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Autore: Dregova Tencligno    10/08/2018    2 recensioni
A occhi chiusi il mondo si trasforma, ma non è molto diverso da quello che c'è all'esterno. In verità, di quello che c'era. Ormai il mondo è diverso. E il Sogno potrebbe non vedere più la luce della Realtà.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho la stessa sensazione a percorrermi la pelle ogni volta che chiudo gli occhi. Mi segue, mi culla, si presenta anche se non sono io a chiamarla. È come un’ombra, ma non come quelle che fanno paura, che si nascondono dietro gli angoli e sotto i letti per poi spuntare all’improvviso, magari con una luce argentea da qualche parte. Non si tratta di un’ombra tagliente e letale. No. Non ha niente a che fare con tutto questo. È più dolce, densa come il miele e fresca come la brezza salmastra che si respira vicino al mare. E la sento, quando chiudo gli occhi.
Si tratta di una sensazione lontana, quasi appartenente a qualcun altro, perché se ci penso a occhi aperti, non è altro che una serie di fotogrammi che si susseguono, con ordine, ma tremendamente sfocati, tanto che non posso distinguere un granello di sabbia dall’immensità del mare. Ma quando chiudo gli occhi, la magia ha inizio. È come se la chimica del mio cervello si risvegliasse esplodendo e producendo fumi che mi puliscono gli ingranaggi della memoria. Così, quando chiudo gli occhi, posso scoprire quella sensazione e il ricordo legato a essa.
Lo scopro lentamente, gustandomelo con una ricetta esotica che so che non potrò assaggiare di nuovo se non dopo molto tempo.
La prima cosa che sento è la Sensazione. Un misto di pace, calma ed estremo benessere. Poi, piano, mi focalizzo su ciò che mi circonda. Sento il vento fresco che arriva da ovest e che attraversa il mare, mi accarezza la pelle, la solletica, mi muove i capelli e mi sfiora le ciglia mentre cadenzata mi giunge all’udito il suono della risacca. Il mare. Ho gli occhi chiusi, ma so che se li aprissi vedrei una tavola azzurra in lontananza che si fa via via sempre più trasparente mentre si avvicina alla spiaggia. Talmente trasparente da sembrare inesistente, se non fosse per le ombre che le onde creno sotto di loro ostacolando il passaggio della luce del sole.
L’aria è fresca, il sole è caldo. È un misto piacevole.
I polpastrelli si muovono lenti sulla finissima sabbia sotto di me, sotto l’asciugamano che mi sostiene. E so di nuovo che se aprissi gli occhi riconoscerei il suo biancore dai riflessi dorati, colma di conchiglie rosee e sassi multicolore, dal verde all’azzurro, dal bianco al nero, dal rosa al rosso cremisi.
Ricordo la sensazione delle dita dei piedi, del petto, del mio corpo che si muove mentre la mente quasi assopita viaggia con la fantasia. Si immagina come sarebbe bello trascorrere tutta la vita in riva al mare, a godere del suono della risacca, della frescura del vento e del tepore del sole. Sono immagini che si fissano dietro le palpebre chiuse e lì rimangono in attesa che dicessi di sì. Quanto mi sarebbe piaciuto rimanere immerso in quella pace, crogiolandomi nella monotona ruotine fatta di bagni di acqua e di sole e pasti in riva al mare a godere della bellezza dei tramonti e delle albe.
Il ricordo cresce, si amplia inglobando anche altre parti che la mia mente, da sobria e da sveglia tiene a bada.
Sento un calore muoversi alla mia sinistra. La fonte è vicina, troppo, ma vorrei che lo fosse ancora di più. La sento muoversi e per un attimo, una frazione di secondo durata un’eternità, mi sfiora la pelle. E la mia sfiora la sua.
Ne sento l’odore, un misto di sudore e mare e crema solare che si infila nelle mie narici e lì prende la residenza mentre ogni tanto va a dimorare da qualche parte nel mio petto. Proprio dove dovrebbe esserci il cuore. E così sento l’organo pulsare solo per la persona che ho al mio fianco, che si muove e respira, che scivola vicino a me, sempre di più, fino a quando le nostre mani non si sfiorano. Allora le dita si cercano e si intrecciano.
So cosa troverei se aprissi gli occhi e mi voltassi a sinistra. Incontrerei il suo profilo imperfetto. Il naso con la punta rivolta leggermente a sinistra e verso l’alto, le sottili ciglia a disegnare archi scuri, le sopracciglia folte e quasi a disegnare ali di gabbiano. Poi incontrerei il suo neo, tra la coda dell’occhio e l’angolo delle labbra piene e di un rosa scuro, sulla pelle di un morbido marrone nocciola. Potrei vedere le tre sottili rughe sulla sua fronte, le vene lungo le sue braccia che desidererei percorrere con le dita, assisterei ai movimenti del suo torace mentre respira. E se aprisse gli occhi? Mi perderei in quello sguardo scuro come l’ossidiana, e a quel punto vorrei solo avvicinarmi, azzerare la distanza che ci separa e toccare le sue labbra con le mie, mentre con una mano accarezzerei i suoi capelli sottili, corti e castani. Poi scenderei ad accarezzargli la tempia, la guancia e il mento coperti da una sottile peluria disomogenea, poi slitterei sul collo lungo e muscoloso e alla fine mi fermerei sul petto, dove sullo sterno si allarga una macchia di peli radi.
E con gli occhi chiusi sorrido a quest’immagine, mi sorprendo che questo sia accaduto nella realtà.
