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Autore: Columbrina    03/08/2018    2 recensioni
Quell'estate, il clima della Terra era piuttosto bizzarro.
Il Sud-Est Asiatico fu colpito dalla siccità, non pioveva mai e le risaie si erano prosciugate. Il Medio Oriente venne, invece, flagellato da violente inondazioni, mentre nel Nord America le temperature scesero a livelli mai visti nei mesi estivi.
I nostri sette piccoli amici non potevano immaginare che, durante il campo estivo, sarebbero stati protagonisti di un'avventura fantastica.

Takeru Takaishi stava leggendo l'incipit di quello che avrebbe voluto diventasse il suo romanzo alla sua amica Hikari Yagami, sette ore di fuso orario più avanti.
Più precisamente, da lui a Parigi erano le sei del mattino e si era svegliato di soprassalto per iniziare a buttare giù qualche riga; da lei a Tokyo, erano le undici di sera e aveva chiesto il favore a suo fratello per poter usare il computer per la videochiamata.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Taichi Yagami/Tai Kamiya, Takeru Takaishi/TK | Coppie: TK/Kari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quell'estate, il clima della Terra era piuttosto bizzarro.
Il Sud-Est Asiatico fu colpito dalla siccità, non pioveva mai e le risaie si erano prosciugate. Il Medio Oriente venne, invece, flagellato da violente inondazioni, mentre nel Nord America le temperature scesero a livelli mai visti nei mesi estivi.
I nostri sette piccoli amici non potevano immaginare che, durante il campo estivo, sarebbero stati protagonisti di un'avventura fantastica.
 
Takeru Takaishi stava leggendo l'incipit di quello che avrebbe voluto diventasse il suo romanzo alla sua amica Hikari Yagami, sette ore di fuso orario più avanti.
Più precisamente, da lui a Parigi erano le sei del mattino e si era svegliato di soprassalto per iniziare a buttare giù qualche riga; da lei a Tokyo, erano le undici di sera e aveva chiesto il favore a suo fratello per poter usare il computer per la videochiamata.
Dallo schermo, Takeru riusciva a vedere lo sguardo vagamente risentito di Hikari, il che lo fece sorridere provocatoriamente. Anche perché sapeva il motivo di quella finta offesa.
"Andiamo, tu non c'eri al campo estivo con noi e non potevamo certo immaginare che saremmo stati otto e non sette. Guarda che nei prossimi, ci sarai anche tu e per i lettori sarà un vero colpo di scena".
Faceva seriamente lui, Hikari lo sapeva; sin dai tempi in cui gestiva quel piccolo blog in cui raccoglieva piccoli stralci di avventure e di esperienze in entrambi i mondi.
Ora stava lavorando al lascito, alla preziosa antologia, al simbolico testamento dei digi-prescelti del 1 Agosto 1999, quelli di Odaiba in Giappone; voleva raccontare, con dovizia di particolari, le loro avventure a Digiworld. E chi meglio di Takeru, pensò Hikari, poteva fare una cosa del genere.
Lui, più di tutti, aveva avuto contatti con il mondo digitale, aveva vissuto tutte le battaglie che avevano flagellato il mondo digitale e le aveva vinte tutte; aveva vissuto anche l'esperienza del sacrificio del suo Digimon per riportare la pace e far rinascere la speranza che riscrivere il futuro non sarebbe stata un'impresa poi così tanto impossibile.
Hikari continuò ad ascoltarlo, doverosamente con le cuffie alle orecchie in modo che Taichi non potesse sentire; Takeru le aveva espressamente chiesto di mantenere il segreto; probabilmente, più tardi ne avrebbe parlato con suo fratello maggiore Yamato, ma aveva bisogno di un consiglio schietto e spassionato dall'unica persona in grado di darlo. Restò in silenzio per tutta la durata della lettura, scoppiando a ridere quando parlò di Jou che urlava come una femminuccia ogni volta che Bukamon provava ad avvicinarsi.
Aveva provveduto alle descrizioni fisiche e caratteriali di ognuno dei suoi compagni, in quella prima bozza di capitolo e, a giudicare dal sopracciglio alzato di Hikari, si stava sicuramente chiedendo cosa avrebbe detto di lei.
