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Autore: shilyss    12/08/2018    27 recensioni
“Perché sei ancora qui, Thor? Perché mi credi,” sorrise. Labbra stirate in un ghigno di lupo che avrebbe dovuto mettere in guardia il dio del tuono, ma non lo fece, non abbastanza, almeno. “Una parte di te, una piccolissima, infinitesimale zona del tuo cervello sa che Odino ha molte ombre, forse troppe.”
“Bada a quello che dici, Loki. Stai parlando di nostro padre.”
L’ammonizione del dio del tuono ebbe in risposta solo un ghigno feroce e una battuta amara. “Ricorda Hela. Ricorda dov'è finita la più potente arma del dio delle forche.”

La voce di Loki è carica di promesse, profezie e menzogne. Eppure Thor, ascoltandola, non può fare a meno di pensare a quanto sarebbe facile e consolante cedere alle verità offuscate che suo fratello gli propone. E la lotta, stavolta, è contro un nemico invisibile e più crudele degli altri.
[post Thor: The dark world]
[ ♦ Storia vincitrice del contest "Come to the Dark Side IV Edition" organizzato da Elisaherm sul forum di EFP. ♦ ]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Odino, Thor
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
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In abissi profondi noi ci perderemo

 

 

ATTO I

L’ASTUTO DIO DELL’INGANNO

 

 

 

“Adesso mi vedi, fratello?”

Thor si sporse quel tanto che bastava per osservare gli occhi folli e allucinati di Loki oltre il pesante reticolo delle grate. Il dio dell’inganno sorrideva, sfoggiando un ghigno folle e disperato assieme su cui spiccavano i denti bianchi e perfetti. Era diventato pazzo, dicevano. La risata fresca e allegra che aveva quando erano ragazzi era sparita, nascosta inevitabilmente sotto l’amarezza di una pena insopportabile di cui anche lui, il nobile Thor, il possente dio del tuono, era l’artefice. In ceppi, brutalmente costretto contro la parete umida della cella, suo fratello lo fissava divertito assottigliando appena gli occhi offesi dalla luce cui non era più abituato.

 

Non gli erano mancate le battute salaci e arroganti neppure quando il tonante lo aveva trafitto con la spada. Loki si era guardato la ferita orrenda quasi con soddisfazione, come se quell’ultimo colpo fosse nient’altro che il tassello di un piano più grande ingegnato con cura. Eppure, le dita affusolate e sporche di sangue avevano tremato, così come tutto il suo corpo agile e nervoso.  Il sorriso sghembo si era spento insieme al suo sguardo. Aveva provato a trattenere con le mani le viscere e il sangue, balbettando l’ultima battuta all’indirizzo dell’erede di Odino, ma senza poter mettere a fuoco gli occhi azzurri di Thor bagnati di pianto. Non era riuscito nemmeno a sentire le sue suppliche. Era caduto, invece, con le orecchie che gli fischiavano e lo sguardo di smeraldo cieco, perso, distante.

 

Come adesso. Piegò leggermente il capo di lato, increspò le labbra in una smorfia carica d’amarezza. “Perché sei qui, figlio di Odino?” cantilenò. “Per osservare il tuo trofeo?”

C’era una nota di risentimento, nella sua voce. Un impercettibile tremore che aveva incrinato il sarcasmo beffardo del fratello e non era sfuggito a nessuno dei due, di cui Loki stesso probabilmente si pentì, perché contrasse la mascella affilata con dispetto. Gli aveva mostrato la crepa, il dolore, la sofferenza, e lo aveva fatto con quella sola nota stonata, sbagliata. Eppure, anche Thor era rimasto turbato dall’accusa per niente velata perché, come spesso accadeva, Loki aveva ragione. Il punto è che per ingannare occorre convincere, essere ambigui, far leva sulle speranze della propria vittima riuscendo a instillare nel suo cuore la fiducia. Per tessere una simile tela, l’essenziale è confessare una verità plausibile, accettabile, anelata persino. E coprirla delle menzogne necessarie, ovviamente.

Thor sapeva tutto questo, ma lo dimenticò quando vide il profilo elegante di Loki e riconobbe la sfumatura verde e trasparente dei suoi occhi. Fu tradito dal proprio lancinante senso di colpa. Durante il loro ultimo combattimento, lo aveva colpito con l’intento preciso di ucciderlo, strapparlo alla vita, e suo fratello lo sapeva, lo aveva capito, perché prima di essere avversarsi erano stati alleati per una vita intera – secoli addirittura – e questo non si poteva cancellare. Sì, Thor aveva alzato la lama senza dosare la forza né calibrare il peso del colpo, e quando la spada aveva attraversato la carne di suo fratello era stato scosso da un brivido d’orrore e qualcos’altro. Soddisfazione.

“Non sei un trofeo, Loki, ma mio fratello.”

Il dio dell’inganno si guardò le mani bianche, dalle lunghe dita di mago, un tempo rosse. “Curioso cambio di prospettiva,” osservò, come se non gli importasse nulla della cicatrice che gli offendeva il fianco e quasi lo aveva spedito in Hel.

La reazione del tonante fu violenta. Diede un pugno al muro tale che le grate vibrarono, masticò una bestemmia.  “Ti ho inseguito per i Nove Regni e ti ho dato la caccia perché tu lo hai voluto. Hai tradito la mia fiducia su Svartlfheim e hai rubato il trono di nostro padre.”

Una pausa. “Tuo padre,” puntualizzò Loki inclinando leggermente il capo, assottigliando gli occhi chiari. “Un re spietato che mi ha usato, un sovrano dispotico, un pirata. Dove ha trovato l’oro che ricopre ogni parete di Asgard, fratello? Dove ha nascosto i generali che di certo l’hanno aiutato a compiere il suo disegno?”

In piedi di fronte al prigioniero, immobile nella penombra del sotterraneo, Thor avvampò. “Che cosa stai insinuando?”

 

Ghignando, Loki si sporse verso il fratello accompagnato dal clangore metallico dei ceppi. “Che sei ingenuo e folle, Thor. Che credi a tutto – a lui in particolare – e pendi dalle sue labbra bugiarde come ho fatto io per troppo, decisamente troppo tempo.” Amarezza e compiacimento avevano colorato la sua voce, come se il suo rammarico per quello che era stato fosse reale, vero.

