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Autore: Miharu_phos    08/08/2018    0 recensioni
Ci si sente sempre attratti dalle anime più chiuse e tormentate. Il loro carattere scontroso, i loro gesti scortesi, invece di allontanarci ci attraggono come una potente calamita.
Ma dietro a questa facciata di freddezza ed apatia si nascondono spesso persone fragili che celano dentro di se un dolore profondo.
Sayo non riesce proprio a lasciare in pace il suo compagno di Accademia Yamanbagiri; lui come reagirà a queste attenzioni indesiderate?
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Sayo Samonji, Un po' tutti, Yamanbagiri Kunihiro
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
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Venni svegliato da un vociare continuo accompagnato da una serie di rumori provenienti dall'esterno.

 

Aprii appena gli occhi, portando una mano sulle palpebre per proteggerle dalla luce e sbadigliai assonnato mentre una risata dolce e allegra risuonò nella stanzetta che condividevo con i miei fratelli maggiori.

 

-Ti sei svegliato piccolino?- domandò teneramente Souza inginocchiandosi davanti al futon sul quale ero steso.

 

-Smettila di chiamarmi così guarda che non sono più un bambino- mi lamentai tirandogli una ginocchiata che lo fece ridacchiare.

 

-Okay scricciolo ma adesso alzati abbiamo un sacco di lavoro da fare oggi al castello- mi disse scompigliandomi i capelli, al ché io gli sferrai un pugno sul naso facendolo quasi cadere all'indietro.

 

-Lasciami dormire!- urlacchiai coprendomi la testa con le lenzuola.

 

-D'accordo vorrà dire che non assisterai al rientro dei nostri compagni dall'ultima missione, peccato perché il fratellone sicuramente non vede l'ora di rivederti- disse alzandosi in piedi e sistemandosi il kimono stropicciato.

 

-Kousetsu!- urlai balzando in piedi e affacciandomi alla finestra mentre tentavo di scacciare via le tende.

 

Era vero, quel giorno finalmente il nostro fratello più grande sarebbe rientrato al castello dopo una settimana di combattimenti.

 

Sicuramente sarebbe stato molto stanco e malconcio e solo in quell’occasione gli avrei concesso di coccolarmi, cosa che non permettevo mai a nessuno dei due.

 

Sin da piccolo mi trattavano come un pupazzetto da stritolare e abbracciare e forse era per questo che quando li vedevo venirmi incontro pronti a sbaciucchiarmi fuggivo via terrorizzato.

 

Detestavo quando dovevano partire però. I miei fratelli erano fra i più grandi ed esperti combattenti dell'Accademia ed era normale che venissero scelti spesso per le missioni più rischiose.

 

Mentre formulavo questi pensieri con il mento fra le mani, udii un forte fracasso provenire dall'entrata della riserva accompagnato da urla e schiamazzi.

 

I nostri compagni erano finalmente arrivati e tutti i nostri amici li stavano accogliendo calorosamente.

 

-Sbrigati Sayo!- disse Souza lanciandomi addosso il kimono e sistemandosi i lunghi capelli rosa davanti allo specchio.

 

Velocemente mi vestii e infilati i sandali corsi con Souza fuori dal castello, attraversando poi il giardino allestito in festa fino a raggiungere i nostri compagni accalcati contro i combattenti appena rientrati.

 

-Kousetsu!- urlai correndo fra le braccia del mio fratellone il quale nonostante la stanchezza mi prese in braccio per godersi le mie insolite coccole.

 

-Quanto mi sei mancato piccolino- disse abbracciando anche Souza, mentre anche Tsurumaru, Mikazuki e Ichigo si godevano l'accoglienza dei loro compagni.

 

Aggrottai le sopracciglia guardandomi intorno, mi sembrava che mancasse qualcuno degli eroi rientrati da poco.

 

Notai un cappuccio bianco farsi spazio fra gli allievi, sembrava evitare freddamente ogni tentativo di essere abbracciato.

 

"Tipico di Yamanbagiri" pensai mentre tutti ne approfittavano per riempirmi di baci e carezze sulle guance.