"Dirò che eri una bambina pallida e malaticcia e, crescendo, una ragazza brutta e antipatica, che trova divertimento nel ferire il mio debole cuore" scherzò Takeru, facendola sorridere. Era quel sorriso malizioso, provocatorio e di scherno, che non sembrava appartenere ad un volto così dolce e semplice come il suo, che tirava fuori ogni qual volta che parlava di una ragazza con cui aveva intenzione di uscire.
"Solo perché mettevo in guardia le tue papabili conquiste" fece lei, sottile come la punta di un ago, ma delicata come se si stesse muovendo tra le trame di un morbido tessuto.
"Eri gelosa marcia e ancora non lo ammetti, nonostante tutto questo tempo".
La prima volta che Hikari aveva messo in guardia una delle sue papabili conquiste, almeno da quanto ricorda, avevano entrambi quattordici anni e le leggerezze di quell'età sarebbero state presto offuscate da una nuova, inaspettata avventura digitale che, probabilmente, Takeru avrebbe narrato in un probabile terzo libro di quell'ambizioso progetto.
Ora erano cresciuti, avevano diciannove anni; lui studiava in Francia da un anno, ospite degli zii materni, e lei frequentava la facoltà di Scienze dell'Educazione all'Università di Tokyo, i capelli le si erano leggermente allungati e Takeru la trovava estremamente carina con la canotta rosa del pigiama con al centro un gattino bianco cartonizzato. Ogni tanto, con la stessa sottigliezza della sveglia quattordicenne di un tempo, gli chiedeva quanti cuori francesi avesse spezzato finora, a cui lui rispondeva con un sorriso vago e un: "Cattiva!" non poco divertito.
Nonostante le battute di spirito tra un pezzo e l'altro, Hikari aveva ascoltato con particolare attenzione il primo capitolo, soffermandosi sulle possibili cadute di stile, sulle parole troppo artificiose o troppo grezze rispetto al contesto, sugli eventuali passaggi superflui, anche se di pareri negativi ne aveva veramente pochi. Quando la lettura terminò, infatti sorrise e Takeru ne fu sollevato; anche se non dava l'impressione di essere agitato, data la sua naturale aria tranquilla, era molto importante una reazione positiva.
"Mi piace molto il fatto che hai descritto in breve Kuwagamon e la tua tecnica, ma limitarsi a dire che è semplicemente simile ad un enorme scarafaggio non proietta in lettore pienamente nella scena. E' vero che il compito di uno scrittore è quella di stimolare la fantasia, ma dovresti offrire qualche piccolo indizio in più. Non so, potresti descrivere la forma delle tenaglie, il colore della corazza, potresti fare qualche similitudine tra il suo modo di volare e quello di un altro animale, non so..." spiegò Hikari, cercando di essere il più esaustiva possibile.
Takeru annuì: "Si può fare, ma non ricordo perfettamente tutti i Digimon che abbiamo affrontato. Dovrei chiedere a Koushiro di farmi dare un'occhiata all'archivio di Gennai".
"Magari potresti creare una vera e propria enciclopedia di Digiworld, se riesci a ritagliare uno spazio in cui spieghi la differenza tra dati, virus e antivirus. I posteri te ne saranno grati. Hai uno stile godibile, le parole sono scorrevoli, le descrizioni sono lunghe quanto basta, con una piccola digressione non rischieresti di annoiare il lettore".
Lui sorrise, eloquente.
"Hai un futuro come critica letteraria, sai?".
Hikari rise: "Mi dispiace, il mio posto sarà a scuola, per formare le giovani menti del futuro".
"Che pretesto nobile. Peccato, il mondo della critica paga bene".
"Dovevo immaginare che volevi sfruttare i nostri nomi solo per vivere nell'oro alle nostre spalle" fece lei, con la solita prontezza di spirito, che Takeru tanto le invidiava.
Nella scrittura, lui era fin troppo semplice, scorrevole, come l'acqua di un torrente di montagna; lei era fresca, intrigante e inaspettata, pura come poesia, per questo le riusciva facile attrarre con la sola forza delle parole, per questo Takeru accettò ben volentieri il suggerimento di usare, ogni tanto, delle similitudini o dei piccoli artifizi retorici, in modo da non renderlo una cantilenante narrazione di storie vissute.
