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Autore: 50shadesofLOTS_Always    13/08/2018    3 recensioni
Dal terzo film della saga: “Si comincia con qualcosa di puro, di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi. Noi creiamo i nostri demoni.”
I demoni - e non solo - incombono su Tony Stark, che ha appena dichiarato al mondo di essere Iron Man...
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[probabile OOC di Tony/dosi massicce di Pepperony con una spolverata di zucchero a velo/perché amo Ironman]
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tony Stark
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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REASONABLE DOUBTS

“Nothing to prove and I’m bulletproof and know what I’m doing.
The way we’re movin’ like introducing us to a new thing.
I wanna savor, save it for later the taste of flavor.
‘Cause I’m a taker, ‘cause I’m a giver.
It’s only nature, I live for danger.”
- Dangerous woman, Ariana Grande
 
“Oh, like a fever burning faster
You spark the fire in me.
Crazy feelings got me reeling,
they got me raising steam.
Don’t you struggle, don’t you fight.”
- Let me put my love into you, AC/DC

Allentò il piede dall’acceleratore per poi spostarlo sul freno quando il semaforo divenne rosso. Nell’attesa schiacciò un pulsante dietro il volante e sul cruscotto si aprì un’interfaccia, tramite la quale avviò la videochiamata.
« Couls- Direttore? » esclamò la donna al volante, stupita dal cambio dell’interlocutore.
« Salve Agente Romanoff – esordì Nich, in piedi davanti allo schermo nel proprio ufficio – Oggi sostituisco personalmente l’Agente Coulson »
« Dove lo ha mandato questa volta? » chiese con un sorrisetto, ma non senza notare delle pieghe scure sulla sua fronte.
Quando si facevano più marcate, la benda sembrava superflua: guai in vista.
« New Mexico »
« Stark la chiamerebbe terra d’incanto – mormorò dando un’occhiata al traffico – Qualche novità su Hammer e la sua Fata madrina? »
« Ancora niente » brontolò in attesa del rapporto.
« Dopo aver condotto cinquanta test col proprio sangue, ha riprodotto l’antidoto e lo ha assunto »
« Segni di miglioramento? » domandò e Natasha storse il naso.
« Al momento sono oscurata. Ieri sera ha alzato un po’ il gomito e la Potts mi ha sbattuta fuori » mormorò.
‘Ci mancava pure la ramanzina dalla Signora Stark’, pensò aspramente.
Nonostante tutto non poteva fare a meno di esserle solidale: a far da balia a un uomo con lo stesso andamento ormonale ed emozionale di un quattordicenne sarebbe impazzito chiunque, perfino il più santo degli eletti.
« Mi sto recando alla pista privata: per le otto e trenta è previsto il decollo del jet per New York – disse, suonando il clacson quando il conducente dinanzi a sé sembrava aver deciso di farsi una pennichella – Domani sera ci sarà l’inaugurazione della Expo a cui seguirà una cena presso l’hotel St. Regis »
« Manderò Crossbow con te »
« Non è sulla lista degli invitati » ringhiò, sterzando bruscamente per poi sollevare il dito medio all’indirizzo del pancione barbuto che superò con una sgommata.
Nich – abituato a quegli sporadici sfoghi – l'adocchiò. Aveva già abbastanza faccende ben più rimarchevoli a cui dedicarsi indi per cui, pagare la cauzione ad un’Agente stressato era una di quelle che avrebbe assegnato al proprio braccio destro.
« Farai in modo che lo sia. Vorrà vedere di persona i risultati del siero su Stark » decretò infine, spegnendo la rete e augurandosi che nel tragitto non sarebbero state falciate vittime.
Natasha, affrontato l’ingorgo, proseguì verso la periferia. Individuò quasi subito l’insegna Stark Industries sulla fiancata dell’angar con mattoni a vista. Di poco distanziati vi erano altri due edifici simili e un’enorme spazio aperto in gran parte alacremente cementificato. Al cancello, visionato da telecamere e una guardia armata, mostrò il badge ed entrò, parcheggiando l’auto nel posto a lei assegnato. Un addetto la raggiunse per sistemare il suo trolley in stiva, a cui chiese inoltre di prepararsi poiché la Signorina Potts avrebbe sicuramente gradito far colazione una volta decollati.