L’erede di Odino strinse i pugni fino a sentire dolore. In un altro tempo, una simile accusa lo avrebbe spinto a spaccare con Mjollnir le grate e a scaricare tutto il disgusto che nasceva da quell’accusa su Loki. Ma il tonante non era più un ragazzo irruento e impulsivo. Era un uomo, un eroe, il difensore dei Nove Regni. Il peso del suo ruolo gli gravò sulle spalle, senza tuttavia poter lenire la ferita per il tradimento che credeva, una volta di più, di aver subìto. Scosse il capo. “Tu osi accusare lui? Lingua d’Argento, non ho sentito una sola parola vera uscire dalla tua bocca da quando sono qui e anche prima. Non crederò più alle tue bugie.”

Non Loki, non fratello. Lingua d’Argento. Appellativo affibbiato un tempo lontano con ammirazione e dispetto, che ora fece increspare le labbra del diretto interessato in un sorriso sottile, soddisfatto. Loki alzò il braccio e, di nuovo, le catene tintinnarono.

“Allora vattene, che aspetti? Che ci fai ancora qui? Sei venuto per schernirmi?”

 

Stavolta fu Thor, a esitare. Non trovò le parole. Il discorso che si era preparato mentre scendeva con passo sicuro le scale che conducevano alle prigioni svanì dalla sua mente, e il dio dell’inganno lo vide, colse il disappunto e lo smarrimento. E la cosa gli piacque. Il tonante si inumidì le labbra. “Volevo avvisarti che lei se n’è andata.”

Loki puntò lo sguardo a terra, osservò la sommità leggermente consunta dei suoi bei stivali di pelle, serrò la mascella affilata. Non poteva dire di essere sorpreso. Nella sua mente, aveva già vissuto quella scena infinite volte, perso com’era nel suo continuo disegnare ipotesi e illazioni volte a modificare il passato, distorcere il presente, predire il futuro. Calò il silenzio, rotto solamente dal ticchettio distante di un gocciare lontano. Forse Loki non era disposto ad ammettere che lei era stata un balsamo per le sue ferite. Una ragazza che era scesa per disinfettare e cambiare le bende di quel fianco offeso e aveva finito per arrossire sotto le sue occhiate furbe e ammiccanti, di nuovo.

“No. Me l’ha portata via.” Una puntualizzazione necessaria, una smentita decisa. Thor, i cui occhi azzurri non riuscivano a mascherare il senso di colpa atroce per la brutalità di quel colpo antico inferto con rabbia e soddisfazione, scosse la testa.

“Ti amava, un tempo,” gli ricordò lentamente. “Le si spezzò il cuore quando cadesti dal Bifrost. Pianse la tua morte a lungo.”

 

E la piange ancora. Loki avrebbe voluto dirlo, gridarlo, sbattere la verità in faccia al suo fratello quasi perfetto che ancora si struggeva per aver desiderato – una volta, una soltanto – colpirlo per ucciderlo. Solo che Sigyn apparteneva alle cose cui Loki aveva scelto di rinunciare per inseguire la gloria e il potere; era e sarebbe rimasta per sempre l’eco dolorosa di un amore perduto, smarrito, dimenticato. Che in lei si era riacceso all’improvviso di fronte a uno sguardo e a una ferita quasi mortale – bugia, non si era mai spento, limitandosi a rimanere per anni a covare sotto la cenere – e che lo scaltro Odino, per il presunto bene di Asgard, si era affrettato a soffocare. Così, Sigyn aveva perso due volte l’uomo che le Norne avevano deciso dovesse amare in maniera ostinata e disperata.

L’ingannatore si tormentò le dita con un gesto nervoso. “Mi rimarrà fedele per sempre. È nella sua natura.”

“Come lo è nella tua tradire.”

Tuo padre. È stato lui.” L’ingannatore masticò le parole con lentezza, per accertarsi che si incuneassero nel cuore troppo nobile del fratello, cariche di tutto il loro significato. “Non ha sopportato che mi sorridesse,” aggiunse con un ghigno. “Si libererà anche di te, sai? Un giorno scuoterà il capo e ti dirà che non sei più degno. Come quando ti esiliò su Midgard.”

“L’ha fatto perché dovevo comprendere, maturare. La sua punizione fu giusta.”

“Ma davvero?! Interessante teoria.” Loki parve animarsi, il suo sguardo si rischiarò immediatamente. “Dunque, tutto quello che dice il buon vecchio Odino è giusto, assolutamente coerente, lungimirante, inappellabile, perfetto.” Assottigliò gli occhi come per scrutarlo meglio e sorrise stirando le labbra sottili, ironiche, bugiarde. “E dimmi, quando nostra madre è morta e sei andato a implorarlo di non combattere una guerra inutile, ti è parso giusto? Mi hai tirato fuori da una cella ben più grande e luminosa di questo buco, hai disobbedito a una sua precisa direttiva perché…”

“Basta, Loki.” Un altro colpo sul muro, un ringhio malcelato che Thor non riuscì a trattenere tra i denti.

L’altro non si turbò affatto per quel repentino cambio d’umore. “No, non basta.”

“Cercavo la vendetta.”

“Una che lui ti negava.”

“Che cazzo vuoi da me?” Di nuovo, Thor era esploso.

Gli rispose una risata breve e cattiva. “Ti ho fatto già perdere le staffe, fratello?”

“Trai il tuo divertimento da eventi orribili, ti approfitti di tragedie come la morte di nostra madre,” lo accusò Thor con una voce roca e terribile. “Provo pena per te. Avresti potuto essere qualcosa di più che un truffatore rinchiuso in una cella dove non riesci nemmeno a stendere le gambe, Loki. Eri il dio degli inganni e del caos, ma la tua abilità di convincere e creare avrebbe potuto regalare ad Asgard e ai Nove Regni tutti nuove possibilità e ricchezze.”

L’altro non batté ciglio. “L’ho fatto, in passato. E qual è stato il prezzo? Cosa ho ottenuto? Disse che non ero degno.”

“Ci hai traditi,” gli ricordò il dio del tuono con aria offesa, il viso contratto in una smorfia di disgusto e rancore.

“Mi avete ingannato.”

“Io no! Non l’ho mai fatto! Eri mio fratello!” L’erede di Odino si sentiva esasperato e sconfitto dalle labbra ghignanti e sinistre dello suo scaltro interlocutore. La prigionia non lo aveva né piegato né, tantomeno, spezzato. Loki era lo stesso Ase arrogante e superbo che era entrato in quella cella complimentandosi con lui per la sua cattura. Steso su una barella, nemmeno in quel frangente era riuscito a trattenersi dal concedere agli astanti una battuta pungente delle sue. L’immagine del fratello sofferente gli tornò alla mente con vivida e dolorosa precisione e fece male, faceva sempre male.

