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Autore: Ginevra1988    08/08/2018    7 recensioni
All'alba del tre maggio Harry, Ginny e gli altri reduci della Seconda Guerra Magica si ritrovano a fare i conti con... il ritorno alla normalità. Le ferite sono fresche, gli incubi li perseguiteranno ancora per anni e poco sembra essere come prima, ma la voglia di ricominciare è tanta. A passi lenti e incerti dovranno trovare la loro strada verso un futuro nel quale non potevano nemmeno sperare fino a qualche giorno prima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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La verità ti renderà libero.
Ma solo quando avrà finito con te.
 
Infinite Jest – David Foster Wallace
 
 
 
La verità
 
 
 
6 novembre 1998 – Hogwarts
 
   Ginny girò distrattamente un’altra pagina del libro di Pozioni Avanzate, mentre cercava di distogliere il pensiero dal grattare ritmico della penna di Luna sulla pergamena; non sapeva dire per quale motivo, ma quel rumore la stava facendo impazzire.
 
   Il Phaseolus in cursus, meglio noto come Fagiolo Corridore, è un legume dalle molte proprietà magiche ed è per questo molto ricercato da Pozionisti ed Erbologi. La pianta stessa sembra essere perfettamente consapevole della sua intrinseca preziosità, in quanto…
 
   Astoria cambiò di pochi centimetri la propria posizione, seduta di fianco a Luna; concentrata su un saggio circa gli usi della Pietra di Sangue, aveva su quel volto che pareva troppo giovane un’espressione neutra che incuriosiva Ginny: sembrava calma, quasi indifferente a quello che le succedeva intorno, come la superficie di un lago.
   L’apparenza era quella della serenità, ma Ginny sapeva che la Biblioteca era seconda solo al Dormitorio di Serpeverde per grado di disagio che inculcava in Astoria, dato che a sua sorella era stato assegnato un mese di punizione come assistente di Madama Pince. Per quanto Daphne fosse stata cattiva con Ginny il giorno della partita di Quidditch, quello era solo uno scherzetto innocente se paragonato alle continue vessazioni a cui sottoponeva la sorella: faceva Evanescere i suoi compiti, nascondeva i suoi vestiti (una volta Astoria aveva ritrovato le sue camicie da notte sul fondo della Guferia), aveva fatto in modo che tutta la casa di Serpeverde le rivolgesse a mala pena la parola, Appellava il cibo di cui Astoria si serviva durante i pasti. Insomma, sembrava volerla prenderla per sfinimento, visto che non aveva ottenuto nulla con le discussioni e le ramanzine su quanto fossero importanti la famiglia e la purezza del sangue, soprattutto in quel momento così buio, in cui i loro genitori erano stati reclusi ad Azkaban per la Causa.
 
   … è per questo molto ricercato da Pozionisti ed Erbologi. La pianta stessa sembra essere perfettamente consapevole della sua intrinseca preziosità, in quanto è refrattaria alla raccolta: i baccelli del Fagiolo Corridore sono infatti in grado di…
 
   Luna scriveva davvero in modo fastidioso; come diavolo faceva a fare quello scricchiolio con una dannata piuma? Ginny cercò lo sguardo di Hermione, che però sembrava estremamente impegnata nella lettura del Manuale di Incantesimi Avanzati: aveva preso molto sul serio la ramanzina della McGranitt. O forse era solo assolutamente determinata a mettere le mani sul libro della Bacchetta di Sambuco, come ormai lo avevano soprannominato lei e Harry.
 
   … è refrattaria alla raccolta: i baccelli del Fagiolo Corridore sono infatti in grado di percorrere anche diverse miglia in completa autonomia per sfuggire al mago o alla strega che sta tentando di coglierli.
 
   Una veste frusciò vicino all’orecchio destro di Ginny, che alzò gli occhi d’istinto: la figura snella di Daphne Greengrass scivolò velocemente molto vicino al loro tavolo, trasportando diversi libri tra le braccia; non degnò nemmeno di uno sguardo Astoria, che sembrava ancora molto concentrata sul suo saggio, ma cambiò leggermente posizione sulla sedia.
 
   La pianta stessa sembra essere perfettamente consapevole della sua intrinseca preziosità…
 