Dovette attendere circa mezz’ora per vedere la Rolls Royce. Le gomme frenarono dolcemente, Happy smontò e aprì lo sportello posteriore. Virginia fu la prima a scendere e finalmente lei capì perché fosse in ritardo. Una quisquilia che vivacizzò immediatamente il suo interesse quando Tony la seguì dalla vettura coi suoi affezionati Ray Ban.
Essendo spia fin da quando aveva memoria, Natasha non conosceva molto bene le dinamiche di coppia e l’”istruzione” impartitole aveva avuto – da subito – il primario obiettivo di sopprimere qualunque attrattiva verso di esse. A meno che non fosse indispensabile per l’adempimento di una missione. Tuttavia, per le stesse motivazioni, era riuscita a collezionare una vasta collezione di esperienze per quanto concerneva il linguaggio del corpo e le manifestazioni emotive, specialmente quelle invisibili, degli altri. I soggetti che sorvegliava da mesi avevano risvegliato in lei una sorta di aspettativa, la stessa che colpisce uno studente volenteroso davanti a un nuovo libro da leggere e studiare.
« Buongiorno, Signorina Potts – disse, cortese mentre si avvicinavano a lei – Signor Stark »
« Buongiorno, Signorina Rushman » mormorò Virginia di pari tono, fermandosi alle scalette.
Tony le rispose con un cenno, parendole un bambino che non aveva dormito poco e male.
Happy aiutò nel carico dei bagagli e in contemporanea, Natasha ne approfittò per avviare la propria indagine su Virginia, che osservava il cielo mattutino – ‘Mani giunte davanti al grembo, schiena dritta e… ce l’ha ancora con me’ – e su Tony, che invece osservava la donna – ‘Braccia incrociate sul petto, dita strette sulle maniche della giacca in pelle nera e leggero spostamento del peso da una gamba all’altra’, si appuntò. Entrambi somigliavano a due ladruncoli di quartiere, che cercavano di passare inosservati con la refurtiva in bella mostra.
Lo chauffeur diede l’okay e il quartetto salì a bordo del jet. Virginia si sedette in direzione del muso dell’aereo e la sua assistente fece altrettanto dal lato opposto. Tony e Happy le imitarono, dando quindi le spalle alla cabina di pilotaggio.
Nel giro di tre minuti scarsi erano a diecimila metri di quota e fuori, si potevano ammirare soffici colline di zucchero filato. Natasha distolse lo sguardo da esse quando un hostess li raggiunse, avvisandoli che potevano slacciarsi le cinture di sicurezza. Nello sbloccare la propria sicura, si accorse che nessuno dei suoi superiori si fosse mosso di un millimetro. Abbassò il capo e tese le orecchie.
« Desiderate qualcosa, Signorina Potts? »
« Caffè, brioche e del succo andranno benissimo » disse Virginia con voce pacata, gentile come al solito e Natasha non si sarebbe insospettita, se nel rispondere avesse sorriso o quantomeno staccato gli occhi da alcuni documenti, tirati fuori dalla borsa non appena si erano accesi i rotori.
‘Interessante’, gongolò.
« Del caffè e un frutto, per favore » mormorò a propria volta e l’hostess si rivolse a Tony, dopo che Happy ebbe rifiutato.
« E per lei, Signor Stark? ».
« Quello che ha preso la Signorina Potts » mormorò il miliardario, passandosi l’indice sul labbro inferiore.
La ragazza in divisa si congedò e le due cavie si fissarono a vicenda per un istante quasi impercettibile prima di serrarsi in uno stoico silenzio. La diagnosi di Natasha fu fulminea: TSI, tensione sessuale irrisolta.
Dovette contenere le risate quando le sovvenne la miriade di eventuali reazioni da parte di Phil quando gli avrebbe detto che il Signor Prima Donna avrebbe presto depennato la voce “playboy” dalla sua biografia.
Il suddetto aspettò che l’hostess portasse loro le ordinazioni prima di sganciarsi la cintura di sicurezza. Il suo sguardo intercettò quello della CEO, che si chinò a prendere la propria tazza con su il logo aziendale. Lui prese la propria e continuarono a sfidarsi da dietro il bordo delle ceramiche, come due duellanti che tentano di prevedere la mossa del nemico. O in questo caso, dell’amante.
Tony non riusciva a togliersi dalla mente la proiezione di loro due, abbracciati sulla battigia sotto casa. Lambiti dall’Oceano e riscaldati dal sole morente. Avvicinò la tazza, bevendo un sorso di caffè che per poco non gli finì di traverso quando immaginò di poterlo assaggiare direttamente dalle labbra di Virginia.
