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Autore: Liquid King    09/08/2018    1 recensioni
Mi presi del tempo per leggere con attenzione, molte di esse riportavano notizie di avvenimenti accaduti mentre ero via, altre erano messaggi personali di persone a me care, ma che lo scorrere del tempo e la fugacità della memoria mi avevano reso dei perfetti sconosciuti. Tutti i messaggi erano rivolti a me, o per meglio dire al me del passato, di quando ancora vivevo in questa casa.
Piccoli frammenti si aprirono nella mia massa grigia, rimasta troppo a lungo indifferente, qualche nome mi riportava a un viso, a un evento particolare. Normalmente uno sarebbe stato felice di sapere che ci stavano ancora delle persone che lo pensavano, che lo cercavano, che volevano notizie da parte sua. Io sapevo bene, in verità, che troppi anni erano passati e che le relazioni umane erano come un pozzo al sole: se non metti l’acqua presto o tardi il pozzo si asciugherà. E il mio pozzo era ormai in rovina.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RITORNO A CASA.

La porta di casa si aprì lentamente al mio tocco, mentre i topi si mossero frettolosamente verso le proprie tane scavate nel legno del pavimento e delle pareti. Erano passati circa quindici, forse più, anni da quando fui lontano.

La casa era ancora in piedi ma in stato di completo abbandono. Polvere, muffa e numerose lettere giacevano di fronte alle stipe della porta d’ingresso. La prima cosa che mi venne in mente fu quello di rendere grazie alla provvidenza di essere ancora vivo e in grado di poter vedere che l’interno, anche se consunto dal tempo, era tutto come aveva lasciato.

Per colpa della pestilenza, molte case erano state bruciate o abbandonate di tutta fretta e mai più reclamate dai proprietari.

Il mio sguardo si soffermò a osservare brevemente le lettere accatastate, molte di esse riportavano nomi di persone di cui ormai avevo persa la memoria, altre erano cumuli di carta giallognola e illeggibili.

-Pussa via!- Con la mia scopa, cacciai alcuni ratti arditi che non si erano mossi dal mio arrivo. Presi le lettere dal pavimento e le posai con cura sul tavolo, al sicuro dai denti macilenti e affilati dei roditori.

Aprii le ante delle finestre, serrate da molti anni, facendo entrare una luce chiara e benedicente nella mia casa, tossii molto per la polvere che si era alzata, prima di potermi sedere sulla mia sedia e inforcare i miei occhiali da vista, conservati nella tasca della giacca.

Con le lenti agli occhi iniziai lentamente a sfogliare ed aprire le buste. Mi accorsi con grande meraviglia che le lettere contenute nelle buste ammuffite erano bianche e ancora leggibili.

Mi presi del tempo per leggere con attenzione, molte di esse riportavano notizie di avvenimenti accaduti mentre ero via, altre erano messaggi personali di persone a me care, ma che lo scorrere del tempo e la fugacità della memoria mi avevano reso dei perfetti sconosciuti. Tutti i messaggi erano rivolti a me, o per meglio dire al me del passato, di quando ancora vivevo in questa casa.

Piccoli frammenti si aprirono nella mia massa grigia, rimasta troppo a lungo indifferente, qualche nome mi riportava a un viso, a un evento particolare. Normalmente uno sarebbe stato felice di sapere che ci stavano ancora delle persone che lo pensavano, che lo cercavano, che volevano notizie da parte sua. Io sapevo bene, in verità, che troppi anni erano passati e che le relazioni umane erano come un pozzo al sole: se non metti l’acqua presto o tardi il pozzo si asciugherà. E il mio pozzo era ormai in rovina.

A dimostrazione di ciò, le date delle lettere si interrompevano in un arco molto breve: due o tre anni al massimo. Segno che, ormai ero considerato morto per loro. Non sarebbe poi servito a nulla provare a rimettermi in contatto con le persone i cui nomi figuravano nelle buste, molte di loro erano emigrati in cerca di maggior fortuna o erano morti.

Non mi arrabbiai con loro per essersi dimenticato di me, in quando ero io a dovermi scusare per prima.

Ripiegai le lettere, imbustandole di nuovo.

Dovevo scusarmi io per primo, sì. Aprii il giornale che avevo portato con me. Era un giornale di 15 anni fa, come riportato dalla testata. Lo sfogliai con cura, temendo che si potesse ridursi in mille pezzettini alla minima tensione.

