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Autore: Jeon_Dia    12/08/2018    0 recensioni
BLACKPINK FANFICTION
PAIRING: Chaennie (Chaeyoung x Jennie)
"Chaeyoung non calcola Jennie Kim.
Jennie non sopporta Park Chaeyoung.
Una festa, dell'alcol e un pizzico di follia possono bastare a cambiare completamente la situazione.
Ma per Chaeng innamorarsi di una delle ragazze più popolari della scuola comporterebbe un rischio enorme. Soprattutto perché nascosta dietro quell'aria snob e narcisista, la vita di Jennie è molto più complicata di quanto non sembri."
[Songfic in parte ispirata a "Square One" e "Square Two" ; Contiene citazioni e parti di testo delle seguenti canzoni: "Boombayah", "Whistle", "Playing With Fire", "Stay", "As If It's Your Last".]
©Jeon_Dia
Genere: Angst, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Altri
Note: Cross-over, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1st Spin-off - Kim Jisoo


Una Storia Mai Ascoltata



Jisoo aveva cinque anni quando imparò che l'armadio era un posto sicuro.

A scuola alcuni bambini la prendevano di mira e le facevano brutti scherzi. Per spaventarla le raccontavano di mostri che vivevano negli armadi dei bambini, che aspettavano che questi ultimi si addormentassero per poterli mangiare in un sol boccone. Per questo aveva paura di dormire da sola nella sua stanza, e spesso la sua mamma le faceva compagnia nel suo lettino. Non importava quante volte la donna mostrasse a sua figlia che nel suo armadio dalle ante rosa pastello non ci fosse nulla oltre a vestitini multicolore, ma la piccola continuava a piangere ogni notte.

Una sera il padre di Jisoo tornò a casa ubriaco, dopo l'ennesima strigliata del nonno della bambina causata dall'ennesima delusione lavorativa all'interno dell'azienda di famiglia.
La piccolina non riusciva a capire cosa stesse succedendo quando la sua mamma entrò di corsa nella sua stanza, spense le luci, la strinse forte tra le braccia e si rifugiò all'interno del famigerato armadio.
—Mammina, perché siamo qui dentro?
—Shh, non parlare Jisoo— disse la donna alla sua bambina.
Suo marito aveva alzato un po' troppo il gomito, e stava sfogando la sua frustrazione sulla mobilia e l'argenteria della cucina. Già una volta era capitato un avvenimento del genere, quando Jisoo era ancora più piccola, e la povera donna non ne era uscita illesa. Al solo ricordo tremava.
—Mammina hai paura?— chiese ancora la bambina, stavolta sottovoce. Sua madre annuì.
—Ma come? Tu sei grande.
—Anche i grandi a volte hanno paura. Ma tranquilla, tesoro, qui siamo al sicuro.

Il signor Kim continuò a lungo con il suo fracasso, spostandosi un po' in tutta la casa, poi finalmente uscì di nuovo. Ciononostante la donna aspettò altri venti minuti prima di uscire dall'armadio e sforzarsi di sorridere alla sua bambina.
—Hai visto amore? Il mostro non era nell'armadio.

La mattina seguente una piccola e imbronciata Jisoo corse da una delle sue maestre.
—Maestra! Maestra!— chiamò con la sua vocina.
—Cosa c'è Jisoo? Hai litigato con i tuoi amici? 
—Non mi vogliono ascoltare. Dicono che sono una bugiarda! 
La signora si abbassò per arrivare all'altezza della bimba. -Perché, cosa hai detto?
La piccola la guardò negli occhi.
—Ho solo detto che anche i grandi hanno paura dei mostri...

Jisoo aveva sette anni quando uno dei suoi zii morì.
Parole come "isolamento", "antidepressivi" e "overdose" erano ancora completamente incomprensibili per lei, ma aveva già raggiunto la maturità necessaria a capire il significato effettivo della morte. Lo zio non sarebbe mai più tornato. Non aveva mai avuto l'occasione di conoscerlo bene, e le dispiaceva tanto.

