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Autore: MadLucy    08/08/2018    2 recensioni
Ermione, figlia di Elena e Menelao, non partecipa direttamente a nessuna delle leggendarie vicende della guerra di Troia. Ma osserva. È testimone della vita che vivevano le mogli e figlie greche durante i dieci anni e gli anni dei nòstoi, assiste allo svolgersi della saga degli Atridi fino alla sua conclusione. La sua vita dipende sempre dalle azioni degli altri. L'abbandono da parte di sua madre, le strategie politiche della sua patria, il matrimonio con uomini sanguinari. Ma i suoi pensieri erano solo suoi, e mi sono permessa di dare loro voce.
"In fondo si assomigliavano tutti, i figli del dopoguerra. I cocci, i rimasugli degli eroi. Schiacciati dai loro nomi. Preceduti dalle leggende dei loro genitori.
Se il figlio di Achille faceva strage di nemici, perchè mai la figlia di Elena non avrebbe dovuto ammaliare, perchè il figlio di Odisseo non avrebbe dovuto sciogliere veleno nelle coppe?"
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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L'angolo a cui avevi sempre dato le spalle. L'altare ripulito, che da bambina acconsentivi a credere che non fosse mai stato sporcato. Per non soffrire, per proteggerti.
Frena le lacrime, Ermione. Mantieni la compostezza che ti si addice. Non è il primo morto che si para sulla tua strada. Era un sibilo basso, senza rabbia, solo un suono acuto nell'anello di tenebre che ti circondava, la striscia di terriccio in cui il mondo si era ammassato. Non piangere.
Singhiozzasti più forte, impugnata la stoffa, tu appesa. Era più di un pianto. Era la verità. Ti sbracciavi nella verità come una profetessa, davanti ai profani. 
Placati, placati.
La furia si affievoliva in stanchezza, espettoravi mite e imperturbata. Conscia che sarebbe passata e avresti fatto qualcosa di orribile, cioè permettere che niente fosse cambiato.

~ • ~

Eri felice di essere a Micene. Avevi due cugine vicine alla tua età lì. Cugine di madre e di padre. A Sparta, niente del genere. Figlie di schiave, bambine troppo diverse, troppo intimidite o rancorose, già imbruttite dalla loro condizione. Crisotemi, quasi minuscola, più giovane di te, che guardava sempre i propri sandali di cedro. Ifigenia, la maggiore, che sapeva già lavorare al fuso come un'adulta, un'ala di capelli corvini e morbidissimi, che si divertiva a signoreggiare ma quando ti sorrideva era molto bella. E Elettra. Eravate andate subito d'accordo. Vi misero a dormire in camera insieme. Dopo tre giorni, lei ti aveva già fatto tenere in braccio la sua bambola più bella, quella con il copricapo di pietre preziose di Lesbo, e tu le avevi già insegnato che rincorrere le lucertole era divertente. Le balie ti fulminavano con lo sguardo. Ti fecero smettere di correre e ti diedero un arcolaio. Non ti dispiacque tanto, ma così i pensieri diventavano molto più brulicanti e fervidi. Non potersi sfogare con il corpo faceva sbocciare la mente. 
Ignoravate il fermento degli adulti. Il giorno della partenza dell'esercito, subito dopo il tuo arrivo, fu maestoso. I cittadini intorno alle mura che inneggiavano, disciplinati come i commilitoni. Era una festa, c'era la frutta, il sole. Tuo padre si guardava intorno inquieto come un topo in una casa di gatti. Tuo zio Agamennone era serafico, invece, pericolosamente calmo, come a dire tutto sotto controllo, adesso ci penso io. Lo avevi visto di rado, prima di arrivare a Micene. Barba nera, ispida, occhi azzurri che spuntavano dalla pelle scuro di cuoio come tagli. Affilati, penetranti. Braccia forti, abbronzate, da giovane. A cena gli bastava pochissimo vino per urlare, sbracciarsi. Quando ti sfiorava con lo sguardo, ti sentivi sempre in dovere di raddrizzare la schiena, di apparire composta, dignitosa. Era un re in un senso in cui tuo padre non lo sarebbe mai stato. Lui era sul cavallo più grande quando partirono. Tu eri in mezzo alle donne, alla regina Clitemnestra, con in braccio l'erede maschio da poco partorito, e alle tue tre cugine: Ifigenia che imitava le donne grandi e faceva una faccia lunga e seria ma