Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
Segui la storia  |       
Autore: Ode To Joy    10/08/2018    3 recensioni
[!!!SPOILER S7!!!]
In seguito al salvataggio di Shiro dal piano astrale, Matt si ritrova a raccontare a Keith una vecchia storia che non gli appartiene ma di cui, suo malgrado, ha fatto parte.
E di cui, a sua insaputa, il giovane Galra ha scritto la fine.
"Adam non era la persona adatta per Shiro... Ma questo non gli impedì di averlo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Holt Matt, Kogane Keith, Takashi Shirogane
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
VII
Per sempre
 


-Oggi-
[Da qualche parte nel sistema di Daibazaal] 


Mentre Matt finiva di raccontare, Keith teneva lo sguardo basso.

“Il resto, come si suol dire, è storia,” concluse il giovane Holt nella proiezione olografica sospesa sul pannello di controllo del Black Lion. “Keith, mi stai ascoltando?”

Il Paladino sollevò lo sguardo. “Sì, scusami.”

Matt allargò le braccia. “Pensi di poter dire qualcosa a me?” Domandò. “Ti ho raccontato tutta la storia e ancora non so il perché.”

La risposta giaceva priva di sensi sul retro del Leone e Keith non era certo che fosse il caso d’informare Matt. Anche lui aveva una storia da raccontare ma era troppo recente perché potesse parlarne senza farsi male.

Prima di farlo, doveva vedere come sarebbe andata a finire.

“Dovevo…” Il giovane Galra si umettò le labbra. “Mi serviva quella parte di lui che non ho mai potuto conoscere.”

Nella proiezione, Matt inarcò un sopracciglio. “Adam?”

Keith annuì. “So che è arrogante ma io mi sono lasciato alle spalle tutto ciò che è accaduto prima di Shiro,” confessò. “Alcune volte dimentico che lui ha avuto un passato di cui non faccio parte.”

Matt lasciò andare uno sbuffo divertito. “Ti stavi veramente crucciando per questo? Shiro non ha un passato che lo tormenta, Keith. Non ha lasciato nulla in sospeso sulla Terra… A parte la conclusione della missione su Kerberos, ma per quella siamo da biasimare in tre!” Sospirò. “Chi lo sa? Un giorno torneremo tutti sulla Terra e allora dovrò raccontare la vostra di storia.” Il pensiero lo divertì. “Dopo un’infanzia e una fanciullezza passate a credere fermamente nell’esistenza degli alieni, Matthew Holt ne incontra uno nella mensa della Galaxy Garrison grazie all’amico di sempre, Takashi Shirogane. C’è solo un problema: nemmeno l’alieno sa di essere tale.” Si fece immediatamente serio. “Che diavolo! Un’altra storia che posso raccontare ma che non mi appartiene! Anche con voi io ero solo… . È ufficiale, devo trovarmi una ragazza!”

Keith non rise alla battuta. I suoi occhi viola fissavano il vuoto e la sua espressione informò il giovane Holt che aveva perso interesse in ciò che diceva. Non se la prese, sospirò e provò a indagare più a fondo. “Ti andrebbe di raccontare una storia a me?” Domandò.

Keith sollevò lo sguardo. “Che storia?”

“La storia di quello che è successo dopo,” rispose Matt. “Noi siamo partiti e per cinque mesi è stato tutto bello. Che cosa è successo in seguito?”

Keith non ricordava il servizio al telegiornale. Era stato Iverson a pronunciare le cinque parole che avevano segnato la fine della sua fanciullezza.

“Missione fallita. Errore del pilota.”

“Sono stato espulso sei settimane dopo che la notizia di Kerberos è divenuta di dominio pubblico,” disse Keith. “Non ho molto da-”

“Non hai risposto alla mia domanda di prima, ” lo interruppe Matt. “Tu e Adam non vi siete più visti dopo quella volta in mensa? In sei mesi e mezzo non vi siete mai incrociati? ”

Keith prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, indeciso se rispondere o meno.


 
-1 anno, 6 mesi e mezzo e un paio di Deca-Phoeb prima-
[Terra, Accademia Galaxy Garrison] 


Keith cominciò a nascondersi nel vecchio appartamento che Shiro aveva diviso con Matt appena due settimane dopo la loro partenza.

Nessuno se ne accorse.

Il suo compagno di stanza era tanto felice di averlo fuori dai piedi che non si disturbò mai a denunciare la cosa agli insegnanti.

Dopo che Shiro aveva lasciato l’appartamento suo e di Adam per andare a vivere con Matt, Keith aveva ricevuto un duplicato della tessera d’identificazione per aprire la porta.

“Vieni quando vuoi,” aveva detto Shiro, prendendo la sua mano tra le proprie. “Ogni volta che ne hai bisogno.”

