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Autore: Chiaroscura69    07/08/2018    0 recensioni
''Non ti riconosco più''disse Alessandro guardandomi con intensità negli occhi.
Anche se sotto il suo sguardo mi sentivo morire ormai avevo costruito una corazza così forte che sarebbe stato difficile infrangerla.
Sorrisi con garbo e con un movimento che ormai mi veniva naturale alzai gli occhi al cielo con noncuranza.
''Perchè mi hai mai conosciuta davvero?''risposi ridacchiando con sdegno.
''Un giorno mi dicesti che il mio difetto più grande è quello di non saper dire la verità a nessuno, nemmeno a me stesso. Io ho lavorato su questo e ora non è più così. Tu invece quanto hai cercato di migliorare il tuo lato più rancoroso, quello che non sa dimenticare il passato?''
Una risposta troppo matura per lui, pensai. Tuttavia mi lasciò interdetta per qualche istante, perciò rimasi a fissarlo un minuto di troppo.
''Tori io ho ancora questo con me''sussurrò poi avvicinandosi e mostrandomi la mano.
Guardai il suo palmo e ci vidi il cadavere del braccialetto che mi aveva dato tanto tempo prima.
Il mio cuore ebbe un sussulto senza che riuscissi a fermarlo ma la mia razionalità si impose e sospirai mestamente.
''Cosa ci dovrei fare con quello?''sussurrai guardandolo a mia volta negli occhi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella vita mi sono piaciuti diversi Alessandri. Il primo lo conobbi in quinta elementare, quando ero ancora una bambina espansiva, estroversa e felice, giocavo a basket e lui era un mio compagnetto. Naturalmente mi piacque subito, ma non ottenni la sua attenzione. Il secondo Alessandro che mi colpì lo conobbi alle medie, era un mio compagno di classe ed era dotato di un'intelligenza che trovavo affine alla mia, anche con lui non ebbi speranze. Il terzo Alessandro è quello della cui storia vi ho già parzialmente parlato, ed è colui per cui ho iniziato a scrivere anche questa storia. Ci sono incontri nella vita che ti sfiorano e non ti lasciano nulla se non la vaga consapevolezza di esserci stati, e poi ci sono Alessandri che ti cambiano la vita in un modo o nell'altro.