Natasha li osservò di sottecchi mentre consumavano la colazione – e si consumavano fra loro a forza di frecciatine – giungendo alla conclusione che se nessuno dei due avesse compiuto il primo passo, lo avrebbe fatto lei, scaraventandoli fuori dall’aereo. Senza paracadute. Così aspettò ancora un po’ per rendere la cosa credibile e perché Happy si appisolasse, poi finse di aver bisogno della toilette.
Tony si lasciò cadere di lato. Vide la Signorina Rushman sparire dietro la porta del bagno – su cui Natasha si appoggiò, facendo aderire l’orecchio sul battente per origliare – e si alzò per accomodarsi accanto a Virginia che si stava godendo la metà rimasta della propria brioche. Al cioccolato.
« Posso fare qualcosa per lei, Signor Stark? » disse dopo aver mandato giù il boccone.
Tony – tentato dalla crema che fuoriusciva dalla pasta-sfoglia fra le graziose dita della donna – si appoggiò con un gomito al bracciolo.
« Sei arrabbiata? »
« No »
« Perché mi chiami Signor Stark? » perseverò lui, porgendole un tovagliolo quando la vide sporcarsi una guancia.
« E come dovrei chiamarla? » domandò lei, con tono quasi apatico.
« Il bacio ti ha confuso la memoria – concluse, avvicinandosi e sottraendole il fazzoletto quando tentò di afferrarlo – Forse dovrei ritentare per... ».
Virginia senza timori né remore sollevò una mano, su cui l’uomo schiacciò la bocca e il naso.
« La mia memoria funziona perfettamente – replicò e con la stessa mano, afferrò il tovagliolo – Infatti devi ancora scontare la pena per ieri sera ».
« Credevo avessimo chiarito che si fosse trattato di un malinteso. E poi l’ho invitat… – lo interruppe nuovamente con un’occhiata significativa mentre si puliva la bocca – Ah »
« I suoi neuroni non hanno subito danni a lungo termine » constatò, riordinando la propria postazione.
Tony guardò per un attimo Happy, ringraziando che avesse il sonno pesante.
« Ero ubriaco » disse, volgendosi verso la donna.
« Altrochè »
« Non lo penso davvero » aggiunse, sperando che sentisse quanto fosse contrito. Davvero.
« Lo spero per lei, Signor Stark. Anche perché tengo in seria considerazione il pensiero di Ernesto » mormorò Virginia, tornando ai documenti mentre lui tornava sconsolato al proprio posto.
Happy, col capo girato verso il proprio finestrino, sogghignò di nascosto.
 
*
Il sole di quel pomeriggio aveva tardato a raggiungere il tramonto, lasciando nel cielo una striscia di magenta a far vibrare l’azzurro dell’Hudson. I suoi caldi raggi si erano rinfranti sulle superfici specchiate della grande Mela e nei locali dell’attico che, in cima ad uno degli edifici più alti di Manhattan, era sempre stata la dimora degli Stark. Tony aveva fatto ristrutturare l’appartamento, cercando di renderlo più moderno senza però sminuire o cancellare il fascino degli anni Trenta. I suoi occhi si spostarono verso la luna che da poco sorta, stava lentamente cambiando il paesaggio.
Prese un bel respiro, aggrottando la fronte. Quel Pirata gli stava dando del filo da torcere, impedendogli di proseguire realmente sulle ricerche che aveva abbandonato per metter su le Mark II e III. Doveva aver rafforzato il software e JARVIS avrebbe dovuto lavorare il doppio per riuscire a recuperare tutto il terreno perso all’interno dell’archivio digitale dello SHIELD. Inoltre non poteva più accedere con lo stesso meccanismo, avrebbe dovuto trovare un altro cavallo di Troia prima di riuscire ad avere ciò che gli serviva.
C’erano così tanti quesiti a cui cercava risposte valide, ma durante quei vent’anni non aveva fatto altro che scoprire cose che già sapeva e bere per dimenticarle. Lo avevano fatto tutti… eppure lui non riusciva a farlo.
Obadiah e i file a lui collegati, inclusi quelli nel ghostdrive recuperati da Pepper, non avevano niente a che fare con l’incidente come invece aveva sempre sostenuto, giungendo quasi a sperarci perché in fin dei conti lo considerava come parte della famiglia.
Perlomeno avrebbe avuto un motivo in più per odiarlo. Oltre al tradimento e il tentato omicidio della sua ex assistente.
