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Autore: PharahMercy    07/08/2018    1 recensioni
HighSchool!AU | più o meno con tutti i pg | Reyes/McCree, Sombra/D.Va, Pharah/Mercy e altre ship
Dopo la prima invasione omnica gli eroi che avevano combattuto contro i robot per riportare la pace, in accordo con i pezzi grossi delle Nazioni Unite, avevano deciso di mettere in piedi una scuola in cui allevare i futuri eroi che avrebbero protetto il mondo se eventi del genere si fossero ripetuti.
La Overwatch Academy vantava di avere come insegnanti i migliori eroi che avevano toccato con mano l’atrocità della guerra, coloro che erano diventati l’incarnazione dei pilastri della giustizia, le stesse persone che avevano sorretto il mondo non molti anni prima. I giovani reclutati in quella scuola erano adolescenti normali in cui il seme della giustizia ancora doveva germogliare, ma tutti si aspettavano molto da loro.
Reyes/S76/Ana/Moira!professor, Genji/McCree!friends, Nomi reali, Emotional Hurt, altri tag in futuro ( ͡° ͜ʖ ͡°)
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Gabriel 'Reaper' Reyes, Genji Shimada, Hana 'D.va' Song, Jesse Mccree, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Overwatch Academy:

gli eroi non studiano mai!
 
 
Dopo la prima invasione omnica gli eroi che avevano combattuto contro i robot per riportare la pace, in accordo con i pezzi grossi delle Nazioni Unite, avevano deciso di mettere in piedi una scuola in cui allevare i futuri eroi che avrebbero protetto il mondo se eventi del genere si fossero ripetuti. La Overwatch Academy vantava di avere come insegnanti i migliori eroi che avevano toccato con mano l’atrocità della guerra, coloro che erano diventati l’incarnazione dei pilastri della giustizia, le stesse persone che avevano sorretto il mondo non molti anni prima. I giovani reclutati in quella scuola erano adolescenti normali in cui il seme della giustizia ancora doveva germogliare, ma tutti si aspettavano molto da loro. Certo, non erano mancate le critiche mosse da chi sosteneva che dei ragazzi così giovani non potessero essere caricati di una simile responsabilità ma alla Overwatch Academy non mancava nulla che una normale scuola avesse: i nostri giovani eroi avrebbero trascorso una normalissima adolescenza prima di diventare soldati a tutti gli effetti.
 
Il preside Reinhardt Wilhelm aveva ribadito più volte alla stampa che l’accademia sarebbe stata in tutto e per tutto una comune scuola superiore, eppure era innegabile che tra la matematica, la filosofia e le scienze non mancassero basilari nozioni che tutti i militari dovrebbero conoscere e che venivano inculcate ai ragazzi giorno dopo giorno. Tuttavia, nonostante i polveroni sollevati dai media sull’immoralità del progetto, la scuola era ancora in piedi e i suoi studenti non potevano dire di non vivere la vita di un qualsiasi adolescente.
 
 
Due persone si erano nascoste in maniera losca tra gli alberi che riempivano di verde il cortile della scuola. Una di loro era un giovane uomo alto sul metro e ottanta dall’aria austera. Vestiva di un elegante completo gessato, portava una barba molto curata e i capelli neri come il petrolio raccolti con un fermaglio. Da sotto la camicia immacolata che aveva arrotolato agli avambracci spuntava un tatuaggio inconfondibile che gli avvolgeva l’intero braccio sinistro e che chiariva subito a chiunque lo vedesse che si trattava di Hanzo Shimada, il primogenito nonché erede della famiglia Shimada. L’espressione che corrugava il suo viso, già aspro di per sé, suggeriva che l’argomento di conversazione trattato col ragazzino, che gli stava a debita distanza, non era di certo piacevole. Il giovane era decisamente più basso di Hanzo e vestiva in maniera più casual: felpa e jeans, anche se, c’è da dirlo, non erano di certo capi economici. La chioma orrendamente tinta di verde zampillava sulla sua testa e ricadeva sulla fascia che portava tra i capelli. Il viso, ancora giovane e dai tratti non ben delineati, riprendeva alcune caratteristiche di quello di Hanzo, l’unica differenza stava forse nello sguardo più gentile.
 
