Fumetti/Cartoni americani > Teen Titans
Segui la storia  |       
Autore: edoardo811    07/08/2018    2 recensioni
Un lungo viaggio da fare, un ignoto passato completamente da scoprire, un intero mondo da salvare.
La vita di Rachel è caduta a pezzi di fronte ai suoi stessi occhi, prima che lei potesse anche solo rendersene conto. Ma dietro ad una ragazza abbandonata, tradita, distrutta, si cela in realtà ciò che probabilmente è l’unica speranza di salvezza dell’intero genere umano. Perché lei non è una ragazza come le altre: lei è una conduit. Un demone, agli occhi dei più, un’eroina agli occhi dei meno.
In compagnia dei suoi nuovi amici, la giovane sarà costretta a dover agire al più presto, in una vera e propria corsa contro il tempo, prima che tutto ciò che con tanta fatica e sacrifici è riuscita a riconquistare venga spazzato via ancora una volta.
Ma essere dei conduit non è facile e lei, nonostante abbia raggiunto una consapevolezza del tutto nuova di sé, presto sarà costretta a scoprirlo.
Perché per raggiungere il controllo ci vuole tempo, tenacia, dedizione.
Per perderlo, invece, basta un attimo.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 15: MA QUESTA NOTTE, BALLIAMO

 

 

 

Quella giornata sembrava interminabile. Fu solo quando, finalmente, rifecero il loro ingresso all’interno della comunità che Rachel pensò che fosse finalmente finita. L’unica cosa che voleva fare ancora era rivedere Lucas, per parlargli, per sapere se stava bene, dopodiché nulla le avrebbe impedito di sprofondare nel suo letto a casa di Angela.

Quando la macchina si fermò, Rachel scese, con le gambe intorpidite, esausta. Alle sue spalle poteva ancora udire Allen, Marianne e Simon discutere tra loro, mentre Amalia sembrava tutto meno che interessata alla faccenda.

Corvina rimase in attesa di un via libera da parte del suo ufficiale, visto che dubitava di potersene andare senza dire nulla a nessuno. Mentre faceva vagare distrattamente lo sguardo attorno a sé, si rese conto che i veicoli militari si erano fermati esattamente di fronte all’ingresso dell’ospedale. Non appena la conduit notò l’insegna dell’edificio in questione, un pensiero attraversò la sua mente. Si ricordò di Richard, ricoverato la dentro chissà dove, e si domandò se la sua convalescenza avesse portato ai risultati sperati, o perlomeno a qualche miglioramento.

 «Io vado a vedere come se la passa Tara» annunciò Amalia all’improvviso, apparendole accanto. «Vieni con me?»

Rachel si voltò sorpresa, per poi accorgersi di come il gruppo di militari si stesse smaltendo. Probabilmente avevano ottenuto la giornata libera senza che lei nemmeno se ne fosse accorta. «Mi piacerebbe, ma prima voglio fare una cosa. Ci vediamo questa sera a casa, va bene?»

Amalia scrollò le spalle. «Come ti pare. A più tardi.»

«A più tardi.»

La corvina rimase da sola, felice che la mora non le avesse chiesto ulteriori spiegazioni. Si voltò di nuovo verso l’ospedale, poi annuì con decisione.

 

***

 

Rachel detestava gli ascensori. Ogni volta che ne prendeva uno temeva che si bloccasse, lasciandola chiusa al suo interno per il resto della sua esistenza. Certo, ora che era una conduit probabilmente sarebbe riuscita a liberarsi in ogni caso, ma preferiva comunque che ciò non accadesse.

Le porte si spalancarono e la ragazza uscì fuori, ritrovandosi in un pianerottolo immerso nella penombra. Di fronte a lei, un piccolo atrio che conduceva ad una porta tagliafuoco chiusa, alla sua sinistra, la tromba delle scale. Rachel si guardò attorno, perplessa. La donna alla reception non le era stata di grande aiuto, aveva blaterato qualcosa in merito al terzo piano dell’ala est dell’ospedale, mentre sembrava più impegnata a studiare il modo di mettersi in salvo da lei che aiutarla per davvero. Corvina grugnì infastidita ripensando al terrore generale che ancora sicuramente alleggiava attorno a lei, poi sospirò e tirò dritto verso la porta, tanto non c’era nessuno in giro in grado di aiutarla.

Si ritrovò in un lungo corridoio, anch’esso scarsamente illuminato. L’odore di chiuso, misto a quello dolciastro dei disinfettanti e delle macchine ospedaliere si insinuarono nel suo naso, assieme all’aria umida e calda. Una cosa che senza dubbio detestava più degli ascensori erano gli ospedali, e quell’aria deprimente che erano sempre in grado di trasmettere.

Come prima, nessuno era presente. Rachel esitò, incerta sul da farsi. Avrebbe voluto provare a chiamare qualcuno, un dottore, un infermiere, ma non voleva disturbare alcun paziente. Storse la bocca, poi si avviò verso una delle numerose stanze. La prima aveva la porta chiusa, così la giovane si limitò semplicemente a sporgersi sulla finestrella di vetro su di esso. Non appena lo fece, un desolante spettacolo si palesò di fronte a lei: una mezza dozzina di lettini, con altrettante persone sdraiati su di essi. Alcune dormivano, altre erano sveglie. Queste ultime non sembrava se la stessero passando bene, a giudicare da come si muovevano e dalle espressioni che facevano. La ragazza deglutì, inquietata. Se si concentrava, poteva perfino sentire alcuni gemiti provenire dall’interno. Allontanò lo sguardo, prima che ciò che aveva visto iniziasse a turbarla più del dovuto.

Si diresse verso la seconda stanza, chiusa come la prima, e con al suo interno pazienti che versavano nelle medesime condizioni dei precedenti. Questa volta, la corvina sentì i battiti del proprio cuore accelerare, mentre un oscuro presentimento iniziava a farsi strada dentro di lei. Lo stesso accadde quando si ritrovò di fronte prima alla terza, e poi alla quarta stanza. Ormai era chiaro che avesse sbagliato piano, perché, qualunque cosa avessero quelle persone, di certo non era amnesia.

Sull’orlo di una crisi di panico, la giovane si ritrovò di fronte alla porta della quinta ed ultima stanza. Sperare di trovarci qualcosa di diverso era davvero troppo. E più osservava quelle persone sdraiate contorcersi doloranti, più quell’oscuro presagio la divorava dall’interno. Tutte loro dovevano avere la medesima malattia. E questa, non sembrava nulla di comune.