C'erano molte maschere al funerale. Tante facce finte e preimpostate, s'inchinavano, stringevano mani, e recitavano a memoria le solite frasi fatte. Probabilmente come Jisoo nessuno conosceva effettivamente quell'uomo.
Il nonno era quello che aveva avuto l'incarico di ricevere saluti e condoglianze, perché alla fine era l'unico componente maschile della famiglia che era realmente legato al figlio venuto a mancare, e probabilmente l'unico realmente distrutto dall'accaduto.
Il papà di Jisoo era stato colto di sorpresa dalla notizia, e forse a casa aveva versato qualche lacrima nel ricordare quel fratello maggiore che gli aveva insegnato ad andare in bicicletta da bambino, lo stesso che lo teneva per mano quando il buio lo faceva tremare, ma in quel momento pareva privo di qualsiasi emozione.
L'altro zio, il più grande dei tre fratelli, invece aveva una strana aura di superiorità attorno, come se la cosa non lo avesse minimamente intaccato, o peggio, come se non lo avesse affatto sorpreso.
Eppure Jisoo ricordava vagamente modestia e un caldo sorriso sul volto dello zio. Si chiese da quanto tempo non lo vedesse.
La risposta le si parò davanti sotto forma di un'iperattiva bambina di sei anni.

L'ultima volta che aveva visto sua cugina Jennie, la più piccola a stento riusciva a formulare una frase, mentre ora parlava e parlava e parlava...
—Unnie, perché piangi?— le chiese a un certo punto.
Jisoo allora era ancora molto emotiva, e quando vide i nonni scoppiare in lacrime senza riuscire a trattenersi, li seguì a ruota.
—Unnie è... Solo un po' triste— rispose asciugandosi la faccia con la manica del giacchetto nero. 
-Non devi essere triste, unnie! C'è Jennie qui con te!
Detto ciò l'abbracciò forte, strappando un sorriso alla più grande. In quel momento Jisoo realizzò che la sua cuginetta era totalmente estranea al male del mondo, e che avrebbe voluto proteggerla con tutte le sue forze.
—Jennie— chiamò il padre della minore. —La nonna non si sente bene, dobbiamo riaccompagnarla a casa.

Jisoo li osservò allontanarsi, sempre più convinta che quella bimba andasse protetta. Perché anche se avendo solo sette anni non conosceva il significato di tante parole complesse, lei il male lo conosceva e aveva imparato a riconoscerlo. Perché ciò non riguardava affatto i mostri, le streghe, o i dispetti e le bugie dette a scuola.
Il male era tutte quelle maschere che la circondavano. Il male era la superbia che lo zio non si curava di trattenere nonostante ciò che era accaduto. Il male era quelle chiazze violacee che sua madre nascondeva sotto il velo scuro.

E ancora una volta gli unici che ascoltavano queste riflessioni che una bimba come Jisoo non dovrebbe neanche immaginare, erano il suo ormai fidato armadio e i suoi vestiti stropicciati.

Jisoo aveva otto anni quando la sua mamma l'abbandonò.

Accadde una domenica pomeriggio. Faceva freddo, tanto che prima di entrare in macchina la madre della bambina dovette togliere via dai vetri uno strato di ghiaccio. Poi la donna allacciò la cintura alla figlia e si mise al volante, diretta verso la villa dei suoi cognati.
Era stata organizzata una festa per il compleanno di Jennie, che sarebbe stato il giorno dopo. Si festeggiava prima perché l'indomani i suoi genitori avrebbero avuto una riunione importante, e Jisoo avrebbe passato lì la notte per farle compagnia durante l'assenza dei due, sotto esplicita ed implorante richiesta della sua cuginetta.