«… E se mi scoprissero?» disse il più giovane in un docile mormorio. Genji era l’ultimo nato degli Shimada, un ragazzino scansafatiche che amava godersi la vita e sfuggire alle proprie responsabilità. Osservandoli da lontano poteva quasi sembrare che il maggiore stesse facendo una lavata di testa a quell’irresponsabile del fratellino, ma se così fosse stato perché appartarsi tra gli alberi?
 
«Sei un codardo e un disonore per tutta la famiglia.» Hanzo rivolgeva spesso parole tanto dure a Genji ma nonostante il ragazzino davanti a lui chinasse la testa con rammarico e mortificazione, lo avremmo visto cinque minuti dopo svoltare l’angolo col sorriso più tranquillo del mondo dipinto sulle labbra.
 
Alzò il braccio in segno di saluto in direzione di un giovane scapestrato che stava lì ad aspettarlo appoggiato ad un muretto e con una cicca tra le labbra a fargli compagnia.
 
Genji avvicinandosi ridacchiò alla vista di quei ridicoli peletti che spuntavano sul mento del suo amico, castani come quei capelli sempre troppo lunghi. Era capitato più volte che qualcuno criticasse lo stile di Jesse in sua presenza e in quelle occasioni lui lo aveva visto perplesso, come se non avesse capito con esattezza quello che gli era stato detto. Era innegabile che i suoi gusti in fatto di moda fossero assai discutibili, visto che andava in giro come una specie di contadino western, però lui era un suo amico e gli amici non si giudicano.
 
Con un balzo Genji sedette sul muretto al quale era appoggiato il suo amico, che prontamente gli porse il pacchetto di sigarette. Questa era forse la cosa che più adorava di Jesse McCree: ogni cosa che era proibita lui la faceva, fingendo di non saperne nulla di quegli assurdi divieti. Assurdi poi, è un parolone. Non era di certo decoroso andare in giro con un cappello da cowboy, così come non era carino fumare nel cortile della scuola e gettare perfino le cicche a terra. Ma questo a lui non lo aveva detto mai nessuno – certo, sono scontate cose del genere! – e dunque lui continuava indisturbato a fare un po’ come gli pareva. Era forse per questo che Jesse stava così simpatico al minore degli Shimada. Lui non dava conto a nessuno, se ne stava sempre sulle sue con quell’aria da finta persona vissuta che può permettersi di fumare liberamente nel cortile della scuola, senza prendere minimamente in considerazione la possibilità che qualcuno lo scopra. Con quel bel faccino – quasi – sbarbatello, come lo si poteva rimproverare?
 
«Ehi passero,» richiamò la sua attenzione Jesse, suscitando anche il suo disappunto. Quel nomignolo glielo aveva dato il padre ed era stata tutta colpa di Olivia se la faccenda era venuta a galla. Non glielo avrebbe mai perdonato.
 
Con le guance appena arrossate sbuffò e si girò verso di lui per sapere cosa diavolo volesse. La risposta di Jesse non si fece di certo attendere. Il giovane infilò una mano nel proprio zaino ormai rovinato dal tempo e con qualche strappo qua e là, tirandone fuori una bomboletta spray. La lanciò al compagno e gli fece l’occhiolino, sorridendogli con la sigaretta tra i denti.
 
«Un regalino da parte di Lena,» spiegò, assumendo poi un’aria fiera e impettita, «a quanto pare la cosa con Emily è andata in porto.» Come poteva andare diversamente, era stato lui a presentarle dopotutto…
 
«Grande!» esultò il passero afferrando la bomboletta al volo e, zaino in spalla, i due subito si diressero verso la zona est dell’edificio, divenuta ormai luogo di ritrovo per i teppistelli come loro. Avrebbero lasciato un marchio inequivocabile per stabilire che quello era il loro territorio e che nessuno doveva rompergli le scatole lì. Certo, non stiamo parlando di Giotto e Michelangelo, ma era innegabile che i due si stessero impegnando a fare quegli scarabocchi. McCree si era perfino tolto il cappello e aveva aggrottato le sopracciglia osservando intensamente la parete che aveva davanti, imbrattata pesantemente e irrimediabilmente dal suo disastro.
Quando lo faceva Lena sembrava davvero semplicissimo.
 