fatalisticamente consapevole dell'importanza dell'evento, Crisotemi che mangiava uva e aveva appena smesso di piangere, e Elettra che saltava insieme a te e urlava viva gli Atridi, viva la Grecia! A quel tempo le tue tre quasi coetanee erano molto più interessanti da osservare, ma in futuro avresti cercato di ricordare l'atteggiamento di Clitemnestra, una spettatrice decisamente più insigne. Lei non era cupa nè esultante. Respirava ferrea sotto i veli della sua acconciatura. Sapeva come occuparsi di una reggia in solitudine, le piaceva amministrare gli affari per conto proprio. Non aveva paura. Però bruciava di fastidio per il disonore che sua sorella aveva arrecato alla vostra genia. Elena, tua madre. Elettra te lo chiese, qualche giorno più tardi: ho sentito un soldato dire che tua mamma è una puttana dei troiani. Tu non avevi saputo cosa rispondere. Non sapevi bene cosa fosse una puttana, ma era un brutto insulto. Quasi ti dispiaceva offendere quella povera testa vuota di Elena, come si ha sempre dispiacere nel prendersi gioco di qualcuno di più debole e ingenuo, ma non eri in grado di difenderla. Elena era scomparsa -non veniva più a farsi perdonare intromettendosi nei tuoi giochi di sabbia solitari- e con lei la tua vita regolare. Ancora niente era chiaro. Ci sarebbe voluto del tempo. O forse non lo sarebbe mai stato davvero. Ma non eri così sconcertata da tutto questo. Elena spariva sempre. Essere intermittente era la sua caratteristica principale. Tornerà, pensavi, ma non lo dicevi ad alta voce. Doveva venire lei a difendersi da sola. 
Intanto a Micene tutto era allettante. L'ingresso del palazzo in salita, con la porta dei leoni. Il mercato sporco e chiassoso di oggetti esotici scaricati da navi che ormeggiavano in porti di ogni angolo del mondo, dove i bambini potevano girare liberamente nonostante fosse pieno di lestofanti, e persino tu e Elettra, se accompagnate da Arsinoe, la nutrice, ci andavate, seppur con la raccomandazione di non infilarsi nei vicoli. Il tempio in porfido rosso dedicato a Zeus, più grande di qualsiasi altro aveste a Sparta. Clitemnestra, questa zia tutta nuova, che ti trattava con dolcezza, ti accarezzava i capelli ricci e diceva tu non hai colpa, bambina, dei reati di tua madre, non dimenticarlo mai, e ti lasciava tenere tra le braccia, sotto la supervisione sua o della sua balia, il piccolo Oreste, nato quella primavera, che aveva la faccia di un animaletto schiacciato e pochi capelli, neri come il carbone, come suo padre. Ti viene da ridere, vero? a spiare quella scena nei tuoi ricordi oggi, perchè un giorno avresti stretto al seno suo figlio come allora stringevi lui. Eri troppo piccola per immaginare cose del genere. Cullarlo e guardare le sue facce era molto divertente. Micene era bellissima. 
Per venti giorni, era stato bellissimo. 
Giunse una missiva. Ifigenia deve sposare Achille. Lei ringalluzzì. Divenne quasi insopportabile. Non faceva che vantarsi. Achille, figlio di una nereide, educato da Chirone. L'uomo che avrebbe fatto cadere Troia. Ifigenia veniva servita e riverita come la regina illustre che si preparava a diventare: ogni ancella aveva per lei una premura, un unguento, un consiglio sussurrato all'orecchio. Tu e Elettra osservavate tutto ciò con un misto di meraviglia e condiscendenza. Non eravate ancora abbastanza grandi per invidiarla. Non capivate la vanità che la spingeva a controllare che i suoi boccoli ricadessero rotondi sulle spalle simmetricamente, a regolare con oculatezza la lunghezza del suo chitone. Clitemnestra si dava un gran daffare, brontolava per lo scarso preavviso. Il prima possibile, diceva il messaggero. L'alba della partenza, Ifigenia salì sulla carrozza di stoffe pregiate con il velo che la ammantava a cascata e la chioma inghirlandata di mirto, rivolgendovi un ultimo sorriso, affrettato, urgente, il prima possibile. «A presto, sorelle, a presto, Ermione: tornerò con il figlio di Achille.»
Achille avrebbe avuto un solo figlio, e non fu partorito da Ifigenia. Ifigenia non partorì nessuno. Proprio come Elena, sparì. Ma tu rivedesti Elena. Invece quella fu l'ultima volta che vedesti Ifigenia. 
