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Autore: Beauty    10/08/2018    3 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VI
 
Dreams Never Come True
 
 
 
Un giorno accadde che il re proclamò una gran festa da ballo
che sarebbe durata per tre giorni. Tutte le belle fanciulle
del reame furono invitate, in modo da permettere
al principe di scegliersi una sposa.”
 
Grimm, Cenerentola
 
 
L'IMPATTO CON L'ACQUA GELIDA fu scioccante.
Elizabeth si dimenò sott'acqua, gli occhi spalancati, confusa e frastornata su quanto le era capitato. Spalancò la bocca per gridare, con il solo effetto d'ingoiare l'acqua fredda, mentre le alghe sul fondale le si aggrovigliavano intorno alle caviglie. Elizabeth vide le bollicine uscire dalla sua bocca, e si riprese. Agitò con furia braccia e gambe e, quando scorse una flebile luce sopra la sua testa, oltre il pelo dell'acqua, la seguì.
L'aria fredda della notte le colpì in pieno il volto e penetrò con forza nei suoi polmoni non appena la ragazza tirò fuori la testa dall'acqua. Elizabeth tossì, si dimenò per restare a galla, con i capelli zuppi e appiccicati al cranio che le cascavano di fronte agli occhi impedendole di vedere bene. Lottò contro i flutti e la scarsa visuale concessale dall'acqua e dal buio, e infine riuscì a scorgere, a diversi metri da lei, la riva del fiume in cui era caduta dopo essere stata risucchiata dal vortice. Elizabeth si costrinse a raccapezzarsi, inspirò tutta l'aria che i suoi polmoni erano in grado di contenere e iniziò a muovere ampie bracciate, nuotando con disperazione verso la terraferma. Il suo cervello non ragionava quasi più, si limitava a formulare comandi e pensieri brevi e diretti, un obiettivo alla volta, terra, forza!, nuota...
Elizabeth cacciò un braccio fuori dall'acqua e si aggrappò con le dita a un ciuffo di erba bagnata. Tirò il resto del suo corpo contro la riva, fino a premerci sopra il busto. Tossì, e risalì anche con braccia e gambe finché non fu completamente fuori dal fiume. Ansimò, e attese fino a che gli ultimi colpi di tosse non si estinsero e i suoi polmoni si furono riabituati a una entrata e uscita regolare di ossigeno.
La vista era ancora ostruita dai residui di acqua e dai capelli bagnati che le dondolavano di fronte agli occhi. Elizabeth se li strofinò e scostò le ciocche fino a che, lentamente, sollevò il capo e riuscì a vedere ciò che le stava di fronte: il cielo notturno era tinto da sfumature rosse e arancioni, l'aria era pesante e quella che sulle prime la ragazza identificò come una lieve nebbiolina si rivelò invece del fumo grigio che, salendo nell'aere, formavano una calotta scura sui resti di un piccolo villaggio.
Si alzò in piedi. La tracolla della borsa le graffiò la pelle del collo lasciata scoperta dalla scollatura della maglietta. Elizabeth ebbe uno scatto di stizza e si tolse di dosso quel fardello. La borsa finì abbandonata sull'erba, ancora chiusa.
Elizabeth si accorse di avere il fiato corto. Restò a guardare la tracolla per un minuto intero. La sua mente riusciva quasi a oltrepassare la barriera di stoffa della borsa e a tracciare i confini del libro di favole contenuto al suo interno.
Arricciò il naso.
L'istinto di mollarlo lì era quasi impossibile da resistere, ma Elizabeth riuscì a combatterlo. Ricordò ciò che aveva blaterato poco prima, sulle responsabilità che lei e sua sorella presumibilmente avevano. Raccolse la borsa sbuffando. Abbandonare lì il libro di favole sarebbe stato come rimangiarsi tutta la discussione con Anya, mandare al diavolo la coerenza, e ammettere di aver parlato a vanvera tutto il tempo.
Se la rimise a tracolla e tornò a concentrarsi sulle rovine del villaggio. L'intera area era chiaramente stata devastata da un incendio. L'erba bagnata della riva si diradava man mano che si risaliva il piccolo dislivello che separava il fiume dalle case, divenendo sempre più rada, secca e bruciacchiata. Di fronte a Elizabeth si apriva una via che conduceva all'interno del centro abitato. Le case al suo ingresso erano distrutte, senza più i tetti, con le travi del soffitto crollate e inclinate dentro le dimore stesse. Le porte erano state sfondate e molte persiane delle finestre erano scardinate. Una delle case presentava anche un vistoso crollo di una delle pareti, con accumuli di mattoncini e assicelle ammassati in una montagna informe.
Aguzzando la vista – Elizabeth si stupì di quanto riuscisse a vedere bene anche senza gli occhiali – poteva scorgere alcuni piccoli fuochi ancora accesi qua e là fra le abitazioni.
C'era silenzio.
Elizabeth non si mosse. Uno spiffero di vento la fece raggelare nei suoi abiti bagnati. Si strinse nella felpa, con il risultato di sentirsi ancora più infreddolita. Guardò ancora il villaggio distrutto, poi si girò: gli argini del fiume non erano distanti fra loro; rituffarsi e raggiungere l'altra riva a nuoto non sarebbe stato difficile, ma oltre essa c'era la foresta.
Elizabeth osservò quella parete di alberi a lungo. Il verde delle fronde e il marrone dei tronchi erano stati fagocitati dal buio, e ora non erano altro che giganti scuri che si ergevano minacciosi oltre le acque del fiume. Elizabeth sentì la paura scorrerle nel sangue. Rivide il lupo mannaro, Biancaneve con la sua mannaia, Tremotino...gliene erano già capitate di tutti i colori, nel bosco. Il villaggio bruciato non era una prospettiva più allettante, no, ma aveva avuto abbastanza brutte esperienze nella foresta per volercisi addentrare da sola.
Il villaggio, invece, sembrava deserto. Era chiaro che ci fosse stato un disastro, ma al momento non pareva esserci nessuno rimasto lì. Se non c'era nessuno, per logica, nessuno avrebbe potuto farle del male.
E se per caso incontrassi qualcuno, si disse Elizabeth, potrei chiedere aiuto.
Il suo pensiero andò ad Anya. Non sapeva dove fosse. Non sapeva neanche se lei fosse stata a sua volta risucchiata da quel vortice. Non le era sembrato, ma chi poteva dirlo? Forse era rimasta dov'era, o forse no.
Sicuramente la stava cercando.
Doveva trovare Anya, pensò, ma prima doveva capire dove sua sorella fosse. E prima ancora, doveva capire dove fosse lei.
Prese coraggio e cominciò ad avanzare lentamente in direzione del villaggio. Quando fu quasi sulla soglia della strada, Elizabeth lesse un cartello semi distrutto. Alcune lettere erano cancellate, altre squarciate via a metà, ma il nome risultata comunque leggibile.
 
Hagenheim
 
Non era granché come informazione, ma meglio di niente.
Elizabeth esitò ancora un istante, poi s'insinuò fra le case distrutte.
 