   Ginny smise di leggere, contrariata, accorgendosi d’un tratto di aver ricominciato per la terza volta la stessa frase. Il grattare della penna di Luna su quella dannata pergamena sembrava essere ancora più forte.
   “Hermione, per favore, spiegami questa cosa del Fagiolo Corridore” Ginny appoggiò una mano sul braccio dell’amica, buttando alle ortiche qualunque impegno nello studio per quel giorno. “Perché è così difficile da raccogliere?”
   Hermione non si fece pregare e per un quarto d’ora abbondante il tempo sembrò essere tornato indietro a due anni prima, mentre l’amica snocciolava nozioni pedanti e perfette su complicate Pozioni e metodi di coltivazione in serra. Ginny cercò di non farsi sfuggire una parola, appuntando febbrilmente su una pergamena tutto quello che riusciva senza che il polso le si staccasse: i riassunti di Hermione erano semplicemente manna dal cielo nell’anno dei M.A.G.O.
   Di nuovo la figura sottile di Daphne aleggiò di fianco al loro tavolo, ma questa volta la veste centrò in pieno la boccetta di inchiostro, che girò sul proprio asse e rotolò per diversi centimetri sulla pergamena di Ginny.
   “Ehi!” gridò la ragazza, alzando il foglio ormai completamente illeggibile; anche le mani erano zuppe di inchiostro, ma quello la preoccupava decisamente meno. Daphne si voltò con calma, socchiudendo gli occhi chiari e sibilando: “Shhhh. Silenzio, Weasley, siamo in Biblioteca, non sul campo di Quidditch.”
   “Cosa vuoi?” sussurrò Astoria senza alzare gli occhi dal saggio; Daphne le scoccò un’occhiata così carica di rancore che quella che aveva lanciato a Ginny sembrava rivolta ad una vecchia amica. Luna aveva smesso di prendere appunti e guardava la scena con gli occhi sgranati, come se stesse succedendo qualcosa di assurdo.
   “Vorrei che ti comportassi con un po’ di decenza e frequentassi delle persone adeguate, invece di gironzolare con… con loro” disse Daphne freddamente, sottolineando l’ultima parola come se fosse qualcosa di sconcio. Astoria alzò finalmente gli occhi su sua sorella e la fissò per qualche lungo momento, come se stesse decidendo se Schiantarla o meno; Hermione si agitò sulla sedia di fianco a Ginny, poi si alzò e cominciò a raccogliere i suoi libri nella borsa.
   “Ragazze, Ginny farà tardi nell’aula di Pozioni se non ci sbrighiamo” disse sbrigativa. “Gazza ha detto che le aggiungerà un giorno di punizione ogni volta che arriva in ritardo.”
   A Ginny non risultava affatto, ma era buon espediente per guadagnare l’uscita con la stessa velocità di un Fagiolo Corridore; Astoria le seguì con molta più calma. Fu solo una volta che si furono lasciate alle spalle la pesane porta della Biblioteca che Ginny si concesse un sospiro di sollievo.
   “Spero davvero che Gazza non ti abbia sentito, so che l’idea di aggiungere giorni di punizione gli piacerebbe moltissimo.”
   Hermione sorrise nervosa.
   “Tutto pur di evitare di stare nella stessa stanza con… quella vipera! Scusa Astoria” si affrettò ad aggiungere Hermione, ma la Greengrass scrollò le spalle con noncuranza.
   “Non potrei essere più d’accordo.”
   “E’ così, allora?” la voce di Daphne risuonò come un sibilo tagliente alle loro spalle; le quattro ragazze si voltarono simultaneamente. Ginny notò che Astoria era leggermente sbiancata ma manteneva lo sguardo alto su sua sorella.
   “La mia presenza ti è diventata così insopportabile?”
   La voce di Daphne si era incrinata per un momento; era stato un solo attimo, ma Ginny percepì il dolore in quella ragazza normalmente così fredda. Astoria la fissava senza dire una parola.
   “Te lo chiedo per un’ultima volta, sorella: o la tua famiglia, o questa feccia.”
   Un silenzio pesante si dilatò tra le due ragazze e la luce delle torce parve calare agli occhi di Ginny; avrebbe voluto fare qualcosa, qualunque cosa per tirare fuori Astoria da quella situazione così spinosa.
   “Daphne, non…”
   “Scegli, Astoria. Adesso.”
   “Io…” boccheggiò la ragazza. “Non siamo obbligate a ragionare come nostra madre.”
   Daphne ridusse gli occhi ad una fessura.
   “Tu mi costringi.”
   Astoria scosse il capo e sembrò diventare ancora più piccola; Daphne allungò la mano sinistra e l’appoggiò sulla testa della sorella, il pollice premuto sulla sua fronte, mentre con la destra appoggiò la punta bacchetta all’incavo della spalla di Astoria.
   “Per la bacchetta e per il sangue” pronunciò in tono grave.
   “Daphne…” il tono supplichevole di Astoria smosse qualcosa di spiacevole da qualche parte all’altezza dello stomaco di Ginny.
   “Per il nome e per l’anello” proseguì imperterrita Daphne stringendo la presa sulla fronte della sorella. “Tu non sei più parte della famiglia.”
   “Non sei obbligata!” urlò Astoria disperata.
   “Questo lo pensi tu, Reietta.”
   La punta della bacchetta di Daphne affondò nella spalla di Astoria come se questa fosse burro fuso; Astoria gridò e un lampo di luce violacea invase il corridoio. Ginny non fu sicura di essere riuscita a rimanere in piedi finché non riaprì gli occhi e si vide i piedi ben fermi a terra; la testa le girava e non riusciva a capire perché diavolo se ne fosse rimasta lì imbambolata a guardare senza correre in aiuto di Astoria, ma le sembrava fosse successo tutto così in fretta.
   “Astoria!”
   Luna era china sulla ragazza, che era accasciata con la schiena appoggiata alla parete del corridoio, ansimante, gli occhi socchiusi; di Daphne non c’era più traccia.
   “Cosa… cos’è successo?” chiese Hermione boccheggiando.
   “Avete appena assistito ad una cancellazione dall’Albero Genealogico in pieno stile Greengrass” spiegò a fatica Astoria; si premeva una mano sulla spalla sinistra, dove la bacchetta di Daphne era affondata.
   “Ti portiamo in Infermeria” disse Ginny in tono fermo; si sentiva ancora stordita, ma era perfettamente in grado di trascinare anche di peso l’amica da Madama Chips.
   “No” mormorò Astoria.
   “Hai bisogno di aiuto” squittì senza fiato Luna; Astoria annuì.
   “San Mungo” riuscì a dire, mentre la testa le pendeva già di lato; Hermione non se lo fece ripetere due volte ed estrasse la bacchetta: Ginny fece giusto in tempo a riconoscere la forma della lontra argentea mentre il Patronus filava dritto in direzione dell’ufficio della Preside.
 