 

Essere il più piccolo del castello era sempre stato un tormento per me perché tutti senza motivo si sentivano in diritto di strapazzarmi a loro piacimento.

 

Sgusciai dalle braccia del fratellone e incuriosito seguii quel mantello bianco fra la folla fino a raggiungere l'ala orientale del castello.

 

Lui era sempre stato così: arrabbiato, infastidito, scocciato. Non gli piacevano le effusioni ed in questo in effetti eravamo simili.

 

La cosa che mi aveva sempre incuriosito di Yamanbagiri era quel suo atteggiamento scontroso e introverso, sembrava sempre celare dentro di sé qualcosa di segreto e tormentoso.

 

I miei sandali cominciarono a far rumore una volta sul legno del porticato e lui si voltò sospettoso.

 

-E tu cosa ci fai qui moccioso! Fuori dalle scatole!- mi urlò contro con rabbia facendomi rabbrividire.

 

-I-io volevo s-solo salutarti- dissi intimorito -b-bentornato!- aggiunsi poi con coraggio sforzando un sorriso.

 

Lui mi guardò con uno sguardo indecifrabile, a metà strada fra l'affranto e l'alterato per poi correre verso la porta del suo dormitorio dietro alla quale si celò una volta all’interno.

 

Lo sbattere forte del legno mi fece sobbalzare e quasi non scoppiai a piangere per lo spavento.

 

In quel momento mi resi conto di esserlo davvero, un bambino, e di non essere mai cresciuto.

 

Yamanbagiri riusciva ad incutermi lo stesso timore sotto al quale mi aveva soggiogato per tutti gli anni passati.

 

Mi sedetti sul porticato e presi a fissare la cicatrice evidente sul mio ginocchio scheletrico.

 

Ricordavo bene come me l'ero procurata.

 

Avevo circa otto anni ed avevo il vizio di seguire Yamanbagiri come un ombra.

 

Se lui si allenava io stavo lì ad ammirarlo, se lui faceva una passeggiata io dovevo seguirlo, se dormiva io mi mettevo lì come una gatto accovacciato a fissarlo.

 

Lo avevo sempre ammirato, eppure lui sembrava non sopportarmi proprio.

 

-Sei solo un moccioso- mi ripeteva sempre -va fuori dai piedi!- lo diceva fino a farmi piangere.

 

***

 

 

Quel giorno il tempo era bellissimo e lui aveva deciso di fare un bagno nel laghetto della riserva, all'ombra del ciliegio.

 

-Se affoghi scordati che io ti tiri fuori di lì- mi aveva detto con un ghigno quando mi aveva visto imitarlo.

 

Io avevo solo otto anni ma ero abbastanza bravo a galleggiare per cui non mi preoccupai.

 

-Mi aiuteresti ad uscire?- domandai impaurito quando notai che stava risalendo la riva.

 

-Scordatelo!- gridò divertito per poi allontanarsi con i suoi vestiti buttati sulle spalle.

 

Rimasi li per tutto il pomeriggio e solo quando ormai era buio i miei fratelli mi ritrovarono, infreddolito e tremante, ancora a mollo in quell'acqua ormai gelida.

 

Ricordo solo che dopo cena, quando i grandi riordinavano la sala da pranzo io venni adescato lungo il corridoio che portava al dormitorio.

 

-Come hai potuto fare la spia piccolo moccioso!- mi aveva detto Yamanbagiri a denti stretti, guardandomi fisso negli occhi mentre mi teneva premuto contro il muro con forza.

 

-Per colpa tua adesso dovrò svolgere i lavori in giardino per un mese! Il sensei mi ha rimproverato e mi ha anche vietato di andare ancora a nuotare al lago!- disse arrabbiato facendomi sentire in colpa.

 

-M-mi dispiace i-io non volevo- avevo detto tremante ma questo non era bastato perché lui mi aveva trascinato fuori con rabbia fino a spingermi sul ciottolame che contornava il porticato.

 

Io mi ero ritrovato in ginocchio e in lacrime, le pietroline mi avevano provocato un taglio evidente sul ginocchio destro e le mie mani erano altrettanto graffiate e insanguinate.