***
 
LA LAMA FREDDA le premeva contro la carne della gola.
Avrebbe voluto urlare, ma era come paralizzata. L'agguato l'aveva colta impreparata. Era accaduto tutto troppo in fretta: il vortice, la mano di sua sorella che scivolava via dalla propria, quel coltello puntato alla carotide, quegli occhi azzurri e freddi come il ghiaccio...
L'unica cosa che riuscì a fare fu schiudere le labbra, ma da esse uscì solo un gracchiare flebile.
Il Primo Ministro ringhiò, ritirando la lama con un gesto così repentino che Anya quasi faticò a cogliere. Ripose il coltello nel fodero che teneva agganciato alla cintura.
Anya si sentì afferrare per la seconda volta per i capelli e tirare in piedi a forza.
- Cos'è successo?!- urlò l'uomo.- Lo sapevi? Tu lo sapevi che stava lì? Dov'è finita?
Anya non ebbe la prontezza di rispondere, ancora frastornata. Preso dalla rabbia, il Primo Ministro la spinse in avanti facendola cadere a terra.
- In piedi!- ordinò immediatamente, ed eseguì da sé l'azione strattonandole un braccio e costringendola a rimettersi sulle sue gambe. Anya barcollò, ma aveva recuperato sufficiente lucidità mentale e presenza di spirito da rivolgergli uno sguardo furioso.
- E tu chi cazzo sei?!- strillò la prima cosa che le venne in mente, e cercò di liberare il braccio.- Lasciami, stronzo!
- Zitta!
Anya si ritrovò con una delle mani guantate dell'uomo stretta intorno alla gola. Non era una presa abbastanza forte da strangolarla, ma sufficiente a mozzarle il fiato e a immobilizzarla.
- Dov'è l'altra? L'hai aperto tu il Portale?!
- Quale portale?- gracidò.
Il suo aguzzino dovette comprendere che lei non aveva idea di cosa stesse parlando, perché mollò la presa dopo qualche secondo. Anya riuscì a reggersi in piedi, ma ebbe un accesso di tosse. Il Primo Ministro tirò un pugno al tronco di un albero per la rabbia.
La ragazza indietreggiò.
- Cos'è successo?- annaspò con la voce strozzata.- Cos'era quel vortice? Dov'è mia sorella?
L'unica risposta che ottenne furono due occhi azzurri e furibondi piantati su di lei.
- Non lo so dov'è tua sorella, sgualdrina!- l'afferrò di nuovo, stavolta per il bavero della maglietta.- Non lo so, ma sarà bene per la tua salute che non sia morta!
Anya gli strinse il polso e riuscì a staccarsi la sua mano di dosso per una frazione di secondo, ma l'altro fu più svelto di lei e sostituì la presa alla stoffa con un morso intorno all'avambraccio sinistro. La ragazza cercò di tenere il volto e il resto del corpo il più lontano possibile da lui.
- Si può sapere chi accidenti sei? Un altro ridicolo personaggio di questo mondo?
Il Primo Ministro stava per risponderle che chi fosse, lui, non era affar suo, ma l'istinto da cacciatore prese il sopravvento su quello di essere umano. Gli bastarono pochi istanti per ripercorrere con la mente l'intera scena e per analizzare la situazione presente. Comprese che doveva essere stata la sua freccia ad aver aperto il Portale, poiché non ricordava che nessuna delle due ragazze l'avesse toccato per sbaglio o con intenzione.
Si rimangiò un'imprecazione, e cercò di tirare la prigioniera verso di sé in modo da bloccarle entrambe le braccia. Anya gli oppose resistenza.
- Devo trovare mia sorella...- stava succedendo tutto così in fretta da non darle il tempo di ragionare. Ancora doveva capire chi fosse quell'uomo e cosa volesse da lei, ma in quel frangente sua sorella occupava gran parte delle sue preoccupazioni. Non riusciva a credere a ciò che era successo: Elizabeth era stata risucchiata da un albero!
Era assurdo. Ciò che era successo non poteva essere reale...
Perché non è reale, idiota! Questo è il fottuto Regno delle Favole, e niente funziona a rigor di logica...
...della sua logica, almeno. Fino a un attimo prima un solo accenno a ragionare in quel modo sarebbe stato un'ottima scusa per prendersi a schiaffi da sola, ma adesso Liz era sparita, e lei avrebbe dovuto adattarsi, se avesse voluto trovarla.
Liz, cerca di non esserti fatta male, o ti spezzo le ossa con le mie mani...!
- Tu non andrai da nessuna parte finché non lo dirò io!
Già. Le conveniva decisamente risolvere un problema alla volta; tanto per cominciare, doveva liberarsi di quel gran rompicoglioni, che chi fosse e cosa volesse lo sapeva solo lui, a lei interessava solo che la lasciasse andare.
Vedendo che agitarsi non aveva portato a nulla, Anya cercò di sferrargli un calcio a una delle gambe, ma lo sconosciuto si scansò.
- Sta' lontano da me!- gli urlò, ma ancora prima che terminasse la frase il Primo Ministro l'attirò a sé e le afferrò i capelli dietro la nuca, strappandole un gemito di dolore e sorpresa. Avvicinò proprio volto a quello della ragazza.
- Ora apri bene le orecchie - sibilò.- Sappi che non me ne importa niente di ciò che vuoi o non vuoi, quindi cerca di chiudere la bocca e di stare ferma. Per colpa tua e della tua sorellina, ora tu dovrai venire con me...
La spinse in avanti, mollandole il braccio, ma la sua presa venne subito sostituita dalla lama di un pugnale puntata all'altezza del fianco. Anya barcollò, incespicando nell'erba.
- Cammina!- ordinò il Primo Ministro, dandole un'altra spinta.- Muoviti, e ricordati che ci impiego un attimo a piantartelo nel fegato!- minacciò, accennando al pugnale.- Cammina, ho detto!- e accompagnò l'incitazione con una terza spinta.
Anya chinò il capo, e iniziò ad avanzare a passo sostenuto, senza prestare attenzione a dove stesse andando. Aveva intravisto il pugnale con la coda dell'occhio, si era sentita la lama contro la carne; era sufficiente per farla tacere. Continuò a camminare lentamente, senza guardarlo e cercando di temporeggiare e di farsi venire qualche idea.
Cosa volesse quel tizio da lei, non lo sapeva, ma bastava il modo in cui si era posto per comprendere che non fosse nulla di buono. Sospettava anche che non fosse lì per caso, ma che in qualche modo l'avesse puntata. E che avesse puntato anche sua sorella. Ripensò alle parole della Fata Turchina: le era parso di capire che in parecchi, in quel luogo, fossero a conoscenza della profezia e di questa fantomatica Salvatrice. Non l'aveva detto esplicitamente, ma lo aveva lasciato intendere. E non tutti erano entusiasti della cosa...bastava ricordare gli incidenti con quell'animale e Biancaneve...quel tipo, sicuramente, non doveva essere fra i fan della Salvatrice...
All'improvviso, gemette forte e si lasciò cadere in ginocchio sull'erba.
- Che cosa c'è, adesso?- il Primo Ministro le si avvicinò, furioso.- Avanti, non ho tempo da perdere!
- Sono inciampata...- mormorò la ragazza, tenendo la fronte bassa ma facendo saettaro lo sguardo tutt'intorno all'area che riusciva a coprire con la vista.- Non...non riesco a rialzarmi...- aggiunse, ad alta voce, quando vide un grosso ramo abbandonato a pochi passi da lei. Era veramente vicino, sarebbe bastato solo allungare un po' il braccio...
- Beh, vedi di riuscirci, altrimenti ti garantisco che non sarai più in grado di camminare per mesi...
- V-va bene...- soffiò Anya.- Dammi...dammi solo un secondo...
Allungò il braccio in direzione del ramo, poi scattò di lato e l'afferrò. Atterrò su un fianco e sollevò il pezzo di legno, colpendo il Primo Ministro a una spalla. Aveva mirato alla testa ma l'agitazione l'aveva tradita, però se non altro la legnata fu abbastanza forte da fargli perdere l'equilibrio.
Anya approfittò del suo momento di confusione per rialzarsi, e iniziò a correre, addentrandosi nella Foresta Incantata.
Continuò a correre a perdifiato per diversi metri, senza stare lì a pensare a dove stesse andando. Non aveva un piano preciso, voleva solo allontanarsi da quello stronzo e nascondersi. Saltò un tronco d'albero caduto, facendosi strada fra gli alberi e le pietre. Accelerò la corsa quando sentì i passi affrettati dello sconosciuto alle sue spalle.
Qualunque cosa tu voglia, sappi che non sono disposta a dartela...!
Superò un salice piangente, quindi girò intorno a un grosso masso che le ostruiva la via. Fu allora che avvertì il terreno divenire improvvisamente molle e cedevole sotto i suoi piedi, e abbassò lo sguardo su di essi: era finita proprio dentro a una grossa pozza di fango. Udì i passi alle sue spalle avvicinarsi rapidamente, e fece per riprendere a correre, ma non appena mosse due passi si vide sprofondare ancora di più nel fango. La melma ora le arrivava alle ginocchia. Tentò nuovamente di avanzare, ma a ogni minimo movimento sprofondava sempre di più, e il fango emetteva uno strano suono, un misto fra un risucchio e un rigurgito.
Anya vide con orrore di essere immersa nella fanghiglia fino alla vita.
Era impossibilitata a muoversi. E la melma la trascinava giù.
Si guardò freneticamente intorno, alla ricerca di un mezzo che l'aiutasse a uscire da lì. Lo sguardo le cadde su un ramo sporgente al di sopra della fossa, all'apparenza flessibile ma anche resistente. Anya allungò le braccia, aggrappandovisi con entrambe le mani. Strinse i denti e cercò di issarsi fuori da quello schifo.
Tenendosi ben salda al ramo, Anya riuscì a trascinarsi fuori dal fango fino alle ginocchia, quindi abbandonò il busto contro una parte di terra solida ed estrasse anche le gambe. Quando fu completamente libera, si rialzò e tentò di riprendere a correre, ma sentì un rumore secco e acuto, quasi un fischio, squarciare l'aria. Un istante dopo, avvertì un dolore lancinante alle gambe.
Anya cadde a terra, scivolando brevemente lungo un pendio non troppo alto che si trovava a poca distanza dalla fossa di fango, e si ritrovò distesa nel bel mezzo di una piccola radura. Strinse i denti per il dolore, il volto contratto in una smorfia: aveva sbattuto il fianco contro una pietra. Guardò le proprie gambe: le sue caviglie erano legate insieme da una frusta.
Serrò gli occhi, riaprendoli solo quando sentì i passi di poco prima, stavolta più vicini e non più affrettati, ma calmi e misurati, avvicinarsi a lei. Dopodiché, avvertì una lieve pressione all'altezza del busto. Guardò: lo sconosciuto le stava premendo uno stivale contro l'addome.
Anya cercò di riprendere fiato. Forse in quel momento avrebbe dovuto sentirsi disperata e impaurita, invece provava solo una gran rabbia, per non essere riuscita a scappare, per essersi fatta catturare, per non poter spaccare la faccia a quel pezzo di merda e per tutto quello che immaginava sarebbe successo di lì a poco.
L'uomo si chinò, liberandole le caviglie e riavvolgendo la frusta che agganciò poi intorno alla propria cintura. La prese per un braccio e la costrinse ad alzarsi. Si ritrovò di fronte a lui, con solo pochi centimetri a separarli. Lo sconosciuto era più alto di lei di almeno una spanna. Anya dovette fare un enorme sforzo di volontà, ma alla fine sollevò lo sguardo e agganciò i propri occhi a quelli azzurro ghiaccio dell'uomo: in fondo al cuore provava una certa paura, ma col cazzo che gliel'avrebbe lasciato capire.
Lui sostenne il suo sguardo, poi inclinò leggermente il capo di lato.
- Toglimi una curiosità...- esordì, con voce calma e monocorde, ma Anya colse ugualmente la beffa nel suo tono.- Cosa speravi di fare?
Anya non rispose né distolse lo sguardo. Le labbra dello sconosciuto si contrassero in una smorfia infastidita, quindi, prima che la ragazza potesse rendersene conto o fosse in grado di reagire, le assestò un sonoro schiaffo su una guancia, tale da farle voltare la testa di lato.
Anya boccheggiò, iniziando ad avvertire bruciore alla parte carnosa della guancia e alle labbra, mentre lo schiaffo le rimbombava nell'orecchio. Nessuno le aveva mai dato un ceffone così forte, pensò come prima cosa. Papà aveva mollato qualche schiaffo e qualche sculacciata a lei e a Liz, quand'erano piccole, ma mai aveva ricevuto una sberla così forte in vita sua, tranne...
- Anya, cosa stai facendo?
- Niente, mamma...
Le immagini di quel pomeriggio di dodici anni prima, quando aveva sei anni, cominciarono a scorrerle nel cervello con la rapidità dei flash di una macchina fotografica, come scene di un film tagliate e incollate insieme senza un vero senso logico.
- Cosa stai leggendo? Fammi vedere!
Sua madre le strappa il libro di favole di mano. Lei ha troppa paura per ribellarsi. La mamma è cambiata, non è più la stessa. Anche papà e Liz se ne sono accorti. E le fa paura.
Sua madre fa una smorfia rabbiosa, poi scaraventa il libro dall'altra parte della stanza.
- Sei una stupida! Perché leggi queste stronzate, si può sapere?! Quante volte ti ho detto che sono solo stupidaggini?! Lo sai che non voglio vedere robaccia del genere in casa mia!
- Scusa, mamma...
Uno schiaffo, forte, le rimbomba nell'orecchio e le fa bruciare la guancia e le labbra. Piange, e sa che questo le costerà un altro ceffone, ma non riesce a trattenersi. Subito arriva la voce di suo padre, e non è più allegra e scherzosa come una volta.
- Cos'hai fatto? Perché le hai dato uno schiaffo, si può sapere?!
- Perché se lo meritava! E' una spiegazione sufficiente, per te?
Papà urla, la mamma strilla. Odia quando fanno così.
- Non stava facendo niente di male!
- Lo decido io se stava facendo qualcosa di male o no. Non t'immischiare!
- Stava solo leggendo, perché le hai dato uno schiaffo?
- Ho detto di farti gli affari tuoi! Sono sua madre, so come educarla!
- Se un'isterica...
- E' colpa tua! E' tutta colpa tua!
Si riscosse non appena sentì lo sconosciuto afferrarle i polsi. Si lasciò scappare un gemito al contatto ruvido con la corda che le graffiava la carne. Il Primo Ministro sogghignò soddisfatto, stringendo in modo da rendere il nodo più saldo.
- La prossima volta che provi a scappare di spezzo il collo. Sono stato chiaro?
- Ma che cosa vuoi da me?!- strillò Anya, furibonda.
Per un attimo sembrò che il Primo Ministro volesse rispondere alla domanda, ma poi lo sguardo gli cadde alle spalle della ragazza. Si trovavano in una radura solitaria e circoscritta, lui e la prigioniera ci stavano a malapena in due, e oltre a essa si stagliava il muro di alberi della Foresta Incantata. Intorno a loro non si udiva nessun rumore, né il canto di un uccello né il fruscio delle foglie. Oltre gli alberi s'intravedeva solo l'oscurità.
Gli tornò in mente suo padre.
(Ricordati che non è il rumore che devi temere, nel bosco. Stai in allerta quando cala il silenzio)
Tutto era decisamente troppo silenzioso. Qualcosa non andava.
Il Primo Ministro tese l'orecchio, per la prima volta ringraziando che qualcosa di ciò che era stato fosse rimasto ancora in lui. Udì un fruscio, quindi un gemito lontano, ma non si trattava di un'illusione creata dal vento.
Per diverso tempo studiò l'oscurità intorno a loro. Poi, avvertì una sensazione strana nel cuore, una sensazione che conosceva bene: era paura. Paura folle e inspiegabile, che ti faceva gelare il sangue nelle vene, aumentare il battito del tuo cuore, e sapere che qualcosa di orribile stava per capitarti da un momento all'altro.
No. No, non è possibile. La Regina non può aver davvero liberato...
Un altro fruscio gli fornì la certezza assoluta che qualcosa si stesse muovendo nell'oscurità, avvicinandosi a loro sempre di più.
- Andiamo via...!- sibilò, prendendo Anya per un braccio; fiaccò la resistenza della ragazza e la trascinò via con sé, lontano da quella...cosa.
Solo quando tornò a sentire i rumori della Foresta Incantata si sentì più tranquillo, ma i suoi nervi restarono tesi. Non si sentiva un codardo. Sapeva quali fossero i suoi limiti e chi poteva combattere e chi no.
E quell'essere che si annida nel buio è pressoché invincibile.
Non riusciva a credere che la Regina Cattiva lo avesse fatto davvero. Si domandò se si fosse resa conto del rischio che avrebbe comportato liberare quella creatura e, soprattutto, se fosse in grado di controllarla.
L'Uomo Nero era uno degli esseri più temuti di quel mondo, forse più dello stesso Tremotino.
Lui e quella ragazza erano scampati alle sue grinfie per un pelo, ma il Primo Ministro sapeva che d'ora in avanti avrebbe dovuto tenere gli occhi bene aperti, specialmente di notte, e sperare che la Regina Cattiva fosse sufficientemente abile nel gestirlo. Se fosse sfuggito al suo controllo, allora le cose non avrebbero tardato a degenerare.
Di nuovo, le storie di suo padre riaffiorarono nei suoi ricordi.
(L'Uomo Nero è una delle creature più terribili di questo mondo. Sta in agguato nell'oscurità, attende e infine attacca. Se riesce a portarti via con sé, allora hai poche speranze di tornare indietro)
 