Lo ero, Thor?” I ceppi cigolarono nuovamente. “Quando mi hai colpito al fianco con quella lama lo ero?”

“Chi mi ha costretto a farlo, chi?” Thor vide Loki ritrarsi nell’ombra, fissarlo con malizia.

“Era l’unica maniera. Non capisci? Dovevo liberarmi di lui. Non mi avrebbe graziato nemmeno dopo essere tornati da Svartlfheim,” ricordò il dio degli inganni lasciando che lo sguardo corresse di nuovo altrove, sulle mura umide e spesse che lo circondavano. I suoi occhi verdi, altrimenti sempre vivaci e acuti, avevano a volte un’espressione vacua, disorientata, persa. Il dio del tuono se ne rese conto con amarezza e un’altra stilettata gli graffiò il petto, perché non aveva potuto fare niente per suo fratello. Era andato a cercarlo in giro per i mondi nella speranza di recuperarlo, farlo ragionare, riportarlo a casa; aveva fallito. L’unica cosa che era stato capace di fare spiccava ancora sul fianco dell’altro ed era stata infliggergli quella ferita quasi mortale che lo aveva lasciato boccheggiante e sconfitto, grondante sangue. Per soffocare quell’azione indegna e il ricordo doloroso, parlò ancora e lo fece con voce grave, solenne, un filo ironica, persino.

“E ora dimmi: sei libero, Loki? Adesso che non hai più una patria, un nome, una casa da proteggere, ora che sei bandito dall’unico luogo che ti era caro – non negarlo, non osare, non mentire, per le Norne – adesso ti senti libero? Hai perso ogni cosa, persino Sigyn. Sei un reietto, ma sei libero?”

Il dio degli inganni non rispose immediatamente. Si leccò le labbra secche, ragionò sulla risposta giusta da dare. Forse, pensò persino a quello che aveva perso.

 

“Sono libero, sì,” ammise infine con fermezza, la voce trasognata eppure vibrante. “Libero dall’illusione di poter decidere per mio conto, dalla menzogna di un’esistenza passata a combattere per una causa più grande. Per Asgard. Così dicono i tuoi ridicoli amici. Uccidono e conquistano, per Asgard. Non lo trovi ironico e buffo fratello? Sono il dio dell’inganno. Manipolo la realtà e gli eventi, li piego per costringerli a seguire la mia volontà, eppure quello che faccio davvero è semplicemente mostrarvi l’altra faccia della medaglia.” Fece una pausa e guardò Thor da sotto le sopracciglia scure. Il dio del tuono continuava nonostante tutto ad ascoltarlo, incapace di andarsene, sempre meno in grado di smentirlo.

“Perché sei ancora qui, Thor? Perché mi credi,” sorrise. Labbra stirate in un ghigno di lupo che avrebbe dovuto mettere in guardia il dio del tuono, ma non lo fece, non abbastanza, almeno. “Una parte di te, una piccolissima, infinitesimale zona del tuo cervello sa che Odino ha molte ombre, forse troppe.”

“Bada a quello che dici, Loki. Stai parlando di nostro padre.”

L’ammonizione del dio del tuono ebbe in risposta solo un ghigno feroce e una battuta amara. “Ricorda Hela. Ricorda dov’è finita la più potente arma del dio delle forche.”

 

Fu allora che Thor rabbrividì. Fu un sussulto improvviso che salì dalla parte più profonda del suo essere scatenandogli un senso di repulsione imprevisto o forse taciuto per troppo tempo: dal giorno nefasto in cui aveva scoperto la tragedia di Loki, dal momento terribile in cui si era reso conto di aver infilato la spada nel fianco di suo fratello, per le Norne, suo fratello e di aver affondato la lama con tutta la sua forza lacerandogli la carne, gli organi, l’anima. Perché? Per far rispettare la giustizia dei Nove Regni, per l’equilibrio che sempre dovevano mantenere tra loro i mondi che si reggevano all’Yggdrasill. Thor aveva sempre creduto che suo padre fosse dotato di una saggezza che aveva i tratti della preveggenza, ma di fronte alla scelta di adottare Loki e nascondergli la verità per tutta la vita si era chiesto se davvero Padre Tutto fosse così lungimirante come gli era sempre sembrato.

 

La verità è che le insinuazioni di Loki, le sue spiegazioni efficaci e pungenti, i suoi racconti, avevano già iniziato ad attecchire da tempo nel cuore del tonante. Del resto, per ingannare bisogna confondere, irretire, convincere giocando con la realtà e con la menzogna e arrivando a mescolarle insieme. Così, in quella sera separata dal tempo, in quel sotterraneo lugubre e sporco, lentamente, inesorabilmente, crudelmente, le bugie di Loki avevano iniziato a insinuarsi come delle verità, assiomi, formule magiche esatte capaci di legargli il cuore e la mente. Sì, suo fratello aveva parzialmente ragione, su certi argomenti: oltre i ghigni sghembi, dietro le occhiate gelide e taglienti, sepolta dal tono ora irriverente ora mortalmente serio della sua voce incantata, c’era la verità nuda e cruda. E una parte di Thor lo aveva sempre saputo.

 

Odino li aveva usati da quando erano nati, anteponendo senza remore il bene di Asgard al loro, sostenendo che gli interessi del regno dovessero combaciare per forza con i desideri che animavano lui e suo fratello. Non era solo Loki, la più tragica delle reliquie rubate di Asgard, ad essere stato ingannato e manipolato come una marionetta nelle mani del suo burattinaio. Lo era anche lui, Thor, cui non spettava nemmeno la primogenitura. Suo fratello aveva insinuato di aver scoperto, una volta, un varco segreto dov’era nascosto un esercito di scheletri e un lupo enorme, di aver scorto, in affreschi mai visti, la figura di una guerriera di nero vestita. Non fidandosi, il prode dio del tuono era andato a indagare seguendo l’eco delle sue frasi bugiarde, e aveva scoperto una realtà amara, nascosta, seppellita sotto nuovi affreschi, ma non per questo meno reale, presente, vera. Quello che era toccato a Hela e stava capitando a Loki, sarebbe stato anche il suo destino, un giorno. Le Norne avevano filato per loro un fato amaro: quello di essere armi ormai inutili, rinchiuse in prigioni umide e buie o esiliate nel regno che apparteneva ai morti. Eppure, le parole di Loki non avevano ancora avvelenato del tutto il cuore di Thor. Erano riuscite a infilarsi negli interstizi dei suoi pensieri come delle gocce di pioggia che penetrano e si insinuano nella terra e scavano la roccia lentamente, inesorabilmente, crudelmente.