La mamma di Jisoo lasciò l'auto ancora in moto davanti alla scalinata della villa, la aiutò ad uscire dalla macchina e le mise in spalla lo zainetto contenente tutto ciò che le sarebbe servito per la notte e il giorno seguente. Accompagnò la figlia scalino per scalino, stringendole forte la mano, fino a farle male, guadagnandosi uno sguardo interrogativo dalla piccola. Arrivarono al portone già aperto, dove la signora Choi, una dolcissima governante che Jisoo adorava, le accolse con un espressione un po' troppo malinconica data l'occasione.
La madre si inginocchiò davanti alla sua bambina e le accarezzò il viso sorridendole tristemente.
—Nello zainetto ci sono il pigiama, la biancheria e i vestiti per domani— le disse poi. —Li ho presi dal tuo armadio.
—Lo so.
—Poi c'è lo spazzolino, il dentifricio alla fragola che ti piace tanto, e il bagnoschiuma che usi spesso. Quelli sono del bagno.
—Sì, mamma. Lo so— ripeté la bimba confusa.
—Brava tesoro.
La donna fece scorrere le dita tra i capelli scuri della figlia continuando a parlare.
—Nel caso dovesse girarti la testa ci sono anche le vitamine, le caramelle a forma di orsetto, sai dirmi da dove le ho prese?
—Dal mobile in alto.
—Esatto, quello a cui non arrivi, che ti deve aprire papà.
—Ma me lo apri sempre tu, mamma— contraddisse Jisoo facendo tremare il sorriso della madre che le prese il viso tra le mani e sospirò. 
—Allora, mi prometti che farai la brava?- chiese ancora con gli occhi lucidi e arrossati.
—Si, mamma. Lo sai che sono brava.
—Certo che sei brava. Sei bravissima, tesoro mio. Vieni qui...
La donna strinse forte a sé la sua bambina. Impresse nella sua memoria il profumo dei suoi capelli, il calore del suo corpicino, la morbidezza e il candore della sua pelle...
Se Jisoo avesse capito prima che quello sarebbe stato l'ultimo abbraccio che avrebbe avuto dalla sua mamma, avrebbe stretto di più la presa.
—La mamma ti vuole tanto bene— disse con la voce spezzata. —Te ne ha sempre voluto. Non dimenticarlo.
Detto ciò sciolse il loro abbraccio e con il viso rigato di lacrime baciò la fronte della bimba, per poi correre via a testa bassa.

—Mamma!— chiamò Jisoo, mentre il panico si faceva largo in lei. Ma la donna non si voltò. Ora Jisoo aveva paura.
La signora Choi la prese in braccio prima che potesse correre verso la madre, e iniziò a camminare in senso opposto, all'interno della villa.

Jisoo pianse più di una volta quella sera. Si allontanava dagli altri alla ricerca di un posticino inosservato dove poter lasciare andare le sue lacrime. Fece di tutto per non rovinare la festa di Jennie, nonostante avesse il cuoricino a pezzi.

Anni dopo venne a scoprire che sua madre non se n'era andata di sua spontanea volontà. 
I segni delle violenze del marito stavano diventando troppo evidenti, e presto la gente avrebbe iniziato a parlare. Per evitare ulteriori danni all'immagine della famiglia, gli zii l'avevano costretta ad andarsene, minacciandola di allontanarla con la forza dalla figlioletta, e la donna non aveva avuto altra scelta se non accontentarli.

Eppure prima di scoprire la verità, Jisoo si portò tanta tristezza nel cuore, e rabbia e odio verso sé stessa e suo padre. Ma mai provò odio nei confronti di sua madre.
Dopotutto i suoi genitori si erano sposati a causa sua. Era stata lei ad imporre alla sua mamma quella vita tanto infelice, e non poteva biasimarla se aveva preferito abbandonarla piuttosto che sopportare ulteriormente le percosse del marito.
Era arrivata a ritenersi la rovina della vita della madre, e ogni notte non faceva altro che ripetersi che la donna era felice e per questo doveva esserlo anche lei. Seppure non ci provasse davvero.

Ad undici anni, Jisoo fu mandata in collegio.