***
 
PIU' CHE IL REGNO DELLE FAVOLE, questo ha l'aria di essere un incubo.
Elizabeth ora si sentiva pronta a credere a tutto ciò che la Fata Turchina aveva detto. Non aveva avuto dei dubbi già all'inizio, ma adesso la situazione le appariva ancora più chiara. Era evidente che ci fosse qualcosa che non andava.
Qualcosa di serio, a giudicare dallo stato in cui era ridotta quella Hagenheim. Quella che un tempo doveva essere stata una cittadina, ora appariva più come una landa desolata. Elizabeth, che sulle prime aveva pensato a un incendio, adesso vedeva che le case, le strade e i giardini recavano il segno evidente e recente di un saccheggio. La maggior parte delle abitazioni era stata bruciata, e i vetri rotti delle finestre lasciavano scorgere il soqquadro che regnava all'interno di ogni casa.
Non c'era anima viva.
Elizabeth inciampò in un'asse di legno abbandonata in mezzo alla strada, ma riuscì a mantenersi in equilibrio e continuò a camminare, senza smettere di far saettare lo sguardo da una parte all'altra della via. Le pareva quasi di essere piombata dal Regno delle Favole a Silent Hill.
Ebbe l'improvviso e quasi irrefrenabile impulso di tornare indietro, verso il fiume. A differenza di prima, ora l'alternativa di provare a guadare le acque e inoltrarsi di nuovo nella Foresta Incantata le sembrava più allettante di continuare a vagare senza meta in quella città fantasma. A parte le case distrutte e qualche fuocherello che andava spegnendosi, Elizabeth aveva la sensazione che non ci fosse niente lì che potesse aiutarla a trovare Anya, e nemmeno nessuno che le desse una mano.
Magari sono tutti morti.
Quella constatazione la fece rabbrividire, e istintivamente cercò di guardare oltre le macerie delle abitazioni per scorgere qualche cadavere. Se lo impedì. Comprese che non aveva alcuna voglia di sapere se ci fosse della gente morta, ad Hagenheim. Senza contare che era già svenuta durante l'ora di biologia, quando il professore aveva messo di fronte a ognuno degli studenti una rana stecchita da dissezionare, non osava pensare a che reazione avrebbe avuto di fronte al corpo senza vita di un essere umano.
E poi, le occorreva gente viva a cui chiedere aiuto, non persone morte.
Sempre che i vivi avessero buone intenzioni...
Deglutì, e decise di fare qualsiasi cosa che ogni futura vittima idiota di qualsiasi horror di serie B avrebbe fatto in quella situazione. Sperando di non trovarsi in un film horror di serie B.
- C'è nessuno?- domandò ad alta voce, ma ricevette in risposta solo il proprio eco.
L'inquietudine che provava fu abbastanza da frenarla dal fare un secondo tentativo. Elizabeth riprese a camminare; non si accorse che qualcuno, poco lontano, la stava osservando.
 
***
 
New York, 2015. Ore 4:50 a.m.
 
GREG NEDRY RIVOLSE UN'OCCHIATA noncurante una fotografia che ritraeva due bambini sorridenti, notando appena che era l'ultima arrivata accanto ad altre tre.
 
SALLY CRANE, 4 ANNI
SCOMPARSA IL 3 SETTEMBRE
 
Il manifesto che segnalava la sparizione di quella bambina con il sorriso dai denti mancanti e i capelli color cioccolato era ancora intero per miracolo. Gli angoli del pezzo di carta erano piegati o strappati, e penzolava più mollemente rispetto ai due che l'affiancavano.
Il primo presentava la fotografia di un bambino con i capelli corti e biondi coperti in parte da un berretto a punta da festa di compleanno, le guance piene e un bel sorriso allegro di chi ha appena ricevuto una gustosa torta e un bel regalo.
 