Dopo il lancio, nessuno era venuto da Keith a chiedergli di restituire la chiave elettronica, così l’aveva tenuta nascosta e aveva continuato ad usarla ogni volta che sentiva la necessità di prendersi una pausa dal mondo.

L’appartamento era rimasto vuoto, ovviamente, in attesa che i suoi legittimi proprietari facessero ritorno. Alle volte, Keith fantasticava di trasferirsi lì senza permesso – il suo compagno di stanza non avrebbe avuto nulla da obiettare.

Tuttavia, sapeva che era solo un pensiero. Aveva promesso a Shiro che sarebbe divenuto un pilota per il suo ritorno e per riuscirci non doveva in nessun modo cacciarsi nei guai.

Introdursi in quella stanza era l’unico atto ribelle che si era concesso. Restare in compagnia dei suoi compagni di classe sarebbe stato pericoloso. Era al terzo anno, ormai, era troppo tardi per farsi degli amici.

La solitudine era la migliore amica in cui Keith potesse sperare. Era bravo a evitare che gli ufficiali si accorgessero di lui: anni passati a fuggire di nascosto dall’orfanotrofio erano serviti a qualcosa, oltre che a fargli guadagnare la sua pessima fama.

Se lo avessero beccato, Keith non aveva idea di quali conseguenze ci sarebbero state. Senza dubbio, gli ufficiali l’avrebbero definita una violazione della proprietà privata e magari avrebbero avanzato la teoria che si era introdotto in quell’appartamento per rubare qualcosa.

C’era anche il furto tra i suoi precedenti.

Sarebbe servito a poco mostrare loro che possedeva una copia della chiave: primo, doveva essere una copia non registrata – opera di Matt –; secondo, non si sarebbero fatti scrupoli ad accusarlo di aver fatto lui stesso il duplicato. Poco importava che Keith non avesse la minima idea di come fare.

Il più grande reato che Keith aveva compiuto in vita sua era stato rubare la macchina di un giovane ufficiale della Garrison – quella di Shiro –, ma Matthew Holt aveva un potenziale criminale di tutt’altro livello.

Poco importava.

Se fosse rimasto troppo là fuori, insieme agli altri, Keith non sarebbe mai riuscito a tenersi fuori dai guai. Se doveva rischiare, tanto valeva farlo lontano dagli occhi di tutti.

In sua difesa, non faceva niente di male in quell’appartamento. Portava con sé il materiale da studiare, si sedeva sul letto di Shiro e faceva del suo meglio. All’ora di cena si presentava in sala mensa, andava in camera a farsi una doccia e non era mai in ritardo alle lezioni.

Perché chiunque si sarebbe dovuto interessare a dove e come passava il suo tempo libero?

Di fatto, non accadde. Eppure, a tre mesi e mezzo dal giorno del lancio, qualcuno lo colse sul fatto.

Meglio, fu lui a cogliere sul fatto Adam.

“Tu che cosa ci fai qui?” Domandò il giovane ufficiale.

Keith non fu in grado di rispondergli.

Aveva aperto la porta, aveva trovato le luci della cucina accese e si era ritrovato l’ingegnere davanti. Nessuna via di fuga e nessuna spiegazione valida da dare.

“Ti ho fatto una domanda, cadetto,” insistette Adam.

Nessuno lo chiamava cadetto, nemmeno Iverson.

Keith si umettò le labbra. “Ho la chiave,” si giustificò, sollevando la tessera identificativa.

Adam inarcò un sopracciglio, poi sospirò. “Fammi indovinare: Holt.”

Keith non aveva idea di cosa ci fosse da indovinare.

L’ingegnere gli fece segno di entrare con la mano. “Avanti, prima che qualcuno se ne accorga.”

Keith ubbidì e la porta si richiuse.

Adam incrociò le braccia contro il petto e poggiò la schiena al bancone della cucina. “Allora?” insistette. “Mi vuoi dire che ci fai qui o devo fare rapporto?”

Keith non si fece trovare impreparato una seconda volta. “Sei qui anche tu,” gli fece notare. “E so che non hai un duplicato. Devi aver preso una delle due originali.”

Adam gli rivolse una smorfia sarcastica. “Io non sono Takashi, ragazzino,” lo avvisò. “Non rivolgerti a me come se fossi tuo amico.”

Keith capì l’antifona. “Chiedo scusa, sir.” Strinse i pugni.

“Per la cronaca,” aggiunse Adam. “Se qualcuno ti consegna il duplicato della chiave della sua casa, non significa che puoi entrarvi quando non c’è nessuno.”

Ancora una volta, Keith fu tentato di sottolineare che anche lui stava facendo la medesima cosa ma ritenne più saggio tenere la bocca chiusa. Era vero: Adam Sànchez non era suo amico.