E dopo un po’ si era arreso e un bicchierino a fine settimana si era trasformato in una bottiglia al giorno. In fin dei conti, neanche lui voleva conoscere la verità. A cosa lo avrebbe portato? Però lo doveva a zia Peggy. Lo doveva a sua madre.
Improvvisamente si riscosse. Udì il flebile struscio della porta che si apriva e si chiudeva, seguito da un leggero scalpiccio di piedi nudi.
Erano quei dettagli a sorprenderlo. Di ogni donna che era riuscito a portarsi a letto, non ricordava neanche le fattezze. Dell’unica donna, a cui aveva permesso perfino di convivere con lui, aveva invece memorizzato tutto. Letteralmente. Attraverso infinitesimali variazioni aveva imparato a riconoscerne le diverse sfaccettature dei movimenti, riuscendo a stabilire se la suddetta fosse arrabbiata, serena, stressata o triste.
« Ehy » esordì e Virginia quasi cacciò un urlo.
Riuscì a trattenerlo con un singulto e si portò una mano sul petto.
« E’ ancora sveglio » mormorò retorica, attraversando il salotto per giungere all’open bar.
Si allungò verso la credenza dove aveva sistemato una cassetta, vi sbirciò dentro e ne estrasse una bustina di thè. I viaggi a volte le mandavano in tilt il metabolismo e considerando gli imminenti impegni ufficiali, una bevanda calda era la sua ultima soluzione.
Tony nel frattempo sorrise, distendendo un braccio lungo il poggiatesta del divano.
« Anche lei… – le rispose con un piglio sarcastico – Pepper? » sospirò.
« Sì? »
« E’ davvero così difficile? ».
Virginia abbassò il coperchio sul bollitore che aveva appena messo sul fornello e si appoggiò con le braccia al ripiano della cucina. Chinò il capo, fissando il proprio volto storpiato dalla lastra in granito.
Era stata la loro conversazione sul jet a impedirle di lavorare in azienda. Aveva rimuginato a lungo su quanto fosse stato semplice, meraviglioso e liberatorio, poter esprimere i propri sentimenti. Aveva gettato via il tappeto dell’indifferenza per poter eliminare davvero la polvere.
« Non lo sarebbe se ogni volta che inizio a fidarmi di te, combinassi qualcosa – si drizzò, portandosi un pugno sul fianco mentre si girava verso di lui – E poi non capisco mai quando scherzi o parli sul serio »
« Ma io scherzo sul serio quindi non sorge il problema – ghignò sornione quando lei arcuò un sopracciglio, diretta espressione della sua pazienza agli sgoccioli – Che devo fare per convincerti che ti voglio? » le domandò con tono dolente.
Premette le labbra, riducendole ad una linea piatta mentre sentiva il cuore e, i pochi neuroni rimasti immuni, squagliarsi per il miliardario più fastidioso con cui avesse mai avuto a che fare.
Tony, conscio della risposta che meritava, si appoggiò alle gambe e rigirò la boccetta di antidoto che aveva tenuto sul tavolino nel caso di bisogno.
« Che cos’è? » domandò Virginia, avvicinandosi.
« Dilitio. O se preferisci biossido di litio. Si tratta di una molecola biatomica di un metallo con una densità pari circa metà a quella dell’acqua. Come gli alcalini, reagisce con essa e... – si volse e vedendola persa, sbuffò – E sto divagando »
« A che serve? » mormorò lei, arrivando da sola al nocciolo della questione.
« E’ una specie di ritardante che contrasta gli effetti dell’avvelenamento da palladio »
« E ti guarirà? » chiese e inconsciamente, le dita ricercarono il medaglione.
« No, non è un vero antidoto – rispose Tony, poggiando la provetta al suo posto – Agente me l’ha portato per conto di Nicholas J. Fury »
« Chi è Fury? »
« Il Direttore dello SHIELD ».
Virginia cercò di ricollegarlo e quando si ricordò dell’apparizione di Coulson al ritorno dal processo, comprese che c’erano altre cose – ‘Oddio…’ – che Tony non le aveva detto.
« Non capisco… Come fa a sapere del palladio? »
« Ricordi il primo appuntamento con Coulson? – annuì incerta – Non volevo incontrarlo perché sapevo già cosa volesse da me » rispose Tony, criptico mentre poteva sentire gli ingranaggi nella testa della donna lavorare a pieno regime. Era stata presente alla richiesta di compilazione delle testimonianze di quanto era accaduto alle Industries, pertanto sapeva come funzionasse.