JOEY MITCHELL, 7 ANNI
SCOMPARSO IL 22 SETTEMBRE
 
A differenza di Joey, la bambina del manifesto accanto era chiaramente imbronciata. I capelli erano raccolti in due code ai lati del capo, e indossava un grembiulino scolastico. S'intravedevano le spalle di altri due bambini accanto a lei e un trancio della testa di un terzo di fronte, segno che la fotografia dovesse essere il ritaglio di uno scatto di classe.
 
SARAH HAMMONDS, 9 ANNI
SCOMPARSA IL 29 SETTEMBRE
 
Un'ora prima, un poliziotto era entrato all'Once Upon a Time Café e aveva chiesto a Bowen di poter appendere al bancone, accanto ai tre manifesti, anche un quarto. Quest'ultimo, mostrava due bambini, fratello e sorella, che sorridevano all'obiettivo mentre si tenevano abbracciati.
 
TOBY, 8 ANNI, E KATIE MCPHERSON, 6 ANNI
SCOMPARSI IL 1 OTTOBRE
 
Greg smise di pensare ai bambini nel preciso istante in cui la sua attenzione si spostò dai manifesti al bicchiere di caffé che Juliet gli aveva posto di fronte.
- Allora...- esordì, bevendo un sorso di caffè e scottandosi la lingua.- Stasera Anya non lavora...
- Te l'ho già detto tre volte: no - Juliet poggiò entrambi i palmi sul bancone e si sporse verso di lui, in modo tale che Greg potesse avere una visione completa e alquanto piacevole della sua scollatura; era chiaro che l'avesse fatto apposta: Greg bazzicava l'Once Upon a Time Café da mesi, e aveva capito che Juliet aveva preso una bella sbandata per lui. Era molto più sexy di Anya Hadleigh, aveva un carattere molto meno spigoloso e ad intuito doveva essere di gran lunga più troia, peccato che non fosse lei il suo obiettivo.
Ma si era ripromesso di farci un pensiero, qualora fosse tornato in quella squallida tavola calda.
- Senti...- ridacchiò Juliet.- Che tu ci creda o no, non l'abbiamo nascosta nella cella frigorifera perché tu non la trovassi. Anya non fa il turno di notte, oggi. Sarà a casa, con la sua cara sorellina...
- Mmm...- Greg si finse pensieroso.- Okay, ti credo - buttò lì per fare una battuta, e la cameriera rise.- E...che turni fa, questa settimana? Oggi, ad esempio...
- Non sono autorizzata a fornirti informazioni!- ribatté Juliet, seccamente, ma il sorriso sulle sue labbra lasciava intendere che avesse una gran voglia di flirtare. Greg ne approfittò.
- Oh, andiamo!- giocherellò.
- No, mio caro. Se vuoi corteggiare la nostra Anya, devi appostarti qui fuori giorno e notte, con il caldo e con il freddo. Qui da noi le cose si fanno per bene - aggiunse, curandosi di sporgersi ancora più in avanti in modo che il reggiseno di pizzo bianco fosse ben visibile.
Greg bevve un sorso di caffè, fingendo di non essersi accorto di nulla. Erano quasi le cinque del mattino, oltre a lui nel locale c'era solo un gruppetto di ragazzi che si erano parcheggiati lì dopo una probabile serata in discoteca. Il proprietario non era presente. Avrebbe tranquillamente potuto trascinare quella puttanella sul retro e farsi una sana scopata, ma gli ordini ricevuti gli imponevano di comportarsi da perfetto gentiluomo.
- Sì, ma sarei molto avvantaggiato se avessi almeno un piccolo riferimento temporale...- sfoderò un sorriso ammaliante.- Andiamo...mattina? Pomeriggio? O fa il turno serale?
- Non so se posso dirtelo...- Juliet giocò ancora un pochino con lui, ma era evidente che non aveva intenzione di tirarla ancora per le lunghe; infatti, poco dopo aggiunse:- Okay, hai vinto: domani lavora dalle nove del mattino alle cinque del pomeriggio. Ricorda che ti ho dato questa informazione, quando vi sposerete e avrete dei figli. Sarà grazie a me.
- Oh, io non dimentico chi mi aiuta...- Greg le fece l'occhiolino, pagò e uscì.
Aveva al suo attivo poche ore di sonno, e fu quasi tentato di tornarsene nel suo motel e aspettare le nove del mattino per assicurarsi che Anya Hadleigh fosse andata al lavoro oppure no. Invece, montò in sella alla sua Suzuki nera parcheggiata a pochi metri dall'Once Upon a Time Café e infilò il casco.
Le strade, in quel mondo, soprattutto in quella New York, non erano mai poco trafficate o semi deserte. Ma restavano pur sempre le cinque di mattina, e Greg Nedry raggiunse la casa dell'ispettore Hadleigh e delle sue figlie in meno di un'ora. Ormai conosceva la strada a memoria, c'era stato tante volte negli ultimi anni.
Parcheggiò la moto in modo che fosse ben nascosta, anche se non aveva mai avuto problemi con ficcanaso dell'ultimo minuto, ma la prudenza non era mai troppa. Tenendo addosso il casco, si diresse con cautela al luogo dove sapeva che Anya Hadleigh aveva l'abitudine di parcheggiare il suo pick-up. Si corrucciò quando lo trovò ancora al proprio posto.
Greg Nedry masticò un'imprecazione, poi si tolse il casco, attraversò la strada ed entrò nel pub di second'ordine che sorgeva a circa tre metri di distanza dal condominio dove si trovava l'appartamento degli Hadleigh. Aveva scovato quel luogo cinque anni prima: gli piaceva, il proprietario lo conosceva ma nonostante ciò non aveva mai fatto domande.
E, fattore più importante, aveva delle splendide e ampie finestre che gli permettevano di monitorare la situazione e i movimenti delle sorelle Hadleigh e dell'ispettore.
- Il solito?- gli chiese l'uomo dietro al bancone quando lo vide entrare.
Greg si sedette a uno dei tavolini più vicini alle finestre, e annuì.
Mentre beveva il suo whiskey, prese a controllare l'orologio: mancavano meno di quattro ore alle nove.
 