 

-Chiedimi umilmente perdono- mi aveva detto schiacciandomi la testa per terra ed io avevo fatto come mi aveva detto lui, ero disposto a tutto pur di far finire quell'incubo. 

 

-Che questo ti serva da lezione per le prossime volte. Non permetterti mai più a fare la spia con me piccolo moccioso insignificante- aveva detto furente per poi andarsene con indifferenza e lasciarmi lì a piangere.

 

Kousetsu mi aveva soccorso poco dopo ed io mi ero inventato di essere scivolato mentre inseguivo un gatto nel buio.

 

-Non devi mai giocare fuori a quest'ora- mi aveva rimproverato lui -soprattutto se sei solo- si era raccomandato mentre mi stringeva fra le braccia lasciando che Souza mi medicasse le ferite.

 

Da quel giorno Yamanbagiri era diventato spietato con me. Mi usava come schiavetto di nascosto dai nostri compagni e mi seviziava a suo piacimento ogni volta che era nervoso.

 

Scaricava su di me tutte le frustrazioni che accumulava se veniva rimproverato o se gli allenamenti andavano male.

 

Quando poi compì 17 anni ed il suo addestramento fu completato cominciò a partire in piccole spedizioni che diventarono col tempo sempre più pericolose.

 

Tutti cominciarono a congratularsi con lui e ad acclamarlo, compresi i miei fratelli che sembravano non sospettare nulla dei suoi maltrattamenti.

 

Col tempo però sembrò avere sempre meno bisogno di me per sfogarsi.

 

Le cose gli andavano bene e si limitava a qualche piccolo schiaffo sul collo o a qualche sgambetto fatto davanti agli altri per farli ridere.

 

Le mie medicazioni diminuivano e i miei fratelli cominciarono a pensare che stavo crescendo e che finalmente avevo smesso di cadere in continuazione.

 

Nel mio cuore però si annidava una malinconia sempre più profonda.

 

Senza le sue attenzioni crudeli le mie giornate trascorrevano monotone e nella più totale tristezza.

 

Spesso avevo sperato di vederlo venirmi incontro arrabbiato, di sentirlo posare ancora una volta su di me le sue mani violente, di sentire la sua voce ghignare divertita.

 

Ma lui stava diventando adulto e non aveva più bisogno di un moccioso come me per divertirsi.

 

Ogni tanto avevo colto nel suo sguardo una punta di malizia, quasi come a voler riconfermare il suo potere su di me.

 

Ma non mi aveva più soggiogato come un tempo, adesso che era cresciuto si era stancato di me.

 

Io però continuavo ancora a desiderare quelle attenzioni, seppur crudeli, ma che mi avevano fatto sentire vivo e in un certo senso indispensabile.

 

Dopotutto, quelle botte erano state l'unico mezzo per potermi permettere di trascorrere del tempo con lui.

 

Quando svolgevo i compiti al posto suo, quando faticavo sotto il suo sguardo divertito sentivo di contare in un certo senso qualcosa per lui.

 

Ma ormai per lui ero come scomparso.

 

Non contavo niente per lui, non mi sfruttava nemmeno per sbrigare le sue mansioni. Ero come semplicemente scomparso.

 

E questo mi faceva davvero male.

 

 

 

 

****

 

 

 

I festeggiamenti erano durati a lungo la sera prima, e la mia testa ne stava risentendo davvero tanto.

 

Ogni volta che un gruppo di combattenti tornava all'accademia eravamo soliti accoglierli nel migliore dei modi, ogni missione rischiava di essere l'ultima per quei coraggiosi che rischiavano la vita e meritavano il massimo della riconoscenza.

 

Quel giorno ci sarebbe stata la benedizione delle spade, era un rito da ripetere prima e dopo ogni spedizione come segno di ringraziamento per la sopravvivenza dei samurai.

 

Ogni sopravvissuto avrebbe dovuto indossare una divisa speciale e ringraziare davanti al tempio assieme ai compagni.

 

Mentre aiutavo il fratellone a prepararsi per la cerimonia non facevo che fantasticare su quanto sarebbe stato bello Yamanbagiri con la divisa.