Hikari non voleva che fosse una biografia, ma un vero e proprio romanzo e questa visione sposava perfettamente anche gli intenti di Takeru; per questo, si era affidata a lei; per questo, trovava motivazioni sempre più allettanti per continuare il suo progetto.
D'altra parte, anche lei beneficiava indirettamente di quel romanzo; infatti, era allo stesso tempo lusingata per la fiducia che riponeva e felice, perché avrebbe potuto vivere le avventure che il raffreddore le aveva impedito di godere.
Quando Hikari gli chiese se stesse già lavorando al secondo capitolo, Takeru sorrise e annuì vigorosamente.
"Riguarda proprio tuo fratello, a proposito. Taichi fu il primo a far digievolvere il suo Digimon e ci fece aprire gli occhi su quanto fosse importante che ci prendessimo cura non solo di noi stessi, ma anche di quelle creature così strane" spiegò lui, conscio del fatto che l'avrebbe fatta sorridere teneramente, proprio come in quel momento; lo faceva ogni volta che si parlava di suo fratello e, anche da dietro uno schermo, riusciva a sentire distintamente l'incondizionata ammirazione che aveva nei suoi confronti, sia come leader del gruppo che come punto di riferimento nella sua vita. Un po' come Yamato per lui.
Parlarono un altro po' dei progetti del libro, come Takeru avrebbe gestito capitoli, studio e lavoro part-time quando l'avrebbe trovato; pur non dando alcun fastidio ai suoi zii, aveva intenzione di provvedere da sé a piccole spese quotidiane o per le sporadiche uscite con il gruppo di amici che avrebbe presentato ad Hikari, a tempo debito. Le disse che, nella comitiva, c'era una digi-prescelta, Catherine, con un Floramon molto grazioso; Hikari lo stuzzicò, dicendogli: "Grazioso quanto la compagna, immagino", a cui Takeru rispose con un vago: "Può darsi, giudicherai tu un giorno, forse".
Da qui, la conversazione verté su una notizia che Hikari doveva assolutamente dargli.
"Forse giudicherò più presto di quanto immagini" annunciò, mordendosi il labbro per reprimere un sorriso.
Takeru, totalmente colto di sorpresa, le chiese di ripetere.
"Credo di aver finalmente convinto mia madre, dopo quasi un anno. Non volevo dirtelo senza prima avere i biglietti in mano, ma forse ci vedremo tra qualche mese. Verrò in Francia a trovarti" disse lei, sorridendo calorosamente all'esultanza di lui, che non abbracciava la sua migliore amica dalle vacanze di Natale, da più di sei mesi.
Molte volte, durante le loro videochiamate, Takeru le aveva parlato di quanto fosse bella Parigi e quante belle foto avrebbe potuto fare, quanto le sarebbe piaciuto che lei, suo fratello, Taichi e tutti gli altri visitassero i giardini delle Tuileries, passeggiassero negli Champs Elysees e ammirassero la maestosa imponenza dell'Arco di Trionfo, che trovava suggestivo quasi quanto la Torre Eiffel; per non parlare di Disneyland.
Yamato era venuto a fargli visita due volte; per questo stava insistendo tanto con lei, la persona che gli era più cara, subito dopo il fratello.
Era veramente contento, così anche lei e riuscivano ad avvertire la reciproca felicità anche attraverso uno schermo. Hikari si fece subito strappare la promessa di passare una giornata a Disneyland, al che lui annuì, divertito.
"Cerca di convincere anche gli altri a venire, mi farebbe tanto piacere averli qui".
"Per mio fratello non posso prometterti nulla, si sta impegnando tanto con gli esami" rispose Hikari, generando non poco stupore in Takeru.
Taichi non era certo uno sciocco né tantomeno stupido o poco intelligente, ma non si era mai impegnato seriamente a scuola, se non per raggiungere la sufficienza; l'università l'aveva cambiato tanto, ma lei ammise che era perché, in alcuni esami, trovava alcune difficoltà ed era seriamente motivato nel superarle, anche se ciò significava sacrificare un viaggio a Parigi.