 

Così si chiuse il primo atto. Con una verità distorta, osservata da una prospettiva diversa, impossibile da cancellare o ignorare. Come la voce, roca e suadente, di Loki Lingua d’Argento.

 

 

 

 

 

 

ATTO II

LO SPIETATO DIO DELLE FORCHE

 

 

Loki rideva nella sua cella stretta e senza luce e la sua risata, secca e priva di gioia, si infrangeva contro le mura umide della prigione, suscitando nelle guardie un misto di rammarico e tensione. Thor attraversò i corridoi sotterranei che conducevano alla sua cella a passo svelto, il viso contratto in un’espressione di stupore e sgomento. La voce di suo fratello echeggiava sinistra, carica di una nota folle e dolorosa assieme.

Sarebbe bastato che parlasse. Che confessasse i legami presunti con il Titano Folle, che ammettesse di aver cercato il Tesseract per suo conto e svelasse il segreto della gemma scintillante che, quand’era su Midgard, adornava il suo scettro. Non lo aveva fatto. Dalle sue labbra non era uscita una sola sillaba, così come non era stata pronunciata, a suo tempo, una delle scuse che Brokk il Nano meritava. Come allora, la pena scelta da Odino era stata severa, forse troppo. Loki avrebbe confessato a qualsiasi costo. Il dio del tuono giunse di fronte alle grate spesse, avvicinò la torcia per vedere meglio, maledicendosi per non essere intervenuto prima. La luce tremula illuminò malamente la stretta cella gettando ombre cupe di fronte a sé.

 

Loki era altero, elegante e aveva il portamento di un re. Non poteva essere lui, quella cosa che giaceva abbandonata come una bambola rotta, incatenata a due ceppi che scintillavano sinistri nella semioscurità. Thor si avvicinò lentamente, come se stesse camminando su una lastra di vetro, continuando a fissare l’uomo imprigionato: la testa gli penzolava sul petto nudo, il viso era coperto da una massa scura e scarmigliata di capelli che avrebbero potuto essere simili a quelli del fratello. Il prigioniero non alzò il capo, sentendolo avvicinarsi; era troppo concentrato ad ascoltare il rantolo affannato del proprio respiro. Forse si trattava del suo ennesimo scherzo. Ancora un paio di passi e un fascio di luce verde avrebbe attraversato la sua figura, l’illusione sarebbe sparita e Loki, sano come un pesce, lo avrebbe canzonato per la sua dabbenaggine con occhi vivaci e una battuta salace sulle labbra sottili. Del resto, solo pochi giorni prima era sceso in quello stesso sotterraneo e si era divertito a stuzzicarlo e a provocarlo.

 

Si avvicinò ancora, e vide che il muro dietro il mago era coperto di minuscoli segni, piccole rune complicate che Thor riconobbe, ma che non era in grado di sciogliere né di evocare: il loro scopo era impedire che l’ingannatore si liberasse grazie a qualche incantesimo. Gli venne in mente, all’improvviso, Loki bambino, col suo sorriso furbo e lo sguardo di smeraldo, che tracciava simboli su un foglio e tentava di spiegarli a lui. Mentre glieli indicava, imitava involontariamente Odino, replicandone la postura regale, il modo di scandire le parole grave e posato, il sopracciglio corrucciato, persino. E lui si distraeva, non lo stava a sentire e, tirandogli la manica della veste, lo invitava ad andare a giocare. Il ricordo del passato sfumò via con amara nostalgia. Il biondo Ase abbassò lo sguardo azzurro e limpido verso il dio degli inganni incatenato. 

Non poteva essere suo fratello, il fiero figlio che Odino aveva adottato, la lingua d’Argento di Asgard, l’uomo di fronte a lui. Seguì con occhi umidi le dita gonfie, contratte, spezzate e ridotte in una posa innaturale, volte al cielo impossibile da vedere, verso Midgard, forse, stella lontanissima e indimenticata. Loki aveva mani belle, dita agili, con cui maneggiava pugnali affilati e sferrava colpi letali, rapidissimi. “Che importa,” diceva altezzoso, “se gli spacchi la testa in due con la tua spada a o gli infili un coltello in pancia? Il risultato è lo stesso e, nel tempo che tu impieghi ad abbattere col tuo possente braccio un nemico, io coi miei coltelli ne faccio fuori due.”

 

Pietà e rancore gli mordevano il cuore, eppure una voce nella testa – quella della ragione, forse – gli gridava disperata che di Loki non ci si poteva fidare. Mentiva, tramava, ingannava, manipolava la realtà, confondeva chi lo ascoltava. Era la sua specialità e lui traeva divertimento dalla confusione che generava, gli piaceva. Era il signore del caos, in fondo. Aveva finto di essere morto non una, ma due volte e non gli era importato del dolore che il suo scherzo idiota aveva causato nel cuore di chi ancora lo amava. L’ultima malefatta che stava scontando, era quella di aver cercato di prendere il trono del loro padre in persona, e solo un caso fortuito aveva permesso che il suo orrendo inganno fosse scoperto. Thor si ripeté queste parole e molte altre, mentre si chinava sul fratello adagiato contro la parete come fosse una bambola rotta.

“Loki, mi senti? Mi riconosci?”

La gracchiante e secca risata del prigioniero aumentò d’intensità, forse in risposta alle parole del dio del tuono, trasformandosi in qualcosa a metà strada tra un singulto e il rantolo soffocato di chi non ha più aria nei polmoni. Thor allungò la mano e toccò la spalla del fratello. Sotto le dita, sentì il muscolo tendersi, scattare: Loki alzò di colpo la testa con uno scatto repentino, fissando un punto indefinito della cella e poi lui.

“Alla fine sei tornato, fratello.”

“Mi hanno detto cosa ti è successo,” disse senza mezzi termini il dio del tuono.

L’altro parve rianimarsi. “Davvero? E cosa mi è successo, Thor?”

“Mi hanno raccontato che sei stato interrogato da nostro padre. Voleva che gli spiegassi nel dettaglio il tuo rapporto con Thanos. Ti sei rifiutato.” L’erede di Odino aveva parlato con difficoltà, cercando di sintetizzare in poche battute voci e dicerie oscure che gli avevano fatto aggrottare le sopracciglia.