Passarono cinque anni dall'ultima volta che lo incontrai e la mia vita, se devo essere onesta, scorreva in maniera abbastanza tranquilla; tant'è che ero arrivata alla conclusione che non fosse necessario trovare l'amore, sposarsi e avere una famiglia per essere felici.
Vivevo con Vanessa a Firenze, in un piccolo appartamento che consisteva in due camere, una spaziosa cucina(su questo Vane non aveva voluto sentire ragioni), un piccolo balconcino e un bagno modesto ma comodo. Per tenerci compagnia quando per qualche motivo ci trovavamo sole in casa avevamo preso un peloso gatto arancione che aveva come nome il mio soprannome dell'epoca, ovvero: Carotina.
L'attività di Vane iniziava a dare i suoi frutti e anche il mio lavoro dava un grosso aiuto, tanto che avremmo potuto benissimo cercarci una casa più grande e più lussuosa, ma io e lei siamo state sempre tendenti ad affezionarci facilmente ai luoghi e alle cose che ci ricordano periodi sereni e spensierati come quello che stavamo vivendo allora.
Così, quel giorno mi svegliai rilassata, benchè fossero appena le sette meno un quarto del mattino, e iniziai a canticchiare sotto voce una delle mie canzoncine disney preferite preparandomi per andare a lavoro.
Da quando ero diventata insegnante del liceo avevo dovuto smorzare un po' la mia stravaganza nel vestiario, tuttavia non rinunciavo a creare un mio stile personale ogni giorno, ricercando le tinte più allegre e colorate. Quel giorno era il mio primo nel nuovo liceo, perciò volevo fare una buona impressione. Indossai un vestito bianco che mi scendeva giusto fino alle ginocchia, trucco leggero, tacco bianco ed ero pronta. In quei cinque anni i miei capelli avevano subito una mutazione: erano tornati ricci. Perciò mi ritrovavo un testone di capelli arancioni e terribilmente ricci.
Arruffai un po' il pelo a Carotina e fuggii cercando di fare il minor rumore possibile, dato che Vane per una volta doveva alzarsi un po' più tardi di me.
Ai tempi ero fiera della mia macchina. Era una bella giulietta bianca che mi piaceva tirare a lucido come se fosse d'oro. Al suo interno non era poi così pulita, dato che il mio disordine è proverbiale, ma all'esterno faceva il suo figurone.
Ogni volta che arrivavo in una scuola nuova con quella macchina diversi studenti pensavano che fossi una loro coetanea e si fermavano a parlarmi, salvo poi scoprire, con grande imbarazzo, che sarei potuta essere, con tutta probabilità, la loro professoressa.
Era divertente non essere più l'adolescente imbarazzata e imbranata, mi sembrava giusto che ora toccasse a qualcun altro.
Entrai dall'atrio principale e mi accorsi subito che la scuola non era una di quelle a cui ero stata abituata fino a quel momento; era terribilmente lussuosa. I ragazzi che ci vagavano con gli sguardi spenti erano vestiti riccamente e non ce n'era uno che non stringesse in mano un iphone all'ultimo modello. Mi sentii subito una barca nel bosco.
Cercai di non attirare troppo l'attenzione ma notai che si giravano comunque tutti a guardarmi ogni volta che passavo.
Mi infilai nell'ufficio del preside dove avrei incontrato i miei nuovi colleghi e scoprii, appena varcata la soglia, di essere in realtà giunta per ultima.
Con un po' di imbarazzo salutai e sorrisi con garbo assumendo l'espressione di cortese superficialità che con gli anni avevo acquisito alla perfezione.
''Oh, signorina Vittoria, finalmente la conosciamo''esclamò con calore tentendomi la mano una donna sulla quarantina con un tailleur grigio topo e degli occhi azzurri paralizzanti.
''Scusate il ritardo, purtroppo c'era traffico''mi scusai timidamente stringendole la mano.
''Non è lei in ritardo, siamo noi in anticipo. Come scoprirà in questa scuola la parola chiave è: efficienza. Quanto si può fare per essere più produttivi si fa. In breve si adatterà anche lei''esordì finalmente il preside, un uomo sulla cinquantina con lo sguardo severo e grossi baffi bianchi.
''Ma certo, sono assolutamente d'accordo''risposi sorridendo. Tuttavia, per la verità, ero rimasta un po' sconcertata dalle parole del preside, mi sembrava di scorgerci un po' di esacerbato stakanovismo.
I miei colleghi si presentarono uno per uno con un sorriso ed erano tutti volti cordiali e sconosciuti. Tutti tranne uno.
''Vittoria, non vorrei dire falsità, ma credo che noi due già ci conosciamo'' disse l'ultimo collega che ancora non avevo avuto modo di guaradre in faccia.
Rimasi agghiacciata.
Due occhi azzurri mi fissavano divertiti mentre aspettavano che lo riconoscessi.
Roberto era stato una cotta devastante che avevo avuto negli ultimi anni di università, tuttavia, data l'ultima esperienza con Alessandro, avevo fatto sì che la cosa non decollasse prima che fosse troppo tardi.
Trovarmelo davanti all'improvviso mi causò un fastidiosissimo tic all'occhio che probabilmente lui scambiò per un occhiolino.
''Ehm, certo Roberto! Sarà un piacere lavorare insieme''mormorai senza più guardarlo.
Lui rise.
''Sarà un piacere sì, soprattutto perchè mi hai rubato la cattedra di Italiano!'' mi prese in giro. Effettivamente non so quanto fosse una battuta.
Ridacchiai anche io e poi mi congedai, dato che avevo lezione alla prima ora in una terza liceo. Il preside mi aveva consigliato di passare una decina di minuti prima a conoscere il personale del piano in cui avrei dovuto fare lezione durante l'anno, perchè un buon rapporto tra docenti e personale stimola l'efficienza.
Sentivo che avrei odiato quella parola.

Di Alessandro non avevo voluto sapere nulla per anni, poi, anche volendo, non avrei potuto sapere più nulla perchè era partito. Per questo, immaginatevi il mio sgomento e il mio principio di svenimento, quando ho scoperto che nel mio piano il bidello era proprio lui.
Rimasi paralizzata e la mia cartella mi cadde dalle mani aprendosi e rovesciando tutti i miei fogli per terra. Mi ripresi subito e mi inchinai nascondendomi il volto con i capelli voluminosi. Alessandro si avvicinò subito per aiutarmi.
''Salve signorina, io sono il nuovo bidello e lei è la nuova docente suppongo. Mi chiamo Alessandro''disse mentre avvertivo il suo sguardo attraverso i meandri dei miei capelli.
Non risposi ancora in tranche e ci alzammo entrambi perciò i capelli mi ricaddero all'indietro e mi rivelai.
Leggere il suo sgomento fu la soddisfazione più grande della mia vita fino a quel momento, tant'è che mi ripresi dalla mia paralisi e gli sorrisi con il solito garbo sdegnoso.
''Piacere Alessandro, io sono Vittoria'' risposi senza timore, fissandolo sfrontatamente negli occhi.
   
 
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