In quei tre anni senza madre si era costretta a maturare precocemente e aveva imparato come porsi nei confronti degli adulti. Aveva capito che ognuno ha delle parole che ama sentirsi dire, delle espressioni che ama vedere e delle attenzioni che ama ricevere. Una volta capito quali, quella persona ce l'avevi in pugno.
E così la ragazzina aveva imparato dagli adulti il gioco del travestirsi, e nonostante la sua età poteva vantare di un gran bell'assortimento di maschere per qualunque conversazione.

Agli occhi degli uomini e le donne che entravano in contatto con lei, Jisoo era l'ideale di ragazzina perfetta, così carina, così elegante ed educata. Sapeva quando immettersi in un discorso e quando tacere, e alla gente tutto questo piaceva.
Eppure dietro le sue belle maschere Jisoo si sentiva vuota. Dovendo reprimere le sue emozioni, i suoi istinti e il suo carattere aveva iniziato ad avere dubbi sulla propria personalità e identità.
Non sapeva più chi era.

Con suo padre, ormai, aveva perso le speranze.
Per lui esisteva solo il lavoro, il suo unico obiettivo era raggiungere una posizione di risalto, e le loro conversazioni si riducevano a saluti e richieste. 
L'uomo continuava ad ubriacarsi occasionalmente, e ogni volta che poteva, in occasioni del genere, la figlia andava a dormire da qualche amica. Quando non ci riusciva le toccava sorbirsi gli sfoghi del padre che le urlava contro di essere una maledizione, solo per pentirsene e non farsi trovare in casa la mattina dopo. Spesso le lasciava anche dei soldi con cui potersi comprare quello che voleva, ma lei, di nascosto, li rimetteva sempre nel suo portafogli quando tornava.
Non sentiva il bisogno di approfittare della situazione. Per quanto cercasse di convincersi di odiare suo padre, non poteva fare a meno di provare pena per lui. O meglio non voleva ammettere che nonostante tutto suo padre lo amava ancora. E forse anche per lui era lo stesso.

Nonostante ciò nulla impedì al signor Kim di mandarla in un collegio per il semplice fatto che somigliava troppo a sua madre, e a lungo andare la vista del suo viso aveva iniziato ad infastidirlo.
E non c'era amica, o compagna di classe che potesse alleviare almeno in parte il dolore che provava in quel momento. Perché nessuno dei suoi coetanei poteva comprendere la sua sofferenza, o almeno il modo in cui la esprimeva. Jisoo era come un'adulta nel corpo di una ragazzina, e di conseguenza i suoi discorsi parevano incomprensibili ai ragazzi della sua età.

E a furia di ripetere una storia che non veniva mai ascoltata, Jisoo smise semplicemente di raccontarla.

Jisoo aveva tredici anni quando suo padre finì in prigione.

A causa delle sue manie di grandezza e il suo morboso bisogno di elevare la propria posizione, aveva rischiato di mandare in banca rotta l'azienda, acquistando un'impresa tessile specializzata in manifatture. Dato che aveva agito alle spalle del resto della famiglia, per evitare ulteriori perdite e limitare i danni, per il bene dell'attività il nonno lo aveva denunciato, pur essendo consapevole del fatto che il figlio non avrebbe potuto risarcirlo in alcun modo.

Così il conto del padre di Jisoo fu bloccato e lui finì in una cella dove avrebbe passato circa sei anni.
Per questo motivo Jisoo uscì dal collegio prima della fine dell'anno scolastico.

Era il mese di Novembre quando si trasferì alla villa degli zii, e lì le cose sembravano sempre le stesse, tranne per Jennie, cresciuta assieme alla sua personalità spensierata. Accolse Jisoo calorosamente, eppure non le stava più dietro come quando era bambina. Adesso invece cercava di farsi seguire, di coinvolgere la cugina in ciò che le piaceva, e a volte ci riusciva anche.
In questo modo Jisoo conobbe Jiyong e i suoi amici.

Zio Jiyong, come si faceva chiamare dalle ragazze, adorava portare in giro le due. Si assicurava sempre di vederle con un gran sorriso stampato in faccia, cosa affatto difficile data la sua allegria contagiosa.
Jisoo fu grata del tempo che poté condividere con lui in quelle poche uscite alle quali si era aggregata.