***
 
A MANO A MANO che proseguiva, Elizabeth sentiva crescere dentro di sé uno strano senso di allarme. Di nuovo quella sensazione che aveva provato quando aveva lasciato cadere il libro di favole sul pavimento del salotto. La sensazione di essere...osservata.
Se era partita con l'intenzione di chiedere aiuto, adesso sperava con tutta se stessa di non trovare nessuno. Il fatto che quella cittadina fosse disabitata era una sfortuna, nelle sue condizioni; tuttavia, Elizabeth preferiva che non ci fosse nessuno, piuttosto che scoprire una qualche presenza che si manteneva celata.
Era arrivata a metà di una strada i cui cigli si allontanavano l'uno dall'altro progredendo con il cammino. Le case intorno erano più rade, e agli angoli della via c'erano cespugli e residui di piante bruciacchiate. Elizabeth pensò che dovesse trattarsi di una periferia. Era arrivata all'uscita di Hagenheim e non aveva risolto niente.
Pensò al da farsi. Se avesse proseguito si sarebbe trovata di nuovo in mezzo alla Foresta Incantata; se fosse tornata indietro...
Si guardò intorno circospetta, indagando ogni angolo.
La sensazione di essere osservata non era sparita. Era più forte di prima.
Se davvero c'era qualcuno, allora non doveva avere delle buone intenzioni. In mezzo a tutte quelle rovine solo un disperato o un malintenzionato avrebbe potuto nascondersi, e lei non poteva sapere chi si sarebbe trovata di fronte stavolta.
Elizabeth sentì che le sue mani avevano preso a tremarle. Non sapeva dov'era, non sapeva dove andare, non sapeva che fine avesse fatto Anya, era sola, inerme, indifesa...
Indietreggiò quasi d'istinto. La sensazione aumentò; ora era quasi una certezza.
Fece saettare lo sguardo in ogni direzione. La cosa più vicina a lei era un cortile la cui staccionata un tempo bianca era stata abbattuta, l'erba all'interno della sua area era alta e incolta e quasi nascondeva il largo viale che conduceva all'ingresso di un'imponente magione in pietra ingrigita, alta almeno tre piani. Le persiane erano tutte sbarrate e inchiodate con delle assi.
Ci fu un fruscio, forte, udibile. Alle sue spalle. La colse così all'improvviso che quasi non riuscì a trattenere un grido terrorizzato. Elizabeth si voltò repentinamente, ma non abbastanza per riuscire a vedere l'ombra scura che aveva appena attraversato la strada alle sue spalle, scomparendo poi in una via laterale.
Elizabeth indietreggiò il più in fretta che poteva, ma inciampò in un piccolo cumulo di mattonelle, finendo seduta a terra. Si rialzò alla velocità della luce, ma era in preda al panico. Il cuore sembrava sul punto di scoppiarle, e quella sensazione, quella dannatissima sensazione era enormemente accresciuta. Era quasi un mostro che camminava lentamente verso di lei, pronto ad afferrarla.
Elizabeth sentì la tracolla più leggera, e vide che il libro di favole era scivolato fuori. Si chinò per raccoglierlo e lo rimise al suo posto. Il rumore si ripeté. La ragazza voltò il capo nella sua direzione, sgranando gli occhi inorridita non appena scorse un'altra ombra a pochi metri da lei.
Era curva su se stessa, con una massa di capelli unticci e lunghi che le copriva la faccia. Annusava l'aria inspirando rumorosamente.
Quando smise di emettere quel verso, Elizabeth ebbe la certezza che l'avesse vista.
Si girò e cominciò a correre.
Quell'essere era lento, si muoveva piantando i piedi nel terreno come se fossero stati due incudini, ma i versi che emetteva ne lasciavano trasparire la ferocia. Elizabeth non l'aveva visto in faccia, si rifiutava di guardarlo, ma lo sentiva sbavare e ringhuare come una bestia affamata.
Si precipitò in direzione della staccionata abbattuta, e si lanciò di corsa lungo il viale. Era lunghissimo, quasi infinito, e al centro di esso sorgeva una fontana che prima non aveva visto, dal marmo scrostato, prosciugata e coperta di rampicanti; Elizabeth l'aggirò sentendosi il fiato corto.
La porta d'ingresso era scardinata. La ragazza entrò di corsa, esitando sulla soglia alla ricerca di qualcosa con cui sbarrare l'entrata; non la trovò, e la creatura era a metà viale. Elizabeth ne intravide una mano nodosa e color carne marcia, che reggeva un grosso pugnale.
Entrò in casa. Al centro dell'atrio una scala conduceva al piano superiore, ma molti scalini erano sfondati. Elizabeth si avventò sulla prima porta che le capitò a tiro: abbassò la maniglia più volte, ma era chiusa a chiave.
Intanto la creatura era arrivata sulla soglia dell'ingesso.
In quella casa l'unica fonte di luce era quella che filtrava dalla porta principale. Elizabeth si nascose il più possibile nella penombra, senza osare spostarsi da di fronte la porta. La creatura aveva ricominciato ad annusare l'aria.
La ragazza respirava affannosamente; stava facendo troppo casino, realizzò, e si premette una mano sulla bocca per non emettere più rumore. Il torace le si sollevava e abbassava convulsamente.
La creatura entrò in casa.
Prima che potesse farsi travolgere dal panico, Elizabeth sentì il sostegno alle sue spalle scomparire, e perse l'equilibrio cadendo all'indietro. Stava per urlare, ma un'altra mano andò a sostituirsi alla sua tappandole la bocca. La ragazza vide la porta contro cui si era appoggiata chiudersi di fronte a lei; si ritrovò distesa a terra, la mano sconosciuta ancora premuta contro il suo viso. Tutt'intorno era immerso nell'oscurità come nell'atrio, fatta eccezione per un barlume di luce proveniente da una finestrella dai vetri rotti dall'altra parte della stanza. Elizabeth sentì la mano sulla sua bocca scivolare via; incontrò un volto semi illuminato nella penombra.
Chi l'aveva trascinata in quella stanza si portò l'indice all'altezza delle labbra, facendole segno di tacere.
Elizabeth vide che si trattava di una ragazza. Una ragazza che a occhio e croce doveva essere poco più vecchia di lei, con i capelli biondi e un viso grazioso, per quel che riusciva a vedere. La lasciò andare, accucciandosi accanto alla porta; Elizabeth provò a tirarsi su dal pavimento, ma la sconosciuta la trattenne per un braccio, gesticolando in modo da ordinarle di non fare rumore. Poi la trascinò verso di sé e la aiutò a mettersi seduta al suo fianco. Elizabeth restò in ascolto insieme a lei: i passi si ripeterono nell'atrio, simili al rimbombo di un tuono. Più si facevano vicini più aveva l'impressione che la terra tremasse.
Non erano passi umani.
Si fermarono proprio di fronte alla porta.
Un verso a metà fra un ringhio sommesso e un grugnito giunse dall'esterno.
La sconosciuta si portò nuovamente l'indice all'altezza delle labbra, poi le fece cenno di seguirla. Strisciarono fino a un'alta credenza, e la ragazza spinse Elizabeth a fianco di essa in modo che fosse raggomitolata fra il legno e la parete. La sconosciuta, invece, si nascose sotto a un tavolo, abbassando il volto in modo da incrociare lo sguardo di Elizabeth oltre l'orlo della tovaglia.
Elizabeth chiuse gli occhi e ancora cercò di non respirare troppo affannosamente mentre Dio santo! quella cosa là fuori aveva ricominciato ad annusare l'aria come un segugio da caccia.
Quello strano verso si ripeté, poi i passi ricominciarono, forti e pesanti come macigni, e divennero sempre più lontani, fino a scomparire.
La sconosciuta si trascinò fuori da sotto il tavolo e, sempre restando in ginocchio, gattonò fino alla finestra rotta. Si sollevò quel tanto che bastava da sbirciare fuori.
- Se n'è andato...- dichiarò dopo un tempo che a Elizabeth parve interminabile.
Solo in quel momento trovò il coraggio di abbandonare l'angolino fra la credenza e il muro e di guardare la sconosciuta. Il gioco di luci e ombre non l'aveva ingannata, la ragazza aveva veramente i capelli biondi, lunghi e mossi, anche se erano semi nascosti da un vecchio foulard allacciato dietro la nuca. Il viso era piacente, giovane, con dei tratti da donna matura anche sebbene non dovesse avere più di vent'anni, ma stranamente stanco, gli occhi – che alla luce della finestra si erano rivelati azzurri – erano cerchiati come se avesse trascorso intere notti senza dormire. Elizabeth vide che era spaventosamente magra, così tanto che le braccia erano solo ossa e pelle.
Indossava una camicetta bianca più larga di almeno due taglie e una gonna color marrone scuro piena di toppe e dall'orlo sbrindellato.
- Siamo state fortunate - bisbigliò la ragazza, senza smettere di sbirciare fuori dalla finestra.- Sai, gli orchi hanno un olfatto molto fine...
 