 
 
13 novembre 1998 – Camulus’ Stronghold
 
   La cucina del Refettorio di Camulus’ Stronghold era, giustamente, a misura di Elfo Domestico: i piani di lavoro arrivavano alle cosce di Harry, i soffitti erano così bassi che era necessario lavorare inginocchiati e per passare dalle porte bisognava accucciarsi e strisciare. Niente a che vedere con le maestose cucine di Hogwarts, in cui generazioni di studenti erano state accolte con montagne di dolcetti e fatti accomodare come ospiti graditi. A Camulus’ Stronghold se uno studente metteva piede nelle cucine era un vero e proprio spettacolo per gli Elfi, che osservavano divertiti le Reclute in punizione strofinare pentole e piatti inginocchiati davanti a banconi troppo piccoli.
   Con un grosso pentolone insaponato tra le mani, Harry cercò di raddrizzare la schiena e spostò il peso da un ginocchio all’altro per cercare di dare un po’ di sollievo alle sue articolazioni, provate da due settimane di punizione; il lato positivo era che, se non avessero combinato altri danni, quella sarebbe stata l’ultima sera.
   Per fortuna Clobhair si era stancato di punzecchiarli con i soliti rimproveri (Ti sembra pulito, questo? Clobhair ci si deve specchiare! E’ così che strofini il grasso? Sei forse una graziosa ballerina?) e si era ritirato con i suoi Elfi, lasciando i ragazzi soli almeno per l’ultima parte della serata.
   “E così ho detto a mio padre che il diploma da Guaritore poteva infilarselo in quel posto!”
   Ella Fletcher arricciò il delizioso naso spruzzato di lentiggini mentre dava un ultimo colpo deciso di spugna alla bistecchiera sulla quale si stava accanendo da una mezzora abbondante.
   “Avevo decisamente le scatole piene di tutti quei boriosi so-tutto-io con la verità in tasca che scorrazzano per il San Mungo.”
   Harry e Theodore si scambiarono un eloquente sguardo di intesa: Ella era decisamente l’ultima che poteva permettersi di criticare il carattere di qualcun altro. Harry sospirò e lanciò l’ennesima occhiata all’orologio appeso alla parete della cucina: nove meno un quarto. Ancora quindici minuti e avrebbero potuto mollare lì pentole e piatti e andare a scolarsi una Burrobirra in santa pace, lontano dalle ciance della Fletcher e dagli squittii nervosi di Clobhair.
   “Ho mollato il corso giusto in tempo, a dire la verità” proseguì Ella riponendo la bistecchiera con cura su un ripiano, attenta a non farle urtare nulla, come le aveva insegnato Clobhair a forza di Incantesimi non propriamente piacevoli. “Un mese dopo sono entrate in vigore le leggi che bandivano i Nati Babbani e mio padre ha evitato che gli spezzassero la bacchetta dandosi malato. Siamo scappati la notte stessa, ci siamo Smaterializzati poco prima che i tuoi amichetti ci venissero a fare visita, Nott.”
   Harry vide le nocche di Theodore sbiancare mentre stringeva il piatto che aveva in mano con troppa forza, quindi sfiorò il braccio dell’amico con il proprio gomito e lui allentò la presa, riprendendo a respirare; già due giorni prima aveva rotto un bicchiere allo stesso modo e Clobhair lo aveva condannato a una settimana di rape scondite per pranzo. Harry davvero non riusciva a capire come Theodore potesse sopportare quelle continue punzecchiature.
   Ella appoggiò i gomiti sul bancone di lavoro e si puntellò, spingendosi in avanti verso Theodore che dall’altra parte cercava di mantenere gli occhi bassi sul proprio lavoro.
   “E’ così dannatamente facile farti arrabbiare” lo canzonò la ragazza. “Eppure dovrai scendere a patti con il tuo passato, prima o poi. Io lo faccio per te!” trillò maliziosamente.
   “Piantala, Fletcher” sibilò Harry.
   “Non so proprio cosa ci trovi in questo qui, Potter. Sembrate così amichetti. Eppure tu dovresti essere dalla nostra parte, cavolo, sei un eroe! Li hai combattuti quelli come lui!”
   “Senti, io non so cosa ci sia sotto le sue maniche” sbottò Harry appoggiando la pentola che stava lustrando scacciando la forte tentazione di lanciarla contro Ella. “E nemmeno mi interessa. Quello che so è che è sta facendo il corso da Auror, quindi deve avere un Diploma honoris causa, cosa che la McGranitt ha concesso solo per meriti di guerra. Mi risulta davvero molto difficile pensare che lo abbia dato ad un Mangiamorte coi fiocchi.”
   Theodore alzò lo sguardo su di lui di scatto, come se fosse esploso qualcosa; sembrò anche diventare più pallido del solito. Ella inarcò le sopracciglia in un’espressione tra lo stupito e il disgustato.
   “Se pensi che un Nott non sia un Mangiamorte, sei davvero un ingenuo. Mi aspettavo molto di più da te, Harry.”
   “Perché diavolo sarebbe qui, allora?”
   “E’ sempre molto facile salire sul carro dei vincitori” sussurrò Ella con mezzo sorriso, come se stesse spiegando ad un bambino che due più due fa quattro. “E poi, se non fosse un Mangiamorte, perché non dircelo dal primo giorno? Io non faccio che ripeterglielo, eppure lui non ha mai negato.”
   La ragazza puntò gli occhi su Theodore con un sorrisetto strafottente, come se lo stesse sfidando a dire il contrario, a battere un’argomentazione così convincente. Harry sentì la fiducia nell’amico traballare: era vero, lui non l’aveva mai negato. Lo guardò negli occhi: azzurri e disperati. Gridavano aiuto. Di certo nascondeva qualcosa, ma Harry si era convinto di così tante cose sbagliate nella sua breve vita, aveva giudicato male persone importanti, che lo avevano protetto – o che al contrario lo avevano solo usato. Non riuscì a dire nulla. Ella emise una risatina compiaciuta, si alzò e portò le mani dietro la schiena, per cominciare a togliersi il grembiule: considerava la partita chiusa.
   Theodore buttò la spugna a terra con forza, le labbra serrate; si mise in piedi e fissò Ella negli occhi, dall’alto in basso, i capelli che sfioravano il soffitto ad arco.
   “Il Marchio Nero” sibilò. “Pensi che qui sotto ci sia il Marchio Nero, Fletcher?” il suo viso si contorse in una smorfia grottesca. “Vuoi sapere cosa nascondo?”
   Si tolse la maglia e gettò per terra anche quella. Harry non poté fare a meno di guardare e il fiato gli si mozzò in gola. Ella sbiancò visibilmente ma non distolse lo sguardo mentre si rendeva conto di cosa in realtà ci fosse sotto la maglietta di Nott: il busto era completamente ricoperto di cicatrici e vecchie bruciature, la schiena era una ragnatela di segni di frustate, mentre sull’avambraccio sinistro una grossa macchia bianca e deforme tirava la pelle in modo disgustoso.
   “Sapevi che per imprimere il Marchio Nero serve il consenso dell’interessato, Fletcher? Devi volerlo.”
   Theodore sputava le parole come se stesse cercando di liberarsi di un cattivo sapore.
   “Per due mesi sono stato chiuso nella cantina dei Malfoy, due mesi, e credimi Fletcher mi hanno fatto di tutto, di tutto, per convincermi” Theodore girò attorno al bancone di lavoro e si portò davanti ad Ella, che sembrava sul punto di svenire ma non accennava ad abbassare lo sguardo. “Il mio stesso padre mi ha Cruciato tutte le sere. Ma quel Marchio io non ce l’ho.”
   Stese il braccio sinistro sotto il naso della ragazza, la pelle lucida ed esangue come quella di un cadavere.
   “Ma questo non basta mai. Sarò sempre un Serpeverde e il figlio di un Mangiamorte.”
   Harry credette di vedere gli occhi di Nott inumidirsi, ma solo per un attimo prima che voltasse spalle alla ragazza e riprendesse la maglia da terra.
   “E mi sta bene. Va bene così, davvero. Ma ho un lavoro da fare, quindi per favore lasciami in pace, devo finire entro sera.”
   Theodore si rivestì, afferrò la spugna e si inginocchiò di nuovo davanti al piano di lavoro, riprendendo ad occuparsi del piatto incrostato di sugo. Ella non disse nulla. Si legò i capelli, si riallacciò il grembiule e prese una spugna, poi cominciò a strofinare un’altra padella della pila che Clobhair aveva preparato appositamente per loro.
 