Il dio degli inganni scosse con veemenza il capo e rise di nuovo in quel suo modo terrificante e triste insieme. “Mi ha torturato,” precisò ilare, ma i suoi occhi verdi erano carichi di un rancore gelido e terribile. Contrasto che non poté sfuggire all’altro. Del resto, certe cose diventano vere solo quando si dà loro il giusto nome. Thor tentò di inghiottire il disagio che quell’affermazione detta con voce sicura gli provocava.

“Non è vero. Qualcosa è andato storto, tutto qui,” spiegò senza crederci davvero.

Come se potesse leggergli nel pensiero senza nemmeno sfiorarlo, l’ingannatore stirò le labbra in un sorriso sbieco e crudele. “Ha sbagliato dose, il nostro dio delle forche. Ha messo troppo seiðr. Ci crederesti?”

“Se tu avessi raccontato immediatamente la verità lui…”

“La conosceva,” lo interruppe Loki con rabbia. “Non gli ho mentito. Mi ha torturato perché desiderava farlo. Per punirmi.”

“È stato un incidente, fratello.”

L’altro scosse la testa e scoprì i denti come fosse una fiera pronta ad azzannare. “Non è questo quello che si dice in giro, non è vero, Thor?”

“Sei un mago potente,” glissò il tonante. “Voleva solo essere sicuro di ottenere la verità. Una bruciante, scomoda, terribile verità che ti tenevi dentro da mesi, anni. Cosa aspettavi a dircelo?”

Silenzio. Loki scosse lentamente la testa, deciso a riportare il discorso sulla strada che gli interessava: quella della punizione ingiusta inflittagli da un vecchio crudele. “Io sono un mago potente, certo, ma lui è il dio della magia. Come ha potuto confondersi e sbagliare? Forse è troppo vecchio per il trono?”

“Il trono, certo. La tua ossessione.” Ora Thor ricordò, comprese dove voleva andare a parare il fratello con le sue insinuazioni oscene. “Dicono che sei diventato pazzo, Loki, che la magia di nostro padre ti ha fatto perdere definitivamente il senno. È una menzogna: lo hai perso da tempo, da quando ti sei lasciato infettare il cuore dalla gelosia e dalla brama di diventare re. Su cosa regnerai, Loki, quando Thanos verrà qui con le sue truppe? Credi che risparmierà il luogotenente che ha perso un’armata intera di Chitauri su Midgard? Davvero è così misericordioso, il Titano folle? La tua mente non si è persa per un incantesimo di nostro padre. Se n’è andata molto tempo fa.”

Sentendo pronunciare il nome del suo passato alleato – padrone? – il dio degli inganni inarcò un sopracciglio. Forse dovette fare uno sforzo tremendo, affinché non trasparisse nessuna emozione sul suo bel viso affilato. Solo un’ombra preoccupata gli velò lo sguardo, ma Thor era troppo offeso e fuori di sé per accorgersene. Del resto, a volte ci sforziamo di fare caso ai dettagli importanti e poi, quando questi si manifestano, li ignoriamo, non li osserviamo.

“Interessante, il tuo sfogo, davvero.” Loki pareva ammirato, divertito. C’era, in lui, un’inquietudine perenne, ben visibile nel gesto continuo di tormentarsi le belle dita eleganti. Era vero, l’incantesimo di Odino aveva lasciato su di lui pesanti strascichi. Qualcosa, in lui, si era spezzato, quando Padre Tutto aveva pronunciato le sue rune. “Lascia che ti rifaccia la domanda, Thor, ti prego. Su cosa regnerai, quando Thanos verrà qui con le sue armate? Credi che risparmierà il sovrano che gli ha ceduto lo scettro?”

Thor illividì, mentre l’ombra di un sospetto ingiusto gli gelava il cuore. “Di cosa stai parlando?”

“Tratterà, Thor. Come ha sempre fatto. Io ho tentato di allontanare lo sguardo di Thanos da Asgard per tutto questo tempo e lui, invece, premerà per un accordo,” rivelò l’altro con un candore maligno, compiaciuto, divertito.

“Tu menti.”

“Chiediglielo allora, avanti. E domandagli come mai ha sbagliato. Fatti dire come è stato possibile. Riporta la giustizia ad Asgard e salva l’onore degli Asi evitando di ridurre il popolo in schiavitù,” insistette Loki sicuro.

“Tu sei pazzo.”

“Possibile, probabile,” ammise l’ingannatore con un sorriso furbo. “In fondo, dopo quello che ho passato sarebbe persino auspicabile, presumo. Ma questa ipotesi non cambia la realtà delle cose. Odino non cercherà uno scontro diretto con Thanos. Come con gli Elfi Neri, ti ritroverai nella spiacevole condizione di dover necessariamente contravvenire apertamente ai suoi ordini, con il rischio di finire come me.”

“Non temo la prigionia, fratello,” fu la risposta orgogliosa.

“Nemmeno io l’ho mai temuta,” disse Loki fiero, alzando il mento con fare regale. “A terrorizzarmi, è quello che avverrà quando il Titano si presenterà qui.”

“E tu, in quel caso, cosa suggeriresti di fare, fratello?”

 

Loki si inumidì le labbra soddisfatto e spiegò ogni cosa, raccontando, con voce bassa e suadente, una storia che parlava di una manciata di gemme perdute dotate di un potere infinito, illimitato, spaventoso. E Thor rimase ad ascoltarlo credendo fino all’ultima delle sue parole, perché era più facile lasciarsi incantare da Lingua d’Argento che pensare di aver perso completamente la propria famiglia. Il seme del sospetto, già piantato nel suo cuore, crebbe e si sviluppò mangiando ogni cosa, lasciando aperta la spirale del dubbio, trascinando con sé considerazioni come la fedeltà e molte altre cose. E poi le parole di Loki sembravano vere, anzi lo erano: rappresentavano semplicemente la prospettiva diversa da cui guardare le cose. Seguendo il suo suggerimento, Thor avrebbe potuto evitare che Asgard si piegasse al volere di un mostro in cerca di un equilibrio inesistente e impossibile da raggiungere. Come? Combattendo come era giusto che un Ase come lui facesse.

“Prendi il comando, Thor. Io so cosa vuole il Titano, e ora lo sai anche tu. Ti ribellerai comunque al volere di Odino. Segui me, ascoltami. Liberami. Rintracciamo insieme le gemme. Noi Asi siamo pirati, in fondo. È così che abbiamo creato il nostro impero. Cercando, depredando e saccheggiando tesori e reliquie. Non permettere a un vecchio stanco e crudele di condannare Asgard alla distruzione. Se tanto dobbiamo morire, non è forse meglio farlo lottando? Perché noi moriremo, Thor, se l’ombra di Thanos coprirà la terra di Asgard.”