Non c’era nessuna ragione per cui non sarebbe dovuto andare da Iverson e denunciarlo. Keith, però, non era uno stupido: se non lo aveva già fatto, c’era qualcosa di quella situazione che lo incuriosiva. “Avvicinati,” ordinò Adam.

Keith non si mosse di un passo.

“Coraggio, spostati davanti a me.”

Il cadetto non poté rifiutarsi. Si sottopose al giudizio degli occhi di Adam senza abbassare lo sguardo.

L’espressione dell’ingegnere assunse sfumature che il più giovane non seppe come interpretare: sembrava divertito e, al contempo, malinconico.

“Due anni e mezzo e non sei più un bambino,” disse. “Eppure, non sei ancora un uomo.”

Keith non sapeva come interpretare quel commento, così rimase in silenzio.

“Arrogante…” Aggiunse Adam.

“Non ho detto niente, sir.”

“Non hai bisogno di dire qualcosa, Keith,” replicò il giovane ufficiale. “Mi basta guardarti negli occhi. Non c’è nemmeno un briciolo di rispetto nel modo in cui mi guardi.” Sospirò. “Ti dico quello che dissi a Takashi quando aveva più o meno la tua età: sei il migliore, impara a nascondere quello che provi o tutti sapranno dove attaccare.”

“So difendermi, sir.”

“Difenderti come fai ti porterà solo all’espulsione,” disse Adam. “Fatti più furbo. Torniamo a noi, che cosa stai facendo qui?”

“Niente…” Rispose Keith con la stessa voce incolore dell’altro. “Sono qui e basta, senza nessuna ragione.”

Adam lo fissò. Gli credette ma c’era una verità tra le righe che voleva portare a galla a tutti i costi. “Ti manca così tanto?”

Keith venne preso di sorpresa da quella domanda, ma fu bravo a non mostrare nulla. “È qui perché manca anche a lei, sir?”

Le labbra di Adam si piegarono in un sorriso che sapeva di sfida. “Bravo,” disse. “Non mi aspettavo niente di meno dalla stella di Takashi.”

Keith avrebbe voluto dire che la storia della stella era tutta opera di Matt, ma a cosa sarebbe servito? Adam non gli aveva permesso di restare per fare conversazione.

“Iverson ti tiene aggiornato sugli sviluppi della missione?” Domandò l’ingegnere.

Fosse stato un po’ più grande, Keith non sarebbe caduto nella tela del ragno così velocemente. Era solo un sedicenne, però, e l’assenza di Shiro gli stava spezzando il cuore.

Adam capì di aver vinto nel vedere quegli occhi viola farsi grandi e brillanti di speranza. Tuttavia, la vittoria non lo fece sentire meglio.

“Sta bene?” Era tutto quello che Keith voleva sapere.

Il viso di Adam tornò a essere inespressivo. “Sono informazioni riservate, cadetto.”

Keith ingoiò a vuoto. “Ma se fosse successo qualcosa, lo verrebbero a sapere tutti, no?”

“Non è così semplice,” spiegò Adam. “Ci sono informazioni che possono essere divulgate, alcune vengono evitate di essere dette e poi ci sono quelle create per nasconderne delle altre. È pur sempre una missione governativa.”

“Portata avanti da delle persone,” sottolineò Keith. “Persone che hanno qualcuno che li aspetta.”

Ad Adam non piacque particolarmente quell’accostamento di parole. La ragione gli suggeriva che Shiro non poteva aver raccontato niente di loro due a quel ragazzino, ma il cuore gli ricordava che Keith era stato quello capace di rubargli un’infinita quantità di tempo con il suo compagno.

Non c’era un modo gentile di metterla: Shiro aveva preferito Keith in molte occasioni e tempo prima che lui e Adam raggiungesse il loro punto di rottura.

“Shiro ha solo i suoi nonni in vita. Sono anziani e non so quanto sappiano di quello che sta accadendo al loro unico nipote,” disse Adam. “Potrebbero non essere più qui quando tornerà.”

Keith non esitò a scoprire tutte le carte. “Ma ci sarò io,” disse con una spontaneità quasi commuovente.

Adam, però, era troppo cinico per dare valore a quei sentimenti infantili. “Non trattenere il fiato, Keith,” disse. “Non farlo, non per Takashi. Aspettandolo, potresti soffocare senza rendertene conto.”

Solo allora Keith abbassò lo sguardo ma per il tempo di un respiro. “Vorrà dire che lo aspetterò solo questa volta,” disse. “Poi andrò con lui.”

Adam inspirò dal naso. “Tu sai di non avere tutto quel tempo con lui,” gli disse. “Non perdere di vista la realtà, Keith. Non credere nell’impossibile.”

Non fare come me.

Keith, però, non era divenuto la stella di Shiro per niente. “Anche quello che lui sta facendo era considerato impossibile,” replicò. “E ora stiamo tutti guardando il cielo in attesa che torni.”