   Harry buttò giù un lungo sorso di Burrobirra direttamente dal collo della bottiglia, sperando che l’alcol dissipasse almeno un po’ dell’imbarazzo che regnava sul tavolino che divideva con Theodore in un angolo del Paiolo Magico. Durante quelle due settimane di punizione era ormai diventata un’abitudine quella di cenare insieme, sempre allo stesso tavolo, per scaricare la tensione della giornata e distendere i nervi dopo le due ore passate gomito a gomito con la reginetta della simpatia Ella Fletcher; diverse volte li aveva raggiunti anche Ron, con la pancia già piena dello sformato di Molly, decisamente migliore delle striminzite pie troppo burrose che Tom rifilava tutti i giorni agli avventori del proprio locale.
   Quella sera però le solite battute acide e le chiacchiere avevano lasciato il posto ad un silenzio impacciato: dopo aver visto cosa c’era davvero sotto le maniche lunghe di Theodore, Harry non sapeva proprio cosa dire; Nott da parte sua non riusciva nemmeno ad alzare gli occhi dalle proprie mani appoggiate sul tavolo, seduto in punta di sedia. A riscuotere i ragazzi ci pensò il tintinnio dei piatti appoggiati con malagrazia davanti a loro, con un buon appetito biascicato tra i denti; Harry alzò lo sguardo per ringraziare Tom, ma l’uomo era già di nuovo dietro al bancone a servire Whiskey Incendiario. Il ragazzo prese la forchetta e cominciò a saggiare la consistenza molliccia dello sformato al prosciutto e funghi, specialità del giorno, rassegnandosi ad una cena silenziosa.
   “Mi dispiace” sussurrò Theodore al proprio piatto. “Non avrei… non avrei dovuto.”
   Harry sbatté le palpebre incredulo.
   “Di che cosa ti stai scusando?”
   Theodore si strinse nelle spalle.
   “Mi ero ripromesso di tenermi… tutta questa storia per me” faceva una fatica incredibile a parlare, sembrava che ogni parola gli venisse tirata fuori a forza con le pinze. “Ma quando… quando hai detto che non credevi che io fossi un Mangiamorte… beh, ho creduto di poter…”
   Sospirò e sembrò ripiegarsi su sé stesso, le spalle ricurve e la testa china.
   “Theo, davvero non capisco di cosa ti vergogni” disse Harry lasciando la forchetta sospesa a mezz’aria e guardando finalmente l’amico. “Hai resistito alle torture per mesi, non ti sei fatto marchiare! E diventerai un Auror. Accidenti, dovresti andare in giro a dieci centimetri da terra! E invece hai lasciato che la Fletcher ti pestasse i piedi tutti i giorni. E’ lei quella che si deve vergognare!”
   Theodore ascoltava a testa bassa, o forse non stava ascoltando affatto, perché non rispose a Harry, ma sembrò piuttosto riprendere un discorso che stava facendo con qualcun altro.
   “Ho buttato tutto. Tutto quello che ero destinato ad essere, tutto quello che avrei dovuto fare nella mia vita… ho buttato via anche la mia famiglia. Ho testimoniato contro mio padre. E lo farò ancora.”
   “Ti ha Cruciato, Theo. Per mesi.”
   “E ha ucciso mia madre.”
   “Cosa?”
   Harry stava per mettersi un boccone di sformato in bocca, ma rischiò di far cadere la forchetta e decise di rimandare la cena: fredda avrebbe avuto comunque la medesima consistenza di un pasticcio di lumache. Theodore sospirò e proseguì il discorso con il proprio piatto a voce bassa, tanto che Harry dovette avvicinarsi per sentire quello che stava dicendo.
   “E’ cominciato tutto al quinto anno, durante la lezione di Cura delle Creature Magiche, te la ricordi? Quella sui Thestral. Li vedevo. E non capivo come mai. Se avessi visto qualcuno morire di morte violenta me lo sarei ricordato, no? Quella sera scrissi a mio padre, raccontandogli l’accaduto e chiedendogli come potesse essere possibile una cosa del genere. Non mi rispose mai. Feci ricerche, chiesi alla professoressa Caporal, ma la risposta era sempre la stessa: se sei in grado di vedere i Thestral, hai visto qualcuno morire. Quel pensiero ormai mi ossessionava, al punto che quando tornai a casa a Natale costrinsi mio padre a parlarne: volevo risposte.”
   Theordore allungò la mano verso la bottiglia di Burrobirra e ne ingollò un lungo sorso prima di proseguire nel racconto.
   “Le menzogne sono il cancro del mondo, mi disse mio padre quella sera; la famiglia è la cosa più preziosa che abbiamo e in famiglia non si deve nascondere nulla, mai. Mi disse che mia madre era stata una ragazza brillante, bella ed intelligente, si era innamorato quasi subito di lei negli anni di Hogwarts. E veniva anche dalla leggendaria famiglia Selwyn, dal sangue meravigliosamente puro da che mago abbia memoria. Al termine del settimo anno la sposò senza alcun indugio; sapeva che mia madre era stata cresciuta dalla nonna, ma non si tratta di una cosa poco comune nelle famiglie Purosangue, quindi mio padre non si era fatto molte domande.”
