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Autore: Philips    09/08/2018    0 recensioni
La giornata di Leonardo è un continuo ripetersi di azioni sempre uguali. Il tragitto in ascensore, scendendo dal quarto piano del suo palazzo, è una di queste. Ogni mattina, proprio dentro la cabina metallica, incontra l'affascinante Irene, amica d'infanzia con la quale ha ormai perso i rapporti. Fra quelle quattro pareti, però, accadrà un fatto inaspettato grazie al quale i due ragazzi riusciranno a riavvicinarsi, recuperando un rapporto che sembrava ormai perduto.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Zaino in spalla, chiuse la porta dietro di sé, accompagnandola con la mano per non fare troppo rumore. Camminava lentamente sul pianerottolo in marmo bianco, mentre sentiva nascere i primi, lievi rumori del mattino: il palazzo si stava risvegliando dal lungo sonno notturno. Il sole, lievemente schermato dalla striscia di parete occupata dai mattoni di vetrocemento, si insinuava timido all’interno del condominio, rischiarandolo leggermente con i suoi tenui raggi.
L’ascensore era ormai a pochi passi, il ragazzo vi si posizionò davanti, premendo il pulsante con un gesto secco, apparentemente annoiato. L’anta scorrevole scomparì rapidamente, rivelando un vano di circa un metro e mezzo per lato, dipinto con colori fin troppo sgargianti. La parete frontale era costituita quasi per intero da un ampio specchio, nel quale l’immagine del ragazzo si rifletteva nitida. La sua esile figura sembrava scomparire all’interno della felpa grigia un po’ consumata e le gambe, fasciate da un paio di jeans aderenti, apparivano snelle e al contempo energiche. Il meccanismo si richiuse alle sue spalle e l’ascensore, salvo qualche cigolio, era pronto ad abbandonare il quarto piano per raggiungere il pianterreno. Leonardo si trovò nuovamente solo con i suoi pensieri, come ogni mattina. Con lo sguardo perso sul soffitto, ripassava mentalmente gli impegni incastrati fra di loro lungo l’arco della giornata, in un’espressione ora accigliata, ora piacevolmente rilassata. Gettò una rapida occhiata all’orologio da polso, segnava le 7:45. Il piccolo display luminoso, posto sopra i numerosi pulsanti rotondi dei piani, passò da 4 a 3 in pochi secondi. Poi l’impianto si arrestò di colpo, emettendo il consueto ding al quale il ragazzo era tanto abituato. Quindi, voltandosi automaticamente, diede le spalle allo specchio e, quasi altrettanto automaticamente, si passò una mano fra i folti ricci castani.
Ecco che, aperta l’anta con un leggero sibilo, Irene fece la sua comparsa. Dei jeans a vita alta - dentro i quali era infilata, apparentemente alla rinfusa, un’ampia t-shirt bianca - accentuavano la curva dei fianchi. Dalla spalla pendeva una tracolla dai colori vivaci, sulla quale era poggiata una giacca di pelle. I due si salutarono con un ciao che nascondeva un certo imbarazzo, ma al quale lui aveva intenzionalmente conferito una nota più viva, come se, in un certo senso, volesse dare a quella parola più importanza di quanta ne avrebbe meritata realmente. Furono entrambi dentro l’abitacolo, a debita distanza l’uno dall’altra, attendendo che le porte si richiudessero.
I loro incontri in ascensore erano una consuetudine ormai e, inoltre, rappresentavano le uniche occasioni per scambiarsi due parole. Da piccoli giocavano spesso insieme, divertendosi un mondo. A vederli adesso, invece, parevano due perfetti sconosciuti, in grado soltanto di scambiare i soliti, banali convenevoli e incapaci, il più delle volte, di azzardare dei veri e propri discorsi. Come ciò sia potuto succedere non è poi un grosso mistero. Crescendo, avevano coltivato interessi diversi, frequentando scuole diverse e facendosi delle amicizie altrettanto diverse. Avevano finito, perciò, col perdersi di vista.