Fu il turno di Adam si abbassare lo sguardo ma trovò alla svelta un modo per avere l’ultima parola. “La chiave elettronica,” ordinò, allungando la mano. “Consegnamela e nessuno saprà niente.”

Keith sgranò gli occhi e fece per obiettare.

“Ti ho detto di farti furbo, Keith,” disse Adam.

Il cadetto lo fulminò con lo sguardo. Gli consegnò la tessera senza dire ah. Aveva fatto una promessa a Shiro e se quello era il prezzo da pagare, lo avrebbe accettato.

 

-Oggi-
[Da qualche parte nel sistema di Daibazaal]


“No,” mentì Keith. “Adam non aveva ragione di frequentare noi cadetti. Era il più giovane Comandante del reparto d’ingegneria e non aveva tempo da perdere con i ragazzini.”

Keith non era mai riuscito a dire una bugia in modo efficace. Era troppo istintivo, troppo spontaneo. Portava le emozioni scritte in faccia e questo gli rendeva difficile qualsiasi recita.

Matt comprese che non gli stava dicendo la verità nel momento in cui aprì bocca. “E così Sànchez è riuscito a battere un record da qualche parte. Comandante più giovane della sezione ingegneri.”

Keith trattenne il fiato per un istante e sentì le guance colorarsi un poco. Si era tradito alla prima bugia. Shiro e Matt erano partiti mesi prima che Adam divenisse un Comandante e non c’era ragione per cui un cadetto dovesse essere informato della notizia.

“Sai…” Matt sorrise con gentilezza. “Mi sono sempre chiesto perché ti hanno espulso.”

Keith abbassò lo sguardo. “C’eri quando finivo sempre nell’ufficio di Iverson e Shiro era l’unico a difendermi.”

Matt annuì.

“Shiro non c’era più,” concluse il Paladino. “E io non ero in grado di mantenere la promessa che gli avevo fatto. Tutto qui.”

Matt ridacchiò. “Non ti credo, Keith.”

“Non ho mai amato la Garrison e lo sai,” insistette il più giovane. “Senza nessuno che mi tenesse a freno, non sono-”

“Ma smettila!” Lo interruppe Matt divertito. “Saresti morto per mantenere la promessa fatta a Shiro, a meno che…” Tornò serio di colpo. “Oh… Non avevo pensato a quell’evento.”

Keith si umettò le labbra e si costrinse a sollevare lo sguardo. “Non ho mai visto l’annuncio ufficiale del fallimento della missione,” raccontò. “Iverson, ovviamente, lo sapeva da giorni e fu abbastanza furbo da chiudermi in un simulatore nella stessa ora in cui la notizia divenne pubblica.”

Matt non se ne sorprese. “Aveva paura che scoppiassi.”

“Ho perso la testa,” confermò Keith. “Mi portarono nell’ufficio di Iverson, mi raccontarono la stessa storia che raccontarono a Pidge e a tua madre… E persi la testa.” Prese un respiro profondo. “Errore del pilota. Avevano scelto il capro espiatorio sbagliato… Non ci avrei mai creduto, Matt. Mai.”

“Abbiamo fatto rapporto quando siamo atterrati,” disse Matt. “Non potevamo esserci schiantati. Dovevano darsi una spiegazione, Keith e rapimento alieno non era sulla lista.”

“Hanno distrutto la memoria di Shiro,” sibilò Keith.

“Lo so.” Matt annuì. “E tu che cosa hai fatto? Iverson mentiva, tu eri un ragazzino sconvolto e nessuno ti avrebbe ascoltato. Non potevi andare alla ricerca di prove da solo come mia sorella. Immagino che tu abbia chiesto l’aiuto di qualcuno.”

Keith lo guardò ma non rispose immediatamente. “Doveva ascoltarmi,” disse in un mormorio. “Se aveva amato Shiro, doveva ascoltarmi per forza…”


 
-1 anno e un paio di Deca-Phoeb prima-
[Terra, Accademia Galaxy Garrison] 



Keith aveva cercato Adam per settimane.

Non si era fatto scrupoli a chiedere di lui a chiunque, anche a Iverson.

“Lascia in pace i miei uomini, ragazzino,” lo aveva avvertito il Comandante. “L’errore peggiore che puoi compiere è credere di essere l’unico ad aver perso qualcuno nella missione Kerberos.”

No, Keith non aveva una simile superbia. Sapeva che Matt aveva una madre e una sorella minore, che Samuel Holt era amato e rispettato da molti.

Quello che Keith non poteva accettare era che la vicenda umana di Shiro si concludesse in quel modo.

Errore del pilota.

Non poteva essere andata così, si rifiutava di crederlo e sapeva che Adam era l’unica persona alla Garrison che lo avrebbe ascoltato. Se aveva amato Shiro, doveva ascoltarlo.

