Storie originali > Poesia
Segui la storia  |       
Autore: _Maeve_    12/08/2018    1 recensioni
[Raccolta]
Magna Mater: la feconda Madre Natura che abbraccia la totalità del reale, l'embrionale, "particolaristica" natura che è paesaggio/personaggio del mio Meridione, e per finire l'orrifica Madre Cibele, la latina (solo d'adozione) Magna Mater propriamente detta, il cui culto, legato alla Terra e alla maternità primigenia, si colorò sin dall'origine di sfumature fosche, torbide,irrazionali. Sono queste le tre anime di questa poesia, spesso immersa nella campagna, nelle sue diverse declinazioni e nei suoi echi antropici. E' un habitat che mi è molto caro, per tutto ciò che in esso c'è e c'è stato, e che unisce a memorie “genetiche” ormai irrecuperabili la segreta speranza di una continuità ideale, poetica e vera insieme.
Prendetelo, al di là di sicuri echi letterari, come un progetto autobiografico, una sorta di umile memoir in allestimento, o un affresco composto da più narrazioni e più tonalità.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
mater I
Mater, I



Ha ancora un viso demetriesco:
stabat mater, dolorosa di sette figli
- il naso arcigno di chi è sceso nell'Ade
delle molteplici guerre, e dei lumi a petrolio;
il passato è una foto sbiancata dove rifulge lei bella
bella, quasi che la bellezza fosse un baluardo
in cui torcere i capelli e strozzarcisi, magari;
le gravitano attorno come tanti uccellacci che sibilano, sibilano
- sibili di terra straniera smozzicati fin ora tra le labbra,
l'arcano indugiare nel vuoto fisso di occhi che 'a forestiera
non piega a questi costumi di oggi così truci e selvaggi,
e a quell'amaralingua, che con la scusa vorrebbe impastàrciti;
sta lì nella sua rocca in penombra di grano, e la sala da ballo  
colorata d'Estate adesso è una stanza: ci latra un cane,
languisce l'Inverno, e figlia mia, come una madre...!
le mani rubate all'Inferno annaspano, artritiche,
cercando Persefone – e il senno è una terra straniera;
lei lo sa che son lì che aspettano, che l'hanno sempre aspettata,
tutti questi figli come tanti uccellacci e come gambi di piante
che soffochino la terra col nascere, e poi l'accusano di essere marcia.





Note
I numi tutelari della produttività e della 'vita vera' saranno contenti di questi tempi così disgraziatamente poco poetici, in cui le giornate sono fisicamente occupate e, fuor d'elucubrazione, le ispirazioni poetiche si riducono e si inseguono come queste comete post San Lorenzo in un cielo nuvoloso; da una parte dunque, sono contenta – se uno non ha tempo per pensarci, per 'ricamarci' sopra, vuol dire che va tutto bene, salvo qualche piccolo e sporadico pegno alla mia psiche sempre in cerca di passatempi freudiani - , d'altra parte avrei desiderato essere meno scostante a livello di scrittura, ma meglio tardi che mai, e soprattutto meglio assecondare l'ispirazione naturalmente, piuttosto che cavarla a forza fuori dai tubi della propria creatività come  oggetti estranei dai lavandini (?). Comunque, il pensiero a questa raccolta non è mancato nemmeno in questa abbondantissima settimana, e il progetti su questo quinto capitolo sono stati dei più diversi, fino a sboccare (com'era ovvio) in ciò che non avrei mai pensato, in un fuori programma su cui non sono stata più di un'ora.
Lasciandomi alle spalle pretese architetture interne un po' troppo aliene da me e dalla mia situazione presente (salvo l'aver rinominato il precedente capitolo, così già mi par meglio), ho deciso di dare libero sfogo o quasi all'inventiva del momento, cercando di farla collimare quantomeno col mio desiderio iniziale e programmatico di costruire, ove possibile e senza appesantire il tutto, il soggettivismo ecc ecc, una serie di ritratti più o meno estivi e più o meno ancorati sia ai miei schemi emotivi e poetici, che mi hanno accompagnato fin qui,  sia (direi soprattutto) all'idea di fondo della raccolta come da introduzione. In poche parole: dovevo iniziare in qualche modo, e questo è l'inizio. Sono abbastanza soddisfatta: il linguaggio è più semplice, più primo-novecentesco per certi aspetti (la conclusione è un'assonanza molto forzata, meglio dire che è un fulmen in clausola latino/pavesiano) , mi auguro mai banale. Mi auguro anche di aver saputo ben congegnare i rimandi interni nei versi: la figura di Demetra (scusate i neologismi), che stranamente fino a questo momento non mi era mai venuto di associare alla 'madre', assieme a questa Persefone vaga e inconscia, al tema dell'immigrazione che si mischia al folclore, disseminato qua e là, fino a giungere a un ripugno 'etnico-sociale' della comunità di non/finta accoglienza, la stessa che si sublima alla fine nelle immagini della vecchiaia e della malattia – sempre da interpretare, e volevo che questo fosse chiaro (paradossalmente) dal ritmo vagamente allucinato, ammutolito, che la poesia di tanto in tanto e più o meno simmetricamente assume.
Ora, di solito riservo queste note, come si vede, a una trattazione a metà fra il cinico (per ciò che riguarda le mie personali sensazioni metatestuali) e l'arido (come rischia di essere qualunque spiegazione che usi l'espressione ripugno etnico-sociale ) , perché il coinvolgimento circa la materia trattata lo riservo alla poesia, diciamo che ivi si esaurisce. Ma. Non è mai facile parlare di vecchiaia, di morte, di figli che soffochino le madri, delle colpe reciproche. E' sempre tutto un po' ambiguo come in poesia. Dovreste però sapere che quel 'figlia mia' mi è stato rivolto in circostanze dolci e tristi, e che questa mia inaspettata ultima è dedicata alla signora M.S, che è difficile che campi altri cent'anni, ma il mondo e la terra lo richiederebbero senz'altro. 
A presto.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Poesia / Vai alla pagina dell'autore: _Maeve_