   Un nuovo sorso di birra; Harry imitò l’amico, il pasticcio ormai dimenticato a raffreddarsi in un angolo.
   “Io avevo già quattro o cinque anni, quando a mio padre capitò di acquistare una pergamena che riportava con precisione gli alberi genealogici delle Ventotto, con tanto di Incantesimo Rilevatore che la manteneva costantemente aggiornata: matrimoni, nascite e cancellazioni erano riportate con accuratezza e in tempo reale. Fu così che scoprì la grossa bugia di mia madre: era sì una strega, era sì un membro della famiglia Selwyn, ma il padre era un Magonò. Mia madre era stata cresciuta nel mondo magico dalla nonna per darle la possibilità di crescere con persone uguali a lei, così come era stato fatto con suo padre, affidato ad una famiglia babbana poco dopo la nascita.”
   “Tuo nonno non sapeva di essere un Magonò, quindi?” chiese Harry.
   “Oh, lo sapeva perfettamente. Sua madre gli faceva visita regolarmente, di nascosto chiaramente. La vergogna di un Magonò per una famiglia Purosangue è tale da giustificare l’infanticidio.”
   Harry fu scosso da un brivido, mentre Theodore parlava con tono piatto, come se stessero dissertando della coltivazione in serra del Puffagiolo. Nott finì la bottiglia in un ultimo lungo sorso.
   “A distanza di anni mio padre era ancora furibondo per quella scoperta, mentre mi raccontava di quella pergamena l’ho visto fuori di sé come mai prima di allora. Quello che fece a mia madre lo puoi immaginare.”
   Theodore si passò una mano sulla bocca; aveva un’aria stanca, gli occhi spenti.
   “Si accorse troppo tardi che io ero nella stanza. Modificò i miei ricordi e mi convinse che la mamma se n’era andata per una brutta malattia. Con i bambini è sempre molto facile, mi disse. Tutto il mio mondo crollò come un castello di carte: avevo sempre provato un’ammirazione sconfinata per mio padre, che da solo mi aveva cresciuto e non mi aveva mai fatto mancare nulla. Era tutta una bugia. Lui aveva distrutto la nostra famiglia. Mi aveva strappato mia madre e mi aveva costruito attorno un mondo basato sulle apparenze. A dire il vero tutto il teatrino delle famiglie Purosangue lo è. Cominciai a provare disgusto per tutto quello che mi circondava, vedevo tutto con una nuova disillusione, come se fosse caduto all’improvviso un velo che mi copriva gli occhi.”
   “Come sei riuscito a cavartela nell’ultimo anno? Voglio dire, hai rifiutato il Marchio, eri…”
   “Un Traditore del mio Sangue? Sì, certo. E’ per questo che sono stato rinchiuso a Villa Malfoy tutta l’estate tra il sesto e il settimo anno. La mia fortuna è stata quella che mi hanno lasciato tornare a Hogwarts: erano sicuri che non sarei scappato, controllato a vista da tutti i Mangiamorte che giravano per la scuola e che forse mi avrebbero anche convinto a farmi marchiare. Madama Chips mi prestò le prime cure e allertò la professoressa McGranitt; non tornavo mai nella Sala Comune di Serpeverde, ma mi avevano lasciato una camera di fianco agli appartamenti di Madama Chips, a cui davo anche una mano con gli altri ragazzi che finivano in Infermeria.”
   Aveva assistito Ginny, Neville, Seamus, Luna e chissà quanti altri ancora. Si era rivoltato alla sua famiglia e aveva rifiutato di essere uno dei tanti pecoroni che si univano ad una causa sbagliata. E sicuramente aveva combattuto la Battaglia di Hogwarts.
   “Sono patetico, no?” sussurrò ridacchiando Theodore.
   “Sei un eroe” disse con sicurezza Harry. “Su una cosa tua padre aveva ragione: le menzogne sono un cancro. Noi non saremo la tua famiglia, ma saremo i tuoi colleghi, forse arriverai a considerare qualcuno di noi tuo amico. Tu meriti di essere visto come quello che realmente sei, non come il fantasma di qualcosa che non esiste più. Non dovresti tenere per te la tua storia, non con le altre Reclute almeno.”
   Theodore alzò lo sguardo su Harry: quel ragazzo era spezzato in due, dilaniato tra il suo passato, quello che aveva sempre ritenuto di dover essere, e la tensione verso il suo futuro, quel sentiero che aveva imboccato in solitudine, dove lo avevano condotto le sue scelte.
   “Non sarò mai come voi.”
   “Lo sei già. L’unico che non ne è convinto sei tu.”
 