Clitemnestra tornò sola, senza la figlia maggiore. Piombò il silenzio a Micene. Non osavi chiedere niente. Un mattino trovasti Elettra ombrosa, di cattivo umore, e capisti che sapeva qualcosa. Non chiedesti niente. Non volevi sapere. Avevi capito che i discorsi tristi degli adulti erano qualcosa da evitare. Non ascoltavi niente su tua madre, nè su Ifigenia. Accettasti con filosofia che prima c'erano, e adesso non più. Erano via, come tutti gli altri erano via. Tuo padre, tuo zio. Ma la vita a Micene cambiò. Crisotemi non sapeva nulla, come te, ma nel dubbio imitava sua madre: gravitava mesta intorno alle sue stanze, sempre chiuse, e in sua presenza piangeva, ignara del motivo. Elettra rimase afflitta per qualche giorno, poi dimenticò e riprese a giocare. Eravate piccole. Vi era concesso passare oltre alle disgrazie come alle sbucciature, alle punture d'ape. Qualche tempo dopo, quando delle schiave ti raccontarono la storia per filo e per segno, riflettesti. Le persone potevano essere risucchiate dal gorgo divino dei sacrifici come le vacche, le capre. La stessa figlia che, se qualcuno avesse schiaffeggiato, sarebbe stata da Agamennone giustiziata all'istante; quella stessa figlia era stata giustiziata. Le fanciulle erano giovenche, bianche, morbide, gonfie di sangue. Potevi accettarlo, e restare nell'equilibrio folle di quella realtà, o crollare nella follia. Il mondo aveva pianto Ifigenia, ma nessuno aveva provato ad impedire la sua morte. Tutti avevano davvero creduto che fosse l'unica, anche se sofferta, cosa da fare. Gli occhi che la compiangevano l'avevano seguita mentre scivolava nell'Ade. E questo, se possibile, era più spaventoso del coltello che era calato sulla sua gola. 
La vita era cambiata, ma continuò anche senza Ifigenia. Oreste imparava a camminare sulle gambette, incerto come un agnello. Clitemnestra era sempre al di fuori della portata dei vostri sguardi, mentre tu e Elettra ricevate le cure di Laodamia e Gilissa, fidate nutrici. Inventavate storie bellissime sulla guerra, sulle imprese di cui cominciavate a sentire voci. Impersonavate le donne che parlavano dei grandi guerrieri, nelle tende dell'accampamento acheo. Vi divertivate a spararle sempre più grosse. Mio marito Diomede ha colpito sul ginocchio la dea Afrodite! Mio marito Idomeneo ha ferito Ares stesso sul polpaccio sinistro! Tra i bambini si diffondeva l'insulto troiano. Un giorno, ad una delle rare cene a cui partecipò con voi, Clitemnestra lo udì uscire dalle labbra di Elettra. Impallidì. Disse: queste non sono faccende per voi. Da allora vi guardaste bene dal farvi sorprendere di nuovo.
Egisto arrivò da un giorno all'altro. L'orchestrazione dietro alla sua presenza doveva essere ben più antica, ma voi non potevate esserne al corrente. Un uomo dalle maniere cortesi, che cercò di incantarvi con un baule di seta e perle in dono. A te suscitava appena un sentore di diffidenza -dov'era Agamennone? perchè non era tornato lui al suo posto? Un uomo di potere nel palazzo di un re assente era qualcosa che metteva all'erta persino una bambina di dieci anni. Elettra lo odiava. Forse perchè ogni volta che lo vedevate era in presenza di Clitemnestra, a parlare con lei, a toccarle il braccio. La servitù bisbigliava come un nido di serpenti, irrequieto, persistente. Lo stesso che diceva Elena, la troia, Ifigenia, morta così giovane, ora diceva Egisto, nato dallo stupro di un padre ai danni della figlia, assassino dello zio. Quello zio era il padre di Agamennone e Menelao, il che faceva di Egisto il cugino del re di cui era venuto ad usurpare la reggia. L'ennesima cosa che non potevi sapere. Elettra divenne un'altra. Non riusciva a distrarsi con i giochi, con le recite. Quando intrecciavate le gambe insieme nello stesso letto, chiudeva la porta della camera con una grossa trave. Troppo grossa per la camera di una bambina. Le chiedevi perchè, rispondeva Egisto mi fa paura. Lo sognava anche di notte. Lo sognava mentre uccideva Oreste. Era diventata protettiva con lui. Da quando Clitemnestra aveva cominciato a lasciarlo con Arsinoe, insisteva sempre per occuparsene lei. Non toccarlo, non toccarlo piangeva nel sonno. Eri in pena per Elettra. Era la tua migliore amica. Non ti piaceva vederla triste. Crisotemi invece aveva accettato di buon grado seta e perle. Accettava tutto quello che era bello e consegnato con bei modi. Si lasciava accarezzare come un cucciolo, docile. Crisotemi. Era una bambina dolce. Troppo per i genitori che aveva. Un giorno Egisto si rivolse proprio a te. Clitemnestra disse chi eri, e lui inclinò la testa, sorrise. Spero che nella vita mi sarai più amica di quanto lo fu tuo nonno Tindaro. Da quel momento, avesti paura anche tu di lui. 
