percorso e le braccia scoperte dalle maniche corte della t-shirt si avvolgono intorno al suo busto. Il mento di Eiji giace sulla sua spalla.
Non gli importa di bagnarsi i vestiti e i capelli, non gli importa nulla. Non gli importa di niente, solo di Ash.
« Anche io ti ascoltavo », risponde Eiji. « Per questo sapevo di dover venire qui. »
Non parlano più solo di rumori, di suoni udibili con le orecchie. Si tratta di suoni più profondi, più intimi. Quasi vibrazioni dell’anima. Eiji le coglie, quelle di Ash e Ash cerca di fare lo stesso, ma sta ancora imparando. Esita, inciampa, non è bravo come lo è a sparare e a uccidere, suo malgrado. Anche per Eiji è la prima volta, ma si tengono per mano. Si guidano a vicenda in quel sentiero buio.
Per questo, con Eiji accanto, si sente tanto bene. Per questo mentre ascolta il suo cuore rimbombare contro la propria schiena, Ash sorride e porta le dita sulle sue braccia.
Non c’è mai stata così tanta vita nella sua esistenza.
Il respiro di Eiji è caldo sul suo collo.
« Sei la prima persona che mi sente, Eiji. »
« E ti sentirò sempre, Aslan. »
È la giornata delle scelte coraggiose.
Eiji trattiene il fiato, ma sa di non avergli fatto male: lo sente dalla carezza che Ash lascia sul suo braccio.
Il cuore di Ash trema, vibra d’emozione.
Da quanto non sente quel nome? Da quanto non vuole sentirlo?
Eppure la voce di Eiji gli dà un suono particolare. Bello, ipnotico. Melodioso. Ash vorrebbe che lo chiamasse sempre così, perché Aslan non fa più male, come non fa più male Ash.
Quando Eiji è con lui, tutto fa un po’ meno male.
Perché forse Eiji è la sua debolezza, ma è anche la sua forza.
E con lui accanto Ash sa che non si spezzerà mai.
Le sue ferite iniziano a guarire.
Eiji questo lo ha appena capito. Lo ha capito dal timido raggio di sole che ha fatto capolino dalle nuvole, che lo ha scaldato e si è donato a lui affinché lo custodisca, bellissimo e limpido.
Lo ha capito dal sorriso di Aslan.
 



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... sembra che il prompt di questa storia sia la parola "sapere", perché ho messo in luce spessissimo che Ash ed Eiji, in tutto il disastro che vivono, abbiano delle certezze ferme nel sapere determinate cose l'uno dell'altro. È stato involontario, ma non mi dispiace.
Ricompaio anche nelle note finali perché si tratta di Banana Fish e io sto disperatamente cercando modi per parlarne, tanto questo manga mi è piaciuto. Ho finito di leggerlo mercoledì e questa storia vuole essere la prima di una lunga serie di missing moments e what if? scritte per metabolizzare... tutto. Dalla storia al finale. Mi sono innamorata dei personaggi di questo manga, mi sono innamorata di Ash ed Eiji e di questo manga.
Sono una delle persone che lo ha conosciuto dopo aver visto i primi episodi usciti dell'anime, ma non potrei essere più felice di averlo recuperato rapidamente come ho fatto, perché è una storia che davvero merita e che beh, mi ha tenuto compagnia in un momento un po' infelice della mia esistenza. Con altra infelicità, ma anche tanta dolcezza e tanta forza.
Vorrei ringraziare Rika, che sta sopportando i miei scleri su Banana Fish e gli audio in lacrime dopo la fine del manga, sperando che non le cacci involontariamente uno spoiler per poterselo godere con calma. Ieri stavo impazzendo mentre correggevo la storia e mi ha detto di buttarmi.
Ho fatto un po' un esperimento scrivendo questo racconto al presente, ma mi è uscito così. Tengo molto a questa storia pur avendola scritta in poco tempo, spero vi sia piaciuta e che abbia alleviato almeno in parte le sofferenze di chi come me ha letto il manga.
Se vi andasse di dirmi cosa ne pensate ne sarei felicissima <3
Ultimo appunto: il titolo della storia è lo stesso di una canzone di Amy McDonald. Di solito il titolo lo scelgo dopo aver concluso il racconto e raramente mi colpisce subito, ma mentre scrivevo ho subito pensato a questa frase e riascoltando l'intero brano mi sono resa conto di quanto mi ricordi Ash.
Spero di tornare presto a scrivere di Ash ed Eiji e di vedere questa sezione crescere e prosperare!
   
 
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