«Cosa state combinando!?»
 
Jesse e Genji sobbalzarono sentendo quella voce ruvida, riconoscendone subito il proprietario. Lasciarono cadere le bombolette a terra, scambiandosi un’occhiata impanicata. Pensarono subito che l’unica soluzione fosse darsi alla fuga, ma nessuno sfuggiva a Torbjörn, il bidello più rompiscatole di tutta l’accademia. E loro non fecero eccezione. Avevano anche provato a correre via ma il vecchio svedese li aveva acciuffati subito.
 
«Cosa pensavate di fare alla nostra bella scuola?! Vi farò ripulire tutto, a costo di farvi stare qui una giornata intera! Voi dovreste essere a lezione! E tu,» afferrò per un orecchio Jesse, costringendolo a piegarsi all’altezza del furente bidello per non perderlo, «stavi fumando! È severamente vietato!» Non voleva smetterla di urlare, il vecchio, tanto che la storia finì quando un professore, sentendo le urla, si affacciò alla finestra con enorme disappunto e nervosismo. Purtroppo per loro quel professore era Gabriel Reyes.
 
I due teppisti trasalirono vedendo sbucare la testa dell’uomo dalla finestra e fu ancora peggio quando lui ordinò a Torbjörn di portarglieli. Nemmeno se fossero riusciti a scappare si sarebbero salvati da una punizione esemplare… non se di mezzo c’era anche il professor Reyes.
 

 
Li aveva tenuti sotto torchio per un tempo che sembrava infinito.
Aveva fatto ripassare loro tutto il programma e aveva usato la scusa di mettere anche il voto dopo un’interrogazione durata un’ora e mezza. Era il professore di matematica più odioso che avessero mai avuto, contando che era anche il professore che più aveva a cuore l’educazione e la disciplina degli studenti. Si immischiava in qualunque situazione non lo riguardasse affatto e, anzi, aveva quasi la capacità magica di materializzarsi nei momenti peggiori.
 
Una volta la professoressa Moira, insegnante di scienze, aveva incaricato Genji e McCree di riportare in laboratorio un manichino umano che avevano usato in classe per la spiegazione di anatomia. Stavano per lasciare la stanza quando McCree ebbe l’improvvisa curiosità di dare un’occhiata ai minerali e ai fossili della scuola. Fu colto con le mani nel sacco mentre cercava di aprire un mobiletto chiuso a chiave e Genji cercò di assumersi la colpa di tutto. Reyes nel dubbio sospettò di entrambi e, anche quella volta, rimasero in punizione per una settimana intera.
 
Dopo un quattro assicurato – perché sapevano che anche se avessero meritato di più Reyes avrebbe abbassato il voto per soddisfazione personale – poterono tornare a casa con la promessa di una settimana di pulizie e corsi extra di matematica. Ottimo, avrebbero aggiunto anche quella all’elenco.
 
McCree e Genji percorrevano in silenzio il tragitto verso l’uscita del grande cancello della scuola.
A McCree non interessava affatto quello che gli altri potessero pensare di lui né gli interessava andare bene a scuola. Era un vero genio nelle materie pratiche, quelle esclusive della Overwatch Academy, come prove di tiro e simulazioni di guerra, ed era certo che non sarebbe stato mai bocciato. Approfittava della sua bravura per campare di rendita, fermamente convinto che la scuola non fosse nient’altro che un’imposizione da sopportare.
 