« Continuo a non… »
« Quando quell’agenzia è stata messa in piedi si chiamava SSR: Riserva Scientifica Strategica – disse, guardandola negli occhi – Durante la seconda guerra mondiale era guidata da un certo Erskine, il medico che creò la formula del supersoldato assieme a mio padre »
« Parli di Capitan America? ».
Lui annuì, storcendo la bocca.
« Il prototipo del suo scudo è nello Stanzino di L.A. »
« Mi stai dicendo che »
« …sono nel database dello SHIELD perché a fondarlo sono stati Howard Stark e Margaret Carter ».
Virginia spalancò le palpebre. Lo sbuffo sibilante della teiera intervenne a sproposito e JARVIS spense il fornello.
« Cosa vuole Fury in cambio? » domandò seppur intuendo a priori la risposta.
Si affidò al bracciolo mentre si sedeva sul divano vicino a Tony, che puntò lo sguardo verso le luci della metropoli.
« Ironman »
« Intende sequestrarti l’armatura? »
« No, non proprio. Vuole che faccia parte di un progetto per la protezione globale. Lo ha chiamato Progetto Vendicatori »
« E chi altro c’è oltre te? »
« Nessuno per ora… Vuole che risolva il problema del palladio così da aver poi un appoggio economico e politico. Se muoio, salta tutto » aggiunse, muovendo una mano in aria distratto.
L’aspetto che più lo pungolava era che con tutta probabilità lo SHIELD non era benvoluto al Senato – insomma, avrebbero potuto dargli mano forte al processo – visti i modi pittoreschi con cui solevano presentarsi a lui.
« Quindi ti da un contentino e sfrutta la situazione per poi incastrarti » terminò Virginia, a braccia conserte.
« Esatto » assentì l’uomo, rivolgendole uno sguardo quasi d’orgoglio.
« Ma Phil »
« …è solo una marionetta. Fury non dice tutto o almeno ti dice solo quello che lui vuole che tu sappia ».
Malgrado la sicurezza con cui le aveva parlato, lei sapeva che quelle di Tony erano poco più che congetture. Esclusa la fondazione dello SHIELD.
I suoi zaffiri si concentrarono sul profilo del miliardario, i cui pensieri sembravano essere distanti anni luce dal presente. Aveva la stessa espressione vacua ma risoluta nell’atrio dell’hotel di Monaco.
« Cosa ti spinge a non accettare? ».
Tony inspirò. Si aspettava quella domanda, prima o poi Pepper lo avrebbe capito da sola.
« All’inizio pensavo fosse stato Stane, poi mi sono reso conto che è stato lo SHIELD a uccidere mia madre ».
« Perché avrebbe dovuto farlo? » disse a voce bassa, tentando un contatto visivo.
« Dov’era lo SHIELD quando Peggy si è ammalata? Dov’era quando Obadiah progettava di uccidermi? Lo SHIELD non è quello che sembra. Sono vent’anni che cerco di arrivare al pezzo finale del puzzle… che mi addentro nel loro firewall, trovando solo nomi di scartoffie finite in cenere – si passò una mano sul volto, ripristinando il controllo – Se non sono stati loro perché nascondere la morte del loro fondatore? ».
Quando si guardarono, Virginia rispolverò una verità natalizia che l’aveva fatta sentire importante.
« Tutto questo è strano, lo devo ammettere e se vorrai far luce sulla morte dei tuoi genitori, ti darò una mano. Ma… – scosse lievemente il capo, facendo ondeggiare la cascata ramata sulle sue guance mentre si fissava le mani in grembo – Sai che odio cercare altri lavori » specificò, quasi con un borbottio dopo un attimo di silenzio.
Tony ebbe il naturale impulso di girarsi verso di lei, che fissava forzatamente il soffitto. Allungò una mano per toccarla ma, ancora prima di sollevare il palmo, Virginia si alzò per recuperare il thè, che ormai doveva essersi raffreddato abbastanza perché potesse berlo senza ustionarsi. Ma anche per ripristinare l’equilibrio del proprio animo, affrettandosi nell’asciugare le palpebre umide.
Soffiò sulle volute che si addensarono sotto il proprio naso, indice di ciò che le passava per la testa,  mentre tornava verso il sofà. Prestando attenzione a non far traboccare nulla, piegò una gamba sotto il bacino e si sedette rivolta verso l’uomo che per il tutto il tempo non le aveva tolto gli occhi di dosso.