«Ragazzina.» Rachel non riuscì a trattenere un gridolino e si voltò di scatto, spaventata a morte, per poi ritrovarsi di fronte lo sguardo e l’espressione severe di un uomo. A giudicare dalle rughe e dalle striature di capelli grigi, doveva essere sulla cinquantina, mentre il camice bianco non lasciava dubbi sulla sua mansione in quel luogo. Il dottore si sfilò pazientemente gli occhiali da sopra il naso, per poi sospirare. «Cosa ci fai qui?»

«I-Io…» balbettò lei, mentre i suoi nervi si rilassavano e le mani smettevano di tremolare. Per poco non lo aveva attaccato con i suoi poteri. «Temo… temo di aver sbagliato piano.»

«Già, lo temo anch’io. Devo chiederti di andartene. Queste persone hanno bisogno di non essere disturbate.»

«Io…» ripeté Rachel, per poi distogliere lo sguardo dagli occhi scuri del dottore ed annuire. Il cuore le batteva ancora forte nel petto per lo spavento preso. Sperò solo che le mani non si fossero illuminate, mentre nel frattempo, dentro di lei, i suoi poteri si stavano ancora agitando. «Sì. Me ne vado.»

«Dov’eri diretta?» le domandò ancora l’uomo, una volta che furono fuori dal corridoio, nel pianerottolo. «Forse posso aiutarti.»

«Cercavo il reparto in cui hanno ricoverato alcune persone affette da amnesia. Alla reception mi hanno riferito che si trattava del terzo piano dell’ala est, ma a quanto pare non era così.»

«Est?» chiese il dottore, abbozzando un sorriso gentile. «Lo sai che questo è il lato ovest, giusto?»

«Oh.» Rachel si sentì avvampare, imbarazzata dall’errore stupido che aveva commesso, ma, a sua discolpa, non era mai stata solita frequentare ospedali. «Mi dispiace, è che sono nuova da queste parti, è questo posto è un labirinto…»

«Sì, lo so che non sei di qui» continuò il suo interlocutore, paziente. «Ed è un privilegio per me conoscere l’eroina che ha scacciato la Bestia giusto l’altro giorno.»

«Accidenti, la voce si è proprio sparsa in fretta…» borbottò Corvina, mettendosi una mano dietro al capo. Il suo sguardo scivolò inevitabilmente sulla targhetta identificativa del dottore, sulla quale lesse il suo nome: Bernard Smith.

«In ogni caso, non ti sarà difficile trovare ciò che cerchi. Torna al piano terra e percorri la strada opposta a quella che hai preso, fino al primo ascensore.»

Rachel abbozzò un sorriso. «Lo terrò a mente.»

Smith annuì, ricambiando il sorriso. «Bene. Buona giornata.»

L’uomo si voltò, diretto nuovamente verso il suo reparto. Rachel lo osservò, mentre le ritornavano in mente i pazienti che aveva visto. La sua bocca si mosse contro il proprio volere: «Aspetti!»

Il dottore si fermò, per poi voltarsi sollevando un sopracciglio. «Sì?»

Corvina esitò. Si domandò perché lo avesse chiamato, dato che non sapeva nemmeno cosa chiedergli con esattezza, e lo stomaco ancora in subbuglio di certo non aiutava. Voleva saperne di più di quei pazienti, di qualsiasi malore avessero, ma allo stesso tempo era come se non avesse bisogno di quelle informazioni, perché già le possedeva. Ma aveva bisogno di una conferma, doveva capire se i suoi sospetti erano fondati, o se era completamente fuori strada. Sperava per la seconda, ma oramai sapeva bene che era una battaglia persa.

«Quelle persone…» cominciò, incerta, ponderando sulle esatte parole da usare, optando, infine, per la soluzione più rapida, ma non per questo più facile. Indicò la porta tagliafuoco. «… quelle persone ricoverate lì dentro… hanno… hanno contratto l’epidemi…»

Non riuscì nemmeno a terminare la frase, a causa dell’espressione esterrefatta che il dottore le rivolse. Per un momento la giovane credette di aver detto davvero qualcosa di al di fuori dal mondo, o perlomeno, dal mondo di quell’uomo. Del resto, doveva proprio essere andata fuori di testa per menzionare una cosa simile ad un uomo che mai aveva visto prima di allora, ma allo stesso tempo, sentiva che quel dottore avrebbe capito di cosa stava parlando. Non sapeva perché, ma quel Bernard Smith le infondeva una strana sensazione di sicurezza. Sentiva che era un uomo di cui poteva fidarsi.

E la sua risposta, non fece che rafforzare questa sua convinzione: «Come fai a saperlo?» domandò semplicemente egli, con un filo di voce, le labbra così assottigliate da formare una riga. Il suo sguardo era indecifrabile, così come la sua espressione. La stavano chiaramente studiando, volevano capire se era sicuro parlare di quell’argomento con lei, in quel momento, in quel luogo, e soprattutto sembrava che volessero capire se Rachel sapeva davvero di cosa stavano parlando. Purtroppo, era così.

«Ho… ho conosciuto un conduit, molto… molto lontano da qui, che sapeva la verità. Lui mi ha spiegato tutto. A me e a due miei amici, ma loro non ne hanno ancora fatto parola con nessuno. Lei è… è la prima persona al di fuori di loro con cui ne parlo.»

«E dov’è questo conduit, adesso?»

«È… è morto.»

«Capisco.» Smith incrociò le braccia, per poi chiudere gli occhi e sospirare profondamente. Estrasse gli occhiali dal taschino del camice e diede una pulita alle lenti con la manica, per poi indossarli nuovamente. «Sì, queste persone hanno contratto la malattia.»

Rachel si sentì irrigidire al suono di quelle parole. Ma allo stesso tempo, non era davvero sorpresa. Nel momento stesso in cui aveva visto quei lettini, aveva sentito qualcosa scattare dentro di lei. Il suo corpo, il suo istinto, entrambi avevano reagito a quella vista, dandole una sensazione di disagio difficile da identificare. Era quasi come se i suoi poteri avessero percepito la malattia e avessero di conseguenza cercato di comunicare con lei.

«E… le loro condizioni… come sono?»

Smith respirò profondamente dal naso. Lo sguardo mesto che le rivolse fu ben più significativo delle semplici parole. «Critiche. Molto critiche. Oramai loro si trovano nello stadio avanzato della malattia, e non c’è niente che io possa fare, fuorché tentare di diminuire il loro dolore, ma gli antidolorifici non sembrano funzionare con tutti. Inoltre… il numero dei ricoverati non fa che aumentare. Non ho idea di come ce la caveremo.»