 

Poi rise ancora con quella sua risata agghiacciante, disperata e sorda, carica di un dolore che forse nemmeno Lingua d’Argento poteva raccontare. Eppure c’era davvero una gioia liberatrice, in quella specie di grido ferino. Una felicità malsana che nasceva dalla consapevolezza di avere finalmente piegato Thor al suo pensiero. Il prode dio del tuono, il salvatore di Asgard e dei Nove Regni, sarebbe uscito da quel sotterraneo per correre da Odino in cerca di risposte, spiegazioni e vendetta. Tutte cose che Padre Tutto non era ancora disposto a concedere, sconvolto com’era dalla morte di Frigga, dalla vecchiaia e dal tradimento. Loki rise nella sua cella stretta e senza luce guardando ogni cosa e nessuna, la mente arrotolata in pensieri contorti e ricordi falsi e bugiardi come la sua lingua affilata e salace.

 

Così si chiuse il secondo atto: con un eroe caduto nell’abisso.

 

 

ATTO III

IL FURIOSO DIO DEL TUONO

 

 

Odino scosse la testa e rise, ma senza gioia. Lo avrebbe dovuto prevedere, immaginare, sospettare. La conoscenza ottenuta grazie alla fonte di Mimir glielo aveva suggerito quando, incerto sul da farsi e molto più giovane di adesso, aveva posto la domanda fatale.

 

“Cosa sarà, Loki? Quale potrà essere il destino del principe che gli Jotnar hanno scartato e lasciato morire su un picco di ghiaccio, che io ho raccolto in un misto di pietà, avidità e bisogno? Un ostaggio rubato, un futuro alleato, un avversario riottoso?”

 

Heimdall gli aveva confessato che Thor era sceso nelle prigioni e c’era rimasto a lungo, troppo. Aveva parlato con Loki, era rimasto ad ascoltare le sue storie affascinanti e bugiarde, seguito i suoi ragionamenti falsi e acuti. Padre Tutto pensò che aveva avuto altri figli, ma il suo brillante erede a loro aveva sempre preferito quello sottratto alla morte e al ghiaccio e a lui solo si era legato. Loki, figlio condannato dal momento della nascita, sbagliato e contorto eppure perfetto e amato come gli altri, più degli altri. Perché Odino aveva sempre saputo che il dio dell’inganno avrebbe portato Asgard verso il Ragnarok. Lo aveva appreso dalle labbra dipinte di una profetessa cieca che gli aveva raccontato una storia fatta di supplizi e veleni e della pietà di una donna coraggiosa.

 

Le profezie non vanno interpretate alla lettera. Occorre sviscerarle, comprenderle, sezionarle nei quattro significati che posseggono i testi sacri: allegorico, anagogico, metaforico e letterale. Odino, che era il dio degli eserciti e della poesia, conosceva le rune e i suoi molti significati e sapeva comporre i poemi, ispirava i bardi. Forse per questo era rimasto affascinato dalle parole di Loki e lo aveva amato come se fosse suo figlio. Per l’intelligenza intuitiva e brillante, per il modo sapiente con cui sapeva legare tra loro le rune e gli incantesimi – orgoglio di Frigga – per l’astuzia puntuta ed efficace, per gli occhi verdi e il sorriso laterale e breve, per gli scherzi buffi, privi, un tempo, del maligno compiacimento che li avrebbe colorati poi.

 

Le profezie non devono essere contrastate. Chi ci prova è uno sciocco, un incauto, un uomo privo di discernimento. Le cose per ora non si erano svolte esattamente come profetizzato nella Voluspa. Loki aveva catturato e quasi fatto uccidere Balder, era stato sconfitto e ferito gravemente da Thor e, agonizzante, era stato salvato dalla morte solo grazie alle cure solerti di una guaritrice dagli occhi grigi, Sigyn. Una donna seria e compita che, un giorno, mentre medicava lo squarcio causato da Thor – che aveva spezzato il cuore di Thor – aveva sfiorato con le dita improvvisamente tremanti l’addome scolpito dell’ingannatore ferito e, mordendosi le labbra, si era affrettata ad abbassare lo sguardo sincero. L’ennesima vittima del fascino obliquo del dio degli inganni.

 

“Cosa sarà Loki?” aveva chiesto Odino alla fonte di Mimir.

Le acque avevano gorgogliato appena. “Tuo figlio.”

 

Il re degli Asi scosse la testa e rise, ma senza gioia. La tragedia della sua esistenza e del suo regno gli si dipanò davanti con nitida chiarezza. Alzò l’unico occhio sul suo erede designato che, ansante e sconvolto, lo fissava con dolore e astio. Forse, l’origine di tutto – del Ragnarok e della fine di Asgard – non avrebbe dovuto essere rintracciata nell’incauta adozione di Loki, ma nella promessa che lo stesso Padre Tutto aveva fatto a due bambini ambiziosi e fieri come ogni Ase che si rispetti. Aveva chiesto alla fonte cosa sarebbe diventato Loki, ma si era dimenticato di domandare – o forse non lo aveva fatto volutamente – quale destino avrebbe avuto Thor, l’orgoglio di Asgard.

Ora lo sapeva. Mjollnir non sarebbe diventato altro che una reliquia perduta, che suo figlio non avrebbe più avuto la forza di sollevare. Il magico martello troneggiava davanti a loro, nella penombra di uno studio invaso dalle carte. Strano, che le Norne avessero scelto un luogo così intimo per quello scontro verbale atroce e straziante, e non la sala del trono. In realtà, il sovrano degli Asi pensò che fosse giusto che il tradimento di suo figlio avvenisse nelle sue stanze private. Anche la condanna di Loki avrebbe dovuto svolgersi nel medesimo modo, ma così non era stato.

 

“Oh Thor, mio fiero e valoroso figlio, cos’hai fatto? Ti sei lasciato corrompere da tuo fratello,” mormorò con voce roca, distante. “Un bugiardo.”

Il dio del tuono strinse i pugni. “Non ha forse imparato dal migliore?”

A Padre Tutto tornarono in mente le volte in cui i suoi figli si erano protetti le spalle l’un l’altro, da bambini. “Non mi sono alleato con Thanos, Thor. È una menzogna, una distorsione offensiva,” spiegò solenne.