Il giorno della nascita di Alete non assomigliava al giorno della nascita di Oreste, avvenuta pochi anni prima. Nessun re portò doni. Nessun messaggio di congratulazione giunse dalle grandi città. Erano tutti in guerra, nessuno aveva avuto modo di accorgersi che a Micene la regina aveva partorito un illegittimo. Questo lo sapevi tu, e lo sapeva Elettra. Elettra che fremeva di rabbia. Che dovevi trattenere perchè non distruggesse i vasi della vostra camera. Oreste assisteva alla sua furia con i suoi grandi occhi gelati, gli occhi invernali di Agamennone. Elettra aveva il terrore che lui, così piccolo, non trattenesse le sue origini nella mente. Tuo padre è il re dei re, diceva, quello dabbasso è l'ultimo dei miserabili. Oreste ti ripeteva quelle parole con gioia e convinzione. Per lui era tutto un gioco, quando per voi aveva appena smesso di esserlo. Adesso anche tu, quando Elettra se ne scordava, facevi caso che il chiavistello fosse saldo alla porta. Egisto aveva portato i suoi soldati nel palazzo. Sottovoce, di notte, parlavate di cosa sarebbe successo se Agamennone fosse deceduto in battaglia. Egisto aveva un figlio adesso. Il neonato che sentivate strillare ogni notte, molesto, pieno di fiato. Clitemnestra aveva un nuovo bambino che non le ricordava i tratti del marito che le aveva strappato Ifigenia. Avrebbe difeso voi due? Ma soprattutto, avrebbe difeso Oreste? Due fanciulle filano e non danno tedio, un successore di diritto può risultare più scomodo. Tua madre in particolare, tra tutte le madri, non farebbe mai del male a un frutto del suo ventre, ribattevi tu, sconvolta dalla violenza della sola idea. Mia madre ha perso il senno, mormorava Elettra. Accarezzava la testa del fratello, piangeva. Dobbiamo portarlo via, dobbiamo salvarlo, Ermione. Tu le dicevi ricordati chi siamo, cugina. Eravate donne, no -eravate ragazzine. I condottieri che avevano giurato fedeltà ad Agamennone erano a combattere a Troia. Tu guardavi la notte, la strada polverosa e scoscesa fuori dal palazzo, che conduceva nel mondo spalancato, selvaggio, e immaginavi con un brivido tu e Elettra vagare con Oreste per mano. Non sei mai stata audace, ma non eri nemmeno stupida. Aspettiamo. La guerra finirà, i nostri padri vivranno. E Elettra aspettava, ma soffriva. Ascoltavate i resoconti di guerra con il cuore in mano. Non capivate niente, non ricordavate nemmeno quali guerrieri fossero dalla vostra e quali troiani. Ma in definitiva non accadeva nulla. Vi venne il ciclo mestruale nello stesso periodo. Era quasi un simbolo della battaglia silenziosa e indiretta che stavate combattendo insieme. Rimaneste a dormire nello stesso letto, le mani strette, la testa soffice di Oreste tra voi quando in sala da pranzo si beveva troppo vino. Li sentivate ridere sguaiati, come iene, e pensavate agli uomini che avrebbero dovuto lacerare quelle risa, e invece erano oltre il mare. La guerra doveva finire, presto. E invece durò altri sei anni. 

~ • ~

A volte ci ripensi. È come un affresco miniato su un vaso di creta, arrotolato tutto intorno alla circonferenza, snodato, immobile e definito, con luci, ombre, linee. Non conta a che punto sia la tua consapevolezza, se solo a qualche tocco di pennello o se negli ultimi sprazzi del termine. Ti stacchi dalla polpa pastosa del tempo, fai un passo indietro per vedere il complesso nella sua interezza. Sei uscita, non sei più un personaggio, assisti, esamini. Giudichi. È una storia. Con i suoi momenti morti, le sue brutture. I suoi colori. Nell'insieme, un piano piuttosto ragionevole. Di fortune sfacciate non brulica. Il caos si è disseminato a piccole dosi nei posti giusti, ha attraversato il tuo cielo come un meteorite che colpisce il pianeta accanto. Non ha esagerato, nessuno si è accanito a darti troppo o troppo poco. L'ha dipinta un dio, questa storia? 