« Hai detto che è cominciato tutto dall’esplosione alle Industries… » esordì, dopo un sorso.
« Sì. Il fascio energetico del reattore gigante ha intaccato la parete interna del mic… – si bloccò – Pepper? »
« Mmh-mh? »
« Ti ho detto io di sovraccaricare i circuiti » disse con fermezza, la stessa che usò per contrastare l’insano senso di colpa annidato dietro lo sguardo limpido della donna che abbassò la tazza, stringendola tra le mani.
« Forse se non mi avesse vista in ufficio… »
« Lo avrebbe fatto lo stesso. La differenza è che senza di te sarei morto » dichiarò convinto.
C’erano due soli modi in cui quella storia sarebbe finita. Nel primo caso, se lei non fosse stata un tipo nostalgico – non facendogli dono della teca contenente La Prova – sarebbe morto sul divano non appena la prima scheggia gli avesse perforato un arteria o per un arresto cardiaco. Nel secondo caso, di gran lunga peggiore, se non l’avesse assunta il decennio scorso, si sarebbe spento da solo e senza uno scopo. Aveva strisciato verso il laboratorio – verso la luce fuori dalla grotta – perché sapeva che l’unica salvezza era quel ammasso di filo e rottami che lei aveva conservato. Lei era il suo cuore.
« …ancora prima che Stane pianificasse tutto ».
Perché senza di lei, chissà se avesse spento trentanove candeline o piuttosto se fosse diventato poco più che una mummia sepolta nel mausoleo Stark.
Virginia drizzò piano la testa, fissandolo come stordita mentre lui prese tra le dita una ciocca dei suoi capelli biondo rossi che le era finita sullo zigomo. Si perse per un attimo nei suoi occhi, poi si accucciò tirando le gambe al petto e chiese all’AI di accendere il televisore.
Tony non aggiunse altro e a braccia conserte, fissò il proprio sguardo sul megaschermo. I primi dieci minuti si ridussero ad uno zapping senza fine per oltre duecento canali. Avevano entrambi perso il conto, quando riuscirono a beccare un film. Virginia cambiò nuovamente quando un militare sbucò armato di mitra e riprese nuovamente a pigiare il tasto avanti del telecomando. Dopo la confessione del miliardario non voleva sentir parlare né tantomeno vedere un film su uomini armati, guerra e simili.
Tony, prevedendo che ci sarebbe voluta tutta la serata, sentì venirgli l’artrosi dal modo in cui sedeva e senza distogliere lo sguardo dalle immagini che si susseguivano, allungò una mano e la strinse appena attorno a una caviglia della donna. Fece lo stesso con l’altro piede finché non ebbe le sue gambe distese sulle ginocchia. Dopo essersi assicurata che non avesse alcuno scopo ulteriore, Virginia si rilassò con le spalle contro lo schienale e sorrise quando, qualche minuto dopo, lo trovò praticamente svenuto col capo reclinato sul poggiatesta e la bocca semiaperta.
Finì il proprio thè e allungandosi, appoggiò la tazza sul tavolino su cui il miliardario aveva incrociato le caviglie. JARVIS abbassò le luci mentre Virginia si accoccolava contro la spalla di Tony per raggiungerlo nel mondo dei sogni.
 
Il motore del quinjet si stava riscaldando in attesa del suo passeggero.
Il Signor Crossbow, contrariamente a quanto si potesse pensare, non era abituato a scendere sul campo. Era passato molto tempo dall’ultima fuga – più di quanto consentisse la natura – che non sarebbe mai giunta al successo se non avesse avuto contati a lui fedeli nonostante il tempo e il suo pessimo caratteraccio. Sua moglie lo aveva sempre ripreso per quella parte di sé, pur tollerandola.
Si passò una mano fra i capelli bianchi, osservando un po’ frastornato l’Agente May che spostava levette sul pannello di controllo con un paio di cuffie sulla testa. L’aveva inquadrata ed era soddisfatto del suo operato, ma quando si trattava di umanità, quella donna lo metteva in soggezione.
« Speravo non ci sarebbe stato bisogno del mio intervento » bofonchiò, girandosi verso Nich, che lo aveva raggiunto per cercare di tranquillizzare il suo superiore.