“Lo so che sei qui dentro!” Urlò Keith battendo il pugno contro la porta dell’appartamento di Shiro e Matt. “Adam! Non puoi continuare a evitarmi!”

Perché lo stava facendo fin dal giorno dell’annuncio. Keith era arrivato fino agli edifici della sezione d’ingegneria per chiedere di lui e l’altro si era sempre fatto negare.

“Adam!” Keith diede un calcio alla porta chiusa. “Adam, devi ascoltarmi!”

L’edificio doveva essere vuoto o qualcuno sarebbe già intervenuto per portarlo via e magari buttarlo fuori a calci.

“Adam!” Keith appoggiò la fronte alla porta chiusa. “Non puoi essere come loro,” mormorò stancamente. “Non tu.”

Un distinto rumore di passi all’interno dell’appartamento spinse Keith a fare un passo indietro. La porta sparì dentro la parete e Adam comparve di fronte a lui. “Smettila di urlare,” ordinò. “Entra…”

Il cadetto non se lo fece ripetere due volte. “Adam, devi scoprire che cosa è successo,” era troppo agitato per ricordarsi che l’altro non amava farsi dare del tu da lui. “Continuano a mentire. Continuano a dire che è stata tutta colpa di Shiro. Non possiamo permetterlo!”

Adam attraversò la zona giorno del piccolo appartamento e si fermò di fronte alla grande finestra che dava sul deserto. Le luci degli altri edifici erano l’unica cosa ad illuminare la stanza.

“Adam,” chiamò Keith con urgenza. “Mi stai ascoltando?”

L’ingegnere prese un respiro profondo e si voltò. “Prima di tutto, parleremo di questa cosa ora è poi non lo faremo più,” disse gelido. “Devi smetterla di cercarmi, Keith. Devi smetterla con questo tuo delirio in fretta, se non vuoi che ci siano delle conseguenze pesanti.”

Keith aggrottò la fronte. “Adam, dicono che Shiro ha provocato lo schianto che ha ucciso lui, Matt e il professor Holt. Stanno infangando il suo nome.”

Adam incrociò le braccia contro il petto. “Stanno dicendo la verità, Keith,” disse, sforzandosi di essere paziente. “La missione Kerberos è fallita per un errore del pilota. Si ipotizza uno schianto e la conseguente morte di tutti i membri dell’equipaggio.”

Keith lo fissò con sgomento. “Come fai a dirlo come se lo credessi davvero?” Domandò. “Come puoi restare così calmo?”

Adam affondò le unghie della mancina nel proprio braccio ma, a causa del buio, il cadetto non se ne accorse. “Non è nella mia natura credere a cose impossibili,” disse. “La tua speranza lo è. La tua ricerca della verità è completamente inutile, la conclusione non cambierà: Shiro ha fallito e il suo fallimento ha messo fine alla sua vita e a quella di altre due persone.”

Keith scosse la testa. “Non puoi davvero credere che Shiro…”

“Era malato, Keith,” disse Adam. “Era malato e non sarebbe mai dovuto partire.” Qualcosa s’incrinò nella compostezza di Adam. “Se soltanto mi avesse ascoltato…”

Il cadetto inspirò profondamente dal naso. “Hai sentito la registrazione dello schianto?”

“Cosa?”

“Sei un Comandante ora, no? Se volessi, potresti…”

“Pensi che voglia sentire la registrazione degli ultimi istanti di vita di Takashi?”

Quelle parole furono come un pugno nello stomaco per Keith. Ingoiò a vuoto e si fece coraggio. “Se fosse necessario…” Strinse i pugni. “Se fosse necessario per scoprire la verità su di lui, io-”

“Smettila, Keith!” Il pugno di Adam si abbatté contro la vetrata alle sue spalle con tanta forza che il cadetto di sorprese di non vederla andare in pezzi. “Takashi non tornerà… Non importa che cosa ti ha promesso! Non importa in cosa credeva e se noi credevamo in lui, Takashi è morto! Non è più da nessuna parte! Puoi aspettarlo tutta la vita o cercarlo fino ai confini dell’universo, non servirà a niente!”

Non è vero. Keith strinse i pugni e non lo disse. Non è vero.

“Takashi è morto come voleva morire!” La rabbia aveva avuto il sopravvento su Adam e non si preoccupò di suonare crudele. “È morto tra le stelle, perché erano le sole cose che riusciva ad amare! Io ero niente… Tu eri niente per lui. Ti ha abbandonato, Keith… Ti ha messo da parte proprio come ha fatto con me…”

Se Keith fosse stato un po’ più grande, avrebbe compreso la disperazione delle parole di Adam e non si sarebbe fatto trascinare nel suo vortice di dolore.

Se Keith fosse stato un po’ più grande, sarebbe stato certo del fatto che Shiro non lo aveva lasciato di proposito.