«I conduit… sono immuni alla malattia. Questa informazione non può essere di aiuto in alcun modo?»

Il dottore scosse la testa. «Ne ero già al corrente. So tutto quello che c’è da sapere in merito a questa faccenda, e purtroppo no, non c’è nulla che possa fare. Anche se…» L’uomo parve intento a dire ancora qualcosa, ma poi si interruppe, scuotendo nuovamente il capo. «No, non può funzionare.»

«Cosa?» domandò Rachel, accendendosi di speranza. «Esiste un modo per fermarla? La prego, me lo dica. Io posso aiutarla.»

«Non voglio mettere in dubbio la tua buona fede, ma no, meglio che non ti dica altro. Non c’è niente di certo, purtroppo, e non voglio dare false speranze a nessuno.»

«La prego» ripeté Rachel, facendosi avanti. «Preferisco avere una speranza, vera o falsa che sia, piuttosto che non avere nulla. Qualsiasi cosa sarebbe meglio di ciò che sto provando adesso. Io… io…» Rachel si fermò, per poi inspirare profondamente. Serrò gli occhi, per cercare di non mettersi a piangere, poi espirò: «Il mio ragazzo è malato, ed io non… non posso accettare di perderlo. Gli ho promesso che lo avrei salvato, ma più passa il tempo, e più temo di non poterci riuscire. Io… ho bisogno di sapere tutto quello che c’è da sapere. Le assicuro che non ne farò parola con nessun altro.»

L’uomo la soppesò con lo sguardo per un breve momento, per poi sospirare. «L’anti gene.»

«Cosa?» domandò lei, credendo di aver capito male.

«L’anti gene conduit» ripeté il dottore, con calma. «La controparte del gene conduit originale. Proprio come il suo gemello, non è un gene posseduto da tutti, ed è in grado di annullare gli effetti dell’epidemia e dei gas emanati dal Soggetto Zero. Ma a differenza del gemello, questo può essere trapiantato di corpo senza causare effetti mortali.»

«Quindi… è possibile salvare anche chi non possiede il gene conduit se si trovasse un portatore dell’anti gene!» esclamò Rachel, spalancando la bocca. «Ma… ma allora… allora esiste una possibilità!»

«Rallenta. Sei a conoscenza della media di persone che possiedono il gene conduit, giusto?»

«Sì, una su cento.»

«L’anti gene è posseduto da una su diecimila.»

Rachel spalancò gli occhi, la sensazione di sollievo appena provata si tramutò nuovamente in schiacciante oppressione. «Che cosa?!»

«E a differenza del gene conduit, questo non conferisce poteri, siccome ha effetti opposti.»

«Quindi… chi lo possedeva, ma è stato colpito dalle esplosioni…» mormorò ancora Corvina, sempre più sconcertata.

«Non è sopravvissuto. Quindi le probabilità si riducono ancora di più.»

«Ma… ma allora a cosa serve l’anti gene?» domandò Rachel, sempre più confusa. «Qual è il suo scopo, se non permette nemmeno di sopravvivere alle esplosioni?»

«Serve a controbilanciare gli effetti del gene normale. Vedi, un tempo questi due formavano un gene unico, ma che si è diviso millenni fa a causa dell’evoluzione dell’uomo e dell’adattamento dell’organismo umano a nuove condizioni di vita. Per questo il Soggetto Zero non lo ha mai menzionato in nessuno dei suoi diari, non voleva che si scoprisse la verità sull’unica cosa che, di fatto, poteva annullare tutto ciò a cui stava lavorando.»

«E… e lei come fa a sapere tutto questo?»

«Purtroppo, temo di non poterti rispondere. Sappi solo che anche io ho compiuto delle ricerche in merito, ragion per cui il sindaco stesso mi ha affidato questo compito.»

«Anche il sindaco sa la verità, dunque.»

«Sì.»

Rachel si massaggiò una tempia, mugugnando per la stanchezza. Tutte quelle informazioni rischiavano di farle scoppiare la testa. Era passata dal non sapere nulla al sapere anche troppo nel giro di pochissimi minuti. Una possibilità le si era presentata di fronte, per poi esserle sottratta rapida com’era apparsa. Uno su diecimila. Era come cercare un ago non in un pagliaio, ma in un intero fienile.

«E… e allora che cosa faremo?» sussurrò, chinando il capo. Più che al dottore, quella domanda la rivolse a sé stessa. Qual era il prossimo passo da fare? Verso quale direzione?

«Non lo so.» Smith sospirò, per poi avvicinarsi a lei. Le posò una mano sulla spalla, costringendola ad alzare lo sguardo. Le rivolse un tenue sorriso di incoraggiamento. «Abbi fede. Non è una faccenda di cui molti sono a conoscenza, soldati inclusi, ma ci sono molti ingranaggi in moto in questo momento. Non ci lasceremo sopraffare da questa piaga senza combattere. Tu, però, non devi fare parola con nessuno di quello che ti ho detto. Lascia fare a noi, va bene? E appena hai finito qui, torna dai tuoi cari. Avete bisogno l’uno dell’altro, in questo momento.»

Rachel trovò la forza di abbozzare un sorriso. Raramente una persona era riuscita a trasmetterle belle sensazioni come quel dottore. Non lo conosceva, non lo aveva mai visto prima, ma sapeva di potersi fidare di lui. Sentì ogni peso che la affliggeva svanire lentamente. Inoltre, Smith aveva ragione, doveva tornare da sua madre e da Rosso al più presto, ma prima, doveva concludere la sua missione in quel luogo.

Si congedò dal medico, che le rivolse un ultimo caloroso sorriso, e ritornò sui suoi passi. Solamente quando si ritrovò nell’ascensore si rese conto di quanto tesa fosse rimasta fino a quel momento. Sbuffi di vapore nero iniziarono a fuoriuscire dai suoi palmi. La giovane si abbandonò contro la parete metallica con un profondo sospiro, poi scosse nuovamente il capo, strofinandosi le palpebre. Di quel passo, sarebbe collassata prima della fine della settimana.