“Ma hai trattato con lui.”

L’unico occhio ceruleo fissò con implacabile durezza la figura possente del dio del tuono. “Ho ottenuto che i Nove Regni fossero risparmiati.”

Eccola, finalmente, l’ammissione. Padre e figlio rimasero in silenzio per un minuto troppo lungo a fissare la crepa, la distanza che si era formata tra loro e che si era allargata a dismisura, fino a divenire un baratro di cui non si vedeva il fondo, un abisso di imperscrutabile profondità. Il vecchio re astuto e il giovane principe col cuore gonfio di audacia. La confessione di Odino non era volta a mitigare la portata dell’alleanza stipulata. Era un’informazione, la puntualizzazione di un despota di fronte al suo suddito. Non ci sarebbe mai stata nessuna spartizione del potere, ad Asgard, finché Odino fosse stato re, perché Padre Tutto non ha né esecutori né bracci destri né consiglieri: dispone solo di una serie di marionette di cui si stanca troppo facilmente, e chi tenta di ribellarsi – chi, come Loki, reclama per sé un destino differente – viene tacciato di pazzia e finisce rinchiuso sottoterra, a respirare muffa.

Thor non riuscì a trattenere la rabbia e lo sgomento. “Come? Consegnandogli il Tesseract? Oggi siamo salvi, ma domani?”

Si aspettava una smentita. Aveva già deciso di seguire Loki nella sua folle corsa, ma pensava che detronizzare Odino non fosse ancora necessario, che rappresentasse solamente la vendetta invocata da un figlio che non si era mai sentito parte della famiglia. Il dio del tuono non riusciva a capire che la corruzione, la dannazione dello spirito, la conversione a quella parte oscura di cielo che aveva sempre combattuta, avviene in maniera lenta, insidiosa, implacabile. Forse aveva davvero ragione Loki. Il bene e il male non erano che insignificanti punti di vista, capaci di variare in base a prospettive e idee. Una parte del suo animo, restava ancora saldamente aggrappata alla promessa di servire sempre non solo Asgard, ma Odino, suo padre. Genitore severo, crudele, spietato, ma amato e ammirato sopra ogni cosa. Troppo vecchio e crudele per regnare, in ogni caso, e Thanos non era che la conferma di questo pensiero sporco e ingiusto. Ecco il punto, il dubbio prima solo insinuato che ora si era rivelato una certezza spietata. Cosa gli aveva detto, Loki? Che Odino ascoltava solo se stesso, che puniva e bandiva con spiazzante leggerezza. Che avrebbe condannato Asgard a una fine ingloriosa perché si sarebbe rifiutato di combattere.

 

“Povero figlio mio,” lo interruppe il sovrano in un misto di commiserazione e rimpianto. “Credi di essere nel giusto, pensi che Loki ti abbia raccontato la storia delle gemme per salvare l’Universo? Vuole vendetta, desidera salvarsi la pelle e farla pagare al Titano. Come fai a essere così cieco, come puoi non vedere una cosa così chiara e lampante? Ti ha corrotto al punto di renderti indegno di Mjollnir e vuole trascinarti con sé in una guerra folle contro Thanos per un suo tornaconto personale, nient’altro.”

“Non parlarmi di mio fratello; lo hai privato della consolazione dell’unica donna che gli sarebbe rimasta accanto in ogni caso.” Erano frasi sue, di Thor? O non si trattava, invece, della tragedia del dio degli inganni che lui aveva fatto ormai propria e che ripeteva con convinzione? Non riuscì a rispondersi, e il ghigno beffardo di Odino interruppe il flusso di pensieri.

 

“Credi davvero che Loki ti abbia raccontato la verità sul suo rapporto con Sigyn? Beh, te lo dico io. Ha mentito. Su tutto.” Il vecchio re scosse la testa contrito e strinse le labbra. “Le ha rovinato la vita non una, ma due volte,” sentenziò implacabile, pensando a tutti i risvolti sfortunati di quella storia d’amore forse intensa, ma sbagliata.

Thor non colse il riferimento o fece finta di ignorarlo, perché l’idea di tornare a combattere con Loki, il pensiero di aver recuperato l’alleato di una vita intera, era consolante, rassicurante e giusta, come l’avventura che Lingua d’Argento gli proponeva. Una spedizione che lo avrebbe portato in mondi sconosciuti e distanti alla ricerca di un potere che avrebbe salvato ogni cosa, vivente e non. E poi, Odino non solo mentiva, ma ometteva, nascondeva, confondeva. Copriva le sue azioni indegne con la retorica. Il dio del tuono ormai ne era cosciente e consapevole. Lo incalzò ancora, deciso a svelare ogni impurità e bassezza del genitore. “E l’incantesimo? Lo hai torturato.”

Padre Tutto si aspettava una battuta simile. “Quello è l’errore cui Loki si è appigliato per dannarti, Thor. Ho perso il controllo, ho infierito, è vero. Ma ti sei chiesto che parte ha avuto lui in tutto questo? Tuo fratello mi assomiglia più di quanto vorrei. Sa dove colpire per provocarmi e lo ha fatto anche in quel momento, ma questo credo che non abbia ritenuto importante dirtelo,” commentò con un filo di amarezza nella voce.

“Quello e Hela, tua figlia, mia sorella.”

 

Il riferimento all’errore più grande fece illividire il sovrano di Asgard. “Sciocco ragazzo arrogante! Tu non sai niente! Un re spesso si trova davanti a delle scelte complicate: come con Thanos. Il Titano non può essere fermato, in nessun caso! Quella di Loki non è una guerra giusta. È solo una fuga disperata in cui ti userà e ti manovrerà per farti compiere altre azioni indegne, come questa,” ammise infine, mentre una stanchezza infinita gli avviluppava le membra stanche e piegate. Il vecchio re tremò.

“Cos’hai fatto, Thor? Tu… Lo hai liberato?” Odino boccheggiò e si mise una mano alla gola, cadde in ginocchio. “Baratterà la tua vita alla prima occasione utile,” predisse tetro, annaspando come se stesse sprofondando in un lago nero e tetro.