Se… Se… Se…

Keith aveva sedici anni e troppe ferite aperte nel cuore per preoccuparsi di quelle che facevano sanguinare Adam.

Il pugno che gli diede fu tanto forte che gli spaccò sia il naso che gli occhiali.
 
-Oggi-
[Da qualche parte nel sistema di Daibazaal]


“Cazzo…” Fu tutto quello che Matt riuscì a dire.

Keith non credeva di averlo mai sentito imprecare prima di allora.

“Ti ha colpito dove faceva più male, gli hai dato un pugno e ha anche avuto il coraggio di denunciare la cosa a Iverson?”

Suo malgrado, il Paladino sorrise un poco. “Sei di parte, Matt.”

“Sono un adulto! Se sputo veleno contro un ragazzino di sedici anni, non mi aspetto che questi cominci a ragionare!”

“Sai che non funziona così…”

Il giovane Holt sbuffò. “Non ho parole,” disse. “Immagino non abbia avuto nemmeno il coraggio di guardarti mentre ti portavano via.”

Keith non rispose. Lanciò un’occhiata verso il retro buio del Black Lion. “Devo andare, Matt.” Disse e si alzò in piedi

Il ribelle si agitò sulla sua sedia. “Ehi, Keith, aspetta!”

“Grazie per avermi raccontato tutto,” disse il Paladino poggiando la mano sul pannello di comando. “Pidge ti contatterà a breve e ti spiegherà ogni cosa.”

“Keith, aspe-”

Il Galra interruppe la comunicazione e l'ologramma sparì da sopra il pannello di comando. C’era ancora luce fuori. Non doveva aver parlato per così tanto tempo da quanto gli sembrava.

Scosse la testa: il sole non era una prova sufficiente, non sapeva come funzionavano i cicli in quel sistema.

Mentre si spostava sul retro del Black Lion, Keith pensò solo che si sentiva terribilmente stanco. Alimentata dall’energia del leone, vi era una medical pod lì dietro e il giovane uomo al suo interno dormiva serenamente.

Allura non aveva ancora detto niente ma Keith aveva capito che se non si era ancora svegliato, qualcosa non stava andando nel verso giusto.

Dopo che la Principessa aveva recuperato la sua coscienza dal piano astrale, Shiro aveva recuperato i sensi solo per pochi istanti, poi si era addormentato tra le sue braccia, sfinito.

La situazione si era fatta allarmante quando Keith si era reso conto che il suo respiro non era regolare.

Ora, i segni vitali erano buoni ma non ottimali. La medical-pod lo teneva in vita ma non riusciva a rimediare alla situazione.

Keith appoggiò entrambe le mani sul vetro della capsula. “L’ultima volta che ho chiamato il tuo nome, mi hai risposto da un’altra dimensione,” disse. “Puoi farlo ancora una volta? Shiro? Shiro…”

“Nessun cambiamento?”

Gli occhi viola del Galra si sollevarono: era Allura.

“No,” rispose, riportando lo sguardo sul viso addormentato di Shiro. “È stupido pensare che si sveglierà soltanto perché chiamo il suo nome.”

La Principessa si avvicinò. “Non è stupido,” disse. “Ti ha sentito in un’altra dimensione. Sono certa che può sentirti anche ora e che sta lottando per risvegliarsi. Dobbiamo solo aspettare…”

Keith storse la bocca in una smorfia. “Sì, sono abituato ad aspettarlo.”

Allura gli strinse la spalla. “Questa è l’ultima volta, Keith, te lo prometto.”

Il giovane Galra non credeva che lei potesse fare una simile promessa, ma non glielo disse. “Ehi…” Si rivolse all’uomo addormentato nella capsula. “Continua a combattere, Shiro. Continua a combattere… Io sono qui, non mi arrendo.”

Allura sorrise.

Se Keith doveva aspettare ancora, lo avrebbe fatto.

Se necessario, lo avrebbe aspettato per sempre.

 
-Nello stesso momento-
[Terra, Accademia Galaxy Garrison]


Tutto sommato era stata una giornata tranquilla.

“Prendi Adam,” disse l’infermiera, consegnando al pilota una confezione di pillole. “Usale con buon senso. Sono antidolorifici molto forti.”

Adam Sànchez annuì ma l’aveva ascoltata solo a metà: il sole era tramontato senza che nessun attacco Galra si verificasse, ma era stata una lunga giornata.

“Il dolore all’addome sta migliorando?” Domandò la giovane donna.

Adam annuì. “Faccio fatica a dormire una notte intera ma sta migliorando.”

L’infermiera sorrise. “Grazie per quello che fai. Per quello che fate tutti voi piloti.”

Quelli come lui non erano i soli da ringraziare. Se potevano ancora volare, lo dovevano anche agli ingegneri, agli informatici e a tutti quelli che erano i figli della Galaxy Garrison.