Elizabeth trovò il coraggio di sollevare il fondoschiena dal pavimento solo dopo che la sconosciuta ebbe controllato per altre quattro o cinque volte che quella creatura se ne fosse andata e si fu rialzata a sua volta. Spiò un'ultima volta dalla finestra, poi Elizabeth la vide scheggiare verso la porta e sollevare un pezzo di legno quadrangolare abbandonato sul pavimento; lo inserì con decisione in sporgenze di ferro fissate agli stipiti della porta, poi girò la chiave nella serratura e girò un catenaccio arrugginito intorno alla maniglia. Dopo questo, parve più tranquilla, ma comunque sul chi va là.
Elizabeth sbuffò, rialzandosi a fatica. Si diresse verso la parete della stanza con la finestra per sbirciare a sua volta.
- E togliti dalla finestra!- bisbigliò la sconosciuta, strattonandola rabbiosamente lontano dal vetro rotto.- Vuoi farci ammazzare tutt'e due?!
Elizabeth ubbidì, sentendo la clavicola dolorante a causa dello strattone. La sconosciuta sospirò.
- Ringrazia la buona sorte che sei tutta bagnata...- mormorò.- Se così non fosse stato, quell'orco ci avrebbe di certo fiutate...
- Quello era un orco?- fece Elizabeth, un po' frastornata.
La sconosciuta annuì.
- Credevo se ne fossero andati tutti, ma a quanto pare mi sbagliavo...- sbirciò ancora fuori dalla finestra.- Immagino si trattasse di uno che è rimasto indietro, o di un disperso...gli orchi non sono un popolo molto coeso...
Elizabeth si rese conto di avere la bocca aperta come una cretina, e la richiuse. Cercò una risposta adatta, ma non la trovò. L'unica infarinatura che aveva in fatto di orchi era Shrek, oppure quel coso grande e grosso di Harry Potter e la pietra filosofale...no, un momento, quello era un troll...
Ma che accidenti stava farneticando?!
Si riscosse e tentò di recuperare un minimo di contegno; quello che era appena successo, dalla separazione da Anya a quel momento, l'aveva scossa parecchio, senza contare che il trovarsi in un mondo di cui neanche ventiquattr'ore prima sospettava l'esistenza non aiutava di certo, e ora il fatto che avesse appena scampato l'attacco di un orco e fosse in un villaggio ignoto, in compagnia di...
- Mi stai ascoltando?
Elizabeth si riprese, stavolta per davvero, incrociando lo sguardo spazientito della sconosciuta, la quale se ne stava a braccia conserte.
- Scusami, ero...ero soprappensiero...- pigolò la ragazza nel tentativo di salvarsi la faccia.
- Ho detto che è meglio sbarrare tutte le entrate e restare qui dentro, almeno per un paio d'ore...- ripeté l'altra, avviandosi verso la finestra e accostando le persiane. Elizabeth si trovò per un attimo disorientata nell'oscurità, ma riuscì a mettere meglio a fuoco l'ambiente non appena la sconosciuta accese una delle candele poste sul tavolo sotto al quale s'era nascosta. Si trovavano in una cucina, molto più grande di quella della casa di Biancaneve, con un grosso camino in pietra rossa con una mensola in marmo su cui erano state sistemate delle pentole; un pentolone nero era appeso a una gruccia su un fuoco spento, e accanto al camino erano stati impilati dei ciocchi di legno. Il tavolo era piccolo, da lavoro, con due sole sedie, e sulle due credenze erano ordinati piatti, tazze e posate.
Elizabeth riuscì a identificare le sagome di alcune mensole, ma non gli oggetti che vi erano posti sopra. Sulla parete a ovest della stanza, un po' nascosta, c'era una porta.
- E quella?- la indicò con l'indice.
- E' la porta di uno sgabuzzino senza finestre, non c'è bisogno di sbarrarla. Stai bene?- s'informò la sconosciuta.
Elizabeth annuì brevemente, sulla difensiva. Le sembrava quasi di avere una sorta di déjà-vu, in quella situazione. Rivide se stessa e sua sorella inseguite da Biancaneve armata di mannaia. Non il classico scenario fiabesco, insomma.
Scrutò attentamente, seppur di sottecchi, la sconosciuta, alla ricerca di qualche indizio, magari un tic nervoso, che ne rivelasse qualche sorta di anomalia o stranezza, ma non trovò nulla. La biona appariva ancora agitata a causa del pericolo appena scampato, un po' in subbuglio, ma comunque lucida e priva di stranezze. Sembrava una ragazza del tutto normale.
A parte, naturalmente, l'essere un personaggio delle favole. Cavoli, è più difficile da accettare di quanto pensassi...
- Sai, non credevo che fosse rimasto ancora qualcun altro, qui...- mormorò la sconosciuta.- Dopo che gli orchi hanno attaccato, sono tutti fuggiti, o sono morti...- la guardò.- Non ti ho mai vista ad Hagenheim. Chi è tuo padre? Oh, che sciocca!- la ragazza sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa, e afferrò un mantello appoggiato allo schienale di una delle seggiole.- Tieni, asciugati!- disse, lanciandolo a Elizabeth; lei lo afferrò al volo, se lo avvolse intorno alle spalle e iniziò a tamponarsi i capelli, senza perdere di vista la bionda.
- Non sono di qui...- rispose serafica.
- Perché sei tutta bagnata?- chiese la sconosciuta; si morse il labbro inferiore.- E...non per essere indiscreta...perché sei vestita da uomo?- aggiunse, indicando gli abiti di Elizabeth e soffermandosi in particolare sui suoi jeans fradici.
La ragazza continuò ad asciugarsi le punte dei capelli, prendendo tempo. La bionda dovette aver capito che non le andava di rispondere, né a lei la risposta doveva interesare più di tanto, perché non insistette più e si sedette al tavolo.
- Cos'è successo qui?- chiese Elizabeth dopo qualche istante.
- Te l'ho detto. Gli orchi - rispose semplicemente la bionda.- Il loro territorio è molto lontano da qui. Amano gli ambienti freddi, la montagna, infatti la maggior parte si era stabilita sulle vette delle Terre del Nord. Non sappiamo perché l'abbiano abbandonato. Hanno attaccato circa un mese fa...ci erano giunte notizie sul fatto che avessero già compiuto razzie nei villaggi circostanti, ma...beh, non lo so, il borgomastro sembrava convinto che ad Hagenheim non sarebbe toccata la medesima sorte. E invece...- allargò le braccia indicando l'ambiente circostante, poi afferrò la seconda sedia e scostandola.- Prego, siediti...- offrì.
Elizabeth esitò, diffidente.
- Grazie. Ma...io ora dovrei andare...- mormorò in tono di scuse.
La bionda fece segno di no con la testa.
- Mi spiace, ma non credo sia sicuro...- disse.- Cosa c'è? Non ti fidi?- inarcò un sopracciglio, notando l'espressione diffidente di Elizabeth; la ragazza non rispose, presa in contropiedi, e l'altra scosse ancora il capo in segno di diniego.- Credimi, con tutto quello che è successo qui ad Hagenheim negli ultimi tempi, qui dentro è il posto più sicuro in cui saresti potuta capitare. Comunque, se vuoi andartene lo stesso, fa' pure. Non sarò io a fermarti.
Elizabeth rifletté sulle sue parole, quindi si sedette; in fondo, pensò, qualunque cosa fosse là fuori prima, orco o no, aveva dato prova di non essere particolarmente amichevole, e quella ragazza l'aveva salvata, dopotutto. Lei si era ripromessa di non farsi più prendere da eccessivo e sconsiderato entusiasmo per non ricascare nella trappola della casa dei sette nani, e la bionda non aveva niente che riconducesse all'espressione folle di Biancaneve o allo sguardo furbo e malvagio di Tremotino.
Sperò solo che il suo buon senso non le si rivoltasse contro.
- E' meglio che non usciamo da qui per le prossime tre o quattro ore...- disse la sconosciuta, seria, ravvivando la fiammella della candela; non fece alcun commento sulla decisione di Elizabeth.- Gli orchi non sono poi così stupidi come li si crede...è incredibile come siano riusciti ad affinare la loro arte. Prima si limitavano ad attaccare direttamentte...sai, assalti alle abitazioni, scontri frontali...ora, invece, sembra che abbiano imparato a tendere degli agguati - la bionda fece una smorfia infastidita.- Potrebbero essercene altri appostati qui fuori da qualche parte. E' meglio stare attente.
- Già...- soffiò Elizabeth.- Tre o quattro ore, hai detto? E poi?
- Poi, non lo so...diamo un'occhiata a com'è la situazione e decidiamo il da farsi.
- Io devo andarmene da qui al più presto - dichiarò Elizabeth.- Devo trovare mia sorella.
La sconosciuta la guardò per un lungo istante, quindi le prese inaspettatamente la mano.
Elizabeth sussultò, frenando l'impulso di ritrarsi.
- Ascoltami - mormorò la bionda.- Lungi da me voler essere indelicata o darti una brutta notizia, ma credo che, visto come stanno le cose, sia il caso di avvertirti. Se hai perso di vista tua sorella in mezzo al trambusto di tre giorni fa, allora...beh, ecco...credo che dovresti considerare la possibilità che potresti non rivederla più.
Elizabeth ridusse la labbra a una fessura e ritirò di scatto la mano, innervosita.
- Mia sorella non è morta!- disse.
- Non sto dicendo che sia morta. Non hai idea di quante donne siano state rapite per essere...di conforto ai soldati, o vendute come schiave ad Alf Layla...
Elizabeth scosse il capo con vigore.
- No, so per certo che non è così. Ho perso mia sorella...beh...credo sia un'ora fa...- spiegò, un po' imbarazzata a causa dello sguardo stralunato della bionda.- Credo di essere incappata in un passaggio segreto, o non so che...insomma, un albero si è aperto, c'era un vortice, lei è rimasta indietro, suppongo, e io sono arrivata qui...
- Chiaro. Hai attraversato un Portale...
- Un che...?
- Non sai cos'è un Portale?- la bionda la guardò incredula.
Prima che Elizabeth potesse spiegarsi, uno spiffero d'aria attraversò le persiane chiuse ed entrò nella stanza dove lei, ancora bagnata, rabbrividì per il freddo.
- Ti darei dei vestiti asciutti, se potessi - disse la bionda in tono di scuse.- Ma i miei sono un cumulo di stracci e credo che ti starebbero stretti, e non mi fido a darti quelli della mia matrigna o delle mie sorellastre. Non ho ancora avuto il tempo di bruciarli tutti, e ho paura che siano infetti.
- Infetti?
- Di colera.
Elizabeth sgranò gli occhi e tirò indietro il dorso. La bionda alzò entrambe le mani come per difendersi.
- Tranquilla. Va tutto bene. Io non sono malata. Se così fosse stato, sarei già morta da un pezzo...
- Hai detto colera?- fece eco Elizabeth.
La bionda annuì.
- Si sono ammalate all'improvviso, anche se credo che sarebbe stato destino, prima o poi...sai, loro non hanno mai avuto una costituzione molto robusta, erano poco abituate al lavoro duro e a stare all'aria aperta, e qui il cibo e l'acqua pulita mancano da settimane. Era inevitabile che in queste condizioni...- fece una pausa, come se non trovasse le parole.- La mia matrigna, che la sua anima possa accedere al Regno di Luce!, è morta nella notte il mese scorso, ce ne siamo accorte solo la mattina, poveretta...le mie sorellastre, invece, se ne sono andate una settimana fa. Ho dovuto seppellirle tutt'e tre nell'orto dietro casa, sotto al ciliegio. Mi dispiace che abbiano dovuto avere una sepoltura così misera, ma proprio non ho potuto fare altrimenti. E' per questo che sono ancora qui - si strinse nelle spalle.- Molti se ne sono andati dopo aver perso i loro averi durante le razzie dei soldati, e quando poi gli orchi hanno attaccato chi non è stato ucciso è fuggito. Ma io sono dovuta rimanere. Mi sono nascosta in casa. Madame Tremaine era già morta, ma Anastasia e Genoveffa erano malate e non riuscivano neppure ad alzarsi dal letto...è per questo che non sono scappata. Non me la sono sentita di abbandonarle.
Per Elizabeth scacciare la parola colera dalla mente si era già rivelata un'impresa titanica, e adesso a stento era riuscita a collegare i fili del discorso della bionda. Aveva parlato di una matrigna, di due sorellastre...
Sta' a vedere che...
- Scusa. Ti ho annoiato con tutta questa storia, e non ci siamo neanche presentate - sorrise la bionda.- Come ti chiami?
- Elizabeth Hadleigh. Liz - precisò, cercando di suonare amichevole.- E tu?
La ragazza abbassò lo sguardo come se si vergognasse.
- Puoi chiamarmi Cenerentola, se vuoi.
 