Genji, invece, non poteva permettersi un animo sereno come il suo. A casa i voti erano da sempre oggetto di analisi e giudizi – era inconcepibile che andasse male – eppure finiva sempre col rischiare in qualche materia. Sapeva però quando impegnarsi e nell’ultima settimana riusciva a scamparla in qualche modo. Era il classico ragazzo della studiata dell’ultimo giorno.
Genji non aveva mai odiato la scuola. Anzi, era lì che aveva fatto le migliori conoscenze della sua vita. Sapeva che era l’unica via di fuga dalle fredde mura di casa e cercava di godersi ogni secondo che passava con i compagni facendo quante più esperienze possibile. Cercava di divertirsi e fare tutto ciò che altrimenti gli sarebbe stato proibito, perché i suoi genitori non gli avevano mai permesso di uscire liberamente con ‘amicizie deleterie’ che poteva procurarsi altrove.
 
Una ragazza magrolina vestita con una tuta tutta gialla aderente era venuta loro incontro, correndo veloce come un fulmine e cogliendoli di sorpresa. In particolare McCree sobbalzò appena ma mitigò ogni segno di agitazione prendendo l’ennesima sigaretta dalla tasca del pantalone. Era la quarta quella giornata e ne avrebbe fumate anche di più se non fosse stato costretto a restare in classe.
 
«Hey, cari! Siete riusciti a–»
 
«Leeeena...» si lamentò Genji, «siamo stati scoperti!»
 
«E?» Lei li guardò con occhioni colmi di sorpresa e curiosità.
 
«E... ‘E’ cosa? ‘E’ Reyes,» si intromise McCree tagliando corto.
 
Lei capì all’istante e sembrò per un secondo avere pietà delle loro facce martoriate. Qualche volta era capitato anche a lei di trovarsi da sola con La Bestia. Scoppiò a ridere allegramente, massaggiando le spalle a Genji per prenderlo in giro. Nessuno dei due parve sollevato dalla sua allegria un po’ troppo espansiva.
 
«Io torno da Fareeha, ci vediamo domani, tesori!» disse, salutandoli con la mano e scheggiando via da dove era venuta senza voltarsi. Sembrava che per lei non ci fosse mai nulla di negativo.
 
Qualche metro più avanti incontrarono il gruppetto di cheerleader che si stava allenando. Era risaputo che riuscissero a farne parte solo le ragazze più carine dell’intera scuola, tra cui c’erano Hana e Amélie, universalmente riconosciute come inaccessibili. Amélie era una bellezza silenziosa e sempre sulle sue che frequentava l’ultimo anno mentre Hana, allegra ed estroversa, frequentava la stessa classe di McCree e Genji. Non era particolarmente studiosa ma sapeva farsi rispettare e trovava sempre qualcuno da cui copiare i compiti.
 
Con la speranza di ideare un piano più astuto per non farsi scoprire la volta successiva McCree e Genji si separarono e tornarono a casa. La giornata per loro era finita, ma non era così per alcuni loro compagni.
 
Sedute sugli spalti c'erano, infatti, la capoclasse Mei e Brigitte che studiavano insieme. Erano sempre gentili e tutti finivano una volta o l'altra con l'avere bisogno di loro per qualche spiegazione. In più Brigitte era la figlia del bidello e conosceva bene il preside Reinhardt: essere suoi amici era da sempre ambizione degli studenti di altre classi.
 
«Aaah, davvero non ci riesco,» disse esausta Brigitte, «io chiudo qui, del voto non mi importa!»
 
«Su, su, non dire così... è semplice, hai fatto solo un errore di calcolo.» Mei le posò una mano sulla spalla e la massaggiò leggermente. Sapeva che Brigitte si era impegnata a fondo per prepararsi in matematica e non voleva che gettasse la spugna proprio all’ultimo.
 
«‘Solo’? Prenderò un’insufficienza, lo sai?»
 
«Ma no, che dici!»
 
«Guarda,» si intromise nel discorso Hana, avvicinandosi e buttandosi a sedere mentre beveva avidamente un succo di frutta, «prenderemo tutti un’insufficienza quest’anno. Saremo tutti rimandati in matematica.» Si stava concedendo una pausa dagli allenamenti ed era andata vicino alle amiche curiosa di sapere di cosa parlassero, ma rimase delusa nel sentire solo commenti noiosi sulla scuola.
 