Pochi minuti dopo si ritrovò nel corridoio giusto, visto che qui trovò diverse infermiere girovagare ed i pazienti nelle stanze sembravano molto più in forma di quelli che aveva visto nel lato est. Una delle giovani donne in tenuta ospedaliera le indicò la stanza dell’ex Mietitore, specificando che aveva solamente dieci minuti di tempo per poterlo visitare. Trovò Richard nell’ultima stanza, seduto sul letto, rivolto verso la finestra. Dava le spalle alla porta, perciò non vide Rachel entrare. La corvina fece per chiamarlo, ma quello grugnì, voltandosi. «Cosa vuoi?»

Corvina sussultò. Perché doveva proprio usare quel tono così scontroso? «Sono solo passata a controllare come stavi.»

«Ah.» Robin la soppesò con lo sguardo ancora per un momento, poi con un cenno del capo le fece segno di sedersi accanto a lui.

Che modi…

Rachel si avviò verso il letto, mentre osservava brevemente il resto della stanza. C’erano altri tre giacigli, ma ognuno di essi era vuoto. Probabilmente così era meglio sia per Richard, che per qualsiasi altro malcapitato che avrebbe potuto trovarsi in stanza con lui.

«Allora…» cominciò lei, una volta sedutogli accanto. Gli diede una rapida occhiata per vedere come stava. Per prima cosa non aveva più indosso il suo abito da Mietitore, il che era un miglioramento notevole. Faceva quasi effetto vederlo con indosso jeans e maglietta. Senza quei vestiti da psicopatico e senza più le macchie sul volto, sembrava quasi un ragazzo normalissimo. Quasi, perché i capelli grigi rimanevano, ma Rachel avrebbe mentito dicendo che non le piacevano nemmeno un po’. «… come ti senti?»

«Come l’ultima volta che ci siamo visti. Nulla dei trattamenti che ho subito mi sono stati d’aiuto. Cercano di farmi tornare la memoria mostrandomi immagini, facendomi sentire suoni, rumori, tutto quello che la mia mente potrebbe associare ai miei ricordi smarriti, ma non sta funzionando niente.» Il brizzolato abbozzò un sorrisetto. «Penso che non sia necessario dire che più passa il tempo più odio chiunque qua dentro.»

«Chissà perché non sono sorpresa» replicò Corvina, sorridendo a sua volta.

«Vedo che non hai saputo resistere alla tentazione di dare nell’occhio» proseguì Richard, tornando serio, gli occhi perennemente incollati al paesaggio di periferia al di fuori della finestra.

«Di che parli?» domandò la giovane, confusa, salvo poi fare mente locale. «Oh. Lo Yatagarasu.»

«Già. La nostra buona Sammaritana non poteva certo permettere che qualcuno si facesse male, ieri sera.»

Rachel si incupì. «Non sei spiritos…» Si interruppe, quando si accorse dell’espressione di Richard, che si voltò verso di lei per la prima volta. Non era duro, o severo, come al solito. Sembrava quasi… colpito. Da lei, dal suo gesto.

«Ho visto lo scontro da qui» spiegò ancora lui, accennando alla finestra, tornando a sorriderle. «Gli hai proprio fatto capire chi comandava. Esattamente come con Dominick. Sei stata brava.»

«Beh… grazie» rispose lei, sorpresa di vedere Richard non solo sorriderle, ma anche farle dei complimenti. Ma non durò molto, dato che il brizzolato ritornò ben presto alla sua espressione più tipica.

«E a proposito di ieri sera…» proseguì, rabbuiandosi. «… Jack.»

«Jack?» Rachel sollevò un sopracciglio, mentre il ragazzo le tornava in mente. Si sentì quasi in colpa per essersi dimenticato di lui, ma per la sua mente erano passate così tante cose che per lei era stato impossibile tenere a mente tutto. «Che è successo?»

«Mentre combattevi contro quel conduit, ho sentito delle grida provenire dalla sua stanza» spiegò Richard, abbassando la voce. «Ho provato a controllare che diamine stesse succedendo, ma non mi hanno lasciato passare. Questa mattina, però, sono riuscito ad andare in camera sua mentre stava ancora dormendo, e ho visto dei segni sopra le sue caviglie e i suoi polsi.»

Rachel cominciò lentamente a capire dove stesse andando a parare. «Lo hanno… lo hanno legato al letto?»

Richard annuì. «Quello che credo anch’io. Anche se non ho idea del perché. Ho sentito alcune infermiere borbottare tra loro, dicono che abbia avuto una crisi di panico alla vista dello Yatagarasu e che hanno dovuto legarlo per impedirgli di fare qualche cazzata, ma fatico a credere la parte della crisi di panico. Secondo me c’è qualcos’altro sotto, qualcosa che nessuno ancora sa.»

«Tu hai qualche idea?»

Il brizzolato scosse il capo. «No, ma lo scoprirò. Pensi davvero che io mi sia fatto ricoverare solo per la mia amnesia?»

«A dire il vero, non proprio» sorrise ancora una volta Rachel. «Immaginavo che non volessi ancora staccare gli occhi da Jack.»

«Tu sì che mi conosci.» L’ex Mietitore le lanciò uno sguardo complice, al quale la corvina non riuscì a resistere, visto che distolse gli occhi quasi immediatamente, pregando di non essere arrossita.

«E come vanno le cose per te?»

Rachel si strinse nelle spalle. «A parte il conduit gigante che ho scacciato, il fatto che io sia svenuta di fronte a tutti quanti, il fatto che mi hanno reclutata nel corpo di sicurezza per andare a combattere un esercito di Corrotti che marciano inostacolati verso la comunità? Mi sento uno schifo.»

«Pure tralasciando tutto quello?» domandò Robin, con tono leggermente divertito.

«Già. Immagina come possa sentirmi se considerassi tutto.»

«Una favola.»

«Naturalmente!»

I due ragazzi si guardarono, poco prima che un’altra risata soffusa uscisse dalle loro labbra. Era bello per Rachel vedere Richard svagarsi un po’. Sembrava finalmente che avesse imparato a sentirsi di nuovo a suo agio in sua compagnia. Le cose tra loro non sarebbero certamente state più come prima, ma erano pur sempre stati ottimi amici in passato, e nulla avrebbe impedito loro di continuare ad esserlo.

«E poi…» riprese Rachel, ricordandosi della sua conversazione con Smith. «… ho conosciuto un dottore, poco fa. Uno che…» abbassò la voce, riducendola ad un sussurro. «… sa dell’epidemia.»

Richard spalancò gli occhi. «Che cosa?»