La mia mano si fermò su un articolo in basso a sinistra. Lessi a mente.

“Scoperta truffa da un milione di dollari, l’autore è condannato a scontare una pena di 2 anni.” Vidi la mia foto con il testo, ero giovane e ambizioso. Speravo che la mia bravata non fosse stata scoperta da nessuno, ma si sa… il crimine non paga ed ero stato chiamato a far fronte ai miei errori. Sarebbe bastato che mi mettessi l’animo in pace, avrei fatto dei lavori di pubblica utilità e poi sarei stato rilasciato per buona condotta.

Ma lo stupido orgoglio prevalse sul buon senso. Ero un lavoratore come tanti, che era stanco delle vessazioni di uno Stato ingiusto e spietato per quelli che vivevano in basso. Per me era una giusta reclamazione di ciò che era mio di diritto.

Appena ricevuto la notizia, mi preparai in tutta fretta e portandomi lo stesso giornale che ora stringevo tra le mani, scappai. Scappai senza voltarmi indietro. Il mio nome fu messo in lista dei ricercati, tutte le mie proprietà bloccate e i miei amici, veri o presunti, ben presto si sarebbero posti delle domande. Domande che ora avevo letto nelle buste semi chiuse.

Lasciai la mia casa e mi ritirai in completo anonimato, muovendomi di mestiere in mestiere, facendo valere le mie competenze e, con il tesoro della mia esperienza appena avuta, mi guardai bene dal fare sciocchezze.

Un onesto bracciante, mi offrì un lavoro, dove potei tirare avanti e dimenticare il mio passato.

Nonostante le mie intenzioni iniziali, mantenni una fitta corrispondenza con uno dei lavoratori più in attivo nella vecchia impresa manifatturiera. Legati da una profonda e sincera amicizia, mi mantenne informato e non fece domande, mi comprese e mi supportò laddove potesse.

Pochi anni dopo, ormai integrato in una nuova comunità di nuovi lavoratori e brave persone, ricevetti una notizia che mi sconvolse non poco.

L’impresa dove lavoravo, era caduta in mano a degli speculatori di pochi scrupoli e ben presto la situazione divenne alquanto complicata. Per usare un eufemismo.

Di tanto in tanto, in completo anonimato passavo per la stessa strada che mi portava ogni giorno all’impresa dove lavoravo e dove si dicesse fosse lasciato allo sbando. Volevo vedere con i miei occhi se le voci fossero vere o fossero state ingigantite per fare notizia.

Purtroppo le cose erano come stavano…

I piani alti della direzione, per colpa di una forte omertà in basso, non potevano procedere per vie legali senza prove e quelli che alzavano la cresta venivano messi a tacere grazie a un giro di informazioni false, tanto che non venivano nemmeno tutelati da chi di norma dovevano difendere.

Mi resi conto che, con il mio capriccio, mi ero salvato da un destino ben peggiore.

Il mio caro amico, aveva già rassegnato le dimissioni e si era ritirato a vita privata con moglie e figli, scriveva libri su libri sulle condizioni della fabbrica dove insieme lavoravamo, abbracciò persino la causa comunista nella speranza di veder migliorate le condizioni sue e dei suoi colleghi.

Io mi tenni lontano dalla politica e dal prendere posizioni estreme, ero più predisposto per il quieto vivere.

Vissi la mia vita in pace e con il nuovo impiego ottenuto dal bracciante che, vista e approvata, la mia onestà e voglia di fare, mi promosse con uno stipendio più alto che mi permise di vivere ancor più dignitosamente e fare del mio meglio per la comunità che mi aveva accolto.

Anche il mio amico se la passava alla grande, ricevette numerosi premi letterari e anzi, ricevette l’onorificenza come gran cavaliere del lavoro.

Mi congratulai con lui a suo tempo, con una missiva molto lunga e appassionata. Le nostre relazioni, a volte, si interrompevano a causa degli impegni che ci tenevano lontani dalle scrivanie e la penna stilografica o altre volte erano le poste bloccate a causa degli scioperi e della peste che, a pochi giorni a quella parte, sarebbe diventata una questione seria.  

Insomma, a guardarla così la storia, parrebbe che non ci sarebbe stato motivo per cui potessi tornare nella mia vecchia casa.