Quel Natale fu il primo che riuscì a trascorrere come parte della famiglia dopo tanto tempo.
A quanto pare per Jennie era lo stesso, dato che solitamente erano tutti indaffarati nel creare una nuova collezione da lanciare nei primi dell'anno nuovo, quindi entrambe erano davvero eccitate. Quella cena era ancora più particolare rispetto alle altre dato che era stato invitato anche Jiyong, motivo per quale la più piccola di casa Kim era al settimo cielo.

Ebbene quella sera accadde l'inaspettato. Il nonno delle ragazze presentò Jiyong come il suo quarto figlio. Figlio illegittimo che aveva intenzione di riconoscere pubblicamente il 20 Gennaio, giorno in cui la collezione per il nuovo anno, alla quale il ragazzo aveva dedicato impegno e dedizione, sarebbe stata lanciata.
La notizia lasciò tutti senza fiato.

Jisoo aveva da poco compiuto quattordici anni quando zio Jiyong morì in un incidente stradale.

Era il compleanno di Jennie quella sera. Quella notizia la sconvolse al punto da farla litigare con il padre e rinchiudersi in camera sua per una settimana.
Jisoo avrebbe tanto voluto starle vicino, dirle parole di conforto, stringerla forte tra le braccia e ricordarle che il suo sorriso era la cosa più preziosa al mondo... Ma la maggiore, che di sofferenza se ne intendeva, era consapevole del fatto che la cugina non le avrebbe concesso di farlo. Almeno non così presto.
Eppure non ne ebbe mai la possibilità dato che qualche giorno dopo Jennie partì per la Nuova Zelanda, e una settimana più tardi Jisoo tornò in collegio.
Negli anni a seguire non fece altro che chiedersi quale maledizione fosse stata lanciata sulla sua famiglia per far sì che capitessaro tutte quelle disgrazie, non essendo in grado di capire che erano i membri della famiglia stessi ad essere la causa di tanta sfortuna.

Jisoo aveva diciotto anni quando Jennie tornò in Corea.

Gli zii avevano le avevano fatto lasciare il collegio completate le scuole medie, iscrivendola poi ad un istituto privato dalle ottime credenziali, dove avrebbe studiato anche le loro figlioletta al ritorno dall'estero. Ovviamente la loro decisione era dovuta al benessere di Jennie, per la quale Jisoo sarebbe stata un cagnolino fedele. La ragazza lo aveva capito da prima che le facessero intendere la cosa. Discendendo da un padre che aveva agito tanto disastrosamente, anche Jisoo veniva etichettata dalla società di cui faceva parte come un agnellino dal manto color pece. Date le circostanze gli zii pensarono pur di continuare a far parte di quel mondo, di quella famiglia disastrata all'interno ma scintillante all'esterno. Pensarono che avrebbe fatto di tutto per stare con Jennie, pendere dalle sue labbra e mettere a rischio se stessa.
E in effetti avevano ragione. Ma Jisoo non voleva la cugina per farsi vedere in pubblico, per dimostrare di essere bene accetta, per sottolineare la sua appartenenza alla famiglia Kim o per stare sotto i riflettori come tutti credevano.
Lei voleva Jennie perché era l'unica persona che le aveva dimostrato affetto tempo addietro, l'unica che era stata in grado di farla sorridere, e l'unica nella quale rivedeva se stessa.

Già, perché proprio come Jisoo, Jennie era cambiata. Era stata costretta a crescere, e adesso della sue spensieratezza, della sua gioia e la sua allegria non restava più nulla. C'era solo ghiaccio nei suoi occhi, mentre sul viso un'ostentata superbia, tipica di chi vuole far sentire gli altri inferiori e far loro capire di chi comanda. Ma la maggiore sapeva che la cuginetta non era realmente così. E probabilmente anche Jennie lo sapeva, nonostante cercasse con tutte le sue forza di convincersi del contrario.