"Ha detto che quando sarà ambasciatore, le volte in cui visiterà la Francia non si conteranno sulle dita di una mano" disse lei, al che risero entrambi di gusto; più per il modo in cui Hikari l'aveva imitato piuttosto che per le parole in sé.
Un tonfo alla porta della stanza dove si trovava Hikari, seguito da un "Ti ho sentito" attutito dalle pareti, li fece ridere ancora di più.
"Daisuke, Ken e gli altri?" chiese Takeru, sperando che anche da parte loro ci potesse essere la possibilità di una visita. Nonostante avesse una natura socievole che gli permetteva di stringere amicizia facilmente, Takeru voleva che tutti sapessero che erano sempre nei suoi pensieri e nel suo cuore, un affetto reso ancora più caloroso ora che aveva cominciato a scrivere la storia.
"Ad essere sincera, non ne ho parlato con nessuno di loro. A stento, l'ho detto a Miya, ma almeno qualche mese fa che sicuramente le sarà sfuggito. Forse potrei parlare con tuo fratello".
"Nah, ne parlai poco tempo fa e disse che sarò  impegnato con alcuni concerti, nei prossimi mesi" le disse Takeru, con languida delusione.
"Sì, i Knife Of Day stanno andando forte. Poco tempo fa, si sono esibiti al Festival estivo, con tanto di fuochi d'artificio alla fine. Jun e Sora hanno detto che sembrava un vero e proprio concerto rock".
Per un istante, dinanzi agli occhi di Takeru passò l'immagine della vulcanica sorella di Daisuke, Jun Motomiya, che gridava in modo da sovrastare anche il fragore dei fuochi d'artificio, con sommo imbarazzo di suo fratello. Un'immagine tanto divertente quanto plausibile.
Le grida forsennate di Jun Motomiya vennero sostituite da un secondo tonfo alla porta della stanza dove si trovava Hikari, come una brusca transizione cinematografica.
"Hikari, hai finito? Voglio salutare anch'io Takeru e riappropriarmi della mia stanza".
Per quanto attutita, Takeru sentì perfettamente la voce di Taichi.
"Perché dovrei uscire? Dovete raccontarvi segreti che non posso conoscere?" scherzò Hikari, facendo l'occhiolino a Takeru.
"Per lo stesso motivo per cui non posso assistere alle vostre conversazioni".
Takeru rise alla vista di Hikari che roteava esasperatamente gli occhi e diceva a suo fratello di entrare. Non appena fu oltre la soglia, Taichi in tenuta da casa e capelli costantemente pettinati coi petardi, salutò calorosamente l'amico oltreoceano, scusandosi per l'improvviso quanto indelicato sbadiglio.
"Stamattina mi hanno svegliato all'alba" si giustificò.
"Ti capisco. Da me sono quasi le sette e sono in piedi da un'ora e mezza" disse Takeru.
Tra una chiacchiera e l'altra, Hikari capì che era arrivato per lei il momento dei saluti; diede la buonanotte al fratello e un buongiorno, un po' più caloroso e languido, a Takeru, augurandogli buona giornata.
"Ci sentiamo domani. Ti mando un messaggio quando mi sveglio" annunciò lei, come faceva ogni volta che andava a dormire, per riconfermare la loro piccola, affettuosa routine quotidiana.
"Va bene. Buonanotte, Hikari" fece lui, sorridendo caldamente mentre la guardava chiudere la porta della stanza, lasciandola in balia di qualche chiacchiera da maschi, tra uno sbadiglio di Taichi e l'altro.
Nell’altra stanza, Hikari non riuscì ad ascoltare tutta la loro conversazione, se non ricavandone qualche stralcio dalle risposte del fratello, ma poco le importava.
Uno strano, spontaneo sorriso le nacque sul volto e non c’era verso di farlo scomparire, tutt’al più che si era messa sul letto, con il cellulare tra le mani, sfogliando tutti i siti di volo per trovare quello più economico per Parigi, di lì a quando sarebbero finiti i corsi del semestre all’università.

Messaggiò Takeru, nel pieno della sua conversazione con Taichi, inviandogli i link di qualche offerta vantaggiosa.
Hikari sghignazzò compiaciuta, quando sentì il fratello chiedere a Takeru cosa fosse quel sorriso da ebete, comparso all’improvviso sul suo volto.


 
   
 
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