Una luce bianchissima inondava la cabina conferendo al volto di Irene un pallore quasi lattescente, circondando la sua figura di una tale grazia, come un’aura di finissima delicatezza. La ragazza si specchiava con meticolosa accuratezza, ruotando il viso più volte, alzando e abbassando le palpebre per svelare i suoi profondi occhi blu e, con movimenti concitati delle lunghe dita affusolate, riuscì a raccogliere la sua liscia chioma bionda in uno chignon improvvisato. Leonardo ne spiava i movimenti con la coda dell’occhio, scoprendosi piacevolmente dilettato dai suoi atteggiamenti del tutto naturali, eppure così inspiegabilmente interessanti se sottoposti al suo sguardo furtivo. Il silenzio tra di loro si era fatto di piombo - una cappa asfissiante e insopportabile - interrotto solamente dal lieve tintinnio dei meccanismi soprastanti.
Il 3 sul display non era ancora passato a 2 quando, all’improvviso, la cabina piombò nell’oscurità, fermandosi a metà strada fra i due piani. I loro corpi sobbalzarono intontiti, le braccia si agitavano convulsamente. Leonardo premeva dei pulsanti in sequenza, senza sortire alcun effetto. “Credo che il tasto di emergenza sia rotto”.
L’ansia stava per nascere in lui e le sue parole, tremanti e incerte, lo dimostravano appieno. Irene si guardava intorno confusa, alternando lunghi sospiri a lamenti indistinti. Lui tirò fuori il cellulare dalla tasca, lo sguardo fisso sullo schermo era chiaramente alla ricerca di una minima speranza. Questa, però, svanì dopo un breve controllo.
“Merda, non c’è campo”
“Fantastico, - fece lei sarcastica - i cellulari non danno segni di vita, il tasto di emergenza è fuori uso, come usciamo da qui?”.
Leonardo fece spallucce, la rassegnazione stava ormai prendendo il sopravvento su di lui. Non potevano fare altro che aspettare, attendere che qualcuno si accorgesse del guasto e risolvesse la situazione. Ma quanto tempo sarebbe passato prima che ciò accadesse? Né l’uno né l’altra si erano mai trovati in quel tipo di circostanze ma, mentre lui tentava, almeno apparentemente, di mantenere una certa calma, lei continuava a camminare avanti e indietro per la cabina con una frenesia ed un’agitazione tipiche di chi si sta facendo soggiogare dal panico.
Il ragazzo si rannicchiò in un angolo, le braccia abbandonate sulle ginocchia e gli occhi che inseguivano stanchi i movimenti di Irene.
“Ti consiglio di sederti, così consumi solo ossigeno prezioso”, fece lui con un moto di stizza. Lei parve accorgersi chiaramente del suo tono irritato, tanto da fulminarlo immediatamente con lo sguardo, provocando in lui un senso di improvvisa e inedita soggezione. Leonardo non sapeva proprio come comportarsi con quella ragazza. Così enigmatica nei suoi gesti inconsueti, indecifrabile negli insoliti comportamenti, i suoi occhi parevano due specchi d’acqua scura dei quali era impossibile scorgere il fondo. Tesori inestimabili avrebbero potuto celarsi nel profondo del suo animo, deformati ed alterati dalle correnti degli abissi del suo oceano interiore, ma lui era intenzionato a scovarli. In quel momento, però, si pentì amaramente di ciò che aveva detto e, soprattutto, del modo in cui quelle parole erano uscite dalle sue labbra. Sentiva che Irene si stava lentamente ma inesorabilmente allontanando da lui; la tensione tra i due era palpabile, l’atmosfera elettrica. Ma lei, forse presa da un attimo di sconforto, si rassegnò al fatto di doversi calmare. Quindi, lentamente, decise di sedersi proprio accanto al ragazzo, mettendo da parte quel focolare - alimentato da collera e irritazione -  che ardeva dentro di lei. Leonardo riusciva a percepire ancora un velo di indifferenza nei suoi occhi sfuggenti, ne sembrava intimidito. Tuttavia si convinse di dover compiere lui la prima mossa, tentare un approccio concreto.