In quell'anno Jisoo ebbe occasione di conoscere la sua nuova cuginetta. Era diventata in grado di distinguere la sua personalità impostata e il suo vero e sofferente io.
La vera Jennie era quella impulsiva, non la mente calcolatrice. Jennie era la ragazza che agiva in modo rischioso non per provare il brivido di disobbedire o per fare la bad girl di turno, ma per capire fino a che e punto l'adrenalina riuscisse a soffocare il dolore. Era la bambina che ogni volta che arrivava un temporale scoppiava a piangere e si nascondeva sotto le coperte, e al contempo la donna ferita che bisognosa di sfogare la sua rabbia e la sua frustrazione attaccava chiunque gli capitasse a tiro, pentendosene subito dopo.

Ed era per poter vedere quella ragazza sorridere di nuovo che Jisoo rimase alla villa nonostante tutto.

Jisoo aveva diciannove anni quando Lisa è entrata nella sua vita.

Aveva appena iniziato il terzo anno e nonostante lo studio frenetico, aveva sempre il dovere di accontentare tutti i capricci di Jennie. Soprattutto quando si trattava di organizzare feste o rovinare la reputazione a qualcuno. Figuriamoci quando bisognava fare entrambe le cose.

L'obiettivo della cugina era Park Chaeyoung e per poter attuare il suo piano contro di lei, Jisoo avrebbe dovuto tenere alla larga l'altra primina, una ragazza tailandese dai capelli decolorati di nome Lalisa Manoban.
Quando l'avvicinò era già ubriaca persa, e non riusciva a tenere a bada la lingua.
-Unnie!- la chiamò, e la sua sfacciataggine inizialmente infastdì la maggiore. Ma in realtà quel fastidio era dovuto a ricordi dell'infanzia che non si sarebbero mai ripetuti o rinnovati nel presente. E in più per quanto odiasse ammetterlo a sé stessa le era mancato quel nome.

Fare da balia a Lisa per quella sera fu una delle cose più divertenti e liberatorie che avesse fatto negli ultimi anni. Le aveva permesso di essere un po' se stessa, senza essere giudicata. E poter occuparsi della ragazza come non aveva potuto fare con la cugina l'aveva fatta sentire strana.
E a proposito di Jennie... Per poco non urlò quando la trovò a letto con Park Chaeyoung. Di certo non avrebbe mai lontanamente immaginato che la serata sarebbe finita in quel modo. Il piano della piccola Kim era stato un fallimento totale.

La mattina dopo, Jisoo non solo dovette occuparsi di Lisa e dei postumi della sua sbronza, ma dovette anche prendersi cura del cuore spezzato della piccola Chaeyoung, ferita dalle azioni della padroncina di casa. Aiutò entrambe a riprendersi, chi più e chi meno, ed essendosi assicurata che i domestici si occupassero di dare una lavata ai loro vestiti, da restituire loro puliti e profumati. Il problema era che qualcuno aveva dimenticato di far partire l'asciugatrice , quindi prestò loro qualcosa, commettendo il grave errore di dare alla rossa un top della cugina scambiandolo per proprio. Cosa che le ragazze scoprirono alla festa di Kim Hanbin una settimana dopo. Ma ciò che accadde in seguito fu tutt'altro che spiacevole.

Ebbene mentre Jisoo pensava che tutto stesse andando per il meglio, ecco arrivare un fulmine a ciel sereno.