“Dovere.” Fu l’unica risposta di Adam.


Adam Sànchez era tornato a volare dopo che l’invasione era cominciata. Era stata una necessità, una questione di vita o di morte. Iverson aveva avuto bisogno di tutti i piloti a sua disposizione per fare fronte alla minaccia, compresi quelli non ancora diplomati.

Era stata una scelta difficile, contro tutti i principi in cui il Comandante credeva. I Galra non avevano avuto alcuna pietà e non avevano lasciato loro altra scelta che difendersi con tutto quello che avevano.

I primi attacchi erano stati i peggiori. Adam aveva smesso presto di cercare di ricordare i nomi di chi volava con lui o di contare quanti ne cadevano ogni volta.

Erano in guerra e avevano dovuto abituarsi alla morte in fretta.

Per tornare a volare era dovuto tornare alla Garrison e quella era stata la parte peggiore.

Adam era fuggito da quel posto anni prima, dopo l’espulsione di Keith Kogane e la cerimonia funebre per i membri dell’equipaggio della missione Kerberos. Adam non era riuscito a rimanere all’Accademia in cui aveva passato la sua fanciullezza. Si era riscoperto incapace di restare in un posto in cui ogni angolo gli ricordava Shiro, compreso il deserto.

Sì. Adam era fuggito, si era rifugiato nei suoi progetti d’ingegneria e in qualche tiepida relazione per scacciare la noia. Non aveva cercato altro che sesso in quelle relazioni e nessuna era durata abbastanza per essere pericolosa. Nessuno si era mai fatto male.

In realtà, Adam non era mai guarito del tutto dalla ferita che il suo primo amore gli aveva inflitto. Lo aveva negato a se stesso per tanto tempo, fino a che Iverson non aveva chiamato in una notte di primavera come tante altre.

“È ancora vivo.” Aveva detto il Comandante.

Nessun nome, nessuna spiegazione. Adam non ne aveva avuto bisogno, il suo cuore si era fermato lo stesso.

“Vieni immediatamente.”

Adam non aveva aspettato il sorgere del sole per eseguire l’ordine.

Quando era arrivato alla Galaxy Garrison, non aveva trovato quello che Iverson gli aveva promesso.

“Qualcuno ci ha ha attaccati. Non sappiamo dove sia e tre cadetti sono scomparsi!” Era stata la spiegazione del Comandante.

Ad Adam non era importato. “Voglio vederlo…”

Iverson aveva sospirato. “Abbiamo i video ma… Adam…”

“Voglio vederlo!”

Lo avevano accontentato e dopo non si era sentito meglio.

“Che cosa gli è successo?” Aveva domandato guardando con orrore la cicatrice sul viso di Shiro e il braccio artificiale.

Nessuno aveva saputo rispondergli.

Avevano cercato e cercato e cercato. Alla fine, l’Accademia aveva dovuto denunciare la scomparsa di tre cadetti ma nessuno aveva fatto il nome di Takashi Shirogane.

“Non sappiamo come spiegarlo,” aveva detto Iverson. “Non possiamo far uscire quell’informazione da qui.”

“E smetteremo di cercare?” Aveva domandato Adam, fuori di sé.

Iverson non gli aveva risposto.



Se di lì a poco non fosse cominciata l’invasione, Adam avrebbe lasciato la Galaxy Garrison per non farvi più ritorno. Il suo senso del dovere lo aveva costretto a restare, a combattere ma non aveva più rivolto la parola a Iverson.



Quando la guerra era cominciata, Adam aveva fatto una cosa senza senso: si era trasferito nella stanza numero 87 del dormitorio maschile, quella che era stata sua e di Shiro negli anni più belli della loro vita. Per qualche ragione che non aveva saputo spiegarsi, lo spazio tra quelle quattro mura era la cosa più simile a casa che avesse.

Lui e Shiro erano stati felici lì. Non c’era altro luogo in cui Adam sarebbe voluto tornare.

Alla fine di quella giornata stranamente pacifica, Adam si distese sul letto sotto la finestra con ancora la divisa addosso e prese più antidolorifici di quelli che avrebbe dovuto.

Non era la prima volta che lo faceva e sapeva di non correre alcun rischio.

Era solo molto stanco ed era consapevole che il dolore alla costola non lo avrebbe fatto dormire se non si fosse stordito.

Il suo ragionamento non era molto diverso da quello di un tossico ma il suo mondo era destinato a finire. Non c’era un futuro di cui preoccuparsi, gli era rimasta solo una voce nella testa che continuava a ripetere sempre le stesse parole: “non ti arrendere.”

“Tu la fai facile,” borbottò alla stanza vuota. “Non sei qui.”

Aprì gli occhi e ciò che vide contraddisse le sue parole.