Rachel inspirò profondamente, poi raccontò tutto. Spiegò come si fosse trovata nell’ala sbagliata dell’ospedale, gli parlò del dottor Smith e della loro conversazione, senza tralasciare nulla, tantomeno la parte più importante di tutte. Nonostante Smith le avesse chiesto di non farne parola con nessuno, non poteva lasciare Richard, e Rosso successivamente, fuori da quella faccenda. Non sapeva come il brizzolato avrebbe potuto reagire a quelle informazioni, ma avrebbe mentito se avesse detto che non sperava di poter avere una sua opinione in merito.

«L’anti gene conduit…» borbottò Robin, una volta terminato il racconto.

«Che ne pensi?» domandò la corvina, speranzosa. «Credo che se riuscissimo a trovare un portatore… potremmo davvero poter salvare il mondo.»

L’ex Mietitore storse la bocca in una strana espressione, voltandosi verso di lei. Non appena notò il suo sguardo smorto, Rachel sussultò. «Penso che non dovresti riempirti di false aspettative.»

«Cosa? Perché?» scattò subito la giovane. Se c’era una cosa che aveva fatto, quella era stata proprio credere che l’anti gene potesse essere la soluzione di quel dannato enigma. Ed ora Richard le diceva di lasciar perdere?

«Perché…» riprese il brizzolato. «… per prima cosa, non possiamo sapere se quello che quell’uomo ti ha detto corrisponde al vero. Magari si è inventato questa cosa solamente per tranquillizzarti. Francamente, com’è possibile che un dettaglio così importante salti fuori solo adesso? Dominick non lo sapeva?»

«Smith mi ha detto che il Soggetto Zero non l’aveva riportato da nessuna parte. Francamente, a questo punto dubito perfino che ne fosse a conoscenza.»

«Ma davvero?» Richard sollevò un sopracciglio. «Scusami, ma sento puzza di bruciato.»

Rachel si incupì. Non sapeva il perché, ma l’idea che qualcuno potesse denigrare le idee di quel medico la faceva imbestialire. Era un brav’uomo, era stato gentile con lei, e stava lavorando ad una cura per l’epidemia, cosa che praticamente nessun altro stava facendo. Come si poteva pensare che fosse un impostore? Che cosa avrebbe avuto da guadagnare mentendo?

«Ma mettiamo anche in caso che ciò che ti ha detto sia vero» puntualizzò Robin, sollevando un indice, per fermarla da qualsiasi possibile intervento. «… una possibilità su diecimila? Ma davvero? Ti rendi conto di quanto diamine sia raro un portatore, sì? Già solamente prendendo in considerazione tutta la comunità, se le probabilità fossero favorevoli al cento percento, ne esisterebbero solo tre! E tu hai idea di come riuscire a trovarli?»

«Beh…»

«Pensi che se il sindaco se ne uscisse con l’idea di sottoporre tutti quanti ad un test del DNA la gente non sospetterebbe nulla? Pensi che tutti quanti accetterebbero? Sicuramente vorranno risposte, e se la verità sull’epidemia dovesse davvero venire a galla, si scatenerebbe il panico. Ma anche se riuscissero a tranquillizzarli grazie alla storia dell’anti gene, cosa pensi che accadrebbe se non riuscissero nemmeno a trovare un portatore sano? Si solleverebbe solamente un polverone per niente, e a quel punto pure la comunità sprofonderebbe nell’anarchia, visto che le persone saprebbero di essere comunque destinate a morire.»

Più Richard parlava, più Rachel doveva ammettere che quelle parole erano vere. E, allo stesso tempo, più si sentiva infuriata con lui. Dannazione, aveva appena scoperto che non tutto era davvero perduto, e lui doveva arrivare a fare il guastafeste come al solito? Certo, le sue considerazioni erano più che legittime e logiche, ma, in quel momento così difficile, Rachel avrebbe preferito tutto fuorché sentirle. Inoltre, non sapeva il perché, ma non sopportava l’idea che qualcuno potesse denigrare le idee del dottor Smith. Non lo conosceva nemmeno, praticamente, ma aveva subito capito che era uno di cui fidarsi.

«Ehi, ma mi hai ascoltato?» La voce di Richard la riportò alla realtà. La ragazza si voltò verso di lui, facendo una smorfia. «Purtroppo sì.»

«Purtroppo?» Robin sollevò un sopracciglio. «Ma… non eri stata tu a chiedermi un parere?»

«Sì, ma non uno che mandasse all’aria tutte le mie aspettative…» replicò lei, infastidita.

«Aspettative? Quali aspettative?» domandò il brizzolato, abbozzando un sorrisetto amaro. «Davvero credevi che esistesse un modo così veloce ed indolore per poter salvare il mondo? Ormai l’epidemia ha fatto il suo corso, e se ci sono già diverse persone ricoverate, allora la situazione è molto più grave del previsto. Non rimane molto prima che…» L’ex Mietitore si interruppe, quando si rese conto dello sguardo incendiario che Rachel gli stava rivolgendo.

«Grazie… per la chiacchierata…» sibilò lei, per poi alzarsi dal letto e dargli immediatamente le spalle.

«Eh? Cos…» Richard si interruppe. Non poteva vederlo, ma era chiaro che la stesse osservando come un baccalà. «Rachel, che ti prende? Rachel!»

La ragazza lo ignorò. Spalancò la porta della stanza ed uscì mentre il suo amico di infanzia continuava a chiamarla.

 

***

 

Credeva che facendosi una camminata sarebbe riuscita a sbollire la rabbia. Si era sbagliata di grosso. Per tutto il tragitto verso casa di sua madre, non aveva fatto altro che ripensare alla sua conversazione con Richard, e la cosa, naturalmente, non aveva fatto altro che peggiorare il suo umore. Non sapeva perché, ma proprio non riusciva a scollarsi di dosso quel nervoso, quella sensazione di rabbia nei confronti del suo vecchio amico. Si sentiva come se lui si fosse preso gioco delle sue idee, cosa che non era assolutamente successa, lui non poteva sapere quanto a cuore avesse preso quella faccenda, ma se davvero erano ancora gli stessi amici che erano un tempo, avrebbe dovuto capirlo da solo.

Era quasi come se lui avesse già gettato la spugna, come se si fosse già rassegnato all’idea di vedere il mondo spazzato via dall’epidemia. Ora che Rachel ricordava, il brizzolato possedeva ancora il suo gene conduit, pertanto lui sarebbe sopravvissuto all’epidemia. Probabilmente a lui bastava solamente quello, sopravvivere, non importava quanti altri milioni di innocenti, invece, avrebbero fatto la fine opposta.