***
 
DOVEVA AMMETTERE di aver sottovalutato quella ragazza, ma ora poteva affermare senza ombra di dubbio di essere riuscito a fiaccare ogni sua resistenza. E di esserci riuscito tutto sommato abbastanza in fretta: erano bastati quattro o cinque spintoni e un paio di calci dati con la giusta forza, e lei se n'era stata buona.
Forse aveva capito che con lui non era il caso di scherzare. O forse era più debole di quanto volesse dare a vedere.
Il Primo Ministro distolse per un attimo l'attenzione dal coniglio selvatico che stava arrostendo sopra quel fuoco di fortuna, il surrogato di una cena, e puntò gli occhi azzurri sulla ragazza. Era accovacciata a un paio di metri da lui, raggomitolata su se stessa contro il tronco di una quercia, i polsi e le caviglie legati. Il Primo Ministro pensò che dovesse avere ancora le gambe doloranti dalla frustata che le aveva dato per arrestare la sua fuga.
Peggio per lei. Se l'è cercata.
La guardò meglio. Non era niente di speciale, in fondo. Aveva visto sguattere e puttanelle ben più degne di nota di lei, e se fosse stato meno esperto avrebbe pensato che quella ragazza somigliasse alla Regina Cattiva o alle principesse Biancaneve e Rosarossa, ma a un occhio attento non sfuggiva che quella sgualdrina da quattro soldi non avrebbe potuto lustrare le scarpe né all'una né alle altre. Sì, certo, tutte e quattro avevano una chioma di capelli corvini lunghi e splendenti, ma la somiglianza si esauriva lì. Biancaneve veniva appellata come la più bella del reame, e non per niente; il suo volto era stato quello roseo e pieno di una diciassettenne, i suoi movimenti erano aggraziati e sprigionava bellezza e vitalità da tutta la sua persona – questo prima che il Principe Azzurro le desse una ripassata e lei impazzisse, chiaramente.
Rosarossa...il Primo Ministro l'aveva sempre trovata fastidiosa. Gli ricordava troppo un micio da salotto, con il musetto aristocratico e l'aria leziosa, e non dubitava che la secondogenita di re Mathias ricalcasse caratterialmente questo modello. Mentre la Regina Cattiva, anche lei era bella, anche se non al livello di Biancaneve. La bellezza della sua sovrana era più matura, più intrigante e tentatrice di quella acerba e ingenua della più bella del reame; forse non era all'altezza della figliastra, ma le sue forme sinuose e il suo carisma la rendevano una degna rivale.
Quella ragazza, invece, era troppo magra e troppo pallida, con i lineamenti troppo seri, duri e spigolosi, per poter competere con loro. Non era né bella né brutta; non si sarebbe nemmeno preso la briga di portarsela a letto, tanto era insignificante.
Ecco, proprio così. Quella era la parola che stava cercando. Il modo migliore per definire quella ragazza era insignificante.
Non era bella, e tanto meno aveva l'aria dell'eroina. Il Primo Ministro non avrebbe scommesso un soldo sul fatto che fosse lei la Salvatrice.
Già, la Salvatrice...
Quello era il suo problema principale, in quel momento. Aveva catturato una delle due possibili candidate come gli era stato ordinato, ma si era lasciato scappare l'altra.
Per un soffio, dannazione! Se quella maledetta non si fosse scansata proprio quando la sua freccia...
Il Primo Ministro tolse il coniglio dal fuoco e ne addentò un generoso boccone. Aveva deciso di fermarsi con la ragazza in quello spazio ristretto di bosco, grande a malapena per starci in due e per mettere su un fuoco di fortuna. Se avesse avuto più luce avrebbe cercato un luogo più grande, magari una radura o una grotta, ma poiché il cielo sembrava limpido e si stava facendo buio, aveva preferito non proseguire oltre, anche in virtù del fatto che doveva ancora stabilire la sua prossima linea d'azione. Aveva portato a termine il lavoro solo a metà; per uno come lui, abituato a lavorare con metodo e rigore, era quasi al pari di una macchia su una camicia che all'apparenza sembrava pulita. Ma non era solo il fastidio che quel fallimento a metà gli causava. Quello era il male minore. Avrebbe anche potuto mozzare la testa ed estrarre il cuore alla sua prigioniera, ma non avrebbe potuto consegnarli alla Regina Cattiva se prima non avesse tagliato la gola anche all'altra ragazza.
Si era lasciato scappare un bersaglio fondamentale, una pedina decisiva nella scacchiera. Se non avesse rimediato, non l'avrebbe passata liscia.
Doveva trovare la ragazza, alla svelta. Quanto all'altra...
Maledizione, che doveva fare con lei?
La soluzione più veloce e pratica sarebbe stata quella di ammazzarla lì, seduta stante. Ma questa possibilità gli creava una sensazione di disagio.
Rifletté. Sarebbe stata la prima volta che uccideva un essere al di fuori di una battuta di caccia. Quando il rapporto era fra prede e cacciatori, era un rapporto alla pari. Le une avevano modo di nascondersi, di difendersi, si muovevano in un ambiente che era a loro conosciuto, mentre gli altri avevano a disposizione armi, astuzia, strategie di caccia. Che vincesse il migliore.
Prendersela con un animale fuori da questo contesto non gli piaceva. Non si trattava neanche di dare il colpo di grazia a un cervo ferito mortalmente e risparmiargli l'agonia di morire. Era più come strappare un gattino appena nato alla madre e affogarlo. Quel gatto non aveva nemmeno una possibilità di difendersi contro di te, era il più forte che faceva leva sulla sua brutalità per schiacciare il più debole.
Uccidere quella ragazza, disarmata e legata, non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione.
Inoltre, ricordò, era da cinque anni che non assaporava più l'ebbrezza di una battuta di caccia. La Regina Cattiva lo aveva nominato Primo Ministro inventandosi una carica da conferirgli per premiarlo dei suoi servigi, ma non svolgeva mai nessun compito di governo. Era tutto in mano alla Regina Cattiva, e lui era rimasto un sicario al suo servizio, e usava quel titolo solo per distinguersi ed elevarsi rispetto a inferiori come Navarre o Thorne. Qualche volta era uscito con loro a caccia, ma non c'era gusto. Non sapevano neanche che cosa significasse cacciare, quei due.
Dopo cinque anni, riteneva di potersi concedere il lusso di divertirsi ancora un po' con quella ragazza. L'avrebbe uccisa alla fine, certo, ma lo avrebbe fatto da cacciatore, non da codardo.
E poi, in fondo, aveva a che fare con una potenziale Salvatrice, nonché una patetica ragazza disposta a tutto pur di ritrovare l'altra, ci scommetteva. Avrebbe potuto tornargli utile nella sua ricerca. Sì, c'erano degli effetti collaterali...ad esempio, che fosse un peso morto e che l'eventualità che gli indizi che conducevano alla Pietra del Male saltassero fuori.
Ma questo poteva essere un altro vantaggio, a pensarci bene. Se avesse consegnato alla Regina Cattiva le teste delle due ragazze, e nel frattempo fosse riuscito a recuperare anche qualche traccia che conducesse alla Pietra...
Udì un fruscio. Senza smettere di masticare la carne, si voltò verso Anya, la quale ora stava tentando di abbracciarsi le ginocchia nonostante i polsi legati. Le sorrise con aria canzonatoria.
- Hai fame?- chiese guardandola dall'alto in basso; Anya non rispose, ma non distolse lo sguardo rabbioso da lui.- Sai, è veramente delizioso...- proseguì il Primo Ministro, noncurante, accennando al coniglio arrostito.- Sul serio, è davvero buono...
Anya si strinse ancora di più le gambe al petto, senza smettere di fissarlo. Al Primo Ministro non piaceva quello sguardo: c'era paura mista a furia, ma anche...qualcos'altro.
- E' normale avere fame, dopo tutto quello che devi aver passato - ghignò, estraendo il pugnale dalla cintura.- Non c'è nulla di cui vergognarsi. Capisco che tu sia affamata. Se ne vuoi un po', non hai che da chiedere.
La ragazza non rispose, né distolse lo sguardo.
Che aveva da guardare?
- Davvero non ne vuoi?- brandì il coltello e posò il coniglio arrosto sull'erba.- Ho capito, sei timida. Vedrò di provvedere io stesso...
Sollevò il pugnale e lo calò sul coniglio. La ragazza sentì il crack dell'osso del collo dell'animale.
Il Primo Ministro afferrò la testa della bestia e la lanciò verso Anya. La ragazza vide gli occhi morti del coniglio avvicinarsi a lei mentre il capo mozzato rotolava nell'erba.
- Prego, ingozzati pure!- rise l'uomo, addentando un altro pezzo di carne; Anya lanciò un gemito rabbioso e allontanò la testa dell'animale con un calcio.
- Sei un bastardo!- ringhiò, fissando quello sconosciuto in cagnesco.
Il Primo Ministro ricambiò lo sguardo, tornando improvvisamente serio. Non era stato l'insulto a colpirlo, aveva sentito anche di peggio, nella sua vita.
Ciò che non tollerava era quello sguardo.
(Tieni gli occhi aperti! Mi senti? Andiamo, avanti!)
(Dannazione, portatemi delle bende!)
Gli occhi verdi della ragazza lo scrutavano con tanto rancore e tanto odio che lui non poteva quasi sopportarlo.
(Lasciatelo crepare!)
(Ehi, amico? Forza, guardami! Guardami, sono qui!)
Era troppo; chi lo guardava lo rispettava o lo temeva. Erano finiti i tempi in cui la gente mostrava disprezzo nei suoi confronti.
(Non merita di vivere!)
(Zitta, strega!)
(Vi prego! Morirà dissanguato se non facciamo qualcosa!)
(Forza, non mollare! Te la caverai, amico mio...mi hai sentito? Te la caverai...)
Era da più di sette anni che nessuno lo guardava così. Con lo sguardo di chi avrebbe preferito la peste piuttosto che averti vicino, di chi ti avrebbe voluto vedere morto, di chi non sopportava neppure di sapere della tua esistenza...
(Come potete volerlo salvare?!)
(Non può vivere)
(Merita di morire)
Digrignò i denti, gettando nella terra il pezzo di carne e alzandosi di scatto. Raggiunse Anya con furiosa rapidità, strappandole un gemito di dolore quando l'afferrò alla radice dei capelli.
- Credi di farmi paura con un insulto?- sibilò.
La scrollò con violenza. Anya lanciò un grido e sgranò gli occhi. Di nuovo, il verde tornò a incontrare l'azzurro. Il Primo Ministro sussultò, capendo finalmente quale fosse il problema. Non c'era più furia nell'espressione della ragazza, ma non stava guardando lui o la sua faccia, lo stava fissando negli occhi.
- Che hai da guardare?- ululò.
Sentì le mani completamente sudate; non era successo niente, si disse. Era troppo buio, gli alberi creavano delle ombre troppo fitte. Quella sgualdrinella non poteva aver visto nulla.
Non è successo niente.
Lasciò la presa, allontanandosi da Anya. Si sedette a diversi centimetri da lei, dandole appena le spalle.
Non era successo niente, si ripeté. E poi, se anche ciò di cui aveva avuto paura fosse accaduto, che importanza aveva? Quella ragazza era solo la sua preda, niente di più. Se anche avesse visto…
Non avrebbe dovuto importargli se avesse visto o no. In fondo, non era nulla, non più.
Ma non voleva comunque. Non voleva che una stupida ragazza vedesse i residui di ciò che era stato. Non voleva e basta.
Fra poche ore sarebbe stata l'alba; il Primo Ministro s’impose di riacquistare la calma e l’autocontrollo. Se avesse avuto paura, allora sarebbe divenuto lui stesso una preda. Doveva restare vigile: aveva due problemi a cui far fronte, quella notte.
Uno era quella ragazza; non poteva dormire, non finché lei era lì. Avrebbe potuto scappare.
L’altro, era l’Uomo Nero.
Ancora non riusciva a credere che la Regina l’avesse liberato per davvero; avrebbe certamente potuto trovare un’altra soluzione per raggiungere i suoi scopi, e quella agli occhi del Primo Ministro era solo una volgare esibizione di potere del tutto fine a se stessa!
Ma ormai, l’Uomo Nero era libero, e a lui non restava altro da fare se non sperare che la sovrana fosse in grado di tenerlo sottocontrollo. E restare vigile.
L’Uomo Nero ubbidiva solo a chi lo comandava; per tutti gli altri, non avrebbe avuto pietà.
Strinse l’elsa del pugnale, pronto alla veglia. Si voltò appena per non dover incrociare lo sguardo della sua prigioniera.
D'istinto, tastò il sacchetto nero che gli aveva dato la Regina Cattiva.
Non voleva che lo guardasse negli occhi.
 