Takashi Shirogane era lì, seduto sul suo letto, con i capelli ancora corvini e nessun segno a deturpargli il volto.

Adam non sapeva se era un effetto collaterale delle pillole o solo la pazzia che avanzava. Era ancora abbastanza lucido per sapere che ciò che vedeva non era reale, ma era troppo disperato per scacciare via quell’unica occasione di sentirsi meno solo.

“Perché non mi hai dato ascolto?” Glielo domandava ogni volta.

“Potrei chiederti perché non mi hai mai detto che mi amavi,” replicò l’illusione con un sorriso gentile.

“Non sono mai stato il tipo, Takashi. Preferivo dimostrartelo.”

“Lo so.”

“Ci riuscivo?”

“Sì, ci riuscivi.”

Adam si aggiustò meglio sul letto e il dolore alla costola gli spezzò il respiro.

“Piano…” Mormorò Shiro.

Adam si maledisse per non essere abbastanza pazzo da immaginare quelle mani su di sé. Gli mancavano. No, Shiro gli mancava tutto. Aveva cercato di dimenticarlo e si era ritrovato a cercarlo in altre bocche, in altri corpi.

Non aveva funzionato.

“Perché?” Domandò. “Perché non riesco a togliermi il ricordo di te dalla testa?”

Shiro gli sorrise tristemente. “Vorresti dimenticare, Adam?”

“No. Vorrei poter ricordare senza avere l’impressione di essermi strappato da solo un arto o un’altra parte di me... Ma tu non ci sei. Non ci sei più da tanto tempo, Takashi.”

L’illusione sospirò. “Conosci la sindrome dell’arto fantasma?”

Adam ripensò al braccio artificiale che aveva visto in quel video. “Sto cercando di liberarmi di quel fantasma,” rispose. “Del tuo fantasma.”

“Non posso essere un fantasma se sono vivo, Adam.”

“Se non sei qui, non è detto che tu sia vivo.”

“Se fossi rimasto con te, sarei morto da molto tempo.”

Adam non accettò quella replica. “Se ti avessi seppellito io, forse sarei riuscito ad andare avanti.”

Shiro scosse la testa. “Ne sei sicuro?” Domandò. “Questo è troppo crudele anche per te.”

“Potevo affrontarlo, Takashi. Potevo starti vicino e non hai voluto.”

“Non è questo che ti fa star male.”

“No, hai ragione,” disse Adam con un sorriso isterico. “Ti ho lasciato andare perché non riuscivo a vivere con l’angoscia di aspettare l’inevitabile. Non potevo lasciarti partire e passare ogni giorno a chiedermi se saresti tornato.”

“Lo facevi a ogni missione, no?”

“I confini del sistema solare sono una meta un po’ più complicata da raggiungere di Marte.”

“E a che cosa è servito, Adam?” Domandò Shiro. “Tu mi stai ancora aspettando, non è così?”

Adam non avrebbe risposto a quella domanda ad anima viva, ma il giovane che aveva davanti era solo un’immagine nella sua testa. “Sì...” Ammise. “Sì, Takashi, ti sto aspettando ancora.” Sorrise amaramente. “Tutti quegli inutili tentativi di dimenticarti e, alla fine, credo che ti aspetterò per sempre.”

“Attento, Adam Sànchez.” Shiro gli sorrise come se avessero ancora quindici anni e il loro amore fosse più splendente di tutti gli astri nel cielo. “Lo sai che neanche le stelle durano per sempre?”

Adam gli sorrise debolmente, gli occhi socchiuse. “Sei stato l’unico che è riuscito a convincermi a credere nell’impossibile, Takashi.”

Cadde in un sonno senza sogni.

Al suo risveglio, nessuno sarebbe stato al suo fianco.

Adam Sànchez si sarebbe alzato e avrebbe continuato a combattere per la Terra. Anche se la ragione gli suggeriva che non avevano alcuna speranza di vincere contro i Galra, Adam non si sarebbe arreso. Per un giorno ancora, avrebbe aspettato.

Shiro era tornato a casa una volta e se era ancora vivo, non li avrebbe abbandonati ora che avevano più bisogno di lui.

“La Terra ti sta aspettando,” avrebbe detto Adam al sole appena sorto. “Rendi l’impossibile possibile ancora una volta, Takashi.”

 
Fine



***
Note di chiusura:

Ebbene, eccoci qua. È stato un viaggio breve ma intenso.
Questo progettino mi ha tenuto compagnia e mi ha fatto tanto bene sotto molteplici punti di vista. Spero che abbia allietato anche l’attesa di qualcun altro. Mancano poche ore…
Oltre a ringraziarvi per essere arrivati fino a qui, vi auguro buona visione e buon viaggio.
Ci rivediamo al punto di arrivo!



 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender / Vai alla pagina dell'autore: Ode To Joy