“Era da un bel pezzo che non stavamo così tanto tempo insieme, eh?”. Sperava vivamente che il suo tentativo di sdrammatizzare la situazione non si fosse rivelato un clamoroso buco nell’acqua. Lei si voltò di lato, accennando un mezzo sorriso.
“Già, ma rimanere bloccati in ascensore non era esattamente l’incontro che mi aspettavo, ecco…”
“È già qualcosa, no? Lo dicevo, io, che questo catorcio andava cambiato!”.
Irene scoppio in una risata fragorosa, così contagiosa da coinvolgere anche il ragazzo. Nonostante il buio, i loro volti parevano illuminarsi, irradiare una luce tutta nuova, vitale. Leonardo riconosceva che rompere il ghiaccio non fosse certamente il suo forte ma, in quel momento, era consapevole di aver centrato l’obiettivo.
“Ti ricordi quando stavamo pomeriggi interi a giocare insieme in cortile?”
“Ma certo! Non posso dimenticarmi quando avevi provato ad insegnarmi a giocare a calcio, - pareva animata da un vivo entusiasmo nel ricordare i tempi passati -  e io avevo tirato così forte da colpire la finestra della signora De Curtis e romperla in mille pezzi!”
“Uno dei tuoi tiri migliori!”. I due rimasero a parlare per un bel pezzo, pervasi da un’immensa e gioiosa vitalità, come se si stessero conoscendo in quegli istanti per la prima volta.
Fu un attimo e le loro mani, adagiate sul freddo pavimento della cabina, si sfiorarono appena. Un brivido corse lungo i loro corpi, quasi un impulso simile ad una leggera scossa. I loro occhi si incrociarono, specchiandosi gli uni negli altri. I due cuori, ormai, battevano all’unisono, come se, nel silenzio tombale dell’abitacolo, si potesse udire il loro leggero palpitare ritmato. La distanza fra le loro labbra si annullò all’improvviso, i volti si mescolarono. Un aggrovigliarsi di dita precedette il bacio, lento, sensuale e tanto agognato. Quando uno dei due sfuggiva, per un istante, all’atto romantico, l’altro lo inseguiva, lo cercava con disperata voluttà – le mani viaggiavano rapide sul collo, fra i folti capelli – e il gioco proseguiva, alimentando piacere e desiderio. Lui teneva il suo volto – così minuto, la pelle rosea – incastonato fra le dita, lo osservava in ogni suo tratto. Il mento dolce, le guance levigate e gli occhi, quegli occhi in cui il tempo sembrava arrestarsi, nei quali lo spazio si dilatava e si contraeva, le distanze erano incalcolabili. Sentiva la propria anima risucchiata dal suo sguardo, catturata dall’indicibile bellezza della sua persona. Lei incurvò leggermente le labbra, ritraendosi timida. Lui continuò a baciarla, insaziabile, sulla guancia, dietro l’orecchio, lungo il collo. Tra una pausa e l’altra, Irene si sentiva mancare l’aria; poi, d’improvviso, pareva che la vita permeasse nuovamente, con tutta la sua potenza, il corpo minuto, rinvigorendolo. Erano entrambi felici, ma di una strana e sconosciuta felicità: la stavano provando insieme, ed insieme ne erano totalmente appagati. Il loro divino isolamento, fisico e spirituale insieme, fu bruscamente interrotto da dei colpi, provenivano dall’alto. Poi, il silenzio, diretto dall’incessante movimento dei loro cuori, fu spezzato da una voce profonda.
“Tra non molto vi tireremo fuori da lì, resistete per qualche altro minuto!”.
I due sorrisero timidamente, come raggiunti da un improvviso imbarazzo. Furono in piedi in un secondo, le dita intrecciate e tremanti tradivano l’emozione del momento e i loro animi, uniti in un astratto abbraccio, sapevano che non si sarebbero mai più separati di nuovo.
   
 
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