Mei non sapeva che Hana lo pensava davvero e non l’aveva detto solo per confortare l’amica. Tutti all’infuori della capoclasse avevano problemi in matematica: era impossibile stare dietro alle lezioni del professor Reyes, parlava come se ogni secondo fosse l’ultimo, a volte spiegava un argomento nuovo ‘per portarsi avanti’ quando mancavano una manciata di minuti dalla fine della lezione, contando che si accorgeva subito di quando uno studente era svogliato o si era distratto un momento. Mei era una dei pochi fortunati ad avere la sufficienza quasi sempre.
 
«Hana ha ragione, ma è meglio così! Non potranno dirci niente se andiamo tutti male. È chiaro che è colpa del professore.» Anche Fareeha si era avvicinata a loro, precedendo Lena che era andata direttamente a casa.
 
«Io ho sentito che non ci bada lui a queste cose. E poi per me vuole che siamo bocciati tutti, si vede da come ci guarda che non gli importa niente di noi,» disse Brigitte, stringendosi nelle spalle. Sapere di non essere l’unica l’aveva sollevata un po’, anche perché era consapevole di aver dato il massimo.
 
«Lasciate perdere questi discorsi noiosi!» Da dietro, si aggiunse al gruppo appena formato Olivia, che se n’era stata a smanettare poco più in là col cellulare fino a un momento prima o, per meglio dire, finché Hana non si era avvicinata alle altre. «E comunque, cosa fate ancora qui?»
 
«Perché, che ore sono?» chiese allarmata Mei, temendo di aver fatto tardi.
 
«Sono quasi le sei,» rispose Fareeha.
 
«Ah, beate voi che potete andare a casa adesso!» Hana affondò ancora di più nella seggiola in cui era seduta.
 
«Eh? Ma come... voi cheerleader rimanete ancora?» Olivia si finse sorpresa. In realtà lo sapeva benissimo, non c’era informazione che non fosse in suo possesso, ma voleva giocare ogni carta a proprio vantaggio.
 
«Sì, è perché siamo poche e dobbiamo fare il doppio del lavoro. A dir la verità ci basterebbe un’altra ragazza per–»
 
«Oh, davvero? Non ne sapevo nulla,» mentì, «ma se proprio insisti, potrei procurartela.»
 
«Sarebbe magnifico! A chi stai pensando?»
 
«Beh, conosco una ragazza dell’ultimo anno che magari... e poi anche a me piacerebbe, magari, certo dovrei vedere com’è però anche solo per provare...»
 
La faccia di Hana passò dal curioso al profondamente disgustato. Aveva iniziato a fare la lista delle ragazze popolari che conosceva dell’ultimo anno quando le si era figurata l’idea di avere Olivia nel gruppo... aveva avuto la visione di lei che afferra Olivia e che insieme fanno una capriola in aria. Semplicemente orribile. Olivia non era ambita tra i ragazzi, anzi, se ne stava sempre per i fatti suoi e girava voce che fosse anche una nerd. Non le aveva mai parlato molto, ma aggiungerla nel gruppo avrebbe sicuramente fatto girare voci spiacevoli su di loro. Lei, questo, non poteva permetterselo, ne andava della sua immagine!
 
«Eheh, non saprei...»
 
«Ma l’hai detto tu che siete in pochi, avanti.» Olivia era conscia che non sarebbe stato facile, ma tanto valeva provarci. Ormai aveva detto anche davanti alle altre che le sarebbe piaciuto diventare una cheerleader, non poteva accettare un rifiuto.
 
«Ne parlerò con le altre.» Temporeggiò Hana e subito scattò in piedi di malavoglia, per allontanarsi dopo aver rivolto un rapido saluto verso le ragazze con un grosso sorriso stampato in faccia. Era palese che stesse cercando di scappare e questo mise a disagio sia Olivia sia le altre, ma la colpa non era mica sua se le era stata rivolta una richiesta così assurda!
 