 

Avevo sempre adorato vederlo adornarsi in quel modo, l'avevo sempre ammirato di nascosto, sperando dentro di me di poter essere un giorno coraggioso come lui.

 

Per questo, quando durante la cerimonia di benedizione mi resi conto della sua assenza, rimasi parecchio sorpreso.

 

Lui adorava ricevere tutti quei riconoscimenti e mi sembrava parecchio strano vederlo rinunciarvi così facilmente.

 

Senza farmi notare sgattaiolai via durante la cerimonia e mi recai nell'ala orientale dove si trovava il suo dormitorio.

 

Il kimono per le occasioni importanti era davvero lungo e non facevo che incespicare in esso ad ogni singolo passo.

 

Una volta giunto davanti alla sua porta mi fermai e presi un grosso respiro per poi avvicinare la mano stretta in un pugno pronto a bussare.

 

Al sentire flebile di un pianto però rimasi come congelato.

 

"Yamanbagiri che piange?" Mi domandai "impossibile".

 

Spinsi appena la porta fino a socchiuderla per poi rabbrividire nel sentire il pianto amareggiato di quel ragazzo che si era sempre mostrato forte e insensibile.

 

-Yamanbagiri!- dissi preoccupato irrompendo nella stanza senza pensarci, facendolo così sobbalzare.

 

-Che ci fai qui brutto impiccione!- urlò a gran voce asciugandosi velocemente le lacrime.

 

Si alzò di scatto venendomi incontro, afferrandomi dall'orlo del vestito e spingendomi violentemente fuori dalla porta.

 

-Aspetta voglio solo sapere che succede!- dissi protendendo una mano verso di lui.

 

-Non sono affari tuoi!- gridò furente per poi mollarmi un forte calcio nelle costole facendomi accasciare per il dolore.

 

-Devi stare fuori dalla mia vita hai capito?! Vattene! Non voglio mai più vederti qui!- gridò chiudendosi poi la porta alle spalle con rabbia.

 

Io trattenni le lacrime ferito, non volevo piangere, ero grande per farlo, ma davvero non capivo cosa avessi fatto di male per ricevere un simile trattamento.

 

Sapevo di essere un impiccione ai suoi occhi, che gli piaceva ferirmi e tutto il resto ma stavolta era stato diverso.

 

C'era stato qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che non avevo mai notato prima.

 

Umiliazione, ecco cos'era.

 

Si era forse arrabbiato perché l'avevo visto piangere? Molto probabilmente era per quello.

 

Mi alzai tremante e tirai su col naso trattenendo le lacrime che minacciavano di sgorgare copiosamente da un momento all'altro.

 

Non volevo vederlo così, lui era il mio eroe, il mio modello, odiavo vederlo così distrutto.

 

Mi allontanai barcollando, tenendomi il torace dolorante e ripetendomi che in fondo me l'ero meritato.

 

Non era così che avrei aiutato Yamanbagiri, lui il mio aiuto non lo voleva, non voleva l'aiuto di nessuno.

 

Raggiunsi i miei compagni ancora raccolti in adorazione e mi assicurai che nessuno si fosse accorto della mia breve assenza.

 

Sospirai e imitai i loro gesti cercando di non far trasparire il mio turbamento.

 

Ma non potevo cancellare dalla mia mente i suoi occhi arrossati e affranti, quel tono rotto, distrutto.

 

Da quel giorno Yamanbagiri uscì dalla sua stanza solo una volta.

 

Il ciliegio era in fiore e come ogni anno era arrivato il periodo in cui appendevamo ai rami i bigliettini contenti i nostri desideri.

 

C'era grande fermento in giardino, come sempre gli istruttori stavano spaparanzati a vederci decorare con passione il rinfresco mentre alcuni di noi già appendevano il proprio desiderio sui rami in fiore.

 

Yamanbagiri se ne stava all'ombra sorseggiando del the caldo, ignorando il chiasso attorno a lui.

 

Fu strano vederlo fuori dalla sua stanza ma questo mi rincuorò, saperlo così triste mi spezzava il cuore.

 

Senza dire nulla mi accovacciai accanto a lui e gli porsi un bigliettino con del carboncino per scriverci il proprio desiderio.