Una perfetta giornata d’estate, trascorsa in riva al mare a impazzire per quel sentimento che mi stringeva piacevolmente il cuore e che mi metteva lo stomaco in un frullatore. Ci sono momenti in cui questa dolce tortura si fa sentire prepotentemente, altri in cui rimane sopita ma sempre all’erta. E in entrambi i casi so che non voglio essere, e che non sarei mai voluto essere, da nessun’altra parte se non con lui. Non lo voglio perdere, è un pensiero così egoistico e semplice, e mi ripeto che non lo perderò mai.
Le nostre dita si stancano di giocare e le nostre mani si afferrano, la sua più calda e dura della mia, leggermente più grande e col dorso solcato da grosse vene. Non ho bisogno di vederle per riconoscere a pelle i calli e i graffi che gli rendono accidentata la pelle. Mani ruvide ma gentili e delicate quando è loro richiesto.
Il ricordo si espande ancora.
Siamo solo noi due sulla mezzaluna di sabbia sottile che si attacca ai nostri piedi fuori dagli asciugamani. Nessun vociare fastidioso e nessun pericolo di essere investiti per sbaglio da una pallonata. Ci siamo noi e il mondo che ci saluta amicale.
Sento il costume bagnato sulla pelle, le gocce che scivolano da esso disegnarmi sulla pelle linee sottili e irregolari per poi finire sul materasso. La retina dentro i bermuda si tende mentre mi stiracchio sotto il sole.
Accarezzo il suo pollice sotto il mio. Sento il suo respiro più superficiale e mi immagino le sue labbra con gli angoli sollevati in un abbozzo di sorriso.
È così perfetta la felicità che posso toccarla, sfiorarla con un dito e godere della sua presenza, come se avesse un corpo da abbracciare. E per me lo ha. È il suo. Caldo, morbido, rassicurante, profumato. Tutte le sensazioni che provo e che adoro di più sono legate all’essere che mi sta accanto. E nulla sarebbe la mia vita senza di lui, senza sapere che i suoi occhi mi guardano le spalle, senza le sue labbra a scivolare lungo il mio collo e posarsi sulle mie labbra con infinita dolcezza.
Ci sono momenti, quando mi trovo a vagare tra il sonno e la veglia, in quello stato di oblio che mi afferra prima di dormire, in cui mi si accappona la pelle pensando che tutto possa essere frutto di un’illusione. E le mie paure peggiori si risvegliano quando l’oblio mi sorprende e non ho più coscienza di me. Cosa accadrebbe se non trovassi quella figura al mio fianco al mio risveglio? Come risponderebbe la mia mente alla sua assenza? La mia vita avrebbe ancora lo stesso significato?
Così, con gli occhi chiusi, con ancora la sua mano nella mia, penso al senso di perdita che proverei. Perché non sarebbe come perdere un oggetto, qualcosa di cui si può fare a meno, ma perderei qualcosa che mi appartiene e senza cui non saprei vivere. Dovrei adattarmi alla vita, provando sempre una sensazione di vuoto opprimente, di gelo dietro la nuca e di sudore sotto i piedi. Camminerei senza vedere, senza una guida, senza una mano da stringere.
Trovo la sua pelle a contatto con la mia ed è consolante questa realtà.
Mi fa sentire bene.
Senza paura.
Con un futuro ad attendermi, invece che la solita, umida, nauseante, pausa di stare perdendo tutto.
Sarebbe così semplice e bello abbandonarsi al tepore dei sentimenti che provo, abituarmi alla sua costante presenza.
Magari volere una famiglia.
Una creatura da crescere assieme e da poter sentire come figlio. Da amare e crescere.
Vedere cosa il futuro ci attende.
Combattere per essere felici.
Gioire delle sconfitte, non perché siano un gioco o perché noi siamo masochisti, ma perché da quelle possiamo imparare a fare meglio, così da vincere lo scontro successivo.
Accarezzo il suo pollice.
Già, una famiglia solo per noi.
Poter vivere in continuazione quello che si muove nel mio petto.
Certamente.
Bello.
Solo che so che se aprissi gli occhi, se solo mi azzardassi a guardarmi attorno, non ci sarebbe nessuna spiaggia calda, nessuna onda a cullarmi col suo infrangersi sulla sabbia mista a conchiglie rosee e a sassi multicolore. Non ci sarebbe niente se non una stanza cubica, dal pavimento con mattonelle sconnesse e unte, sormontate da cinque pareti grigie e umide solcate da fulmini neri.
Se solo mi azzardassi ad aprire gli occhi, se mi distaccassi dalla fantasia che mi tiene al caldo e che mi fa compagnia quando posso staccare dalla realtà, scoprire che la persona al mio fianco non esiste. Invece, esiste un immenso, innegabile vuoto che si getta fuori dal mio letto che ha visto tante di quelle lacrime. E il bello, quello che mi consola, è che vedendomi nessuno ha mai scoperto la tristezza di non avere un futuro, ma solo un disastroso presente.
Perché la mia vita rispetto alle favole è completamente l’opposto.
Eppure c’è stato un tempo, un ricordo lontano, in cui la fantasia non faceva a cazzotti con la realtà. C’è stato un tempo in cui la felicità non era solo un miraggio, in cui ciò che sognavo sarebbe potuto diventare vero.
Ma la vita non va mai come ci aspetta.
A volte è gentile e dolce.
Altre stranamente crudele.
E non mi chiedo più il motivo di questo.
Combatto.
Non so fare altro.
Magari un giorno, finalmente, potrò tornare nuovamente a sognare.
Ma, per il momento, mi giro sul fianco destro, allungo il braccio, e spengo la sveglia.

   
 
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