Mia cara Jisoo,
So che non mi sono fatto sentire per un po', e per questo ti chiedo perdono, ma adesso è arrivato il momento di unire le forze.
Come ben saprai, si avvicina il momento della mia scarcerazione, e ho intenzione di riappropriarmi di ciò che mi spetta ed è mio di diritto. So che al momento tuo zio e la sua famiglia perfetta sono la luce degli occhi di tuo nonno, ma insieme possiamo fare in modo che le cose cambino.
Mio fratello ha commesso diversi errori da quando sono qui dentro, e non sarà in grado di tenerli nascosti ancora a lungo. Le sue azioni sono decisamente più imperdonabili delle mie, e so da fonti sicure che presto lo scheletro che nasconde nell'armadio sarà esposto alla luce del giorno. Ed è allora che agiremo. Io e te insieme.
Quando tuo nonno capirà che tutto ciò in cui credeva altro non era che una mera illusione, toccherà a te stargli accanto. Gli dimostrerai di essere migliore di quella ragazzina frivola e viziata di Jennie. Conquisterai la sua fiducia e farai in modo che si fidi di me, un uomo privato di tutto ciò che amava e pentito delle sue riprovevoli azioni.
Erediteremo la azienda, come meritiamo, e mai più nessuno oserà etichettarci, indicarci, provare compassione per noi o dirci cosa dobbiamo fare. Noi avremo il controllo.
Ricorda, figlia mia, che non siamo nati per piegarci dinanzi agli altri, ma per far piegare loro dinanzi a noi.
Resto in trepidante attesa di una tua risposta.

Tuo padre, Kim *

In questo modo Jisoo capì che suo padre ormai era diventata la copia perfetta di suo fratello. E in questo modo capì che lo aveva perso definitivamente.
Riviveva tutti i ricordi che aveva di lui come se stesse guardando una pellicola a velocità raddoppiata.

I ricordi della sua infanzia le parevano fin troppo nitidi, fin troppo dolorosi ora che poteva vedere la cosa dal punto di vista di un'adulta e afferrare concetti che un tempo non avrebbe potuto capire in alcun modo.
Cercò conforto nel suo armadio, e le pareva di risentire le urla dei suoi genitori all'esterno.
Jennie le bussò per chiederle di andare a scuola insieme, ma la sua voce non riusciva a raggiungere le sue orecchie, già piene di lamenti strazianti e singhiozzi interminabili.
E quando la sua prima adolescenza le tornò alla mente, quando tutti gli insulti che l'uomo che chiamava 'papà' le rimbombavano in testa, quando come al solito nessuno ascoltava le sue disperate ma purtroppo tacite richieste d'aiuto, improvvisamente il suo cuore parve esplodere. Una rabbia mai provata prima, frutto di anni trascorsi a soffrire in silenzio, a nascondere se stessa, a mordersi la lingua a sangue, iniziò a gravarle sul petto, mentre il sangue le correva nella vene tanto velocemente da farla affannare.
Uscì dall'armadio, e come se qualcun altro avesse il controllo del suo corpo, sfogò quella rabbia imitando il padre. Ci mise poco a sfasciare la stanza, e altrettanto poco a realizzare che nonostante tutto ciò che le avesse fatto subire quell'uomo le mancava terribilmente.
Lei rivoleva il suo papà, ma non quell'essere freddo che di umano aveva ben poco. Lo voleva vivo e pieno di emozioni, per quanto distruttive potessero essere. Perché era stato quell'uomo a crescerla, e lei non aveva potuto evitare di affezionarsi a lui.
Così cadde a terra in preda ad un pianto più che disperato.

Non sapeva neanche lei con quale forza riuscì a trascinarsi verso l'armadio aperto, e rifugiarsi ancora al suo interno, né sapeva quanto tempo aveva trascorso al suo interno, con indosso ancora gli abiti della sera scorsa, macchiando di trucco sciolto e sbavato la t-shirt con la stampa delle labbra che aveva rubato a Lisa.
Oh, Lisa...
Quando la trovò in quelle condizioni, sbiancando alla vista di ciò che era rimasto di lei, e la strinse così forte a sé continuando a ripeterle che tutto si sarebbe sistemato, Jisoo capì quanto quella ragazza fosse importante per lei.
In quel momento era tutto ciò che le era rimasto, e promise a se stessa che per nulla al mondo l'avrebbe lasciata allontanarsi da lei.