 

-Tieni, appendiamolo insieme- gli proposi per poi ricevere un brusco "scordatelo" da parte sua.

 

-Il mio è già pronto- mormorai stringendolo fra le mani imbarazzato -se vuoi te lo appendo io! Devi solo scriverci quello che vuoi si realizzi- spiegai e lui sbuffò infastidito.

 

-Se lo faccio ti toglierai dai piedi?- domandò scocciato ed io annuii sorridente.

 

Sospirò deglutendo per poi scrivere lungo il pezzettino di carta che gli avevo dato.

 

-Ecco. Ora sparisci- disse porgendomelo.

 

Io lo afferrai subito e con curiosità lo lessi senza pensarci.

 

"Voglio che i miei compagni siano fieri di me" recitava il suo bigliettino.

 

-Hey! Chi ti ha dato il permesso di leggerlo!- si lamentò lui per poi spingermi contro il tronco dell'albero schiacciandomi i polsi sul capo.

 

-Ridammelo- si lamentò afferrando per sbaglio il mio bigliettino.

 

Arrossii cercando subito di riprenderlo ma ormai era troppo tardi, lui l'aveva letto.

 

"Voglio che Yamanbagiri sorrida" era il mio desiderio.

 

Abbassai lo sguardo imbarazzato e lui deglutì scosso per poi stropicciare il foglietto e andarsene arrabbiato davanti allo sguardo incuriosito dei nostri compagni.

 

-È tutto a posto?!- domandarono i miei fratelli preoccupati -giuro che se non la smette con quell'atteggiamento gliela farò pagare!- disse arrabbiato Souza ma Kousetsu lo fermò.

 

-Sai perché fa così, lascialo sbollire- disse solamente, facendolo sbuffare.

 

Improvvisamente sentii le mie mani fremere.

 

I miei fratelli sapevano cosa gli era successo, sapevano del motivo che scatenava la sua tristezza.

 

Dovevo assolutamente saperlo, a tutti i così.

 

È così, quella stessa sera, mentre i miei fratelloni mi accarezzavano le guance per mettermi a letto glielo domandai.

 

-C'è qualcosa che turba Yamanbagiri vero?- chiesi ad entrambi facendoli rimanere sorpresi.

 

-Non devi preoccuparti piccolino, è solo lunatico tu non hai fatto nulla di male- mi tranquillizzò il maggiore.

 

-Ma cosa gli è successo? Perché è così triste?- chiesi e lui sospirò mentre Souza scuoteva la testa.

 

-Diglielo, che vuoi che sia- mormorò ma Kousetsu scosse il capo.

 

-Non posso umiliare un mio compagno- disse contrario è così Souza sbuffò contrariato.

 

-Vi prego voglio saperlo! Io voglio solo che lui sia felice!- spiegai quasi con le lacrime agli occhi.

 

-Ma non puoi aiutarlo Sayo, nessuno può. È qualcosa che deve superare da solo- spiegò per poi baciarmi la fronte.

 

-Adesso dormi, domani riprendono gli allenamenti- sussurrò andando a spegnere la luce.

 

La mia curiosità però era al limite.

 

Adesso sapevo che c'era qualcosa che tormentava il mio compagno e non potevo rimanere indifferente al suo dolore.

 

Aspettati che i miei fratelli si fossero addormentati dopodiché mi alzai in silenzio e uscii fino a raggiungere l'esterno per poi ritrovarmi lungo la fiancata orientale dove si trovava il dormitorio di Yamanbagiri.

 

La sua porta era socchiusa e con massima discrezione sbirciai all'interno individuando la sua figura inginocchiata per terra mentre si spalmava sul dorso e sulle braccia uno strano olio.

 

Il busto era fasciato e ogni tanto lo sentivo lasciarsi scappare dei versi di dolore mentre si massaggiava lungo la fasciatura.

 

Arrossii osservando la sua schiena scolpita e desiderai poterlo abbracciare, fargli sentire che poteva sempre contare sul mio affetto.

 

Preso da quei pensieri non mi resi conto di essermi appoggiato troppo alla porta e da un momento all'altro mi ritrovai per terra davanti al sul sguardo sconvolto.