Non riusciva a capacitarsi del fatto che Richard potesse davvero pensare una cosa simile, ma del resto, era cambiato, e non poco. Sperare di rivedere il suo vecchio compagno di scuola, quello dai nobili ideali, quello sempre pronto a lottare per il bene dei più deboli, era quasi impossibile ormai.

Ad aprirle la porta di casa fu, sorprendentemente, Hester. La rossa le sorrise calorosamente. «Rachel! Ti senti meglio?»

Non appena la vide, alla corvina tornò immediatamente in mente il terribile sogno che aveva fatto. Una fitta di dolore le colpì lo stomaco quando si accorse dell’espressione gentile, rilassata, serena della giovane madre, la quale era completamente ignara di cosa era successo dall’altra parte del paese all’uomo che, a sua insaputa, era ancora innamorato di lei, e che era diventato padre di un’altra splendida bambina.

«S-Sì, sto molto meglio ora, grazie…» Rachel non aveva la più pallida idea di come avesse fatto a risponderle, ma fu proprio così che riuscì a svicolare da quella situazione che si stava facendo molto più dura del previsto. Non credeva di essere pronta per affrontare quella discussione con lei, così presto per giunta, dopo tutto quello che era successo.

«Dove… dov’è mia madre?» domandò, una volta entrata, facendo di tutto per non guardare l’altra ragazza negli occhi.

«Aveva alcune commissioni da sbrigare, e mi ha chiesto se potevo rimanere qua per aspettarti, anche se non credevo saresti tornata così presto.»

«Oh, d’accordo. Beh… io sono in camera mia, se mi cerchi.»

Hester annuì. «Va bene, buon riposo.»

«Grazie… ne ho bisogno.»

Le due ragazze si congedarono, dopodiché Rachel cominciò a salire le scale. Aveva in mente di sprofondare nel suo letto non appena varcata la soglia, ma non appena spalancò la porta, trovò una sorpresa ad attenderla: Rosso era seduto sul bordo del materasso. Il moro sollevò la testa non appena lei mise piede nella stanza.

«Oh» mormorò Rachel, stupita. «Non… non sapevo ci fossi anche tu…»

«Già, l’avevo intuito» replicò lui, con tono duro. Non sembrava stesse eludendo solamente a quella situazione in particolare. Rachel non capì a cosa si stesse riferendo, ma il partner non aveva ancora finito: «Mi hai fatto preoccupare, l’altra sera.»

Rachel distolse lo sguardo, imbarazzata. «Lo so… mia madre me l’ha detto.»

«Lo sapevi, quindi.»

«Beh… sì. Ma lo potevo benissimo intuire anche se Angela non mi avesse detto niente. Ti conosco ormai, Lucas.»

«Se davvero era così ovvio, perché allora…» Lucas si alzò in piedi, osservandola con espressione fredda. Molto più fredda di quanto Rachel avrebbe potuto pensare, considerando anche cosa era accaduto. «… hai preferito passare a trovare il tuo caro amico, per il quale hai detto di non provare più niente, prima di tornare qui?»

Rachel spalancò gli occhi. E lui come faceva a saperlo? Rachel non ne aveva parlato con nessuno, solamente ad Amalia aveva detto che si sarebbe fermata da un’altra parte prima di tornare a casa, ma non le aveva detto dove! Aprì la bocca per rispondere, ma poi si interruppe. Realizzò che tutta quella preoccupazione era totalmente inutile. La sua espressione sorpresa mutò radicalmente, trasformandosi in una più rigida. «E a te cosa importa, scusa? Vorresti dirmi che non sono libera di fare cosa voglio?»

«Non ho detto questo.»

«Ma davvero?» soffiò lei, irritata. «Dal tuo tono sembrava l’esatto contrario.»

«Dico solo che mi sarebbe piaciuto essere avvisato al tuo ritorno dalla missione, prima. Dopo avresti potuto fare tutto quello che volevi.»

Quella risposta probabilmente era la peggiore che la giovane potesse ricevere. Sempre più sull’orlo di infuriarsi, replicò: «Quindi, ricapitolando, solamente perché ti ho permesso di ficcarmi la lingua in bocca un paio di volte, ora io sono solamente di tua proprietà e tutto quello che faccio deve prima essere discusso con te. Ho ragione?»

Lucas sospirò. «Ascolta, lo capisco cosa stai cercando di fare. E credimi, non funzionerà. Non credere di poter far sembrare me quello dalla parte del torto, perché non…»

«No, infatti, hai ragione, la colpa è solo mia!» esclamò la conduit, allargando le braccia, per poi sorridere in maniera sarcastica. «Sono io che mi sono dimenticata di aggiornare Rosso su ogni movimento che faccio in sua assenza! Hai ragione, avrei dovuto accantonare tutti i miei pensieri e concentrarmi solo ed unicamente su di te, perché, del resto, nel mondo ci sei solamente tu!»

«Rachel…»

«Non c’è una maledetta epidemia che minaccia l’intera popolazione mondiale, non c’è un esercito di Corrotti che marcia verso la città, non c’è un pazzo psicopatico chiamato Soggetto Zero di nuovo in circolazione, non c’è…»

«Aspetta» la frenò Lucas, assumendo un’espressione sorpresa. «"Di nuovo"?»

«L’ho sognato» tagliò corto lei. «Già, scusa se non ti ho detto nemmeno questo, suppongo che avrei dovuto farlo nel momento stesso in cui mi sono svegliata, mentre pensavo a come spiegare ad Hester che suo marito Dominick era stato ammazzato proprio dal Soggetto Zero. Oh, giusto, non potevi sapere che la ragazza che Dom ha fatto scappare era proprio Hester, ma che sbadata che sono, come ho fatto a dimenticarmelo, del resto non ho mai niente a cui pensare, io!»

Senza nemmeno rendersene conto, aveva continuato ad avvicinarsi al partner man mano che parlava. Ormai, pochi centimetri li separavano. Malgrado tutto, Rosso non si era mosso di un centimetro. Rachel non poteva vedersi, ma dubitava di avere un aspetto particolarmente rassicurante, in quel momento. Doveva ammirare Lucas per il suo sangue freddo, questo era certo.

«Ma non preoccuparti, d’ora in poi lascerò perdere tutto quanto, tutto!» Cominciò a puntellarlo sul petto con insistenza, ma nemmeno quello parve riuscire a smuoverlo. «L’epidemia, i Corrotti, il Soggetto Zero, il maledetto Yatagarasu, Jack, Richard, mia madre, ogni maledetta cosa, così da poterti tenere aggiornato anche quando dovrò andarmene nel maledetto bagno, perché non sia mai che io esca dal tuo campo visivo per più di tre maledetti secondi!»