« Francamente anch’io – confessò, con le mani giunte dietro la schiena – Romanoff ha aumentato la sicurezza sotto gli ordini di »
« …Potts – completò Crossbow con un accento astioso – Mi dica, Direttore… Lei crede che questa, Pepper… sia una persona capace? »
« Non la conosco personalmente, ma ho fiducia nei miei sottoposti. Chieda loro ulteriori delucidazioni, se lo ritiene opportuno »
« Opportuno? Tsk! Non parliamo della Fabbrica di Willy Wonka, ma delle Stark Industries » replicò piccato.
« Capisco, Signore » rispose prima di scendere dal velivolo quando May gli fece intuire, con un’occhiataccia, che erano in ritardo sulla tabella di marcia.
« La terrò aggiornato » borbottò Crossbow mentre la pancia del quinjet si chiudeva con un ronzio.
« Faccia buon viaggio, Signore ».
Mentre decollavano, si lasciò cadere su uno dei sedili predisposti e allungando una mano sotto di esso, rovistò in un cassetto.
« Dove diavolo è quell’affare…?! – soffiò fra sé per poi distendere il proiettore olografico su un palmo – Avvia chiamata per Agente Natalia Alianovna Romanova ».
Ci volle circa un secondo prima che sottili raggi disegnassero nell’aria il bel volto della spia.
« Signor Crossbow »
« Mi tolga una curiosità, Agente... ».
 
*
Tony passò in rassegna degli abiti appesi, ignorando totalmente le parole della commessa e i cartellini dei prezzi. Mentre era fermo ad un semaforo, sulla strada del ritorno lungo Fifth Avenue dopo aver ritirato il completo su misura per la serata, il suo sguardo aveva vagato fino a scontrarsi su una vetrina all’incrocio con la cinquantottesima. Non aveva mai fatto spese, tantomeno in un negozio di vestiario femminile ma vedendo gli eleganti manichini, gli era venuto in mente che se le parole non bastavano, poteva far breccia con un regalo e visto che l’ultimo abito da sera era stato ampiamente apprezzato – da entrambe le parti in causa – si era detto che un altro avrebbe polverizzato qualunque ragionevole dubbio la donna potesse nutrire ancora nei confronti delle sue intenzioni amorose. Protese una mano, carezzando le stoffe finché le sue dita non incontrarono un vestito, rimasto inosservato fra gli altri. Semplice ma prezioso.
Ricercò la gruccia e lo tolse dall’appendiabiti per calcolare, ad occhio e croce, le misure. Lo appoggiò sull’avambraccio e cominciò a cercare nel reparto calzature sotto lo sguardo sbigottito e imbambolato di alcune clienti. Passeggiò lungo il corridoio poi svoltò, compì due passi e si fermò. Tornò subito indietro e senza pensarci più di una volta, arraffò un paio di tacchi. Numero 37. Ripercorse i propri passi all’inverso e affidò il tutto alla commessa che, in tutto quel tempo, non si era neanche accorta della sua assenza.
« E’ possibile confezionare tutto? ».
 
Virginia con un braccio piegato verso l’alto, fissava svogliata il documento che sostava sotto il proprio naso da più di mezz’ora. Annoiata, appoggiò il mento su una mano mentre le dita dell’altra facevano roteare la penna come la mazza di una majorette. Sollevò gli occhi dal contratto quando qualcuno bussò.
« Avanti » mormorò, raddrizzandosi sulla sedia mentre Hannah – l’alter ego newyorkese di Bambi – entrava con una grossa scatola fra le mani.
« Signorina Potts, è arrivato un pacco per lei »
« Per me? » chiese perplessa, lasciando la penna per poi esortarla con un mano.
La donna percorse quasi di fretta la stanza e posò con delicatezza il regalo, incartato a regola d’arte, come se fosse stato un ordigno. Il nastro in raso allacciava tutti gli angoli ed era stato annodato con un bel fiocco.
« Chi l’ha consegnato? »
« Un fattorino di una boutique dell’Upper East ».
Virginia notò un bigliettino infilato proprio sotto il nodo. Lo sfilò e vedendolo bianco, lo girò:

La sua divisa da cheerleader.
 
Non riuscì a contenere una risatina e l’altra arcuò un sopracciglio.
« Puoi andare, Hannah. Grazie » la congedò lei e la ragazza, seppur incuriosita, la lasciò sola con la scatola.
Virginia rigirò il biglietto fra le mani, sorridendo. Sapeva benissimo chi era il megalomane che potesse farle una simile sorpresa.