 

-Ancora qui?! Ma sei impazzito per caso, ti ho detto di lasciarmi in pace!- disse rabbioso, pronto a tirarmi uno schiaffo.

 

-Aspetta!- lo supplicai proteggendomi il viso spaventato -ti prego aspetta volevo solo parlarti!- mormorai facendolo esitare.

 

-Va fuori di qui subito prima che cambi idea e ti faccia pentire di essere venuto- mi minacciò.

 

-Ma io- provai a dire facendolo arrabbiare di più.

 

-Ho detto fuori!- urlò spaventandomi, così mi alzai tremante ed uscii lentamente dalla stanza.

 

-Aspetta- disse prima che fossi andato via, facendomi rimanere come pietrificato sulla porta.

 

-Perché hai scritto quella cosa oggi sul bigliettino...perché io?- domandò ed io deglutii profondamente imbarazzato.

 

-Io n-non lo so, volevo solo, ecco...scusa- blaterai rosso in viso.

 

-Sono così patetico, vero? Solo un miracolo potrebbe salvarmi- disse arrabbiato, lasciandomi sconvolto.

 

-Ma di cosa parli Yamanbagiri tu sei fortissimo, sei uno dei più bravi- provai a dire ma lui mi interruppe.

 

-Oh andiamo! Vuoi dire che non sai di come ho umiliato i miei compagni in battaglia?! Vuoi dire che non sai del modo misero in cui sono stato sconfitto?!- disse sul punto di piangere.

 

-Ecco in realtà no..era questo che Kousetsu non voleva dirmi allora- mormorai guadagnandomi da parte sua uno sguardo di stupore.

 

-Lui non voleva dirtelo?- domandò tremante ed io annuii -non voleva umiliarti- spiegai.

 

-Sono proprio un fallito- sospirò accasciandosi per terra ormai in lacrime.

 

-Tuo fratello non era stato scelto per questa missione, ne aveva terminata una da poco ed era a riposo. Ma durante uno scontro io sono stato ferito e hanno dovuto chiamarlo con urgenza per sostituirmi. Per tutta la durata della spedizione sono stato un peso e tuo fatello ha dovuto combattere al posto mio nonostante non fosse nel pieno delle forze. Sono un disastro- disse sfinito tenendosi il viso fra le mani.

 

-Che stai dicendo non è vero! Queste cose possono capitare, è a questo che servono i compagni!- dissi accarezzandogli la schiena ma lui mi spinse via con forza guardandomi con rabbia.

 

-No Sayo smettila di dire stupidaggini! Perché ti ostini a voler stare con me, sono un perdente!- urlò in preda al pianto.

 

-Tu non sei un perdente, tu sei un grande combattente ed io ti ammiro davvero tanto!- ribattei.

 

-Basta con queste sviolinate io non ti sopporto! Fuori di qui!- urlo prendendomi per un lembo e buttandomi fuori dalla porta violentemente.

 

-Aspetta Yamanbagiri devi credermi!- dissi sbattendo contro la porta, ma senza risultato.

 

-Vattene!- sentii gridare solamente.

 

Sconfortato me ne tornai nella mia stanza, continuando a rimuginare sul racconto di Yamanbagiri.

 

Quindi era questo il motivo della sua tristezza, sentiva di aver deluso i suoi compagni.

 

Era per questo che non aveva partecipato alla cerimonia, sentiva di non meritare la benedizione delle spade.

 

Così ebbi un idea.

 

Andai a letto riflettendo bene su quello che avrei dovuto fare l'indomani e con quel piano in mente provai ad addormentarmi.

 

Gli avrei fatto tornare il sorriso.

 

****

 

Yamanbagiri era sotto il ciliegio in fiore, come pensavo.

 

Quella mattina durante la sua assenza mi ero intrufolato nella sua stanza per prendere la sua katana  e con l'aiuto dei miei fratelli avevo raggiunto il tempio per benedirla.

 

Inizialmente loro erano contrari perché temevano una sua reazione brusca ma fortunatamente ero riuscito a convincerli e così avevano acconsentito ad aiutarmi.