Thor, incapace di rimanere a osservare immobile la scena, si lanciò contro il padre che aveva appena tradito, il re che si era messo in testa di spodestare. Gli sorresse la testa canuta, cercò il suo sguardo altrimenti implacabile. Gli sembrò improvvisamente vecchio, un anziano re debole e stanco che aveva perso ogni cosa – la sposa amata, i figli di cui era stato orgoglioso, il potere – compreso il senno. Perché Loki aveva ragione, Odino era crudele: durante il suo regno non si era fatto alcuno scrupolo nel rubare, tramare, ingannare, esasperando eventi e situazioni al solo scopo di ottenere un beneficio maggiore per Asgard, per se stesso, per il suo fottuto trono. Le parole di Loki gli danzarono nuovamente in testa, colme della loro verità. Ascoltandole, riconobbe, una volta di più, la spettacolare aderenza tra ciò che gli era stato raccontato e quello che ora si trovava davanti. Quella sorella perduta e dimenticata, che aveva tentato di ribellarsi a suo padre, era solo una delle tante chiavi tramite cui era possibile aprire lo scrigno che conteneva tutte le menzogne di Odino. Dilaniato da quella considerazione, sconvolto per l’improvviso malessere del genitore, Thor gridò con quanto fiato aveva in gola, senza sapere che anche suo fratello, in un altro luogo, in un altro tempo, si era ritrovato nella medesima posa disperata.

 

“Non avere paura, non voglio ucciderlo,” lo rassicurò Loki apparendo all’improvviso nella stanza con il suo solito ghigno sbieco. Si guardò attorno soddisfatto e si avvicinò a Padre Tutto con il suo passo altero, regale. Un lento movimento della mano fasciata che ancora recava i segni della prigionia, e il vecchio re tornò a respirare quasi con regolarità.

“Desidero solo renderlo innocuo,” spiegò il mago con voce soddisfatta, “e regalargli degli ultimi anni sereni, privi del peso e delle responsabilità che si porta dietro il reggere un regno intero. Non ti fidi di me, padre? La mia unica volontà è questa.”

“Cos’hai fatto, cosa avete fatto. Vi perderete in abissi profondi e spaventosi e non riemergerete mai più. Asgard brucerà a causa vostra e verrà il Ragnarok. E quando quello sarà finito, nel momento in cui della nostra terra non rimarrà più niente, allora Thanos vi troverà.”

Di più, Odino figlio di Bor non riuscì a dire. Venne intrappolato da una serie di magie, dal seiðr, da una debolezza che non riusciva a contrastare. Loki continuò a pronunciare le rune con voce chiara e vibrante, senza nascondere la soddisfazione nel vedere il complicato incantesimo riuscire: aveva imprigionato suo padre, finalmente, lo aveva sconfitto. La vendetta del dio degli inganni si era compiuta in una maniera sottile e crudele e, allo stesso tempo, eclatante e spaventosa.

 

Thor si guardò le mani grandi e forti, senza riuscire a cogliere del tutto la gravità del suo gesto o forse guardando ogni cosa dalla prospettiva sbagliata e distorta in cui lo aveva trascinato Loki. Mjollnir non gli apparteneva più, non era altro che una reliquia perduta, inaccessibile, capace solo di ricordargli, con la sua atroce immobilità, con cosa aveva avvelenato il suo cuore: con il rancore e una sete di giustizia in cui credeva, ma che forse era tale solo per via di un inganno, come pareva suggerire l’occhio grifagno ormai spento di Odino, ancora steso tra le sue braccia.

“Ci perderemo in abissi profondi,” disse con lentezza, rivolgendosi a suo fratello in silenzio accanto a lui. “È una maledizione, questa. La sua verso di noi, che lo abbiamo tradito.”

“Sì, lo abbiamo fatto” concesse Loki sorridendo appena, “per essere fedeli a noi stessi, per vendicarci dei torti inflitti. In fondo, siamo gli eredi di un popolo di predoni e pirati, non è vero Thor?”

 

 

Fine

 

 

Shilyss

 

Nome su EFP/forum: shilyss/Shilyss

TitoloIn abissi profondi noi ci perderemo

Fandom: Thor

Coppia di personaggi bonus (se usata): non presente.

Altro bonus (se usato): scena del cambiamento (Thor si confronta con Odino/Atto III).

Note Autore:

Questa one-shot, scritta per il contest “Come to the dark side” indetto da Elisaherm sul forum di Efp è un gigantesco ed enorme What if: cosa sarebbe successo se l’inganno di Loki che abbiamo visto in Thor: the dark world fosse stato scoperto immediatamente? Loki, signore del caos, sarebbe stato incarcerato di nuovo. E, come sempre, avrebbe tentato di liberarsi. Come? Convincendo Thor a venire dalla sua parte ed estorcendo a Odino il regno, ovviamente. Così si danna un cuore puro, così si trascina il dio del tuono… nel lato oscuro. Come si evince dalla lettura, questo testo è dunque una sorta di Thor: Ragnarok alternativo, dato che viene citata Hela, personaggio che fa il suo ingresso nel terzo film.

Come sempre accade nelle mie storie, ho inserito alcune delle battute del film, tra cui la riconoscibilissima “adesso mi vedi, fratello?” La battuta di Loki “se tanto dobbiamo morire…” è invece ripresa da La Storia Infinita, un film del 1984 che so semplicemente a memoria. Ben presenti sono anche i riferimenti all’Edda Poetica e in prosa. Le Norne erano la versione norrena delle Parche elleniche. Brokk il Nano chiese e ottenne che a Loki fossero cucite le labbra (il motivo ve lo lascio immaginare), la Voluspa è la profezia che racconta del Crepuscolo degli dèi.

A differenza di molti altri miei scritti, Sigyn qui è solamente una presenza appena accennata. Nel mito la dea della fedeltà è accanto a Loki nel momento del supplizio per alleviare le sue sofferenze. Se nell’Edda l’ingannatore è imprigionato sotto la bocca di un serpente che gli versa addosso la sua bava urticante, qui il supplizio è rappresentato dalla ferita inflitta a Loki da Thor, che non trova altro corrispettivo che in questa storia, ovviamente. È un elemento che ha il solo scopo di drammatizzare ulteriormente l’incontro tra i due fratelli. Allo stesso modo, il riferimento a Balder presente nel testo è un mio tentativo di dare profondità agli eventi immaginati riscrivendo gli eventi che portano alla cattura di Loki, modificando leggermente quanto narrato nell’Edda a proposito della morte di Balder, appunto.

Quando ho immaginato questa storia, ho pensato che dovesse avere 3 atti. Perché? Non ve lo so dire. Forse per un parallelismo tra la recita di Loki e il teatro, forse in onore delle tragedie. Spero che la soluzione narrativa vi sia piaciuta.

Grazie per essere arrivati fin qui.

 

   
 
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