 
 
15 novembre 1998 – Hogwarts
 
   Madama Chips picchiettò con fare materno la propria mano su quella di Astoria, aggrappata all’incavo del suo braccio.
   “Siamo quasi arrivate” sussurrò l’Infermiera con un sorriso. Astoria annuì, grata dell’informazione; si sentiva ancora parecchio instabile, ma il Guaritore Ehrlich aveva detto che poteva tranquillamente proseguire le cure a Hogwarts e riprendere le lezioni, con le dovute cautele. Madama Chips la condusse attraverso il suo ufficio ingombro di medicazioni, pozioni e strani contenitori di vetro, ed arrivarono in un’anticamera sulla quale si affacciavano due porte identiche.
   “Queste sono le mie stanze” disse l’Infermiera indicando quella di sinistra. “Se hai bisogno di qualcosa non hai che da bussare.”
   Madama Chips sorrise, poi abbassò la maniglia dorata della porta di destra e invitò Astoria ad entrare.
   “Benvenuta, signorina Greengrass.”
   La stanza non era molto grande, ma conteneva tutto il necessario: un bel letto dall’aria comoda, una cassettiera, uno specchio a figura intera e una scrivania con una serie di scaffali appesi all’altezza degli occhi. I libri di Astoria erano già stati disposti sulle mensole e la ragazza non dubitava che nei cassetti avrebbe trovato i suoi vestiti. L’unica nota negativa era quell’odore di ospedale che aleggiava nell’aria, ma Astoria confidava che qualche Essenza Elfica riscaldata e, perché no, un po’ di magia avrebbero risolto la situazione.
   Di fianco alla finestra, quasi confusa con le tende scure, la professoressa McGranitt stava aspettando Astoria.
   “Buona sera, Preside McGranitt” disse la ragazza lasciando il braccio di Madama Chips per avvicinarsi. “La voglio ringraziare per avermi concesso questa stanza.”
   “Non potevi certo rimanere nel Dormitorio di Serpeverde, dopo quanto ti ha fatto tua sorella” rispose in tono pratico la professoressa. “Come stai?”
   Astoria si strinse nelle spalle.
   “Il Guaritore dice che se assumo regolarmente la Pozione Purificante e mi presento a controlli a cadenza, posso avere davanti anni.”
   La McGranitt strinse le labbra.
   “Mi dispiace molto, signorina Greengrass.”
   “Me la caverò.”
   “Puoi mangiare in camera anche a tutti i pasti, se non te la senti di stare al tavolo della tua Casa. Se ti dovesse servire qualsiasi altra cosa o se ci fossero altri problemi, non esitare a venire direttamente nel mio Ufficio. Le tue amiche sanno la parola d’ordine.”
   La Preside si concesse un piccolo sorriso; Astoria annuì, cercando di pensare a Luna, Ginny e Hermione come alle amiche sopracitate, ma senza riuscirci: si sentiva svuotata, come se qualcuno le avesse infilato una cannuccia nell’orecchio e ne avesse succhiato via ogni emozione, ogni desiderio e progetto.
   “A proposito delle tue amiche, questa sera ti faranno compagnia per cena” la McGranitt fece un cenno con la testa verso la porta; Astoria si voltò appena in tempo per vedere Luna che le si gettava addosso, stringendole le braccia al collo fino a rischiare di soffocarla. Hermione scacciò con malagrazia la prima ragazza e salutò Astoria con un tenero abbraccio, mentre Ginny le diede una pacca sulla spalla come se fossero vecchi amici di caccia.
   “Ecco i vostri tramezzini” disse Madama Chips appoggiando un vassoio stracarico di panini sulla scrivania.
   “Se ne volete altri sapete come raggiungere le cucine, no?” sogghignò la McGranitt; Hermione e Astoria si scambiarono un sorriso imbarazzato.
 