 

Riuscire a trovarlo però era stata un'impresa ardua, non sapevo mai dove andava a cacciarsi.

 

Lo raggiunsi sotto il ciliegio e appoggiai la sua spada affianco a lui facendolo rimanere di sasso.

 

-Chi ti ha dato il permesso di prenderla! Quando sei entrato nella mia stanza!-Urlò furioso.

 

-Io e i miei fratelli l'abbiamo portata al tempio e- provai a dire ma lui lanciò un urlo di rabbia e in un impeto mi scaraventò per terra bloccandomi i polsi sulla testa.

 

-Devi smetterla di impicciarti nei fatti miei hai capito! Adesso hai coinvolto anche i tuoi fratelli ma vuoi smetterla?!- mi urlò fuori di sé.

 

-Devi stare fuori dalla mia vita!- disse afferrandomi le spalle.

 

Lo guardai negli occhi tremante, lui era profondamente arrabbiato, i suoi occhi color del cielo erano arrossati come il resto del suo viso furente.

 

Avrei dovuto essere spaventato ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare in quel momento era che lo trovavo davvero bellissimo.

 

-Ma perché non vuoi accettare il mio aiuto, io voglio solo che tu sia felice!- dissi in mia difesa.

 

-Io non lo voglio il tuo aiuto!- mi urlò in faccia digrignando i denti ad un centimetro dal mio naso.

 

Inizialmente lo guardai con rabbia ma dopo qualche secondo notai le sue sopracciglia rilassarsi e i suoi occhi fissarmi incantati.

 

Lo sentii deglutire dopodiché si allontanò come risvegliato da un sogno e mi sferrò un pugno in pieno viso.

 

-Così impari a farti gli affari tuoi- disse alzandosi di scatto ed allontanandosi con la sua katana fra le mani.

 

Mi toccai il labbro spaccato dal quale stava cominciando ad uscire del sangue e presi a fissare il cielo sentendo il mio cuore battere all'impazzata.

 

Cos'era quella sensazione che avevo provato poco prima? 

 

Stare così vicino a Yamanbagiri mi aveva fatto andare il cervello in tilt ed io mio cuore non faceva che martellare contro il petto come un pazzo.

 

Mi aveva dato un pugno ma per me era stato come ricevere un bacio. 

 

Arrossii a quel pensiero e restai sul prato a contemplare le nuvole sparse in cielo.

 

C'era qualcosa che continuava a tormentare la mia mente riguardo a quanto era successo. Per un secondo lo sguardo di Yamanbagiri mi era sembrato diverso, quasi amorevole.

 

Ma forse lo avevo solo immaginato.

 

Chiusi gli occhi e sospirai mentre mi mordevo il labbro rotto e sorridevo.

 

Mi sentivo davvero felice.

 

 

 

***

 

 

L'indomani mattina dopo la colazione mi recai nell'ala orientale con del the per Yamanbagiri. A tavola non l'avevo visto e, a meno che non stesse ancora dormendo, aveva volutamente saltato la colazione.

 

Mi stupii di trovare la sua porta chiusa a chiave e così con il suo the fra le mani mi diressi dal sensei al quale domandai se sapesse dove fosse andato a cacciarsi il mio compagno.

 

-Sei molto gentile a preoccuparti per lui Sayo ma vedi, Yamanbagiri non è più lo stesso da quando è tornato dall'ultima missione. Ha deciso di lasciare il castello per intraprendere un viaggio da solo, ha bisogno di ritrovare se stesso per un po'- spiegò lasciandomi pietrificato.

 

-Ma come è possibile, perché glielo avete permesso! Lui è un nostro compagno, deve allenarsi con noi e insegnare ai più piccoli come combattere! Non può andarsene!- dissi sul punto di scoppiare a piangere.

 

-Sei davvero un bravo compagno Sayo- disse lui sorridente -ma devi lasciare il proprio spazio ad ognuno dei tuoi amici se tieni veramente a loro- spiegò.

 

Ma cosa voleva dire tutto ciò? Come poteva Yamanbagiri ritrovare se stesso rimanendo solo e in che modo lasciarglielo fare avrebbe significato da parte mia tenere a lui?