Jisoo non faceva altro che domandarsi quanto l'essere umano poteva essere distruttivo nei confronti di se stesso e degli altri.
Se lo chiedeva quando si guardava allo specchio, vedendo  le costole sporgere, gli occhi gonfiarsi, la pelle sbiancare. Non riusciva nemmeno a percepire il senso della fame, o il pizzicore sotto le palpebre, il suo male psicologico aveva la supremazia su quello fisico. Nonostante ciò la ragazza continuava a comportarsi come se nulla stesse accadendo, con educazione impeccabile, sorrisi immancabili, e parole gentili per tutti. Eppure era evidente che non stava bene.
Jisoo riusciva a leggere negli occhi di Lisa, dei suoi genitori, dei cuginetti persino, la preoccupazione dinanzi a ciò a cui la ragazza si stava riducendo.

Jisoo si rimproverava per non essere stata capace di aiutare Rosé quando sconvolta era giunta a casa Manoban per trovare un po'di sollievo, solo per andarsene ancora più in pena a causa sua. Si rimproverava di non essere riuscita a mangiare più di un boccone della torta che aveva fatto con i bambini. Si rimproverava per non aver saputo cosa fare quando la sua migliore amica era scoppiata a piangere tra le sue braccia nel momento in cui scoprì che Chaeyoung se ne era andata. Si rimproverava di essere diventata un peso per chiunque le stesse attorno.

Jisoo era appena tornata alla villa.

Lisa era rimasta a casa, troppo stanca per alzarsi dal letto quella mattina. Aveva trascorso la notte in bianco tra pianti, risate e imprecazioni, troppo eccitata per la notizia del viaggio in Australia. Le aveva lasciato un bacio in fronte prima di uscire.

La ragazza era appena entrata in camera sua, per sprofondare immediatamente nel materasso in lattice del suo letto, quando sentì un leggero bussare alla porta.
—Si?— chiese scattando a sedere.
La porta si aprì mostrando il sorrisino timido disegnato sul volto di Jennie.
—Posso?
Sorpresa la maggiore si ritrovò ad annuire e poi ad osservare la cugina avvicinarsi e sedersi al suo fianco.
—Come stai?— domandò poi.
—Bene?
—Tu...— continuò la minore timorosa. —Non devi fingere con me. Non più.
Jisoo era confusa.
—Jisoo...io so di non essere mai stata una brava cugina. Insomma non sono mai stata brava in generale, soprattutto con te, ma...
Jennie guardò negli occhi la sua unnie, che a sua volta la fissava incredula.
—Io ti voglio bene unnie. Voglio che tu sappia che se avrai bisogno di me ci sarò sempre... Voglio che tu sia felice e... E quindi smettila di piangere okay?
Jisoo non si era neanche accorta delle lacrime che le erano scivolate lungo le gote. Senza curarsene minimamente sorrise e abbracciò la cugina.
La minore le accarezzava la schiena che si alzava e abbassava a causa dei singhiozzi.
—Lo so— disse poi. —Anche io.

Trascorsero così la mezz'ora successiva, strette l'una tra le braccia dell'altra, fino a quando il respiro a maggiore si stabilizzò. La luce del tramonto che filtrata dalle tende davanti alla finestra, coloravano di riflessi arancio-rossastri i capelli corvini di Jisoo, che tranquilla lasciava che il suo sguardo si perdesse nel vuoto.
—Ti va di parlare?— chiese Jennie rompendo quel silenzio che le avvolgeva.
—Di cosa?
—Di quella.
Con un cenno del capo la minore indicò la scrivania, e la cugina capì subito a cosa si stesse riferendo.
—È una storia lunga— disse poi raddrizzando la schiena. —Una storia complicata, che nessuno ha mai ascoltato...
—Allora lascia che sia io la prima ad ascoltarla.
Le ragazze si guardarono per un po', prima che la corvina si alzasse per chiudere a chiave la porta.
—Sappi che non sarà affatto facile.
Jennie annuì, invitandola a sedersi nuovamente accanto a lei.

E finalmente Jisoo non ebbe più bisogno di mentirle.

  
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