Lasciò il cartoncino in un angolo e sciolse il fiocco. Poi sollevò il coperchio della scatola e spostò la carta velina. La bocca le si schiuse per la meraviglia quando vide l’etichetta, Dior. Sfiorò la stoffa in punta di dita, poi agganciò le spalline e sollevò un poco l’abito per osservarlo meglio: scollatura profonda sia sul davanti sia sulla schiena, spalline sottili come filo di ragnatela, gonna lunga dal taglio appena a sirena. La stoffa rifletteva la luce come se fosse fatta di polvere d’oro e scendeva leggera, con un breve strascico.
Sì, non c’era alcun dubbio su chi avesse compiuto una tale scelta. Lo ripiegò con cura quando notò anche i sandali firmati, in tinta con il vestito.
Con la mano libera, sollevò la cornetta del telefono e tenendola con una guancia contro la spalla, schiacciò il tasto della linea privata cosicché nessuno in ufficio potesse spiarla. Digitò il numero per poi recuperare l’apparecchio con la mano. Un paio di squilli.
« Ciao Tony » mormorò per prima e il tono di voce che usò non passò inosservato a Tony, che proprio in quel momento era rientrato all’appartamento.
« Si sta annoiando? » chiese, usando volutamente la formalità per “vendicarsi”.
« Sai, stavo lavorando e mi è capitato un fatto alquanto curioso… »
Lui rimase in attesa mentre si toglieva la giacca e la lanciava sul divano, diretto verso il laboratorio.
« Mi è stata recapitata una scatola regalo » continuò, aspettando una reazione.
« Un regalo? » ripose lui, innocente.
« Sì. Tu ne sai niente? »
« Chi è l’idiota che le fa regali senza avvertirmi? »
« Tony… » lo pregò in modo così sottile che non potè resisterle.
« Dovresti provarlo per vedere se ti sta. Anche se credo di conoscere bene le tue misure… » disse, calciando via le scarpe da ginnastica.
« Ho già degli abiti da sera » gli rammentò, carezzando l’abito.
« Ti riferisci a quello blu? »
« Anche… Perciò non c’era bisogno che me ne regalassi un altro ».
Tony sorrise. Il disinteresse per il denaro e il lusso – che da adesso avrebbe potuto permettersi – di Pepper era uno dei maggiori motivi per cui l’amava.
‘Amare!?’, strillò una vocina dietro il proprio fronte occipitale che venne mirabilmente soppressa.
« Ma quello non è un abito da sera. E’ una divisa ufficiale e – rettificò con le labbra a pochi millimetri dallo smartphone – …mi farebbe piacere se la indossassi questa sera… ».
Virginia accavallò le gambe sotto la scrivania, afferrando di nuovo la penna e cominciando a rosicchiarne la parte superiore.
« Insieme alle scarpe? » domandò con un sussurro provocatorio che riuscì ad accarezzarlo lungo la schiena.
« Per me puoi indossare anche solo le scarpe… – rispose con un sorriso – Passerò alle venti »
« Credevo ci saremmo visti direttamente all’inaugurazione » disse lei, senza però contestare.
« Ho bisogno di un incoraggiamento per l’entrata… » si limitò lui, scoccando un’occhiata all’armatura.
« Ansia da prestazione, Stark? »
« Si faccia trovare pronta, Potts » la minacciò per poi riattaccare con la sua risata cristallina nelle orecchie.

Angolo Autrice: Lo spaaasso è arrivaaaato!Sono tornata, miei cari/e lettori e lettrici con un altro capitolo di passaggio per così dire… Sì, perché se il Signor Crossbow entra in azione, significa che ci sono guai in vista eheheh
Oltre a ringraziare per l’ennesima volta voi timidoni, T612 *-* _Lightning_ <3 (PS: sono del Baden Württemberg, precisamente sono nata nella zona della Schwarzwald ;*), volevo fare un piccolo appunto riguardo alla battuta di Pepper su Ernesto: si riferisce alla citazione riportata sull’orologio che ha regalato a Tony (“Se non ci mette troppo, l’aspetterò tutta la vita”) nel capitolo precedente: è una frase della commedia di Oscar Wilde, L’importanza di essere Ernesto. Vuole essere sia un omaggio da parte mia a uno dei miei autori preferiti, sia un doppiogioco linguistico – che però in italiano non rende molto, a meno che non si conosca l’opera – come quello fatto dallo stesso Wilde.
Per il momento è tutto (se avete domande e/o commenti, contattatemi :D) al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always
   
 
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