Proprio come prima, senza nemmeno rendersene conto stava lasciando uscire tutta la sua frustrazione, tutta la sua rabbia, tutto ciò che aveva tenuto accumulato dentro di lei, e lo stava riversando sul partner, che forse nemmeno si meritava di essere il bersaglio di tutto ciò, ma ormai Rachel era come un fiume in piena ed era impossibile da fermare.

Tutto quello che era successo, tutte le informazioni accumulate dentro di lei, la rabbia che aveva provato per il comportamento di Richard, tutte le sue ansie, paranoie, preoccupazioni per la storia dell’epidemia, ogni cosa stava venendo fuori per colpa di una motivazione stupidissima. Ma purtroppo, quelli erano i rischi del portarsi dentro troppe cose senza mai avere l’occasione di sfogarsi: ad un certo punto, la più piccola delle scintille può scatenare il più furioso degli incendi.

«Chissene frega di cosa sta passando Rachel in questo momento, chissene frega di tutte le cose a cui deve pensare, chissene frega e basta! L’unica cosa che conta, qui, è che Rosso sappia quello che fa la sua, aperte virgolette, ragazza, chiuse virgolette! Non sapevo di avere il tuo nome tatuato su un fianco, sai? Magari faresti meglio a mettermi direttamente un guinzaglio, almeno così ti risparmieresti il dover rimanertene seduto in camera mia ad aspettarmi come una madre con il figlio che non è rientrato entro il coprifuoco!»

Finalmente, si fermò. Aveva il fiato grosso, a causa di tutte quelle parole versate in così poco tempo, a causa della stanchezza fisica, mentale ed emotiva che non sembrava volerla abbandonare, a causa di tutto quello che le era, che le stava e che le sarebbe successo. La sua mente in quel momento era un turbinio confuso di immagini, ricordi, sensazioni. Accanto al sogno che aveva fatto, alla vista di Dominick morente e del Soggetto Zero, c’era Richard che faceva il suo discorso sul fatto che l’anti gene conduit non rappresentasse davvero la salvezza del mondo.

Incrociò lo sguardo di Rosso, che era rimasto in silenzio, inespressivo, immobile, fino a quel momento. «Hai finito?» le domandò, senza mutare minimamente la propria espressione.

Ancora con il respiro pesante, Rachel lo osservò per un altro breve momento. Scosse la testa, prima di afferrarlo per l’orlo della maglietta e tirarlo a sé. «No.»

Probabilmente, quella era la prima volta che a baciarlo per prima era lei. Solamente quando le loro labbra si unirono, Rosso parve essere colto alla sprovvista. Si irrigidì come un chiodo e sgranò gli occhi, sicuramente atterrito da quel cambio di umore così repentino da parte di Rachel.  Nel giro di poco tempo, tuttavia, il suo corpo si ammorbidì e le palpebre si richiusero. Mentre le loro lingue si intrecciavano, un altro pensiero attraversava la mente di Rachel, quello che probabilmente era il più importante di tutti: il dottor Smith che, semplicemente, le diceva di trascorrere più tempo con le persone sue care.

Se davvero l’anti gene non avrebbe funzionato, allora Rachel avrebbe sfruttato ogni momento rimastole per poter fare ciò che desiderava maggiormente, ossia circondarsi dalle persone che amava, specialmente quella che stava stringendo in quel momento.

L’indomani il mondo sarebbe anche potuto finire, per quello che ne sapeva lei. Ma quella sera, invece, non sarebbe successo. Quella sera entrambi stavano bene, ed erano insieme. Nient’altro aveva importanza.

Si ritrovarono sdraiati sul materasso senza che nemmeno lei ci facesse caso, talmente era presa dall’euforia e dal calore di quel momento. Sentì le mani di Lucas insinuarsi sotto alla sua maglietta, come già era successo in passato. E, proprio come era successo in passato, rabbrividì, ma questa volta di eccitazione.

Allontanò le sue labbra da quelle del moro per un breve momento per potersi drizzare a cavalcioni su di lui e togliersi da sola la felpa, per poi lanciarla via. Sotto di lei, Lucas fece lo stesso, eliminando la maglietta e rimanendo a petto nudo. Rachel si chinò nuovamente su di lui, cercando con furore ancora una volta le sue labbra, quasi come se temette che queste potessero svanire da un momento all’altro. Lui la accolse, avvolgendo entrambe le braccia attorno alla sua schiena e stringendola con forza, avvicinandola al suo corpo, facendoli aderire, causandole un’altra scarica di brividi. Rachel poteva tranquillamente percepire il rigonfiamento dei pantaloni di Lucas poco al di sotto della sua vita, ma lui non era di certo l’unico a cui, in quel momento, l’interno coscia si trovava in fiamme.

Si separarono ancora una volta, per permettere a Rosso di poter sollevare la maglietta di Rachel, la quale non oppose alcuna resistenza, malgrado il cuore che le batteva all’impazzata e le guance che dovevano essere rosse come non mai. La corvina avrebbe mentito dicendo che quello che stava accadendo non la impensieriva nemmeno un poco, ma ormai era stanca di rimandare quel momento e, soprattutto, era stanca di sentirsi oppressa da tutto ciò che stava accadendo. Aveva bisogno di sfogarsi, aveva bisogno di allontanare i pensieri nefasti che le attanagliavano la mente. Aveva bisogno di quello, almeno una volta.

Non appena la maglietta le fu tolta di dosso, percepì una scarica di freddo lungo la schiena ed il ventre. L’aria della stanza doveva essere molto più fredda di quello che aveva creduto, o forse era semplicemente lei a non essere abituata a trovarsi solamente in reggiseno. Lucas la tirò di nuovo a sé, e questa volta fu lei a non opporre resistenza.

Si rigirarono sul materasso e fu Rosso a trovarsi sopra la corvina. La prese per le mani, intrecciando le sue dita tra quelle della conduit, e gliele immobilizzò ai lati del capo.

«Ti amo» sussurrò lui.

Un’altra scarica di brividi attraversò la schiena della conduit. «Anch’io» rispose, tutto d’un fiato, prima che le loro labbra si intrecciassero di nuovo.