   Astoria si appoggiò con la spalla destra allo stipite della porta dell’ufficio, osservando le sue amiche allontanarsi lungo la corsia dell’Infermeria, chiacchierando allegramente tra loro; con la coda dell’occhio vide Madama Chips avvicinarsi, le mani ripiegate in grembo come una perfetta Florence Nightingale e il sorriso rivolto alle ragazze.
   “Quando glielo dirai?” chiese in un sussurro appena udibile. Astoria non distolse lo sguardo dal trio: Luna camminava all’indietro, con le mani disegnava grossi cerchi cercando di convincere le altre due di qualcosa, un sorriso brillante che le illuminava gli occhi azzurri. Ginny scuoteva con forza la chioma rossa raccolta alla bell’e meglio, mentre Hermione rideva stringendosi al petto i libri che aveva portato ad Astoria per mostrarle esattamente cosa si era persa durante i giorni di assenza.
   Astoria arricciò un angolo della bocca e si strinse nel golf di lana chiara.
   “Mai” mormorò. Voltò le spalle a Madama Chips e le augurò la buona notte, raggiungendo in fretta la porta della propria camera e chiudendosela alle spalle. Trasse un lungo sospiro, come se avesse corso per chilometri, e una fastidiosa fitta si irradiò dalla spalla sinistra; Astoria si portò una mano alla zona dolente, ma riuscì a resistere all’impulso di massaggiarla: il Guaritore le aveva detto di toccare la zona il meno possibile. Raggiunse la cassettiera e cominciò a spogliarsi, togliendosi prima il golf, poi la maglia con gesti cauti, timorosa di sentire ancora dolore.
   Fu impossibile non far cadere l’occhio sullo specchio che rifletteva la sua spalla nuda. Astoria sfiorò con le dita il punto in cui la bacchetta di Daphne era penetrata nella sua carne, scavando un buco di diversi centimetri, ormai rimarginato; dai bordi si irradiavano cinque piccoli tentacoli scuri, come radici che premevano sotto la pelle, contorcendosi assetati del suo sangue, disegnando una sorta di grottesco fiore.
   Era proprio così che la chiamavano: Maledizione Flora Nigra, la Maledizione dei Fiori Neri. Un fiore nero sull’Albero Genealogico della famiglia Greengrass al posto del suo nome, un fiore nero che cresceva sulla sua spalla e che un giorno gli avrebbe succhiato tutta la linfa vitale, finché di Astoria Greengrass non sarebbe rimasto che un involucro vuoto.
   Non si sfuggiva al sangue puro della famiglia Greengrass, e se non ne eri degno dovevi restituirlo, fino all’ultima goccia. Era questa la logica perversa che stava dietro la cerimonia di Cancellazione, dietro quell’Incantesimo disumano ideato, dicevano i libri di storia della magia, dal fondatore della famiglia e tramandato di generazione in generazione al solo scopo di mantenere pura la linea genealogica. La Maledizione era studiata per ucciderti nel giro di poche settimane, ma il Guaritore Ehrlich le aveva assicurato che quella Pozione dal sapore acido le avrebbe consentito di rallentare per anni ed anni la crescita del Fiore Nero.
   Astoria appoggiò la punta dell’anulare destro ad uno dei sottili petali del suo Fiore e misurò con la spanna la distanza dal cuore: quando le radici sarebbero riuscite ad arrivare lì, non ci sarebbe stata più Pozione in grado di allungare ancora il tempo a sua disposizione. Non c’era cura, il Guaritore era stato molto chiaro, ma non era detto che nel frattempo qualcuno non scoprisse qualcosa di nuovo.
   Una lacrima scese lenta lungo la guancia, indugiò sul bordo del mento e cadde sul dorso della mano di Astoria. Lei aveva solo un po’ di tempo, le sue amiche aveva un lieto fine davanti a loro e non sarebbe stata lei ad inquinare le loro scintillanti favole con la storia breve di un Fiore Nero.
 
 
 