Nessuno aveva espiato nulla, un verdetto banale. 

~ • ~

Elena era sulla bocca di tutti, ogni serva, ogni piantone, ogni grida rauca di Egisto sotto l'ebbrezza del vino. Tu eri quella che avresti dovuto saperne più degli altri. Elena era sotto la tua pelle. Nessuno ti faceva domande, ma se le avessero fatte le tue risposte sarebbero state deludenti. 
Sparta. I suoi ulivi neri, bassi, ritorti, nodosi, il fianco azzurro delle sue montagne lunghe, sempre velate di nebbia. Le cene di maza e kikcon, nella grande sala di pietra grigia. Tuo nonno Tindaro e tua nonna Leda, che tutti temevano tranne te, presa sulla ginocchia, viziata. I tuoi pepli rosa, corti come a Micene non potevi più tenerli. I capelli tagliati sempre all'altezza del mento, schiariti dal sole battente. Se c'è una cosa che tu e tua madre avete in comune è che Sparta non significò niente, non fu mai la vostra patria. Un posto sicuro da qualche parte, lontano, mai lì dov'eravate voi. Mai saldo sotto i piedi. Sparta. Uno stagno con un dito di acqua inverdita, nel quale sguazzavi con le piante dei piedi sulla melma molle e sdrucciolevole. Procleia, la tua nutrice, quella che ti aveva allattato al posto di Elena.
Elena di Sparta era malata, si pensò quando nacque. Presto abbandonata la condizione di neonata comune a tutte, hanno iniziato a spuntarle sulla testa quei capelli, come soffioni in primavera, a profusione, quasi candidi. E allora Leda l'aveva intrattenuta fra i tendaggi a crescere, vietandole l'attività fisica, lo studio, la fatica; e lei era cresciuta bianca come una focaccia, senza aver mai sudato nemmeno per il caldo. Con la candela votiva tra le mani, al tempio di Apollo, era irreale e irriproducibile come un riverbero di luce. Questo è quello che ti è stato raccontato, che è molto più chiaro di quanto tu abbia appreso vivendo con lei.
Chi è la Elena che tu ricordi?
È una ragazza amichevole che a volte, passeggiando in giardino, si ferma e si accovaccia per vedere che fai. Ride deliziata dalle pappe di sassi, come se ci credesse, più di partecipazione che di tenerezza. Forse non vedeva neanche te, vedeva solo le illusioni. Una bambina anche lei. Positiva e saltuaria, come una festa. Ma necessaria?
Non puoi smentire o confermare niente più degli altri, ma sei sempre stata convinta che non fosse una troia. Che non fosse mai andata con nessuno, prima della fuga. Non riteneva gli uomini all'altezza delle propri fantasie. Immaginava amori irresistibili, sentimenti fragorosi, eroi tutti fascino e eroismo, e si nutriva insaziata di quelli. Ogni tanto le piaceva recitare che Menelao fosse quell'amante, e allora ai banchetti metteva la mano sulla sua, gli si sedeva in braccio, filava virtuosa. Altre volte, la sua delusione era così palese da risultare comica. L'idea di essersi sposata senza amore, come gesto di sacrificio per obbedienza verso il padre, e di partorire figli per il bene del regno, anche questo la esaltava a volte, ma ad ogni modo non durava. Lo sai perchè giocava proprio come te, i bambini riconoscono gli occhi di chi gioca. Era debilitata dai limiti della realtà, Elena. 
Ricordi male anche Paride. Il suo ricordo si confonde con quello che conservi di tua madre. Le somigliava molto. Biondo, bello, giovane. Ingenuo. Che si guardava intorno in attesa che qualcosa si mobilitasse per intrattenerlo. Anche gli insulti a lui all'inizio ti facevano vergognare, ti parevano sproporzionati. Non potevi davvero credere che un viso così puerile e sprovveduto fosse in grado di reggere la responsabilità di crimini tanto gravi. Sembrava impossibile non provare indulgenza per la sua stupidità. Ripensandoci, ti torna in mente Ifigenia che spogliava crochi cantando le future imprese di Achille fra sè. Esistono ancora gli innocenti? O esistono solo gli ignoranti che lanciano le loro azioni nell'acqua senza badare a dove arriveranno i cerchi concentrici che ne scaturiranno? 
  
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