 

Mi ponevo parecchie domande mentre singhiozzavo davanti alla sua porta con il viso fra le mani.

 

Non poteva davvero averci lasciati, non dopo così tanti anni insieme.

 

Mi morsi il labbro spaccato facendolo sanguinare.

 

Quella ferita era tutto ciò che mi rimaneva di lui e non volevo che guarisse per nessun motivo al mondo.

 

-Sayo...- sentii mormorare dall'alto dopo qualche minuto.

 

Alzai lo sguardo e per poco non persi il fiato quando realizzai che Yamanbagiri era davanti a me.

 

-Ma allora sei qui!- urlai -non sei partito!-

 

-Ho solo dimenticato una cosa. Sto per andare- spiegò imbarazzato grattandosi il collo.

 

Era la prima volta che lo vedevo così, quasi non sembrava lui.

 

-Perché stai piangendo? Che succede?- domandò, così mi misi in piedi tirando su col naso.

 

-I-io non voglio che tu parta! Ti prego resta con noi, noi siamo fieri di te e non hai motivo di- provai a dire ma lui mi mise una mano sulla bocca tentando di farmi stare zitto.

 

-Lo so, me l'hanno ripetuto tutti fino allo sfinimento- disse ritirando poi la sua mano. 

 

-Allora non partire! Noi abbiamo bisogno di te!- mormorai facendolo sospirare.

 

-Devo farlo Sayo, ho bisogno di questo viaggio e tu devi lasciarmi andare. Io non sono come voi, io sono più debole, in fondo l'ho sempre saputo. Voglio diventare un vero samurai e allora, quando sarò abbastanza forte tornerò e combatterò assieme a voi- disse con convinzione.

 

-Ma non puoi andartene ti prego Yamanbagiri io- dissi afferrandolo per il mantello -i-io- provai a dire guardandolo con gli occhi pieni di lacrime.

 

-Devo andare Sayo lasciami adesso- disse staccando le mie mani da se ed allontanandosi

 

-Quindi non ti importa nulla di me?- domandai tremante, sentivo il cuore in pezzi.

 

-So di essere stato un impiccione, di averti dato sempre fastidio, di aver detto sempre cose inappropriate ma speravo di contare almeno un pochino per te- singhiozzai facendolo bloccare per poi voltarsi di corsa contro di me.

 

Mi venne incontro e deglutendo mi abbracciò teneramente stringendo la mia testa sul suo petto.

 

-Ci tengo tantissimo a te moccioso. Ma non posso permettere che tu abbia dei modelli così deboli, non adesso che stai crescendo per diventare un guerriero. Allenati tanto e diventa forte come i tuoi fratelli- mi disse in un sussurro mentre io piangevo sul suo petto.

 

Alzai lo sguardo verso il suo viso e lo guardai singhiozzando, perché doveva abbracciarmi solo adesso, solo ora che dovevamo separarci?

 

-Lasciami venire con te- mormorai in lacrime facendolo ridacchiare.

 

-Sei ancora così piccolo, non dureresti un giorno fuori dall'accademia- disse abbozzando un sorriso.

 

Mi scompigliò i capelli e fece per staccarsi ma io non glielo permisi.

 

-Promettimi che tornerai- lo supplicai deglutendo.

 

-Lo prometto. Combatteremo insieme Sayo, lo giuro- mi rassicurò.

 

-Lasciami almeno qualcosa di tuo come pegno della tua promessa - lo pregai.

 

Lui si morse il labbro e mi guardò dritto negli occhi.

 

Mi prese il mento e mi lasciò un dolce e leggero bacio sulle labbra.

 

-Questo può bastare?- mi soffiò sulla bocca mentre mi accarezzava il punto spaccato.

 

Io arrossii profondamente e lo sentii staccarsi da me con un sorriso mentre si allontanava.

 

Mi toccai le labbra ancora umide e lo osservai allontanarsi.

 

-Aspetta! Per quanto tempo dovrò aspettarti?!- gridai correndogli dietro.

 

-Tornerò prima della prossima fioritura, lo prometto!- mi sorrise per poi scomparire lentamente all'orizzonte sotto il sole di aprile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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