16 novembre 1998 – Camulus’ Stronghold
 
   Nonostante il tono marcatamente ironico, a Harry piaceva il nome della Stanza del Buongiorno; la Shacklebolt continuava a chiamarla Stanza delle Riunioni o, quando era particolarmente di buon umore, dei Briefing, ma era in assoluto l’unica.
   C’era un’aria particolare quella mattina nella Stanza del Buongiorno, e non dipendeva solo dal fatto che dalle finestre filtrava la pallida luce di una giornata finalmente serena dopo un mese intero di pioggia: aleggiava uno strano silenzio, carico di tensione; solo Hannah e Kiky chiacchieravano sommessamente dal lato opposto del tavolo ovale. Ron trattenne uno sbadiglio, mentre Harry lanciò una breve occhiata a Theodore, che fissava le proprie mani giunte davanti a sé sul pianale di legno.
   “Reclute, non vi riconosco” esclamò Leatherman sbalordito mentre entrava seguito dalla Shacklebolt. “Siete troppo silenziosi. Lena dovremmo testare che non ci siano Incantesimi Silenzianti in questa stanza!”
   “Buongiorno a tutti” disse la Shacklebolt ignorando il proprio collega e sedendosi con la consueta eleganza. “Cominciamo la settimana con la risoluzione della punizione dei tre nostri compagni. Potter, cominci tu?”
   Harry si alzò, si schiarì la gola e ripeté il discorsetto diplomatico che si era preparato con l’aiuto di Molly.
   “Non ho rispettato il regolamento e ho messo me stesso e la squadra in una situazione di potenziale pericolo. Me ne rendo conto e mi scuso con voi Istruttori e con tutti i miei compagni per il mio comportamento, non accadrà più.”
   La Shacklebolt annuì soddisfatta, mentre alle sue spalle Leatherman lo guardava accigliato, ma alla fine alzò gli occhi al cielo e fece cenno a Harry di sedersi.
   “Fletcher?”
   Ella, seduta di fronte agli Istruttori, sembrava per la prima volta dall’inizio del corso estremamente a disagio: si rosicchiava le unghie della mano destra con lo sguardo basso, che alzò solo per un momento sulla Shacklebolt prima di mettersi in piedi; si sistemò i capelli dietro un orecchio e incrociò le braccia sulla pancia. Era veramente uno spettacolo incredibile, non sembrava nemmeno la stessa persona che venerdì sera si prendeva gioco di Theodore sporgendosi sul bancone della cucina.
   “Io… mi sono sbagliata. Ho commesso un grosso, grosso errore di valutazione.”
   Fissò gli occhi su Nott e per un momento Harry fu convinto che non sarebbe riuscita a proseguire.
   “Mi sono basata su un pregiudizio e non ho saputo vedere altro. Odio così tanto i Mangiamorte che… ho finito per comportarmi come uno di loro.”
   Gli occhi di Ella si inumidirono platealmente, ma lei si passo una manica della felpa sul viso con forza e proseguì.
   “Mi dispiace. Mi dispiace enormemente. Ma non pretendo che mi perdoni, Nott, io… mi sono comportata come una vera stronza.”
   Theodore ridacchiò e annuì con forza, strappando un sorrisetto anche a Ella; gli Istruttori si scambiarono un’occhiata sorpresa.
   “Ok, non so cosa sia successo” disse la Shacklebolt con le sopracciglia inarcate. “Ma queste sono le prime vere scuse sincere che sento dall’inizio del corso. Non posso che esserne piacevolmente stupita. Siediti pure, Fletcher. Nott, sono decisamente curiosa di sentire cosa hai da dirci tu.”
   Theodore fissò Harry per un lungo momento e Harry annuì; Ron cambiò posizione sulla sua sedia di fianco a lui, a disagio.
   “Anche io ho commesso un errore di valutazione” cominciò Nott sistemandosi l’orlo della felpa grigia da Addestramento. “Non mi sono fidato di voi. Ho cercato di proteggermi dai miei stessi compagni, mi sono nascosto nelle retrovie e ho lasciato che credeste di me quello che… che volevate credere.”
   Si tormentò il polsino della manica sinistra distrattamente.
   “Ma per me siete un po’ la mia nuova famiglia. E la verità… la verità è diversa.”
   Circondò con la mano il polsino e tirò su la manica con decisione, mostrando l’incavo dell’avambraccio sinistro.
   “Vorrei che tutti voi la conosceste.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Angolo di Gin
Uh uh, capitolo decisamente autoconclusivo lo so, ma il lato positivo è: da quanto non aggiornavo così presto dall’ultimo capitolo pubblicato, eh?
Potrei raccontarvi che ho avuto l’ispirazione sulla via di Damasco, ma la vera verità è che quando mi parte il trip scrivo pezzi a casaccio che ci saranno in futuro, li metto da parte e quando è il momento li tiro fuori dal cassetto. Ecco, questo capitolo è un immenso collage di una serie di questi pezzi scritti sotto trip, quindi non dico che ho dovuto revisionarlo e basta, ma il lavoro è stato molto più snello del solito.
Detto ciò, proseguiamo il viaggio nelle story line secondarie, in particolare queste due mi stanno a cuore perché sono due viaggioni che mi sono sparata su due grandi (dai, medi) punti interrogativi della saga:
  1. Perché diavolo Nott vede i Thestral?
  2. Di cosa cavolo muore all’improvviso Astoria Malfoy, nata Greengrass?
Sapete quanto ami raccogliere le maglie sfuggite agli abili ferri di J. K. Rowling, ed ecco qui le risposte alle due sopracitate domande. Attendo pareri sulla loro capacità di convincervi!
Già che c’ero ho cacciato parallelismi a destra e manca tra Nott e Astoria, questa volta è ispirazione del momento ;)
Chicca sulla scelta del nome del Guaritore Ehrlich, medico ebreo tedesco che fu tra i primi sperimentatori della chemioterapia, che quindi si guadagna il posto in questo capitolo in quanto perseguitato e in quanto il richiamo del Fiore Nero che è affamato del tuo sangue è alla leucemia (abbiate pazienza, deformazione professionale, ormai ci siete abituati, no?)
Bon, al prossimo giro riprendiamo il filone principale, anche se ci vorrà un po’ più di tempo per elaborarla (non ho pezzi nel cassetto per quello che ho in serbo per il prossimo aggiornamento…!)
 
Grazie di cuore a chi ha letto e chi leggerà, e soprattutto a quelli che mi dedicano un po’ del loro tempo per recensire!
 
A presto
Smack
Gin
 
   
 
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