La presa attorno alle sue mani si allentò, poco prima che le dita di Rosso si infilassero dietro la sua schiena. Rachel chiuse gli occhi, inerme, mentre l’ultima protezione rimasta al suo petto veniva rimossa. Nessuno prima di allora aveva mai visto i suoi seni, a stento li aveva mai visti lei stessa. Essere esposta in quel modo le fece contorcere le interiora per l’angoscia. Tuttavia, Lucas non parve prestare più attenzione del dovuto al suo corpo, perché si abbassò ancora una volta su di lei, coprendole il petto con il proprio, per baciarla nuovamente.

Tutto quello era quasi surreale, per lei. Lei, che aveva visto il primo amore della sua vita svanirle di fronte non una, non due, ma ben tre volte, ora era stretta a petto nudo tra le braccia di Lucas, probabilmente l’unica cosa buona che era riuscita a trovare ad Empire City, e probabilmente l’unica cosa che l’aveva tenuta ancorata alla speranza anche quando tutto quanto sembrava essere perduto.

Sentì i suoi pantaloni venire abbassati delicatamente e le venne un groppo alla gola, ma non impedì al ragazzo di proseguire. Quando sulle sue gambe percepì molta più aria di quella che era abituata a sentire, le scappò un gemito. Udendolo, Lucas si fermò all’improvviso. Rachel riaprì gli occhi che nemmeno ricordava di aver chiuso, incrociando il suo sguardo e diventando, per quanto possibile, ancora più rossa in volto. Fino a quel momento, forse, Rosso non si era accorto della sua inesperienza, ma in quel momento, notando quanto fosse tesa, era impossibile non accorgersi di ciò. «L-Lucas…» cominciò, temendo di aver appena rovinato quel momento.

Rosso la interruppe, appoggiando la fronte sulla sua, guardandola apprensivo «Possiamo fermarci qui, se non te la senti di continuare. Per me non c’è problema.»

Quel gesto e quelle parole la lasciarono di sasso. Lo aveva detto con una calma ed una naturalezza al di fuori dal mondo, quasi come se, in realtà, lui avesse sempre saputo che quella era la prima volta che lei aveva rapporti di quel tipo. A quel punto, la ragazza si ricordò che quello di fronte a lei non era un individuo qualsiasi. Se uno come Lucas non si fosse accorto di una cosa tanto evidente come quella, allora nessun altro avrebbe potuto farlo. Rachel inspirò profondamente, per poi affondare di nuovo le labbra su quelle del partner.

Quando si separarono, riuscì ad abbozzare un tenue sorriso. Era spaventata, vero, ma nemmeno la metà di quanto, invece, fosse emozionata. Forse non era pronta, forse non lo sarebbe mai stata, ma non aveva importanza: il semplice fatto di condividere quel momento con qualcuno come lui le era più che sufficiente. Se non si fosse concessa a lui, in quel giorno, allora non lo avrebbe mai più fatto con nessuno. Lucas era la persona che le era rimasta accanto, che l’aveva aiutata, supportata, e lei non si sarebbe mai stancata di ripeterselo. E lo amava, lo amava con tutta sé stessa, e nemmeno questo mai si sarebbe stancata di ripetersi.

«Voglio… voglio che tu vada avanti» sussurrò, accarezzandogli una guancia.

Il moro annuì debolmente, posando la sua mano su quella di lei. «Non ti farò del male. Te lo prometto.»

«Lo so» rispose lei, prima di baciarlo nuovamente. La biancheria intima fu rimossa, lasciando quella parte del suo corpo completamente scoperta ed in balia dell’aria fredda della stanza. O forse non era l’aria ad essere fredda, ma la sua carne ad essere rovente. Non lo sapeva, e non aveva importanza. Udì il rumore dei pantaloni di Rosso abbassarsi e chiuse gli occhi, gettando il capo all’indietro, appoggiandolo sul cuscino. Inspirò profondamente. Era pronta, anche se non lo era davvero.

Quando lui cominciò lentamente a penetrarla le scappò un altro gemito, questa volta di dolore. Si morse un labbro, mentre i fianchi di Lucas cominciavano ad avvicinarsi ai suoi. Quella che era una sensazione angosciante, tuttavia, man mano che il corpo del moro si premeva contro il suo, cominciò a trasformarsi in qualcosa di molto più gradevole. I suoi mugugni tramutarono lentamente in sospiri, mentre il suo corpo cominciava a muoversi in sincronia con quello del partner, accogliendolo anziché respingendolo.

Mentre l’amplesso proseguiva e i gemiti di Rachel divenivano sempre più presenti, più costanti e più rumorosi, le labbra di Lucas continuarono a ghermire lembi di pelle sul suo volto, sul suo collo e, successivamente, scesero anche al livello dei suoi seni. Non appena Rosso baciò uno di questi, un gridolino di sorpresa, misto ad eccitazione, si sollevò dalla gola di Rachel. Avvolse le braccia attorno alla schiena del moro, stringendola con forza e tirandolo, per quanto possibile, ancora di più verso di lei. In quella stanza non c’erano più lei o lui, ma solamente più loro. Il calore dei loro corpi si unì, ed i loro sospiri si mischiarono come gli strumenti musicali di un’orchestra pronta a comporre una nuova sinfonia. 

«T-Ti amo…» ripeté ancora lei, ottenendo come risposta un bacio molto più appassionato dei precedenti.

«Ti amo anch’io.»

Quelle, erano le parole di cui per tutta la vita aveva avuto bisogno. Quello, era ciò che aveva cercato di per tanto tempo. Quello, quella sensazione, era ciò che sentirsi umani significava.

E quel momento sarebbe per sempre rimasto impresso nella sua mente come il momento in cui, per una volta, non si era più sentita un ibrido, un demone, un mostro od uno scherzo della natura, ma ciò che lei in realtà era sempre stata: una ragazza normalissima.

 

 

 

 

 

Ehi, questa è l'altra storia che nessuno legge, proprio così. E quella qua sopra era proprio una scena di rapporto carnale tra Corvina e Rosso X (anche se qua possiamo considerarli proprio Rachel e Lucas, quasi come se fossero due OC, ma comunque di base sono sempre loro). Tanto nessuno la leggerà mai, quindi chissene, no? Nel dubbio, ci siamo levati la prima, ed unica, scena erotica presente in questa storia, nonché la prima che io abbia scritto dopo tantissimo tempo (l'ultima risaliva ad HoS, anche se ne avevo scritta pure una per tglu anche se poi l'ho rimossa dal capitolo). Troppe informazioni inutili, chiedo scusa. Bye bye!

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Teen Titans / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811