***
 
- DUNQUE...TU SARESTI una specie di chiromante?
- Non esattamente…- sospirò Elizabeth, al colmo dell’esasperazione.
Avrebbe dovuto pensarci due volte, prima di raccontare la storia di Cenerentola a Cenerentola stessa!
- Ma conosci il mio futuro!- protestò Cenerentola.- Sai chi sono, sai della mia famiglia...sei una strega, forse?
- No!- Elizabeth estrasse il libro di favole dalla sacca e lo posò pesantemente sul tavolo.- Ho letto la tua storia. Ecco, aspetta...
Quasi come per magia, il libro si aprì al primo colpo sulla favola che Elizabeth stava cercando. Le due ragazze si sporsero per vedere meglio, e la minore delle sorelle Hadleigh sospirò. Proprio come aveva temuto, l'inchiostro era sbavato e illeggibile.
E c'era anche da aspettarselo, con il villaggio di Cenerentola invaso dagli orchi e matrigna e sorellastre morte per il colera!
- Io non riesco a leggere niente - Cenerentola fece una smorfia contrariata.- Mi stai forse prendendo in giro?
- No! Senti, le cose stanno così...- Elizabeth si sporse verso di lei.- Io vengo da un posto dove tu esisti in forma...diciamo letteraria. Fatto sta che sei la protagonista di un racconto, a un certo punto arriva una fata madrina e tu vai a ballare con un principe, poi perdi una scarpetta e...
- Questo lo so!- Cenerentola incrociò le braccia al petto.- Non m'inganni. Questa storia è stata sulla bocca di tutti per settimane. Sono diventata il pettegolezzo di Hagenheim.
Elizabeth la guardò, confusa e stralunata.
- Cioè...tu hai già incontrato la fata?
- Se ti riferisci alla Fata Turchina, sì - il suo sguardo si caricò d'amarezza.- Sai, credevo sul serio che volesse aiutarmi. Volevo tanto andare a quel ballo, e lei mi ha dato un bel vestito e delle scarpe di cristallo...ma ha voluto che tutto finisse a mezzanotte.
- E sei ancora qui?- fece Elizabeth, incredula.- Non hai sposato il principe?
- Il Principe Azzurro, dici?- Cenerentola parve stupefatta.- Certo che no! Abbiamo ballato insieme, ma niente di più. Perché un principe dovrebbe sposare una sguattera?
- Ma...ma...non hai perso la scarpetta?
- La scarpetta?
Elizabeth annuì; si rese improvvisamente conto di quanto fosse difficile quella situazione. Cenerentola non era al livello di Biancaneve, ringraziando il Signore, ma si trovava comunque a che fare con una realtà completamente stravolta rispetto a quella che conosceva.
Avrebbe dovuto stare molto attenta a ciò che diceva o faceva.
- Ah, sì!- Cenerentola si alzò in piedi; Elizabeth attese mentre rovistava su una delle mensole. Quando tornò da lei, Cenerentola reggeva fra le mani una scarpa elegante con un tacco basso, completamente trasparente, elaborata, e molto piccola.- Stranamente, questa non è svanita a mezzanotte insieme all'incantesimo...- tornò a sedersi.- Chissà dove sarà l'altra...probabilmente in qualche bordello...
- Quindi...- Elizabeth si umettò le labbra.- Il Principe Azzurro non è venuto a cercarti?
- No, non l'ho più rivisto da quella sera.
Elizabeth abbassò lo sguardo, e non rispose. Non riusciva a capire se Cenerentola fosse dispiaciuta per il suo non-lieto fine, anche se non conosceva la sua vera storia. Ma probabilmente, se si era innamorata del Principe Azzurro e lui l’aveva abbandonata in quella topaia, doveva starci male.
- Posso tenerla un attimo?- chiese, sperando di farle piacere.- Prometto che non la romperò...
Disse l'elefante nella cristalliera.
- Fa' pure. E non preoccuparti, credo che questo cristallo sia magico...se non si è rotta dopo quella fuga disperata...- Cenerentola ridacchiò forzatamente, e le porse la scarpetta.
Elizabeth la prese con attenzione fra le mani; non fece in tempo a sentirne la superficie fresca e liscia a contatto con le dita, che improvvisamente il libro di favole si spalancò, e le pagine iniziarono a scorrere come mosse dal vento.
Lei e Cenerentola sgranarono gli occhi quando l’intera scarpetta s’illuminò, brillando fino a nasconderne la forma.
Elizabeth puntò lo sguardo sul libro: era aperto su una pagina bianca. Lentamente, iniziarono a formarsi alcuni segni neri.
 
Vicina è l'ora, lenta l'agonia
dei Fratelli Creatori il malvagio ritorno s'avvicina.
Prossimo è il momento, della Luna di Sangue il tempo è giunto,
tredici volte la purezza verrà corrotta,
tredici volte l'innocenza sarà violata,
tredici volte la speranza cadrà infranta.
Lenta sorge la Luna, l'Oscurità s'appressa,
del fine lieto si disperderà l'ombra.
I peccati dei padri saranno purificati,
del traditore figlio della salvezza la discendenza giungerà.
La Salvatrice a libertà giungerà, le cinque Chiavi ella conquisterà.
Solo un sogno infranto guarirà la ferita.
Solo la bellezza nella morte riporterà la vita...
 
C'erano due righe in più rispetto a come l'aveva mostrata la Fata Turchina.
 
Denso di bugie è il cammino, d'inganni è costellata la via,
solo il riflesso della verità le mostrerà la scia...
 
- La profezia!- esclamò Elizabeth.- La profezia è cambiata!
- Ma che stai dicend...
Così come si era formata, la scritta svanì. Al suo posto apparve una circonferenza al cui interno vi era inscritto un triangolo che, a sua volta, conteneva un altro cerchio.
La scarpetta di cristallo svanì fra le mani di Elizabeth; un attimo dopo, sulla circonferenza più grande era spuntata una piccola pietra preziosa, color azzurro pallido.
La scritta della profezia riapparve. Le parole sogno infranto erano state cancellate.
Elizabeth comprese immediatamente tutto.
- Ma cos'è successo?
- La...la tua scarpetta...- boccheggiò Elizabeth.- La tua scarpetta era il sogno infranto...
- Che cosa?
Un violento colpo squarciò l'aria, seguito a ruota da un altro della stessa intensità. Le due ragazze sobbalzarono, mentre un terzo colpo si faceva sentire. Somigliava quasi al suono di un cannone.
- Oh, no!- esclamò Cenerentola, scattando in piedi. Corse alla porta, assicurandosi che il catenaccio fosse ben saldo, quindi controllò che le imposte della finestra fossero chiuse.
Elizabeth si alzò e le andò incontro.
- Che sta succedendo?
Il volto di Cenerentola era divenuto una maschera di terrore.
- E' il segnale...- soffiò.- I soldati. Stanno arrivando.
  
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