Olivia si sentì ferita nell’orgoglio, ma quando fece per andarsene si imbatté in Fareeha, che la fermò e le chiese se volesse fare la strada di casa con lei e le altre.
 
Hana era rimasta ad allenarsi, così come Amélie, le altre si erano invece incamminate verso il cancello principale della scuola e stavano lasciando la struttura chiacchierando tranquillamente, le tensioni di poco prima erano già acqua passata e per la gioia di Olivia nessuno aveva tirato fuori l’argomento.
 
«Dovresti fare più attenzione Fareeha. Ti sei ferita ancora giocando a calcio, vero?» notò Brigitte, rivolgendo uno sguardo apprensivo verso l’amica.
 
«Già!» ridacchiò lei per tutta risposta, passandosi una mano dietro la testa. «Ma non preoccuparti, c’è la dottoressa Ziegler che mi rattoppa ogni volta.» Cercò invano di rassicurarla.
 
«Brigitte ha ragione, Fareeha. Se proprio devi giocare a calcio almeno non farlo con i ragazzi. Sai quanto sono violenti,» s’intromise Mei.
 
«Non posso farci nulla se nella nostra scuola non c’è la squadra femminile di calcio,» brontolò.
 
Continuarono a camminare tra i sospiri rassegnati di Mei e Brigitte. Quella ragazza era un caso perso, anche se non si poteva di certo negare che fosse una delle poche ad eccellere in qualsiasi attività fisica. Era di certo la ragazza più forte della scuola, fisicamente parlando.
 
Ad un certo punto una voce richiamò l’attenzione del gruppo. Tutte si voltarono e quello che videro le spaventò abbastanza. Jamison Fawkes stava correndo verso di loro con un’espressione decisamente inquietante. Tutti alla Overwatch Academy sapevano quanto fosse strano quel tipo, e inoltre correva voce che fosse già stato sospeso varie volte per aver introdotto degli esplosivi nella scuola. Non conoscendo il soggetto sarebbe piuttosto difficile credere a una notizia simile, però le ragazze frequentavano la stessa classe di quello strambo e nemmeno persone amichevoli come Mei e Brigitte erano riuscite ad evitare di farsi pregiudizi.
 
Indietreggiarono tutte quasi contemporaneamente e con lo stesso panico negli occhi, specialmente quando il ragazzo aprì bocca, tutto affannato e grondante di sudore. Puzzava.
 
«Ragazze! Posso fare la strada di casa assieme a voi?» Una richiesta innocente dopotutto, ma fatta da un tipo del genere non lo sembrava affatto.
 
Fareeha si fece avanti, graziando le altre.
«Mi dispiace, ma stiamo andando tutte a casa mia… sai, una cosa tra ragazze,» disse, inizialmente convinta, scemando sempre di più, «noi andiamo.» Tagliò corto, riprendendo a camminare seguita a ruota dalle amiche che le sussurravano i loro ringraziamenti per essersi occupata del problema. Fareeha non era solo forte, ma anche molto coraggiosa.
 
Jamison puntò lo sguardo a terra, rammaricato. Non capiva perché le persone si sentissero così a disagio vicino a lui. Eppure era stato gentile, non aveva fatto nulla di male.
Prese a camminare nella direzione opposta, calciando sassolini di tanto in tanto. Tutti sembravano evitarlo senza un apparente motivo, come se attorno a lui ci fosse una bolla che lo teneva separato dal resto della gente. Nessuno si fidava, e anzi aveva ricevuto perfino occhiate di disgusto alcune volte. In classe veniva sempre ignorato, e fuori c’erano i ragazzi dell’ultimo anno che si prendevano gioco di lui.
 
«Ma guarda chi abbiamo qui… il ratto di fogna che si è infiltrato in una scuola per eroi.» Akande si piazzò statuario dinnanzi a Jamison.
 
Il ragazzo deglutì rumorosamente prima che il più grande lo trascinasse dietro l’angolo.
 
Se lo meritava, aveva provato a scappare con le ragazze.
Era proprio una femminuccia, o almeno, Akande gli diceva così ogni volta che si metteva a piangere.

 
   
 
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