Ma non era così. Una settimana prima, mentre ero impegnato con i miei doveri di capo manifatturiere, nel mio ufficio, ricevetti la visita inaspettata di una donna in nero. Probabilmente vedova da molti anni e che ancora non si era rassegnata ad accettare la perdita.

Non la conoscevo e in più il velo sul viso la rendeva irriconoscibile ma la presenza mi rendeva molto agitato. Mi fece delle domande e mi mostrò una lettera scritta di mio pugno.  

Era la proprietaria della mia vecchia impresa. Non potevo vederla in viso ma dalla voce capivo cosa provava. Era molto seria, stanca e amareggiata.

Mi diede le chiavi della mia vecchia casa, la cui serratura era stata cambiata durante la mia latitanza.

Se ne andò senza dirmi un’altra parola, la mia lettera era una lettera di scuse. Colei che avevo truffato era proprio quella donna. Non truffata tanto dal punto di vista economico quanto invece dal punto di vista della fiducia, che avevo tradito.

Quando andai a lavorare per la sua impresa ero un giovane di belle speranze, desideroso di sentirmi valorizzato, apprezzato per gli sforzi che facevo. Ma l’impresa era diversa da quello che pensavo. Molto diversa.

Anche se avevo agito facendo quello che ritenevo giusto, non mi ero mai chiesto se era giusto per gli altri.

Ero stato un bastardo egoista, ecco tutto.

E a pagarla siamo stati io, la fiducia della proprietaria nei miei confronti e i colleghi che mi stimavano e mi rispettavano.

Mi presi una settimana di ferie dal mio impiego attuale e tornai nella mia vecchia casa.

Mi tolsi gli occhiali, mentre ritornavo dal mio flusso di coscienza e di ricordi emersi dal momento che lessi le righe del giornale.

Avevo molto da fare, forse non più come prima, ma qualcosa si doveva pur fare.

Sicuramente non avrei più riottenuto il prestigio che avevo un tempo, né la stima dei miei ex colleghi ma ciò che avevo appreso in quegli anni che ero stato in quell’impresa mi erano rimasti e affinati con l’impegno e la buona volontà ottenuta dal mio capo bracciante.

La pestilenza era sparita, non ero più un lavoratore per la fabbrica, avevo riottenuto la mia vecchia casa, ora quello che mi restava era…

Costruire per mio diletto e non più impiego. Far sì che le mie opere meccaniche siano utili a qualcuno, siano delizia e curiosità per chi passerà per casa mia.

Convinto delle mie intenzioni, mi avvicinai alla cucina e aprii il fornello a legna passatomi di generazione dalla mia bisnonna e con dei fiammiferi ancora conservati nello stipetto e in buono stato, iniziai a bruciare via via, le vecchie lettere, come a voler cancellare un passato che ormai non mi apparteneva più. Mi rimboccai le maniche e iniziai a rimettere in ordine la casa.

Mentre stavo spazzando via le erbacce che erano cresciute da sotto le mattonelle, la porta suonò.

Andai ad aprire e mi trovai faccia a faccia con il mio amico scrittore, era venuto a trovarmi senza avvisarmi.

-Pensavo ti servisse una mano.- Con queste parole ci abbracciammo, erano anni che non ci vedevamo a causa della peste.

Lo accolsi in casa, rammaricandomi di non potergli offrire qualcosa. Ma per lui non aveva importanza, vedere che eravamo in salute era più che sufficiente.

Con l’aiuto del mio amico, la vecchia casa in pochi giorni era tornata più o meno ai vecchi fasti, spoglia ma pronta ad essere di nuovo il mio laboratorio d’artigianato. Le tane dei topi erano state riempite, i buchi tappati e la polvere spazzata via. Successivamente tinteggiammo la casa, lavammo gli oggetti fissi come il bagno, la cucina e quanto altro era attaccato al muro o al pavimento.

-Questo è il mio regalo di benvenuto.- Il mio amico si congedò dopo avermi aiutato, lasciandomi un meraviglioso quadro antico. Rappresentava un personaggio storico vissuto nel medioevo nero.   

Prima che ci separassimo, tolsi il velo dalla targhetta del cancello. Riportava il mio nome e quello dell’impiego che facevo prima di sparire.

Alzai lo sguardo alla casa nuova… Bentornato a casa, mi dissi.

FINE

   
 
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